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    Joseph Ratzinger:

    la profondità, lo stile, l’umanità

    Bruno Forte



    Ho avuto modo più volte di scrivere di Joseph Ratzinger, sul Suo pensiero e sul Suo stile di pastore, radicato nell’amore alla Parola di Dio, tanto in contributi presenti in volumi miscellanei [1], quanto in articoli su quotidiani di vasta diffusione [2]. Quella che vengo a proporre è una semplice testimonianza su come la Sua personalità mi abbia colpito nei numerosi contatti che ho avuto con Lui, dapprima nella Sua produzione teologica, da me studiata e apprezzata, poi nel Suo ruolo di Presidente della Commissione Teologica Internazionale, della quale ho fatto parte collaborando con Lui per un decennio, ed infine nel Suo servizio di Successore di Pietro. In questa lunga conoscenza si inserisce come un autentico dono l’essere stato consacrato vescovo da Lui l’8 settembre 2004, su proposta di San Giovanni Paolo II, che mi aveva voluto pastore di un popolo e non aveva potuto ordinarmi di persona a motivo delle Sue condizioni di salute. Di Ratzinger ho potuto sempre riconoscere la profondità, lo stile assolutamente personale e la grande umanità.
    La profondità si coglie in Lui a più livelli: anzitutto sul piano della conoscenza, per la vastità smisurata del Suo sapere, quale emerge dai Suoi scritti e dalle Sue parole. Profondo conoscitore della Sacra Scrittura, lo è non di meno del mondo dei Padri della Chiesa, in modo particolare di Sant’Agostino, cui ha dedicato studi di fondamentale valore, e della storia della riflessione critica della fede (basti pensare alla Sua valorizzazione del pensiero di San Bonaventura, all’attenzione prestata alla cosiddetta Scuola di Tubinga del XIX secolo, con figure del calibro di Johann Sebastian Drey, Johann Adam Möhler, Johannes Evangelist Kuhn, o alla frequentazione dei maestri dell’eredità teologica di Monaco, quali Sailer, Görres, Bardenhewer, Grabmann e Schmaus). La profondità si manifesta poi nel procedere argomentativo di Joseph Ratzinger: la fluidità e la chiarezza del dettato sono in lui l’espressione di un lavoro di cesello, che lo porta a discernere e coordinare i vari livelli della riflessione e ad esporre i risultati della Sua indagine in maniera tanto limpida, quanto fondata. La profondità in Ratzinger non si è però mai limitata alla sola sfera intellettuale: in lui la “scienza” si è sempre unita alla “sapienza”, al gusto spirituale, all’esperienza vissuta della bellezza di Dio, alla gioia di poterne irradiare la conoscenza e l’amore.
    Profondo non è solo chi rende ragione di ciò che propone, ma anche e per certi aspetti soprattutto chi ne sa trarre stimoli e impulsi in grado di spingere all’impegno per promuovere e compiere il bene. È lo stesso Ratzinger ad affermare di aver voluto porre totalmente sé stesso «al servizio della Parola di Dio che cerca e si procura ascolti tra le mille parole degli uomini» (come ebbe a scrivere di sé nella Prefazione al volume di Aidan Nichols, Joseph Ratzinger, San Paolo, Milano 1996). Chi cerca e si procura ascolti non ha nulla del presuntuoso possessore della verità, che voglia imporla agli altri a colpi di clava: Ratzinger pone e accoglie domande vere e non offre mai risposte che non siano rigorosamente argomentate. In quanto semplice e puro servizio alla verità, il suo sapere è tanto “fides quaerens intellectum”, quanto “intellectus caritatis”, carità portata al pensiero e alla parola: ecco perché il vero idolo negativo sul piano teoretico, come sul piano morale, è per lui il relativismo, la posizione cioè che affermando il pluralismo delle verità - più o meno legate all’arbitrio del soggetto - esclude l’idea della verità da servire e da amare, sostituendola con l’unica certezza che tutto sia relativo.
    Profondità significa in Ratzinger anche il rifiuto di ogni banalizzazione, come di ogni indebita scorciatoia dell’argomentare. In particolare, la teologia - in quanto intelligenza della fede - non può permettersi vie facili: proprio perché nasce dall’incontro fra il movimento di autotrascendenza dell’uomo e l’offerta assolutamente gratuita e indeducibile della grazia di Dio, la fede non può essere mai scontata. Essa va vissuta in tutta la sua dimensione agonica, segnata dall’esperienza della reale alterità dell’Altro, che viene a noi. Scrive Ratzinger in Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo Apostolico (Queriniana, Brescia 1969): «Il “Credo” cristiano riprende con le sue prime parole il “Credo” d’Israele, accollandosi però al contempo anche la lotta d’Israele, la sua esperienza della fede e la sua battaglia per Dio, che diventano così una dimensione interiore della fede cristiana, la quale non esisterebbe affatto senza tale lotta» (73). La visione che Ratzinger ha della ragione e della fede è, dunque, tutt’altro che ingenua: vi sono patologie della religione, come quelle che animano i fanatismi e i fondamentalismi di ogni genere, e vi sono patologie della ragione, come quelle che hanno portato alla violenza dei totalitarismi e all’uso di terribili armi di distruzione. Questo rilievo non solo non esime la fede e la ragione dal dovere di dialogare fra loro, anzi lo richiede: in tal senso Ratzinger non esita a dichiarare che esiste una «necessaria correlazione tra ragione e fede, ragione e religione, che sono chiamate alla reciproca purificazione e al mutuo risanamento, e che hanno bisogno l’una dell’altra e devono riconoscersi l’una con l’altra» (J. Ratzinger - J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, a cura di M. Nicoletti, Morcelliana, Brescia 2008, 56). La fede - lungi dall’essere sacrificio dell’intelligenza - ne è insomma straordinario stimolo e alimento. La ragione che voglia dare ragione di quanto esiste, esercitata fino in fondo, non può non aprirsi allo stupore davanti al mistero, dove abita l’Altro, che chi crede riconosce come il Dio sovrano, trascendente e vicino dell’Avvento.
    Accanto alla profondità, colta nei suoi vari aspetti, mi ha sempre colpito in Joseph Ratzinger lo stile: con questo termine intendo il complesso delle caratteristiche formali, delle scelte, delle accentuazioni e dei mezzi espressivi che costituiscono l’impronta peculiare di una personalità. Il primo tratto che evidenzierei su questo piano è la sua attitudine all’ascolto: ricco com’è di conoscenze ed esperienze, Ratzinger non si impone mai, mette anzi il suo interlocutore a proprio agio, ne sollecita la parola e l’espressione sincera del pensiero, per quanto possa essere diverso o distante dal suo. Quest’ascolto si nutre di rispetto ed è in singolare sintonia con l’imperativo kantiano della ragion pratica: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo» (Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, UTET, Torino 1995, 88). Quest’attitudine di rispetto, aperta a voler apprendere dall’altro, esprime una mente in continua ricerca, animata dal desiderio di un approccio sempre più pieno alla Verità. Ratzinger, peraltro, non esita ad esprimere con sincerità e convinzione le proprie idee, convinto che la Verità superi tutti i suoi cercatori e da tutti richieda onestà e disponibilità a lasciarsi veramente illuminare dal Sole, che tutti avvolge con la Sua luce, quel Sole divino che sta dietro le nuvole più diverse della conoscenza umana e le vince. Ascolto dell’altro, rispetto e sincerità nel mettersi in gioco danno allo stile dialogico di Ratzinger un carattere di singolare eleganza e di autentica credibilità, riconosciutogli peraltro dagli interlocutori più diversi (basti pensare al dialogo del gennaio 2004 con Jürgen Habermas, tenutosi a Monaco di Baviera presso la Katholische Akademie: J. Ratzinger - J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, o.c.).
    Come affermava lo stesso Ratzinger a conclusione del dialogo con Habermas, «è importante per le due grandi componenti della cultura occidentale farsi coinvolgere in una correlazione polifonica, in cui aprano se stesse alla complementarità essenziale tra loro, cosicché possa crescere un processo di purificazione universale, in cui in ultima istanza i valori e le norme essenziali in qualche modo conosciuti o presagiti da tutti gli uomini possano conseguire nuova forza d’illuminazione, cosicché possa ritornare ad avere forza operante quanto tiene unito il mondo».
    L’eredità ebraico - cristiana deve insomma sapersi incontrare con la sapienza greca, in uno scambio così vero e profondo che ciascuna delle due accolga l’altra nel suo mondo vitale, senza in nulla rinunciare alle proprie radici e alla propria identità, ma accettando di frasi fecondare dalla ricchezza di verità e di bene di cui l’altra è portatrice. E questo deve avvenire in modo particolare in uno stile intessuto della comune ricerca della bellezza, quella che sola salverà il mondo, tutt’altro che semplice armonia nel gioco della proporzione delle forme, ma bellezza ospitale della ferita e della luce del nuovo di cui l’altro è portatore. Come afferma lo stesso Ratzinger, «la bellezza è certamente conoscenza, una forma superiore di conoscenza poiché colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità… La vera conoscenza è essere colpiti dal dardo della bellezza che ferisce l’uomo… L’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più reale e più profonda della mera deduzione razionale” (Messaggio al Meeting di Rimini del 2002).
    Infine, mi ha sempre colpito la grande umanità di Joseph Ratzinger: è su questo piano che umano e divino si incontrano in lui nella maniera più alta ed intensa. Il primo tratto di questa ricca umanità è l’umiltà: il segreto dell’immenso sapere di quest’Uomo sta nella sua sete di conoscenza, che si coniuga all’atteggiamento perfino discepolare con cui si pone di fronte a ogni possibile fonte di sapienza e di luce. È perfino imbarazzante nel dialogo con lui sentirsi ascoltati da un interlocutore che appare veramente pronto ad apprendere da te: tutt’altro che tattica o pura cortesia formale, questa maniera di porsi è frutto di sincera umiltà, di quel sentirsi così “in basso” (a livello dell’“humus”, del suolo calpestato dai nostri piedi), che può nascere solo in chi viva costantemente al cospetto di Dio, l’Altissimo davanti a cui ogni umiltà è sempre poca. È un’umiltà molto prossima all’atteggiamento che Sant’Ignazio di Loyola caratterizza come “reverencia”, e che spinge il discepolo di Gesù a stare in punta di piedi dinanzi al Mistero, quale che sia la relazione vitale in cui venga a trovarsi: «L’uomo è creato per lodare, riverire (hacer reverencia) e servire Dio nostro Signore e per salvare, mediante ciò, la propria anima» (Esercizi Spirituali, Principio e fondamento, n. 23).
    In secondo luogo, l’umanità di Ratzinger è inseparabile dalla sua vivissima fede: egli vive costantemente alla presenza del Signore, cui ha consacrato il cuore e la vita, da vero innamorato del Dio altissimo. Se fede vuol dire lasciarsi far prigionieri dell’Invisibile, Ratzinger vive questa prigionia coma una cattura d’amore: il Dio della sua fede è veramente il Dio vivente, non un morto oggetto, su cui esercitare il gioco dell’intelligenza, ma il Soggetto vivo e operante, cui corrispondere con la consapevolezza e la libertà dell’assenso a un’alleanza d’amore. Non è un Dio concorrente dell’uomo, quello della fede in Cristo, ma il Dio umano, la cui gloria è l’uomo vivente! Perciò, «la vera umanità dell’uomo - afferma Ratzinger - è l’umanità di Dio, la grazia, che riempie la natura». Da Papa non esiterà a ribadire: «La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un “Tu” che mi dona speranza e fiducia. Certo questa adesione a Dio non è priva di contenuti: con essa siamo consapevoli che Dio stesso si è mostrato a noi in Cristo, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi… La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza. Avere fede è incontrare questo “Tu”, Dio, che mi sostiene e mi accorda la promessa di un amore indistruttibile» (Udienza del 24 ottobre 2012).
    Infine, l’umanità di Ratzinger si esprime nell’esercizio costante della carità: non si tratta solo del suo distacco dai beni materiali, di cui venga in possesso e che da sempre destina ai più bisognosi, ma di quell’esercizio del “comandamento nuovo”, messo in atto attraverso l’impegno ad accogliere e integrare ogni persona secondo il disegno di Dio. Oso esprimere questo tratto attraverso una metafora musicale: avendo avuto il privilegio di ascoltare Ratzinger suonare al pianoforte, cosa che fa in maniera veramente mirabile, e ben sapendo come nell’esercizio della musica ogni tasto toccato corrisponda a un suono che deve integrarsi con l’insieme della melodia, ho avuto sempre l’impressione che per lui ogni essere umano è una nota unica e meravigliosa dell’armonia divina. Perciò nessuno può essere considerato di minore rilievo: ognuno va accolto, rispettato e amato per quello che è agli occhi di Dio, avvolto da un amore infinito, gratuito ed eterno. Relazionarsi a ogni persona nella carità vuol dire per Ratzinger sforzarsi di amarla guardandola il più possibile con gli occhi dell’amore divino: «Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente “operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12). La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la carità è “camminare” nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell’amicizia con il Signore; con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s)» (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2012, 2). Il grande pensatore della fede è inseparabilmente il testimone e l’apostolo della carità, su cui tutto si gioca nel tempo e per l’eternità.

     

    NOTE

    1 Ad esempio nel saggio intitolato Una teologia ecclesiale. Il contributo di Joseph Ratzinger, in Alla scuola della verità. I settanta anni di Joseph Ratzinger, a cura di J. Clemens e A. Tarzia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, 66-83, o in riferimento alla Sua opera su Gesù: Il Gesù di Papa Benedetto è il Dio vivente, in Gesù di Nazaret all’Università. Il libro di Joseph Ratzinger letto e commentato negli Atenei italiani, a cura di P. Azzaro, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, 299-308.
    2 Come ad esempio: Altro che nemiche, fede e ragione devono collaborare, in Il Sole 24 Ore, Domenica 26 Giugno 2011, 1 e 17; La mistica della Croce e la mistica del servizio, in Il Sole 24 Ore, Domenica 24 Febbraio 2013, 1 e 9; «Ratzinger sulla pedofilia sprona la Chiesa a reagire». Il teologo Forte: ci mostra le radici da cui è nata questa ferita, in Il Corriere della Sera, Sabato 13 Aprile 2019, 21; ecc.

    (in Joseph Ratzinger. Il mite custode della fede tra verità e carità, a cura di R. Cutaia e M. Albergante, La Fontana di Siloe, Torino 2022, 257-264).


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