Ciò che tarda
avverrà
Riflessioni sull'anno giubilare
Paolo De Benedetti
Il capitolo 25 del Levitico, dopo le prescrizioni relative all'anno sabbatico, così ordina: "Conterai sette settimane di anni, sette volte sette anni. E gli anni di queste sette settimane di anni saranno quarantanove anni. Allora farai risuonare ovunque lo strepito dello shofar, nel settimo mese, il dieci del mese: nel giorno di Kippur farete risuonare lo shofar in tutto il vostro paese. Dichiarerete santo l'anno cinquantesimo, e proclamerete liberazione nel paese, a tutti i suoi abitanti. Sarà per voi giubileo" (Lv 25,8-10).
Lo shofar, corno di ariete (jovel = ariete), dà il nome e segna l'inizio, nel giorno di Kippur, di questo grande sabato che è l'anno giubilare. Ogni volta che Israele è convocato da Dio, è lo shofar che lo chiama: sul monte Sinai "c'era un forte suono di shofar ... e il suono dello shofar diventava sempre più forte" (Es 19,17.19) mentre Dio parlava. Anche il giubileo è un appello divino, in quei santuari del tempo - per dirla con Heschel - che per Israele sono molto più pieni di Dio che i santuari dello spazio.
La chiamata giubilare non è una chiamata al culto: o almeno non lo è nell'accezione precisa, liturgica di culto, perché le prescrizioni di Levitico 25,8-17 non comportano sacrifici. Ma poiché per l'ebreo ogni precetto eseguito è culto, si può dire che l'anno del giubileo è per Israele la più grande situazione di culto. La sua fondazione religiosa è il sabato, che attraverso il ritmo settenario determina l'anno sabbatico e, appunto, il giubileo quale conclusione di sette cicli sabbatici: ciò vuole che, come nel sabato, l'uomo deve sospendere il proprio dominio sul mondo, la propria vocazione a trasformarlo, e deve restituirlo a Dio, riconoscendosi ospite di Dio nella terra di Dio.
E qui appare la funzione sociale del giubileo: se in esso l'uomo cessa di considerarsi creatore e padrone, cessano anche i debiti e le servitù, i crediti e i diritti acquisiti. Gli schiavi ebrei tornano liberi, come nell'anno sabbatico, i debiti decadono, i campi e le case in campagna (il mondo contadino più che quello urbano è l'orizzonte del legislatore) vendute tornano ai primitivi proprietari, perché non si formino accumuli di ricchezza e perciò di potere, e la terra di Israele conservi l'antico "catasto" stabilito, tribù per tribù, da Mosè e da Giosuè. L'intero paese vive questo anno di libertà: i poderi non arati e non seminati restano, come gli abitanti,esposti alla grazia di Dio, ognuno è, come il primo uomo nell'Eden ma anche come il bambino, "uno che riceve". Non bisogna vedere in queste immagini una condanna del fare, del lavorare per produrre beni, del possedere: è divino il comando di dominare la terra, e Dio premia con molti beni i patriarchi e Giobbe.
Ma il sabato, l'anno sabbatico e il giubileo "proclamano la liberazione" da una conseguenza del lavoro e dei beni, cioè dalla dipendenza di un uomo dall'altro uomo. La libertà ebraica vede nell'unica dipendenza da Dio una totale indipendenza da idoli, re, signori: e ha un profondo significato che alla radice dei giorni, anni e tempi consacrati a questo ripristino della libertà ci sia la parola shabbat, "cessazione", "riposo".
L'anno giubilare probabilmente non fu mai attuato, a differenza dell'anno sabbatico, che veniva celebrato ancora al tempo di Erode e lo è tuttora in Israele. Certamente non era in vigore all'epoca del secondo tempio, cioè dopo l'esilio. Dobbiamo dunque considerare le norme del Levitico come un'immaginazione sacerdotale (e alla fonte sacerdotale appartengono), come un falso, come la testimonianza di una continua trasgressione o inadempienza? Non sarebbe il modo più corretto di leggere la Bibbia. Il messaggio del giubileo non sta tanto nella sua precisa e storica esecuzione, quanto nella tensione che esprime: la tensione ad allargare, da un tempo a un tempo più grande, la sovranità di Dio, la fraternità tra gli uomini, la giustizia e la libertà da tutto ciò che asservisce noi e il mondo. In tal senso, il giubileo è una mappa messianica e, proprio come il tempo messianico, può essere vissuto attendendolo e anche raccontandolo. Un uomo d'oggi lo definirebbe un ideale: ma è dell'ideale rimanere utopico, di "nessun posto". L'uomo biblico, e l'ebreo sempre, crede - non spera - che ciò che tarda avverrà. Di questa fede, il giubileo è un segno, anzi una parabola.
(da: Ciò che tarda avverrà, Qiqajon 2006 - pp.151-154)
ps. Il libro è uno straordinario "alfabeto" (ogni capitolo è designato da una lettera dell'alfabeto ebraico, quello qui sopra riportato è l'ultimo - tau) che immette nel cuore della comprensione ebraica della vita (della storia, della cultura, della religione, dell'etica, delle relazioni...) attraverso la lettura di alcuni personaggi o braci delle Scritture. Lo consigliamo a tutti i lettori, ce ne saranno grati.