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    e chiese d'Inghilterra

    Suggestioni estetiche e miraggi ecumenici

    Leo Di Simone


    Le inveterate tradizioni britanniche

    Prima di recarsi in Inghilterra può tornare utile leggere Watching the English (Paperback 2005), accurata indagine antropologica di Kate Fox, studiosa inglese che con ironica arguzia tutta britannica analizza usi, costumi e soprattutto stranezze del popolo inglese. Ciò che Kate Fox osserva è un complesso sistema di tacite regole e intricati codici di comportamento che per i non autoctoni sono semplicemente "stranezze". I modi di vestire, abitare, fare la spesa, il mettersi in fila sempre, comunque e dovunque, il culto del tè, la monarchia e le sue inveterate consuetudini, i colleges e le istituzioni accademiche, i kilts scozzesi, le parrucche seicentesche dei giudici; e poi le cose pratiche (o poco pratiche per i turisti), come la guida a sinistra, le unità di misura non decimali, la sterlina in barba all'euro, i lavandini per nani negli alberghi, le prese di corrente extracomunitarie, i taxi e... il tuo inglese che, se non lo pronunci come loro, fanno finta di non capirti. Poi c'è la Chiesa anglicana, Chiesa di stato retta da Sua Maestà britannica che ne nomina i vescovi e li insedia ipso iure, col titolo di "Lord" nel Parlamento, istituzione democratica tra le più antiche. Una Chiesa molto complessa nella sua struttura, con una vasta gamma di posizioni dogmatiche e di atteggiamenti cultuali che vanno dal filocalvinismo al filocattolicesimo, con l'orgoglio dell'individuazione di una famosa "via media" che consisterebbe nell'equidistanza sia dal calvinismo che dalla Chiesa romana, così come più sovente gli inglesi chiamano la Chiesa cattolica. Una Chiesa piuttosto formale, descritta da un icastico aforisma di Oscar Wilde: «La Chiesa cattolica è per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili è sufficiente la Chiesa anglicana».
    Tra le istituzioni culturali più prestigiose ci sono i musei, come la National Gallery di Londra che senza gli artisti del Rinascimento italiano sarebbe semivuota. Altra stranezza, del tutto positiva, è che ai musei si accede gratuitamente, mentre le chiese, enormi contenitori di cultura religiosa e non, sono visitabili pagando un prezzo piuttosto salato. Bisogna perciò fare una selezione previa, se non si ha un portafogli senza fondo, e visitare le più significative, quelle che corrispondono maggiormente agli interessi della cultura personale e più di altre raccontano la storia cristiana d'Inghilterra.

    Nel cuore dell'anglicanesimo

    Visitando Londra non si può non andare, sborsando la modica cifra di diciotto sterline, pari a quasi 25 euro, a Westminster Abbey, la chiesa più importante della nazione e non solo per le sue bellezze artistiche. Costruita nel 1045 per un voto di re Edoardo detto il Confessore (santo cattolico), sorge proprio di fronte alla House of Parliament e da quasi mille anni nel suo presbiterio vengono incoronati i re d'Inghilterra. Fu affidata dal principio ai monaci benedettini che la ressero fino a quando Enrico VIII, nel suo risentimento antiromano, soppresse tutti gli ordini religiosi. Vi sono sepolti i più grandi personaggi della storia britannica, da re Enrico III a Geoffrey Chaucer, Charles Dickens, George Frederick Händel, Edmund Spenser, e il milite ignoto la cui tomba, accanto all'ingresso occidentale, è molto venerata e curata. L'edificio chiesastico è uno degli esempi più belli del gotico inglese che ha sviluppato caratteristiche sue proprie che lo rendono immediatamente distinguibile. Gotico, ma inglese, con una originale interpretazione dello stile e degli spazi, con peculiare morfologia, da quando l'architetto francese Guillame de Sens lo introdusse nell'isola per la costruzione del coro di Canterbury nel 1174. In Inghilterra la scarsità di materiale lapideo e l'abbondanza di legname indussero a costruire le volte in legno e a non innalzare eccessivamente gli edifici. Il primo gotico, d'altronde, si innestò sul romanico preesistente. L'effetto aereo, percepibile dall'interno è dovuto al massiccio utilizzo delle vetrate, splendide per fattura e cromia a Westminster, incastonate in finestre a due luci sotto un rosone a formare un unico traforo. Gli inglesi rimasero molto affezionati al gotico e lo praticarono fino al Cinquecento inoltrato quando sul continente, con l'affermarsi del Rinascimento, era già da tempo superato. L'attaccamento a uno stile denota sempre una peculiare Weltanschauung.
    Dopo una buona mezz'ora di fila, dopo aver pagato il ticket (parola magica ín Inghilterra, ma diffusasi bene in tutta Europa ed oltre), si fa l'ingresso nell'antica chiesa abbaziale dal grande portale nord. Con l'ausilio di audioguide si riesce a fare una full immersion nella storia dell'Inghilterra e della sua Chiesa che, nata nell'orbita della romanità, sotto papa Gregorio magno, se ne è poi allontanata per via dei capricci di Enrico VIII che riuscì a darle, con l'aiuto postumo della figlia Elisabetta, una fisionomia tutta britannica. Padre e figlia sono sepolti nella cappella reale; loro due protoanglicani e due regine cattoliche: Maria detta la "cattolica" o, secondo altra ermeneutica, la "sanguinaria", figlia maggiore di Enrico; e Maria Stuart, regina di Scozia e vittima di Elisabetta che la fece decapitare perché cattolica.
    Deambulando all'interno per un percorso obbligato, la chiesa mostra gradualmente i suoi tesori. Non la si può ammirare nella sua interezza, come si fa di solito ponendosi spalle alla porta principale di una qualsiasi chiesa. A metà edificio si pone una prima barriera visiva, un primo transetto, con transenna lignea finemente intarsiata e decorata, il cosiddetto jubè, che cela l'imponente coro ligneo, spazio una volta geloso e riservato al clero sui cui stalli, oggi, dopo la riforma anglicana della liturgia, sono imperniati i caratteristici paralumi inglesi, in ottone con coppa rossa, a vantaggio dei coristi. Dalla parte opposta il coro sbocca su un secondo transetto che immette nell'area del presbiterio cinto da un deambulatorio con cinque cappelle a raggera, compresa quella absidale chiamata Chapel of Henry VII, tripudio del tardo gotico fiorito, con la tomba del re realizzata da uno scultore fiorentino.
    Fu proprio la peculiare struttura planimetrica delle chiese gotiche inglesi, con due transetti originanti una netta tripartizione dell'edificio, a suggerire a Thomas Cranmer, mentore ecclesiastico di Enrico VIII, la possibilità di una partecipazione liturgica più attiva del popolo di Dio. Al centro della Riforma inglese ci fu il Book of Common Prayer (Libro della preghiera comune), libro liturgico rigorosamente in inglese, in sostituzione dei libri romani in latino, e l'importanza attribuita ai tre spazi liturgici in cui doveva muoversi l'assemblea: dall'area del fonte battesimale, collocata nei pressi dell'ingresso principale, estrema parte occidentale della navata, per l'ascolto della parola di Dio, per poi spostarsi, all'offertorio, nel "santuario" o presbiterio, per la celebrazione dell'eucaristia. Il liturgista Keith F. Pecklers ritiene che Cranmer fosse molto in anticipo nella considerazione dello spazio liturgico, «riconoscendo ciò che molte altre Chiese sarebbero arrivate a comprendere solo con le riforme liturgiche del XX secolo» (Liturgia. La dimensione storica e teologica del culto cristiano, Queriniana, Brescia 2007, p. 95). Attualmente, nello spazio riservato alla Parola, si celebrano, durante le visite turistiche, momenti di preghiera, con partecipazione facoltativa, guidati da preti e pretesse paludati con i tradizionali abiti liturgici cinquecenteschi, quelli indossati dallo stesso Cranmer e da allora mai più mutati.

    Peregrinando tra le cattedrali gotiche

    Da Londra si può partire alla scoperta di un itinerario che, seguendo le cattedrali gotiche, attraversando tutto il Paese, dal sud fino all'estremo nord, manifesta il nucleo incorrotto dello spirito britannico che trova proprio nel gotico la sua dimensione peculiare e persistente. Ci si può spostare a Oxford e visitare la sua cattedrale che però, con non poca sorpresa, è inglobata nei locali tardogotici, del 1546, di uno dei colleges più rinomati d'Inghilterra, che conta tra i suoi ex alunni ben tredici primi ministri britannici: il Christ Church College che, inglobando la cattedrale, ne prese il nome. La cattedrale è, paradossalmente, la cappella del college che, fondato nel 1525 con il nome di Cardinal College, divenne pochi anni dopo, per volere del solito Enrico il King Henry VIII's College. Nel 1546, il re, che nel frattempo aveva rotto i legami con la Chiesa cattolica, nella sua furia iconoclasta, demolì parzialmente la cattedrale del collegio che è considerato, al pari del suo sister college (il Trinity College di Cambridge), un ambiente molto aristocratico ed elitario. Ma è solo quando si visita l'imponente refettorio che si ha la sensazione di essere in un luogo già conosciuto. In effetti, ci si trova negli ambienti dove sono state effettuate alcune scene dei film sulla saga di Harry Potter. Per via della sua imponenza e della sua aura un po' lugubre e misteriosa il luogo è stato utilizzato come ambientazione di numerosi libri e film, fra i quali Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll.
    Il gotico come espressione di ansia metafisica e anche di mistero, non sempre declinati in senso cristiano, può rappresentare l'adesione non risolta a un cristianesimo forzatamente incanalato entro l'alveo di una religiosità primitiva e superstiziosa che esporta ancora ritualità macabre come quella di halloween e fantastiche come le imprese magiche di Harry Potter, testimonianze del retaggio celtico. Interpreta bene lo spirito di un medioevo chiuso su se stesso, almeno nel senso datogli da Giorgio Vasari, che usa per primo il termine "gotico" per indicare, in modo del tutto negativo, l'arte degli anni che avevano preceduto il Rinascimento. Nell'interpretazione dispregiativa di Vasari, l'arte gotica era l'arte barbarica (dei Goti) che aveva cancellato e fatto dimenticare la buona arte degli Antichi (Greci e Romani) fino a quando questa, rinata (da cuí il termine Rinascimento) nel XV secolo, non aveva ripreso a vivere. Un mondo misterioso e labirintico, secondo la lettura romanzesca di Umberto Eco nel suo Il nome della rosa, romanzo definito neogotico.

    La fede tra le macerie

    Senza voler assolutizzare le considerazioni vasariane o le fantasticherie di Eco, si deve pur ammettere che la frequentazione dei monumenti gotici anglicani ci conduce nel cuore del Medioevo, di un'età in cui il cristianesimo ha convissuto con mille superstizioni e mille paure, nonostante gli sprazzi di luce filtrati dai vetri policromi delle cattedrali. E per chi volesse osservare imponenti reliquie di questo stile, di questo spirito, di questa cultura gelosamente conservata è obbligatorio recarsi a Coventry, cittadina situata a pochi chilometri da Londra, nota per essere stata il primo centro di produzione di automobili e biciclette e anche, durante l'ultimo conflitto mondiale, di armi. Per questo, il 14 novembre 1940, i tedeschi la rasero al suolo durante il raid aereo poeticamente intitolato "Sonata al chiaro di luna". La possente cattedrale gotica mostra nelle sue rovine scheletrite accenti non lievi del suo antico splendore. A presidio della sua antica gloria il campanile, annerito dal fuoco ma intatto, che, innalzando al cielo i suoi acuti pinnacoli, sembra ripetere la preghiera che, sei settimane dopo il bombardamento di Coventry da parte della Luftwaffe tedesca, durante la liturgia natalizia, il parroco anglicano della cattedrale predicando in mezzo alle rovine della sua chiesa pronunciò: «Sebbene sia difficile, noi, in quanto cristiani, diciamo sì al perdono e no alla vendetta. Dopo questa guerra costruiremo, insieme a quelli che oggi sono nostri nemici, un mondo migliore, più cristiano».
    Dopo la guerra, quel messaggio, che pure molti contestavano, fu ripreso. E la città lo fece proprio. Con i chiodi raccolti tra le macerie della cattedrale furono costruite delle croci. La prima di quelle croci di chiodi fu donata a una chiesa ortodossa di Stalingrado, teatro della sanguinosa battaglia del 1942. Ricostruita e ribattezzata Wolgograd, quella città diventò la prima città gemellata con Coventry. Negli anni Cinquanta giovani tedeschi lavorarono al restauro della cattedrale di Coventry mentre giovani britannici lavorarono alla ricostruzione di un ospedale di Dresda che in Germania visse la stessa tragedia di Coventry. Adesso, accanto all'antica, sorge la cattedrale moderna, inaugurata nel 1961, giudicata troppo moderna dai conservatori e troppo tradizionale dai progressisti. Anche qui si ritrovano le due anime dell'Inghilterra, che sembrano tenute insieme dal ponte architettonico che salda la nuova cattedrale all'antica o viceversa. Oggi sono molte le chiese, in tutto il mondo, che fanno parte della "comunione delle croci di chiodi" che ha la sua sede centrale a Coventry; una rete di comunità cristiane impegnate per la pace e la riconciliazione nel nostro tempo, dall'Iraq alla Palestina, da Israele alla Nigeria, per rilanciare lo specifico dell'identità cristiana, a prescindere dalle confessioni che hanno avuto origine dai determinismi storici legati a loro volta alla stoltezza dei singoli, pur ammantati dell'aura effimera della regalità.

    Storia cristiana e martirio

    Per allacciarci a questo tema della stoltezza, non sempre riconosciuta e mai deprecata a sufficienza, bisogna recarsi a Canterbury, cuore istituzionale dell'anglicanesimo. Lì risiede il primate anglicano. La cattedrale è molto bella, di un gotico ancora più puro e severo mentre un'enfasi maggiore è data al doppio transetto. Vi si accede dalla porta delle antiche mura cittadine e la si scorge dapprima in lontananza, da una teoria di atrii, in un contesto molto suggestivo, quasi irreale. Varcatane poi la soglia, per chi ha letto Murder in the Cathedral di Thomas Eliot, si può rivedere, con l'occhio della memoria dell'arte, la scena principale del dramma che si svolse proprio lì, sugli spalti dell'alto presbiterio, oltre il secondo transetto che è ancora più marcato che a Westminster: Thomas Becket ha tenuto l'omelia al suo popolo, ribadendo la sua posizione di contrasto con il re in nome della libertà della Chiesa. Ormai i cavalieri incaricati di ucciderlo stanno arrivando e il popolo e i sacerdoti consigliano l'arcivescovo di far sprangare le porte della chiesa, di fuggire, nascondersi. Ma Becket, che ha già vinto in cuor suo la malia delle passioni e si sente pronto al giudizio di Dio, non vuole né sprangare le porte né fuggire perché è un prete, cristiano salvato dal sangue di Cristo, pronto a offrire il proprio sangue per Lui.
    Questa breve scena del dramma di Eliot è molto movimentata, affollata di numerosi personaggi che però si esprimono collettivamente, per gruppi: i sacerdoti, il popolo (il coro delle donne), i cavalieri. In mezzo a tutti campeggia Tommaso. Ognuno dei gruppi manifesta un particolare atteggiamento psicologico di fronte all'evento: i sacerdoti, pavidi e rinunciatari, non hanno capito a fondo il messaggio evangelico, troppo attenti e interessati alle cose del mondo, pronti quindi a piegarsi alle convenienze e alle circostanze. I cavalieri d'altronde devono compiere un dovere di obbedienza al re ma provano gusto nella loro missione. È il popolo che giudica, capisce, sa di chi è il torto e la ragione, ma non può intervenire perché non conta niente. Emerge sempre più sola, eroica, la figura di Tommaso, consapevolmente pronto alla morte in nome della sua scelta cristiana. A questo punto, il significato del dramma si amplia: la vicenda religiosa, lontana nel tempo, si sfronda di ogni caratterizzazione storica e diventa emblema di ogni scelta di libertà morale, civile, religiosa. Questa affermazione suonava coraggiosa nel 1935 mentre in Germania e in molti altri Paesi europei erano in pieno fulgore i regimi dittatoriali che avevano fatto dell'assassinio della libertà la loro bandiera.
    Si prova una certa emozione a sostare in quel punto preciso del presbiterio medievale che troneggia alto sulla basilica sottostante, accanto alla cattedra episcopale che nel 1170 fu di Thomas Becket. Il luogo del martirio del cancelliere del regno d'Inghilterra che nel 1152 venne nominato arcivescovo di Canterbury da Enrico II e che, prendendo sul serio il suo ruolo spirituale, cominciò a difendere i diritti della Chiesa e non più quelli del sovrano. Si oppose ad alcune leggi imposte da Enrico, tra cui le Costituzioni di Clarendon che avrebbero posto la Chiesa sotto l'autorità del re. Fu così che, il 29 dicembre 1170, quattro cavalieri entrarono nella cattedrale di Canterbury mentre l'arcivescovo officiava e lo uccisero. Il fatto fu talmente scioccante che fece il giro del mondo, fino a divenire fonte di ispirazione per il dramma di Eliot e citazione narrativa ne I Pilastri della Terra di Ken Follett. Sul luogo del martirio arde ora un semplice cero, dopo la devastazione della tomba ad opera di Enrico VIII a cui quella lezione non valse a nulla. Realizzò al prezzo di sangue e lutti il sogno del suo predecessore: una Chiesa nazionale, anglicana, sotto la sua incontestabile autorità.
    Oltre al piccolo segno di luce nei pressi della storica cattedra episcopale, nulla, nella vecchia cattedrale di Canterbury, parla di san Thomas Becket che la Chiesa cattolica ha scritto sull'albo dei suoi santi. È un martire cristiano, trucidato in odium (idei, mentre il luogo del crimine sacrilego è ora anglicano; e si prova un certo imbarazzo ecumenico da parte cattolica a cercare aiuti tangibili alla venerazione di un testimone della fede che invece si sono dissolti, non tanto per una damnatio, non osiamo pensarlo, ma per un oblio voluto della memoria, un oblio confessionale e unilaterale cristianamente inspiegabile. Dispiace veder calata nel buio una memoria tanto ricca dí stimoli spirituali aí fini dell'individuazione cristiana, una memoria che potrebbe costituire il trait d'union più naturale per la ricomposizione di un conflitto ecclesiale non ancora risolto e difficilmente risolvibile allo stato attuale. Tanto più che il conflitto non è sorto dal basso, per sollecitazione popolare, ma è stato imposto dall'alto, per arroganza regia. È importante, nella direzione dell'unità, trovare i punti comuni delle vicende innescate dai due Enrichi, il secondo e l'ottavo, per capire se l'assassinio di san Thomas Becket e lo scisma regio possono sollecitare, a distanza di secoli, uno scatto di coscienza cristiana, tout court cristiana, scevra da confessionalismi. Uno scatto d'orgoglio cristiano, un Christian Pride, che giudichi pretestuose le motivazioni che hanno portato alla rottura.

    Ricerca della comunione

    Mario Imperatori, gesuita scrittore di «La Civiltà Cattolica», in un suo recente articolo esorta a riflettere, in prospettiva ecumenica, sulla questione del papato che papa Francesco ha riportato alla ribalta con la sottolineatura, già dalla prima ora, circa il suo ministero di vescovo di Roma. Esamina le questioni del primato e della collegialità, agganciandole ai fatti dello scisma d'Oriente del 1054 e alla risposta romana col Dictatus Papae di Gregorio VII del 1075, col quale si inaugurò l'autoritarismo papale. E si chiede se questa quasi coincidenza cronologica possa suggerire l'idea «che vi possa essere una relazione indiretta, e forse non casuale, tra i due fenomeni, nel senso che la rottura dell'unità ecclesiale ha obiettivamente favorito proprio questa modalità dell'esercizio del primato, lasciando inoperanti importanti elementi equilibratori pur presenti nella communio Ecclesiae» («La Civiltà Cattolica», n. 3946, p. 313). Ora, volendo portare tale ipotesi in aiuto al nostro discorso, la si potrebbe anche rovesciare, ipotizzando che autoritarismo e centralismo romani altro non sono stati che fenomeni di cultura ecclesiale e politica al tempo "normali" e ipostatizzabili in teocrazia e cesaropapismo, le due facce dell'unica medaglia che per tutto il secondo millennio ha rappresentato, dal 1054 al Vaticano I, almeno, la lotta per il predominio politico e giurisdizionale tra "trono e altare". L'autoritarismo di Gregorio VII si presentò sotto la forma di assolutismo regio che ebbe nella tiara a tre corone la sua simbolica legittimazione. D'altra parte, le accuse delle monarchie di tutti i tempi rivolte al giurisdizionalismo papale hanno avuto come risposta endogena la tendenza a creare Chiese nazionali, sotto il diretto controllo di un monarca. Si è corso il rischio, nell'orbita del groviglio storico europeo sanguinante per le "guerre di religione", di veder spuntare, oltre l'anglicana, anche una Chiesa gallicana, croce e delizia dei sogni megalomani dell'assolutismo di Luigi XIV: pour le divertissement du roy! Le ragioni del mancato colpo di stato ecclesiale francese sono tante e non qui utilmente riferibili: una fra tutte quella di non aver trovato in Francia un servente liturgista, un Cranmer francese, un cortigiano a tutto tondo capace di assecondare il re anche nei suoi deliri religiosi.
    La conclusione che si trae da questi nostri discorsi, ispirati da un viaggio in Inghilterra, in vistadel miraggio dell'unità della Chiesa, è suggerita da san Paolo: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23); nel senso che nessuno può accusare nessuno perché la divisione è figlia del peccato. Ha peccato e pecca chiunque voglia mettere l'altro sotto la sua soggezione. Permane però il paradosso della questione ecumenica che sembra protrarsi sine die. Nonostante si riconosca che gli ostacoli dogmatici inevitabilmente incorsi siano superabili «in un orizzonte più ampiamente cattolico» – cattolico da intendersi etimologicamente e non in senso confessionale – «capace di lasciare convivere le legittime differenze. E ciò nella piena consapevolezza che in questo campo le cose sono storicamente molto più complesse. Basti menzionare il fatto che lo scisma del 1054 non ha interrotto né subito né ovunque la comunione tra Oriente e Occidente» (M. Imperatori, cít., p. 314). Se si pensa che il teologumeno del Filioque non è un ostacolo serio e insormontabile verso Oriente e che la disputa sulla Grazia con i luterani è stata teologicamente appianata, si deve anche riconoscere che i motivi di dissenso tra cattolicesimo e anglicanesimo possono trovare, come hanno trovato nella teologia di John Henry Newman, ragionevole soluzione. Già da anglicano Newman ebbe chiaro il rapporto di sudditanza che legava la Chiesa anglicana allo Stato, ma anche il fatto che la Chiesa inglese, segnata da forti tensioni interne a causa della sua complessa storia, si trovava a essere il risultato di un «compromesso religioso». Rilevò inoltre che la Chiesa di Stato anglicana «consiste nella fusione di varie tendenze protestanti, con l'aggiunta di una notevole dose di cattolicesimo [...]. La Chiesa di stato ha mantenuto i riti, le preghiere e i simboli della Chiesa antica. Gli articoli di fede li prende da fonti luterane e zwingliane; la sua traduzione della Bibbia ha un sapore calvinista» (J.H. Newman, Apologia pro vita sua, Vallecchi, Firenze 1970, p. 113). Si rese conto che una vera riforma della Chiesa anglicana non poteva avvenire senza un accurato studio della storia, in quel retour aux sources che già da fautore del Movimento di Oxford considerò come guida teologica alla riscoperta delle tradizioni della High Church, la componente anglicana più vicina al cattolicesimo. Ma ebbe come risposta un provvidenziale e miope ostracismo che confondeva l'approfondimento teologico e l'indagine storica con l'apologetica del papismo. Ciò che lo indusse al salto confessionale certamente non indolore dal punto di vista umano.

    Le aporie della Chiesa anglicana

    Ora, sembra davvero che la Chiesa anglicana, vista nella sua natura istituzionale, si possa includere nell'ambito delle stranezze britanniche studiate da Kate Fox, e tanto più strana appare la sua fisionomia da quando, da qualche decennio a questa parte, alcune delle sue anime, che la costituiscono in modo confederativo, hanno aggiunto alla miscela individuata da Newman l'ordinazione delle donne e la benedizione delle nozze omosessuali.. Ormai nella nostra cultura magmatica non ci si meraviglia più di nulla, ma non sicapisce quale sia la coerenza profonda – e questa potrebbe essere una bella sfida per la psicologia –tra il sostenere posizioni così estremamente avanzate e giudicate mediaticamente "progressiste" e un atteggiamento istituzionale e formale ineccepibilmente legato a stilemi tradizionalisti. Non senza un sorriso si osservano nelle Chiese anglicane "presbitere" in perfetto clergyman, anzi, pardon, in perfetto clergywoman ed "episcope" in solenne assetto pontificale, con mitrie variopinte ed orecchini in tinta, secondo "tradizione" british o kitsch se si vuole! Né ha destato eccessiva meraviglia osservare sulla soglia della cattedrale londinese di S. Paolo, costruita ai primi del Settecento dall'architetto Christopher Wren in perfetto stile Vaticano (odi et amo), in una ventilata mattina di fine luglio, un ordinando vescovo anglicano che accanto alla consorte in mise elisabettiana stile retrò accoglieva gli invitati all'ordinazione. La cattedrale era interdetta ai visitatori e così si sono risparmiate diciotto sterline. Meraviglia semmai la dichiarazione di rottura dell'ex primate Rowan Williams sullo stato di salute della cristianità inglese formulata in una lunga intervista al «Telegraph» nell'aprile scorso: «Siamo una nazione cristiana cioè un paese di credenti? No» è stata la risposta secca. Lui che è stato testimone di tanti cambiamenti non indolori e ha cercato una sua "via media" per arginare l'emorragia dell'esodo di molti anglicani verso il cattolicesimo. Che non sia lo stato di permanente cambiamento, assunto quasi a format della Chiesa anglicana, la causa del disorientamento popolare e dunque della scristianizzazione? Non solo. Anche in casa nostra abbiamo poco da stare allegri, ma proprio nel momento in cui bisognerebbe serrare le fila cristiane, come papa Francesco non esita a ribadire, le rotture appaiono insanabili e il processo ecumenico in fase di cronica stasi. Il cardinale Kasper, invitato nel 2006 dai vescovi anglicani al loro incontro annuale a Market Bosworth, ribadì con fraterna chiarezza che, se il contesto in cui era nato il giudizio di invalidità delle ordinazioni anglicane ai tempi di papa Leone XIII era mutato, e quindi vi erano le condizioni per una riconsiderazione del problema, con l'ordinazione sacerdotale femminile, già dal 1992, la discussione si è "congelata"; infine, con l'ordinazione delle donne vescovo, si registrerebbe un «ulteriore abbassamento della temperatura [...] In termini di possibile riconoscimento degli ordini anglicani – aggiunse Kasper – ciò porterebbe non solo a un gelo momentaneo, ma a un gelo di lunga durata».
    Ciò nonostante, per concludere un discorso complesso e controverso, filtrato alla luce dell'estetica cristiana che dice più per simboli che per idee, per evitare che ci venga rubata la speranza come predica papa Francesco, mi piace affidare a Bernard Lonergan, nel trentennale della sua nascita al cielo, la riflessione conclusiva: la divisione tra le Chiese, egli osservava, poggia principalmente su fattori cogniti-vi, piuttosto che costitutivi ed effettivi. Dal punto di vista ecumenico, dunque, è di cruciale importanza per i cristiani agire insieme «per eseguire il compito redentivo e costruttivo della Chiesa cristiana nella società umana» (B. Lonergan, Il metodo in teologia, Queriniana, Brescia 1985, p. 380). Speriamo questo, almeno, lo sí possa fare. Sarà possibile una fattiva unità pur nella diversità più cogente? Un disgelo nell'ascolto dello Spirito per manifestare al mondo la santità di Dio? 

    (Feeria, 46 2015/2, pp. 55-62)


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    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

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    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
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    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
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    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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