Annunciare il vangelo
in termini di senso
della vita umana
Joseph Moingt
Senso o salvezza?
Una domanda da porsi quando si cerca di stabilire in quali ambiti esercitare il diritto dei fedeli a una parola responsabile: è una parola che fa accedere alla salvezza, o fa accedere al senso che il vangelo dona alla vita umana? Se vogliamo diffonderla come parola che fa accedere alla salvezza eterna, l'episcopato dirà: l'accesso alla salvezza eterna dipende direttamente dalla rivelazione, della quale i vescovi custodiscono il deposito. Allora, per acquisire libertà di parola nella chiesa, forse bisognerebbe spostarsi sul piano del senso: individuare il senso che il vangelo dona alla vita umana.
Ma quale rapporto intercorre tra senso e salvezza? Una domanda essenziale da porsi. Dove situiamo la nostra fede di preferenza? Nell'ambito della salvezza o in quello del senso?
Uno storico del xvra secolo attribuiva la perdita di vitalità della chiesa al fatto che non sapeva parlare d'altro che di finalità eterne, ispirando soprattutto paura, in un'epoca in cui le persone cominciavano a interessarsi in modo crescente ai fini temporali.
Ma la chiesa oggi si interessa ai fini temporali, alle realtà di questo mondo? La nostra fede cristiana è interessata a definire, a determinare i fini temporali, che naturalmente si evolvono sempre attraverso il tempo e lo spazio?
Un breve aneddoto: l'altro ieri ascoltavo di notte un dibattito alla radio. C'erano dei sociologi della religione che commentavano i risultati di un sondaggio d'opinione - credo fosse stato pubblicato dal giornale La Croix - sui cristiani praticanti, scesi al cinque per cento. Alcuni dicevano: "La chiesa sa parlare solo in termini di salvezza e questo non interessa più a nessuno". Pensavano alla salvezza in rapporto alla vita eterna, alla vita nell'aldilà: e allora per questo c'è sempre tempo... (anche se a me personalmente non ne resta più molto!). Si chiedevano: "Perché non ci si interessa piuttosto alla ricerca del senso?". La chiesa è capace di parlare in termini di senso, di chiedersi che senso ha la vita coniugale, che senso hanno gli affari, l'economia - dove sta andando l'economia -, la storia, l'accoglienza degli stranieri, eccetera?
Parlare in termini di senso: una questione che lascio alla vostra riflessione. Sostituire in ambito cristiano un discorso sul senso al discorso sulla salvezza? O, inversamente, presentare il discorso della salvezza in termini di senso?
Un discorso sul senso è stato fatto al Concilio Vaticano II
Tale discorso è stato portato avanti nella Gaudium et spes, uno dei documenti più contestati: già al termine del concilio faceva paura ad alcuni. Quando si diceva che la chiesa deve aprirsi al mondo - ho letto questo nei diari di padre Henri de Lubac -, tutti pensavano che ci si dovesse aprire all'ateismo e al bolscevismo, e quest'ultimo termine ispirava ancor più paura del primo. Lo stesso padre de Lubac, con tutta la sua apertura mentale, temeva molto questo nuovo discorso del senso.
Racconta di aver sentito il cardinal François Marty argomentare che la chiesa doveva aprirsi al mondo. E, non riuscendo più a trattenersi, gli era andato incontro in un corridoio per dirgli: "Ma insomma, eminenza, non si rende conto che sta dicendo che bisogna convertirsi all'ateismo e al bolscevismo?". Allora, racconta de Lubac, il cardinale lo aveva ascoltato con uno sguardo pieno di bontà (passaggio superbo!), visibilmente senza capirci nulla e dopo averlo abbracciato se ne era andato.
Dove individuare in particolare la novità del Vaticano II? Secondo me proprio nelle affermazioni della Gaudium et spes, dove la chiesa ha riconosciuto tutte le libertà che nei due secoli precedenti il mondo secolarizzato si era preso da solo, in polemica con essa, tutte quelle libertà che la chiesa del xix secolo aveva continuato a colpire con anatemi e a negare, in particolare - e questo è tipico - la libertà di fede e la libertà di parola. Il Vaticano II ha onorato la dignità della persona. Ha scelto di rivolgersi al mondo con un linguaggio nuovo. Ha affermato che la chiesa vuole mettersi al servizio del mondo per aiutarlo a procurarsi i beni ai quali aspira, che sono beni sia temporali che spirituali. Insomma, la chiesa ha mostrato interesse per i fini temporali dell'umanità, e non unicamente per i fini eterni! Da quel momento, con il Vaticano II, la chiesa ha cominciato a inserire il discorso della salvezza nel contesto della ricerca del senso. È l'uomo che bisogna salvare, è la società umana che bisogna rinnovare. In questo senso, certo, il concilio parla ancora in termini di salvezza ("si tratta di salvare la persona umana ..." (Gaudium et spes 3), ma il riferimento al rinnovamento della società umana mostra bene che il discorso si spinge ben oltre la salvezza religiosa così come veniva concepita ordinariamente, in funzione dell'osservanza religiosa o delle credenze religiose. Il concilio mostra che il problema è ripensare e rinnovare la condizione umana nel mondo di oggi. Del resto il titolo del documento è: Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo. Vi si affronta il tema del senso della storia, ci si interessa alla condizione umana. Si tratta quindi di un invito rivolto a tutti i cristiani laici, quelli più direttamente coinvolti nella vita all'interno del mondo. L'invito è a tenere ai loro concittadini del mondo un discorso sul senso, ispirato dal vangelo.
Date queste premesse, il discorso sul senso può veramente essere anche un discorso che ha a che fare con la salvezza dinanzi a Dio, la salvezza eterna? È su questo tema che attualmente sto riflettendo come teologo. Per me è questo il tipo di discorso che la chiesa deve fare. Non può più tenere un discorso di interesse universale se si accontenta di dire: "Tornate a adorare Gesù Cristo nelle nostre chiese". Se vuole veramente invitare gli uomini alla salvezza, bisogna che tenga un discorso sul senso.
Ma quale rapporto intercorre tra senso e salvezza? A mio parere - e qui prendo posizione come teologo - tale rapporto è legato a quello che intercorre tra l'ordine della creazione e l'ordine della salvezza. Chi sono i destinatari della salvezza di Dio? Secondo me Dio non vuole salvare singoli individui, ma l'umanità intera. Dio vuole salvare tutto ciò che ha creato, perché ha creato l'uomo per la libertà, ha creato l'uomo a sua immagine, l'ha creato per la felicità, per poter godere della sua stessa felicità. Ma Dio vuole anche l'unità dell'umanità: "Che siano tutti uno", è il testamento di Gesù (cf. Gv 17,21).
Quale salvezza Dio vuole per noi? La salvezza, per lui, è quella di un'umanità riconciliata, perché, come scrive Paolo, "era Dio che riconciliava a sé il mondo in Cristo" (2Cor 5,19). Paolo afferma che, in Cristo, è apparsa una nuova creatura (cf. 2Cor 5,17). La creatura nuova, la creatura che prende forma in Cristo è l'umanità radunata nel perdono reciproco, radunata nella fraternità, unificata a immagine di Dio. Dunque tutto ciò che va nel senso dell'umanizzazione dell'uomo, dell'umanizzazione della natura, dell'umanizzazione della società, dell'umanizzazione dell'economia, tutto quello che contribuisce alla riconciliazione degli uomini tra loro, delle classi sociali, dei ricchi e dei poveri, dei popoli, tutto quello che va in questa direzione, cioè in direzione della pace, della fraternità, della riconciliazione, tutto questo va nel senso della salvezza.
Che cosa vuole Dio dagli uomini? Che si amino gli uni gli altri. Che si rimettano reciprocamente i debiti. È questa l'unica legge di salvezza che Gesù ci ha dato, ed è su questa base che Dio, al termine della storia, chiamerà l'umanità a entrare nella sua gioia, nella sua beatitudine. L'umanità salvata è un'umanità riconciliata e tale riconciliazione comincia già fin d'ora, quando lavoriamo per l'umanizzazione dell'uomo. Quando lavoriamo per l'umanizzazione dell'uomo lavoriamo per la salvezza dell'umanità.
(Da: L'umanesimo evangelico, Qiqajon 2015, pp. 99-103)