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    Un profilo storico

    essenziale

    di Gesù

    Giorgio Jossa

    Il profilo storico di Gesù disegnato rapidamente in questo libro, col suo tentativo di ricostruire i momenti essenziali della sua vicenda, è certamente molto diverso da quelli delle principali ricerche attuali sul Gesù storico (E.P. Sanders, J.P. Meier, J.D.G. Dunn, W. Stegemann; molto meno G. Theissen). Nella sua rinnovata (ma non ingenua!) fiducia nella sostanziale attendibilità storica del Vangelo di Marco richiama invece indubbiamente quelli tratteggiati nelle vite di Gesù della teologia liberale del XIX secolo, che tutte su Marco si fondavano. E tuttavia credo che esso abbia nelle nostre fonti un fondamento più solido di certe ricostruzioni fantasiose della cosiddetta «terza ricerca» (J.D. Crossan, M.J. Borg, R.A. Horsley, P. Fredriksen) e si differenzi d'altra parte in modo evidente da quelle della teologia liberale (a cui proprio questa terza ricerca viene a volte accostata per la sua impostazione metodologica). È del resto proprio la riflessione imposta da alcune acquisizioni fondamentali della ricerca attuale sul Gesù storico (prima fra tutte quella del Gesù «ebreo») che mi ha spinto a tentare di disegnare questo profilo. Ne riassumo quindi brevemente gli elementi principali.

    1. Se questa ricerca vuole essere realmente, come dice, una ricerca storiografica, e non soltanto esegetica e teologica, una ricerca quindi anche assolutamente non confessionale, non può rinunciare in partenza a cogliere uno sviluppo nell'azione e predicazione di Gesù, come fanno quasi tutti gli studi attuali sul Gesù storico e come Meier e Dunn teorizzano in maniera esplicita. Naturalmente è più che giusto sottolineare le difficoltà che presentano da questo punto di vista le nostre fonti principali su Gesù (e cioè i vangeli canonici), con il loro schema cronologico e geografico artificiale e il loro carattere squisitamente dogmatico. Rinunciare però a cogliere quello sviluppo fa inevitabilmente di Gesù un personaggio fuori dal tempo, come fuori dal tempo era quasi sempre il Gesù della «nuova ricerca» oggi tanto vituperata. E porta a disegnare una figura di Gesù che non è veramente storica, ma appare inevitabilmente ideologica, e quindi pur sempre dogmatica.

    2. Se il Gesù storico è veramente un Gesù ebreo, e questo del Gesù ebreo non è soltanto un facile slogan pubblicitario per far colpo sui lettori, o al contrario un'arma ideologica per combattere il cristianesimo, allora lo specifico contesto ebraico nel quale Gesù ha svolto la sua azione e predicazione non può non essere significativo. Come anche la moderna ricerca sociologica e antropologica (B.J. Malina, G. Theissen, W. Stegemann, A. Destro - M. Pesce) insistentemente ci ricorda, i luoghi, i personaggi e gli eventi della sua vicenda umana hanno evidentemente importanza decisiva ai fini della comprensione di questa vicenda. È importante sapere anzitutto se Gesù ha svolto la sua azione quasi soltanto in Galilea o anche, spesso, a Gerusalemme. E decidere quindi tra lo schema geografico di Marco e quello di Giovanni. Ma egualmente importante è chiedersi come hanno influito su di lui i rapporti che ha avuto con i vari gruppi giudaici e quale valore hanno gli eventi che hanno segnato la sua vicenda: se l'adesione al movimento del Battista ha significato per Gesù una piena condivisione delle posizioni religiose del maestro; se l'inizio di un ministero autonomo in Galilea indica un reale mutamento della sua predicazione; se il successo della sua attività di guaritore ha influito sulla idea che egli aveva del regno di Dio e della sua stessa missione; se i contrasti con i farisei lo hanno spinto a motivare il suo comportamento nei confronti della legge mosaica; quale valore egli ha dato al suo ingresso in Gerusalemme a cavallo di un asino e che cosa hanno significato per lui gli scontri con le autorità di Gerusalemme, la prospettiva sempre più chiara di una morte imminente e la decisione di celebrare un'ultima cena con i discepoli.


    3. Il problema decisivo è naturalmente quello delle fonti in nostro possesso. Nella ricerca del Gesù storico esegeti e teologi si avvalgono in genere quasi esclusivamente dell'Antico e del Nuovo Testamento. In realtà essi dovrebbero ammettere anzitutto che per questa ricerca, trattandosi di un problema storico, non di teologia biblica, di comprensione cioè cristiana, la familiarità con Flavio Giuseppe è probabilmente più importante di quella con l'Antico Testamento. Ma il problema veramente decisivo è ovviamente quello delle fonti neo-testamentarie. Perduta la fiducia tradizionale nella attendibilità del Vangelo di Marco la ricerca contemporanea sul Gesù storico si rivolge prevalentemente alla fonte dei detti (Q) o utilizza in maniera indiscriminata tutti e quattro i vangeli canonici (compreso quindi quello di Giovanni) ed eventualmente anche alcuni vangeli apocrifi (soprattutto il Vangelo di Tommaso). Ma in tal modo rinuncia inevitabilmente ad ogni tentativo di ricostruire storicamente la vicenda di Gesù. Per fare questo tentativo, poiché il primo a fornire una interpretazione storica di quella vicenda, che è stata non soltanto imitata ma anche largamente fatta propria più tardi da Luca e da Matteo, è stato Marco, il problema principale resta infatti quello di sapere quale attendibilità ha il racconto di Marco. Che il Vangelo di Marco abbia un carattere essenzialmente dogmatico e che il suo schema narrativo sia largamente artificiale è certo. Ma significa questo che è del tutto impossibile trarre da esso elementi storici sullo sviluppo della vicenda di Gesù? E le altre fonti in nostro possesso, anzitutto Q (per l'ipotesi, a mio parere valida, delle due fonti), ma anche Luca e Giovanni, non aggiungono nulla al racconto di Marco? Io non lo credo. Al di là del loro carattere kerygmatico Marco e Q, il primo per quanto riguarda soprattutto gli episodi della vita di Gesù, la seconda per quanto riguarda soprattutto il contenuto della sua predicazione, restano due fonti sostanzialmente attendibili per una ricostruzione della figura di Gesù. E i vangeli di Luca e di Giovanni, benché segnati in maniera molto più forte dalla impronta dei loro autori, contengono ancora tradizioni di valore storico. Il mio lavoro si fonda quindi soprattutto sul Vangelo di Marco e sulla fonte Q, ma utilizza anche Luca e Giovanni per alcuni dati che sembrano forniti di particolare attendibilità. L'interpretazione «giudaica» propria di Matteo, con la sua lettura esplicitamente messianica della vicenda di Gesù alla luce, e come adempimento, della Scrittura, l'immagine «sovrumana» di Gesù di Giovanni e le poche notizie dei vangeli apocrifi non sono invece considerate quasi mai storicamente attendibili.


    4. Il profilo di Gesù che ne risulta è naturalmente molto scarno, e dal punto di vista della fede cristiana può apparire deludente, come deludenti a molti credenti appaiono la maggior parte delle ricerche contemporanee sulla figura di Gesù. Ultimamente si sono moltiplicati in effetti nella ricerca su Gesù i tentativi di studiosi credenti di dare maggiore consistenza storica al racconto dei vangeli. Lo ha fatto J.D.G. Dunn col suo ricorso alla memoria collettiva di Gesù che, ovviando all'inadeguatezza del tradizionale paradigma letterario fondato ancora largamente sulla storia delle forme, consentirebbe secondo l'autore di risalire a Gesù attraverso la fede dei discepoli da lui suscitata già prima della sua morte.[1] E ancor più lo hanno fatto S. Byrskog e R. Bauckham con il loro ricorso alla testimonianza oculare dei discepoli di Gesù che costituirebbe il veicolo principale, e particolarmente attendibile sul piano storico, delle tradizioni evangeliche.[2] Contemporaneamente al mio primo piccolo libro è uscito anzi a Tubinga un grosso volume di oltre 800 pagine, nel quale gli autori analizzano minuziosamente ben dodici di quelli che essi definiscono gli «eventi chiave nella vita del Gesù storico» per trarne conclusioni sia storiche che teologiche di ampio respiro.[3] E nell'ottobre 2013 si è tenuto alla Pontificia Università Lateranense un grande convegno internazionale sui vangeli e il Gesù storico nel quale, come i temi e i nomi dei relatori facevano facilmente supporre, è stata questa la linea principale del convegno.[4] È una reazione evidente allo scetticismo diffuso sulla attendibilità storica delle fonti evangeliche e alla convinzione che lo studioso non possa trarre conseguenze teologiche troppo ampie dal suo lavoro di storico. Non è un caso certamente che l'ultimo degli eventi presi in esame dagli autori del libro sulla vita del Gesù storico (!) sia costituito dalla tomba vuota e dalle apparizioni di Gesù. E di fronte al moltiplicarsi di ricerche fantasiose senza alcun reale fondamento nelle nostre fonti è una reazione comprensibile. Ma è a mio parere una reazione eccessiva. Dopo il grande lavoro critico svolto dalle precedenti ricerche sulla figura di Gesù lo storico non può più avere una fiducia esagerata nell'attendibilità storica delle narrazioni evangeliche e non può senza grande cautela attribuire agli eventi della vita di Gesù quel significato teologico e messianico che la fede dei discepoli vi ha saputo leggere. Anche alla testimonianza e al ricordo non si può dare un valore storico eccessivo. Anche a prescindere dalla loro intrinseca fragilità e parzialità come prova storica, già in Luca e in Giovanni essi sono in realtà categorie teologiche, che guardano alla giustificazione del presente più che alla ricostruzione del passato. I testimoni oculari, gli autoptai, di Lc. 1,2 sono diventati infatti uperetai tou logou, quindi predicatori della parola, e ora sono martures del risorto (Atti 1,8). E il ricordo di Giovanni è reso possibile soltanto dall'invio dello Spirito dopo la risurrezione e la glorificazione di Gesù (Gv. 2,22; 12,16; 14,26). La ricostruzione della figura di Gesù fatta senza l'ausilio della fede, ma «col solo legittimo mezzo di una consapevole critica storica» (che lo studioso applica d'altra parte con i suoi criteri e le sue capacità) non può essere in effetti che molto semplice e per la fede del tutto insufficiente. Non per nulla essa non comprende, e non può comprendere, la risurrezione di Gesù. Ci si preoccupa da parte credente di colmare il fossato che la ricerca storica sembra creare tra il Gesù storico (ebreo) e il Cristo dei vangeli (cristiani). E di evitare in tal modo quello che in maniera assai efficace, e in evidente polemica con questa ricerca, K. Berger definisce il «ridimensionamento» di Gesù che «lo ha reso una persona qualunque».[5] Ma non ci si rende abbastanza conto che quel fossato è creato non soltanto, e non tanto, dalla convinzione diffusa tra gli studiosi di una scarsa conoscenza degli eventi da parte degli evangelisti, che è molto difficile provare, o dall'affermazione di quegli autori, da H.S. Reimarus a G. Lüdemann, secondo i quali i vangeli sono il frutto di un inganno, perché hanno inventato (con malizia!) eventi storici non realmente accaduti (e la cui realtà l'esegeta dovrebbe quindi sforzarsi di riaffermare, e di riaffermare come già manifestamente piena di senso teologico), ma dipende anche, più seriamente, dal fatto che la narrazione di quegli eventi da parte dei vangeli è il frutto di una interpretazione teologica e di una elaborazione letteraria degli autori, e già della tradizione prima di loro, che pretendono di esprimerne il significato religioso autentico nella maniera più efficace. In realtà, come gli eventi miracolosi a cui fa riferimento il messaggio inviato da Gesù a Giovanni che gli chiedeva se era lui l'Atteso di Israele, così l'intero Gesù storico, l'intera ricerca quindi del Gesù storico, che sarebbe più corretto definire semplicemente ricerca su Gesù, e che a sua volta non è soltanto neutrale «raccolta di materiale obiettivamente osservato» (Schillebeeckx) ma già interpretazione di Gesù di Nazaret (non è soltanto historisch ma già geschichtlich), e si colloca quindi non soltanto prima ma accanto al Cristo della fede, come una sua diversa interpretazione, non è una prova, ma è Un segno, e un segno ambivalente, della sua identità messianica: una domanda inquietante che esige una risposta (che può essere di fede o di incredulità); e che è la stessa domanda inquietante che Gesù ha posto ai suoi discepoli («Ma voi, chi dite che io sia?») e che nel Cristo dei vangeli ha avuto quella particolare risposta che è la risposta della fede. Il rifiuto del postmoderno, con la sua mistica della interpretazione, non può essere insomma una ricaduta nel positivismo, con la sua mistica dei fatti. La storia (e per il credente anche la storia della rivelazione) è apertura di senso, per sua natura quindi dialogo tra autore e interprete, parola e ascolto. Il messaggio di Gesù, per essere tale (ma può anche dirsi per esistere realmente), deve essere ascoltato e interpretato. E le interpretazioni della storia e della fede non possono non essere diverse.[6] Ma alcuni ca
    ratteri, e alcuni snodi decisivi, della vicenda pubblica di Gesù appaiono comunque accertabili e significativi sia sul piano storico che su quello teologico. E fornendo l'anello di congiunzione tra la predicazione di Giovanni Battista e quella della comunità primitiva (soprattutto Q) aiutano anzi a comprendere meglio la nascita e gli sviluppi del successivo cristianesimo.

    5. Gesù ha cominciato la sua missione pubblica come discepolo e collaboratore di Giovanni Battista in Giudea. Ne ha condiviso quindi inizialmente le posizioni escatologiche e apocalittiche sul giudizio imminente di Dio e la necessità della penitenza e del battesimo (e probabilmente anche l'attesa di una figura messianica incaricata del giudizio). All'arresto di Giovanni (ma forse già prima) ha dato vita però in Galilea a un ministero autonomo molto diverso da quello del Battista, centrato sull'annuncio della venuta imminente del regno (terreno) di Dio e accompagnato da una intensa attività taumaturgica. Il successo clamoroso di questa attività lo ha convinto che la venuta del regno era realmente vicina e che la sua azione ne costituiva anzi l'inizio misterioso. Questo lo ha spinto ad assumere posizioni molto personali (e radicali) nei confronti della legge mosaica (e le critiche dei farisei lo hanno spinto a motivare le sue posizioni) e a presentarsi come l'ultimo e decisivo inviato di Dio prima dell'avvento del suo regno. Dopo circa un anno di predicazione in Galilea conclusasi con un sostanziale insuccesso ha deciso quindi di andare a Gerusalemme a confrontarsi direttamente con le autorità giudaiche. A Gerusalemme gli eventi sono però precipitati. Alle critiche religiose dei farisei si sono aggiunte quelle, ora anche politiche, dei sommi sacerdoti e Gesù ha compreso che l'avvento del regno di Dio non era così vicino come aveva sperato e che Dio voleva che prima egli passasse per la morte. Ha ripreso perciò la predicazione del Battista sul giudizio e la conversione, col riferimento alla figura apocalittica del Figlio dell'uomo. Nell'ultima cena tenuta con i discepoli la vigilia della pasqua ha riaffermato la sua fede nell'avvento del regno (celeste) di Dio e ha indicato nella nuova alleanza di Dio col suo popolo nel suo sangue il valore teologico della sua morte imminente. E nel processo dinanzi al sinedrio giudaico ha parlato della sua venuta gloriosa come Figlio dell'uomo testimone decisivo nel giudizio di Dio.


    NOTE

    1 Oltre al più impegnativo La memoria di Gesù v. anche, di Dunn, il già citato Cambiare prospettiva su Gesù, dove non a caso, a conferma del fatto che la tradizione sinottica, se non i singoli detti, ci dà però i tratti caratteristici di Gesù (14: «l'immagine globale e l'impressione generale che Gesù chiaramente lasciò»), egli (a p. 91) riporta questa pagina classica di C.H. Dodd, Il ondatore del cristianesimo, cit., 31: «I primi tre vangeli ci offrono una versione delle parole di Gesù così solida e coerente, così caratteristica quanto a stile e contenuto, che nessun critico può ragionevolmente dubitare, per quante riserve si possono avanzare su tale o talaltro detto, che qui noi ritroviamo il pensiero di un solo e unico maestro».
    2 S. Byrskog, Story as History – History as Story, cit., 91: «Testimoni oculari che potevano servire anche come informatori esistevano certamente durante l'emergere e lo sviluppo della tradizione evangelica»: «la gente del posto, Pietro come il rappresentante più autorevole del gruppo dei discepoli, le donne con Maria Maddalena e la famiglia di Gesù con Giacomo e Maria, madre di Gesù». «Le narrazioni evangeliche utilizzano queste figure come caratteri di un racconto, implicando che quel che viene detto era [...] storia radicata nelle esperienze di vita di queste persone – racconto come storia». Il che vuol dire per l'autore che una distinzione troppo netta tra racconto e storia è per i vangeli anacronistica e insostenibile. Così anche R. Bauckham, Gesù e i testimoni oculari, Chieti 2010 (463: «Le memorie dei testimoni oculari della storia di Gesù superano l'esame dei criteri della probabile affidabilità che sono stati determinati dallo studio psicologico della memoria rievocativa»; 677: «Come forma storiografica la testimonianza propone un impareggiabile accesso alla realtà storica che non può essere ottenuto senza un elemento di fiducia nella credibilità del testimone e in ciò che lui o lei hanno riportato»).
    3 Key Events in the Life of the Historical Jesus. A Collaborative Exploration of Context and Coherence, ed. D.L. Bock and R.L. Webb, Tübingen 2009.
    4 Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, The Gospels. History and Christology 1-2. The Search of Joseph Ratzinger - Benedict XVI, Città del Vaticano 2013.
    5 Gesù, cit., 10. Una preoccupazione, questa, abbastanza simile al bisogno di riaffermare «la figura di Gesù in tutta la sua sovrana eroica grandezza» che spinse A. Schweitzer a scrivere, in polemica con quella che era allora la «teologia moderna», la sua Vita di Gesù.
    6 Io confesso perciò di non capire, se non da un punto di vista pastorale, la preoccupazione che a proposito della diversità del Gesù storico rispetto al Cristo dei vangeli esprime un fine teologo come J. Ratzinger nel suo libro su Gesù (e a cui può accostarsi quella che da un punto di vista storico esprime il neotestamentarista J.D.G. Dunn): «Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento» (p. 8). E vero, il Gesù ricostruito dallo storico è molto diverso dal Cristo dei vangeli canonici, e questa diversità sembra mettere in discussione agli occhi del credente la legittimità di quella ricostruzione. Ma per la fede, secondo la stessa costituzione conciliare Dei Verbum, la interpretazione dei vangeli canonici, frutto dell'opera dello Spirito, non è elemento costitutivo dell'evento di Cristo, parte anch'essa integrante della divina rivelazione? E l'autentico punto di riferimento, normativo della fede cristiana, non è quindi, come diceva M. Kähler e ha ripetuto H. Schlier, il Cristo biblico, il Cristo dei vangeli? Se vale anche per i vangeli canonici quello che E. Auerbach ha scritto soprattutto per l'Antico Testamento, e cioè che «il mondo delle storie della Sacra Scrittura non si accontenta di voler essere la vera realtà storica, ma afferma di essere l'unica vera»; e non mira perciò in primo luogo alla «realtà», mira invece alla verità (che secondo Gv. 14,26 è tuttavia opera dello Spirito che ricorda ai discepoli gli eventi storici della vita di Gesù nel loro vero significato), il Gesù storico, che mira soltanto alla «realtà», non deve essere necessariamente diverso dal Cristo dei vangeli, con la sua pretesa di unica verità? Ciò che dalla fede non può essere accettato è infatti soltanto che il Gesù storico, che è il tentativo legittimo di conoscere Gesù senza l'ausilio della fede, pretenda di essere il criterio di verità del Cristo della fede. Che è quello che anche Dunn mi sembra in fondo voglia dire quando in Cambiare prospettiva su Gesù, 24, scrive: «Bisogna riconoscere l'errore di pensare che il Gesù reale debba essere un Gesù avulso dalla fede, differente dal Gesù dei vangeli» (perché qui reale non è tra virgolette, ma significa proprio vero). Non c'è alcun motivo quindi di considerare «drammatica» per la fede la diversità tra il Gesù storico e il Cristo dei vangeli. Quel che piuttosto va sottolineato è, a mio parere, che una lezione innegabile della ricerca del Gesù storico consiste proprio nell'invitare i credenti a riconoscere con maggiore modestia che quella della fede cristiana fondata sui vangeli canonici, se è per loro l'interpretazione normativa, non è però l'unica interpretazione possibile della figura di Gesù.

    (Voi chi dite che io sia? Storia di un profeta ebreo di nome Gesù, Paideia 2018, pp. 325-333)


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