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    L'alternativa di Gesù

    José Antonio Pagola

     

    (... ) Oggi, nei settori interessati all'indagine sulla storia di Gesù, si sta utilizzando un linguaggio del tutto nuovo. (... ). Persone che non sono neppure credenti dicono oggi cose come questa: Gesù non appartiene solo ai cristiani, è patrimonio dell'umanità. Altri affermano: Gesù è senza dubbio il meglio che la storia ha offerto e sarebbe una tragedia se un giorno l'umanità lo dimenticasse. Ancora: Gesù ha inaugurato non solo una nuova religione, ma una nuova era. La storia non ha mai prodotto, dicono alcuni, un simbolo religioso più grande del progetto di Gesù, chiamato Regno di Dio. Se il mondo lo seguisse, ne risulterebbe trasformato; se esso diventasse la colonna vertebrale delle culture, delle politiche e delle religioni, l'umanità vivrebbe con un orizzonte di speranza oggi inimmaginabile. E altri: è vero che la religione cristiana, condizionata com'è dalla filosofia greca e dal diritto romano, è in crisi, che forse ci troviamo di fronte al suo tramonto, ma siamo sulla soglia di un nuovo sviluppo del movimento di Gesù.
    Gesù non ha ancora dato il meglio, può ancora riservare una vera sorpresa, e sempre più si parla di Gesù come dell'anima di cui ha bisogno questo mondo per vivere in maniera più degna e con maggiore speranza. Di questo Gesù voglio parlare io adesso. La conferenza di oggi ha per titolo "L'alternativa di Gesù" ed è un tentativo di riassumere in maniera sufficientemente chiara e viva il progetto di Gesù. Per noi credenti, in quest'uomo si è incarnato Dio: altri non la pensano così, ma a tutti interessa vedere come egli ha vissuto e cosa ha voluto introdurre nella storia umana.
    Tutti sappiamo che Gesù è nato in Galilea dove, negli anni 30, non si conosceva ovviamente una separazione tra quello che oggi distinguiamo spontaneamente: la sfera economica, quella culturale, quella politica, quella sociale. Ciò non era possibile nella società in cui visse Gesù; in aramaico non esiste neppure una parola per indicare la "religione". È naturale che Gesù fosse un uomo religioso, perché la società in cui viveva era compenetrata dall'aspetto religioso, che orientava, giustificava, promuoveva tutta una maniera di intendere e di vivere la vita e la società, al punto che per gli ebrei, in quel momento, la Torah, la legge di Mosè, la legge di Dio, era al tempo stesso, diciamo così, una specie di Costituzione.
    Avvicinandoci a Gesù, tuttavia, vediamo che in questa società egli non è uno scriba, un maestro della legge, e neppure un sacerdote: non insegna propriamente una dottrina. Abbiamo immaginato che l'aspetto più specifico di Gesù fosse quello di insegnare la vera religione, una dottrina che i discepoli avrebbero poi dovuto diffondere in maniera corretta, ma non è così. AI centro della predicazione di Gesù, al di là di una dottrina, c'è un fatto, un avvenimento, qualcosa che sta succedendo, che egli sta sperimentando e che vuole trasmettere a tutti.
    Tutti i ricercatori concordano sul fatto che il riassunto dell'evangelista Marco -il primo evangelista -è il più corretto: Gesù - dice - annunciava la Buona Notizia di Dio, Dio come qualcosa di nuovo e di buono. (... ). Oggi tutti i ricercatori pensano che il Regno di Dio sia stato la vera passione di Gesù, il nucleo, il cuore del suo messaggio, la passione che ha ispirato tutta la sua vita e anche la ragione per la quale è stato condannato a morte.
    Naturalmente, il Regno di Dio è molto più di una religione, va molto oltre le credenze, i precetti e i riti di una religione; è un modo di intendere e di vivere Dio che cambia assolutamente tutto. (... ). La cosa sorprendente è che Gesù non spiega mai cos'è il Regno di Dio con dei concetti; non sa parlare con un linguaggio solenne, come i sacerdoti del tempio; né con quello dei maestri della legge; Gesù è un poeta (racconta eventi, storie, parabole, usa simboli e immagini, opera azioni che suscitano emozioni). Con questo linguaggio parabolico, Gesù, più che parlare di dottrine, parla di come sarebbe la vita se vi fosse più gente che assomigliasse a Dio.
    Gesù portava dentro questa passione, questo fuoco: come sarebbe la vita nell'Impero Romano se a Roma non regnasse Tiberio ma Dio, cioè qualcuno che facesse quello che Dio vuole per l'umanità? Come cambierebbe la Galilea se a Seforis e più tardi a Tiberiade non regnasse Antipa, ma qualcuno che guardasse le cose come le guarda Dio? Come cambierebbe la religione del tempio, a Gerusalemme, se invece che Caifa vi fosse un sacerdote che volesse veramente quello che vuole Dio? Questa era l'ossessione di Gesù. E noi dovremmo chiederci: come sarebbe la nostra società e la nostra Chiesa se ci fossero sempre più persone, uomini e donne, che assomigliano un po' a Dio?
    Per parlare del "regno", Gesù utilizza un termine politico, non religioso; gli evangelisti lo traducono in greco e impiegano il termine basileia, che negli anni 30 si usava solo per parlare dell'Impero Romano, l'Impero di Tiberio. (... ). Potete immaginare la sorpresa, il senso di aspettativa e anche la diffidenza che dovette provocare Gesù quando cominciò ad affermare che il Regno di Dio - non quello di Tiberio - era vicino e invitava tutti a fame parte. Cosa intendeva Gesù nell'introdurre un "regno" non di un politico, né di una religione, bensì di Dio?
    Nel Padre Nostro, noi diciamo: Venga il tuo Regno. Non chiediamo di andare in cielo, ma che Gesù venga prima qui, nella stessa terra che è il suo Regno. Che vuole dire, allora, Gesù quando ci invita ad entrare nel Regno di Dio? Per prima cosa, vuoi dire che dobbiamo uscire da altri regni, quelli della violenza, del denaro, del terrorismo, per "entrare" nel "Regno di Dio". Cercherò di spiegare, in quattro punti, cos'è per Gesù questo progetto del Regno di Dio (... ).

    1. LA COMPASSIONE COME PRINCIPIO DI AZIONE

    Dio è compassionevole: questa è la base dell'agire di Gesù. Oggi la ricerca concorda unanimemente sul fatto che Gesù di Nazareth ha vissuto e comunicato un'esperienza sana di Dio: Gesù non ha proiettato sul volto di Dio paure, ambizioni, fantasmi, come tutte le religioni, compresa quella cristiana, finiscono per fare. Gesù non parla mai di un Dio indifferente, freddo, incurante degli uomini e dei loro problemi. (...). Nel sostrato dell'esperienza di Dio propria di Gesù c'è il fatto che Dio è compassionevole, "visceralmente"; la compassione è la prima reazione di Dio nei riguardi delle sue creature. (... ). Gesù dice che Dio prova verso i suoi figli e le sue figlie quello che una madre sente verso il figlio che porta in grembo: vale a dire, Dio ci porta nelle sue viscere. Le parabole più belle, quelle su cui Gesù si è più impegnato e che ha probabilmente più ripetuto, sono sempre quelle con cui vuole contagiare le persone con la propria esperienza di un Dio compassionevole.
    Nella parabola del "figliol prodigo", in realtà il protagonista non è il figlio, ma il padre buono. I primi che hanno ascoltato questa parabola devono essere rimasti totalmente sorpresi; non era questo che ascoltavano dai maestri della legge in Sinagoga, né dai sacerdoti nel tempio di Gerusalemme. Dio sarà così? Come un Padre che non si preoccupa della sua eredità, ma rispetta il comportamento dei suoi figli, anche quando commettono errori; che non è ossessionato dalla loro moralità, ma segue da vicino tutti, chi sta in casa e chi sta lontano? (... ). Ricordiamo come il Padre è in attesa del ritorno del figlio e come, vedendolo da lontano, si commuove - letteralmente: "gli tremano le viscere" -, perde il controllo, si mette a correre, e lo bacia e abbraccia con effusione ... in pubblico!
    Un patriarca non agiva mai così, era cosa da donne. Lo tratta in maniera materna, non gli permette di confessarsi - ha già sofferto abbastanza -, non gli chiede nulla, non fa alcun rito di purificazione, per quanto egli sia impuro. Non esige da lui penitenza, vuole subito fargli capire cosa significhi vivere accanto al padre: facciamo un banchetto, dice, e chiede al figlio maggiore di venire, di accoglierlo. Sarà così Dio? Sarà qualcuno che vuole orientarci tutti verso una festa finale in cui si celebrerà la libertà, la dignità, la vera felicità? La parabola parla di figli perduti che tornano al padre e vengono da lui accolti, di figli fedeli che devono accogliere il fratello; e parla di banchetto, di festa, di musica, di ballo ... Sarà questo il segreto di Dio? Crediamo noi in questo Dio?
    Un'altra parabola sorprendente è quella che chiamiamo degli "operai della vigna", per quanto, in realtà, il protagonista sia il padrone della vigna, un uomo buono, che vuole lavoro e pane per tutti. Come sappiamo, si reca in piazza alle 6 di mattina, alle 9, alle 12, alle 15 e, da ultimo, alle 17, quando manca solo un'ora alla conclusione della giornata di lavoro. E sorprendentemente dà a tutti un denaro, che era ciò di cui aveva bisogno una famiglia per vivere ogni giorno in Galilea. Ricevendo tutti la stessa somma, quelli che erano arrivati prima protestano, ma il proprietario dice loro: Vedete di cattivo occhio che io sia buono?
    Questa parabola deve aver provocato uno sconcerto generale. Cosa sta suggerendo Gesù? Il padrone della vigna non si fissa sui meriti di ciascuno, se ha lavorato molto o poco; ciò che lo preoccupa è che, la sera, tutti abbiano da mangiare. È possibile che Dio sia così? Che, più che essere preoccupato per i nostri meriti, lo sia per le nostre necessità? Ciò rompe tutti i nostri schemi. Che potevano dire gli scribi e che possono dire i moralisti di oggi? Gesù è sconcertante, Dio è sorprendente. (... ). A partire da questa esperienza di un Dio compassionevole, Gesù introduce un principio di azione: la compassione.
    Gesù si è imbattuto in una società in cui c'erano molti gruppi, partiti, spiritualità ... ma tutti coincidevano sul punto di partenza, tutti accettavano quello che viene detto in un libro dell'Antico Testamento, il Levitico: "Siate santi perché io, il Signore vostro Dio, sono santo". Il popolo deve essere santo per imitare il Dio santo. E chi è questo "Dio santo"? Colui che abita nel Tempio sacro, un Dio che sceglie il suo popolo e maledice i pagani; un Dio che accetta i puri e respinge gli impuri; un Dio che è amico dei buoni, ma che odia i peccatori?
    (...) Tuttavia, Gesù sarà chiamato amico di peccatori: nel momento in cui Dio si incarna in un uomo, quest'uomo è visto dalla gente come amico di peccatori ... per fortuna ! Il modo di intendere la santità di Dio come qualcosa di contrario a ciò che è peccaminoso, impuro, contaminante aveva infatti condotto la società ebraica, che Gesù ha conosciuto, ad essere tremendamente discriminatoria ed escludente. Per cominciare, i più santi, coloro che possiedono il livello maggiore di santità, sono i sacerdoti, perché devono entrare negli spazi più sacri del tempio. Solo dopo viene il popolo. (... ). Agli uomini era attribuita una santità rituale di molto superiore a quella delle donne, sempre sospettate di impurità per via delle mestruazioni e dei parti: queste non potevano accedere al sacerdozio e il loro ingresso nel tempio precedeva di poco quello dei pagani. Le persone pie, i giusti, quanti osservavano la legge erano benedetti da Dio; i peccatori maledetti.
    Quando arriva Gesù, egli reagisce a partire dalla sua esperienza di un Dio compassionevole e lo fa in maniera audace. Anziché dire come nel Levitico: siate santi perché io, il Signore, sono santo, Gesù dice: siate compassionevoli come il vostro Padre del cielo è compassionevole, introducendo un orizzonte totalmente nuovo nella storia dell'umanità. Gesù non nega la santità di Dio, ma esprime chiaramente che ciò che qualifica e definisce Dio come santo è la sua compassione: (... ) è santo non perché respinge i pagani, i peccatori e gli impuri, ma proprio perché nel suo cuore santo c'è posto per tutti. Dio non esclude nessuno; chiunque si avvicini a lui verrà accolto. Dio ama senza escludere nessuno.
    Per questo, la compassione non è una virtù tra le altre, ma l'unico modo per cominciare ad assomigliare a Dio. Guardare al mondo con compassione, alle persone con compassione. agli avvenimenti e alla vita intera con compassione è la migliore maniera per assomigliare a Dio. (... ). Per Gesù la compassione è un principio di azione; è, semplicemente, interiorizzare il dolore altrui, provare dolore per la sofferenza degli altri e reagire facendo il possibile per alleviare tale sofferenza.
    Tutti ricordiamo la parabola del buon samaritano. Un uomo ferito abbandonato lungo la strada. Passano un sacerdote e un levita: sono gli uomini del tempio, santi, coloro che rappresentano il Dio santo del tempio; probabilmente il ferito guarda a loro con speranza: sono rappresentanti di Dio, avranno compassione di lui. E, tuttavia, il sacerdote arriva, lo vede e passa oltre; viene il levita, lo vede e anche lui passa oltre. Entrambi lo hanno visto, entrambi vengono dal tempio, dove hanno reso culto al Dio santo, ma non provano compassione. Passa quindi un odiato samaritano, che non viene del tempio - glielo avevano proibito -; sicuramente il ferito lo guarda con timore, ha paura di essere ucciso: i samaritani e i giudei erano acerrimi nemici. Ma quest'uomo lo vede e - sempre lo stesso verbo - ha compassione di lui.
    Sarà che il regno della compassione non arriva sempre per cammini religiosi, ma può giungere attraverso la compassione di un uomo che sa avvicinarsi a un ferito? Gesù opera nella parabola un ribaltamento totale. I rappresentanti del tempio passano alla larga, l'odiato samaritano cura con compassione. La compassione abbatte tutte le barriere: persino un nemico tradizionale, temuto da tutti, può farsi canale della compassione di Dio. Il Regno di Dio potrà essere costruito a partire dalla religione o da altri settori, purché si viva la compassione.

    2. LA DIGNITÀ DEGLI ULTIMI COME META

    "Vivere a partire dalla compassione" era un messaggio che rappresentava una forte sfida per tutti, abituati a vivere sulla base di alcuni principi religiosi. (... ) Se leggiamo i vangeli con questa chiave, non vedremo Gesù preoccupato di organizzare una religione come le altre, ma lo vedremo impegnato ad invitare tutti ad accogliere questo Dio compassionevole e a creare una società nuova, guardando verso gli ultimi. Questa era una rivoluzione. In Israele era tutto molto chiaro: Dio sarebbe intervenuto a distruggere i nemici e ad annientare gli empi. Invece arriva Gesù e sorprende tutti, non schierandosi dalla parte del popolo eletto e contro i romani: il Regno di Dio non sarà costruito sulla distruzione e sulla dominazione di alcuni popoli da parte di altri.
    Tutti aspettano il Messia - o Dio, secondo le versioni - che distrugga i peccatori e salvi i giusti; tuttavia Gesù si avvicina ai peccatori e accoglie tutti alla sua mensa. E così mostra loro che il Regno di Dio non consiste nella vittoria dei buoni per far pagare ai cattivi il loro peccato. Gesù chiama tutti alla conversione e a vivere guardando agli ultimi, ai più bisognosi, indifesi e abbandonati. E utilizza un linguaggio provocatorio: le beatitudini, che non sono una lista a cui è ricorso Gesù un giorno che era particolarmente ispirato, ma grida emesse in diversi momenti della sua vita e che le comunità cristiane hanno raccolto ed unito per la catechesi.
    Ricorderò le tre che tutti pensano provengano certamente da Gesù. Quando Gesù vede tutte quelle persone, i contadini della Galilea che stavano perdendo la terra, oppressi dai debiti dei tributi, dice loro: Beati voi, che non avete nulla, poveri, indigenti, perché avete Dio come re. Il Regno di Dio è vostro: il Regno della compassione, della bontà, della giustizia appartiene a voi più che a chiunque altro. Gesù vede che hanno fame, vede soprattutto i bambini, i bambini di strada, vede la fame delle donne, e dice: Beati voi che avete fame, perché Dio vuole vedervi saziati (...) Gesù vede come piangono quei contadini che stanno perdendo la terra: la cosa più dura per un contadino è non poter difendere la propria terra o, mentre si provvede al raccolto, vedere gli esattori di imposte giungere da Seforis scortati da soldati per prendersi il meglio. E Gesù dice loro: Beati voi che ora piangete perché un giorno riderete. Un giorno Dio vi renderà felici.
    Tutti dobbiamo cominciare a guardare verso di loro. Gesù parlava con profonda convinzione; quello che lui dice io lo tradurrei oggi così: quelli che non interessano a nessuno sono quelli che stanno più a cuore a Dio; quanti sono superflui negli imperi che costruiscono gli uomini, il "materiale di scarto", sono quelli che Dio accoglie; quelli che sono più abbandonati, indifesi, sono coloro che più di ogni altro hanno Dio come difensore e Padre. Gesù è realista, non pensa che scompariranno dalla Galilea la fame e le lacrime, ma quello che fa è dare una dignità indistruttibile a tutti coloro che sono vittime di abusi e di ingiustizie.
    È così che dovremmo imparare a guardare la vita: per Dio, il Dio compassionevole, tutte queste persone che ci molestano perché ci fanno richieste, quelli che vivono in strada, quelli abbandonati, i senza tetto vengono per primi. E questo vuol dire che Gesù dà alla loro dignità una serietà assoluta: non si sta costruendo bene la vita da nessuna parte, se non si guardano gli ultimi.
    L'eredità più grande di Gesù, quella che oggi non solo i credenti ma anche i non credenti vedono e apprezzano in Gesù è questa: far sì che tutte le religioni, non solo quella cristiana, le culture, le politiche guardino agli ultimi prima che a chiunque altro.

    3. L'AZIONE TERAPEUTICA COME PROGRAMMA DEL REGNO

    Se volgiamo l'attenzione a Giovanni Battista, vedremo che tutta la sua attività è centrata sul peccato: è il peccato del popolo a preoccuparlo, per questo denuncia i peccatori e li invita alla penitenza, offrendo loro una liturgia di conversione e di perdono. Tuttavia, egli non compie alcun gesto compassionevole, di bontà: non cura gli infermi, sembra non vedere i malati né i tanti bambini che giravano per quelle terre, non risana i lebbrosi, non accoglie peccatori e prostitute (...). Sicuramente, quello che per prima cosa ha colpito la gente, quando Gesù ha cominciato ad operare, è stata l'enorme distanza tra lui e il grande Giovanni Battista.
    (... ) Potremmo dire che Gesù sta introducendo una rivoluzione religiosa di carattere curativo, una religione terapeutica che non ha precedenti nella tradizione ebraica. Gesù annuncia la salvezza curando; è questa la novità. Gesù è preoccupato per il peccato, molto più di noi, ma considera che, per un padre compassionevole, il peccato più grave è commettere ingiustizia, introdurre una sofferenza ingiusta, o tollerarla dandole le spalle.
    Per Gesù il peccato non è qualcosa di cui si tratta nei libri di morale, un'offesa a Dio... Il peccato è quello incarnato nelle persone che stanno soffrendo e sono abbandonate da tutti. È allora che inizia a curare. L'azione di Gesù sconcerta il Battista, che invia dei discepoli a chiedergli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" Gesù risponde: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me".
    (... ) Quando si lotta contro la sofferenza, quando si allevia il dolore, quando si offre una vita più sana, sta operando il Regno di Dio. Quello che ha fatto Gesù, fondamentalmente, è stato curare la vita. Non pensiamo solamente se le guarigioni che Gesù realizza sono di natura fisica, psichica, ecc. Tali guarigioni sono ciò che meglio indica tutto il progetto di Gesù, perché egli non cura in modo arbitrario o sensazionalista. (...). Gesù curava mosso dalla compassione; vede che quelli che più soffrono sono i primi a dover sperimentare, nella loro carne, la bontà che è Dio. Sono i più abbattuti, disperati, distrutti, quanti non hanno più neanche un volto umano, che dobbiamo porre al centro del nostro cuore e della nostra religione, perché sono al centro del cuore del Padre. Si può dire che tutta l'opera di Gesù sia diretta a creare una società più sana, più umana, più respirabile, più sopportabile.
    (...) Ricordiamo, per esempio, la ribellione di Gesù di fronte ai tanti comportamenti patologici di radice religiosa; come egli critica il rigorismo, il legalismo, il culto spoglio di amore ... Gesù vuole sanare la religione (... ). La frase che più si ripete di Gesù è: "Non abbiate paura! Uomini di poca fede, perché temete? Coraggio, io ho vinto il mondo!". È un richiamo alla fiducia, a vivere in un altro modo. Quando Gesù affida la sua missione ai suoi discepoli, non li immagina come gerarchi, teologi, liturgisti, ma come guaritori. E sempre, invariabilmente, dà loro due raccomandazioni: Annunciate che il Regno di Dio è vicino, che Dio è più vicino di quanto pensiate (...); e poi: Curate infermi, sanate lebbrosi, cacciate demoni gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
    La prima missione della religione cristiana non è fare teologia, né celebrare un culto: tutto ha la sua ragione d'essere, ma la prima cosa è curare la vita. Una parrocchia deve essere, prima di tutto, una comunità che cura, perché in quel determinato quartiere si viva con costumi più sani, in maniera più umana, senza abbandonare nessuno, avvicinandosi a coloro che più soffrono ...

    4. IL PERDONO COME ORIZZONTE

    Quel che ha provocato maggiore scandalo e maggiore ostilità nei confronti di Gesù è stata la sua amicizia verso i peccatori: mai era accaduto qualcosa di simile in Israele, era una cosa inaudita. Per molti specialisti questo è il tratto più rivoluzionario di Gesù. Nell'Antico Testamento, Ezechiele, Isaia, Geremia, Amos, Osea... sono grandi uomini di Dio, ma non si circondano di peccatori, non mangiano insieme a loro. Nessun profeta, neppure il Battista, si avvicina ai peccatori con il rispetto, "amicizia e la simpatia con cui lo fa Gesù. Quello che sconcertava era soprattutto che egli invitasse tutti alla sua mensa e chiedesse loro di seguirlo; che un uomo di Dio potesse accettare come amici ed amiche queste persone, gli indesiderabili della società, senza prima esigere da loro un "noviziato", un cambiamento (... ).
    Esaminando le fonti, si vede subito la reazione che suscita Gesù. Prima sorpresa: mangia con peccatori e pubblicani, è inaudito! E poi le accuse: è un mangione e un beone, amico di peccatori. Che vergogna, non sa mantenere le distanze! In quella società il cibo era sacro, non si poteva mangiare con chiunque. Nella società di Gesù i ricchi mangiano con í ricchi, i poveri con i poveri, gli ebrei con gli ebrei ( ). Tuttavia, Gesù insisteva ad aprire la sua mensa a tutti. ( ).
    Il fatto è che, come abbiamo detto, nel Regno di Dio la compassione, la misericordia accogliente, sostituisce questa santità escludente. Il regno è una mensa aperta a tutti: il tratto più caratteristico di Gesù è proprio quello di non escludere nessuno. Come credente sono convinto del fatto che, probabilmente, non ci sia mai stato sulla terra nessuno che abbia proclamato come Gesù, con tale forza, profondità e realismo, l'amicizia, il perdono, l'accoglienza di Dio verso tutti, anche quelli che lo ignorano o lo rifiutano.
    Voglio lasciar risuonare qui, nel mio stile, il messaggio finale di Gesù, perché credo che dobbiamo ascoltarlo tutti. Quando vi sentite giudicati dalla legge, anche dalla legge religiosa, non dimenticatevi di Dio, sentitevi compresi da Lui. Quando vi sentite rifiutati dalla società, sappiate che Dio vi accoglie. Quando nessuno vi perdona, quando nessuno capisce che potete essere migliori, pensate e sentite su di voi il perdono inesauribile di Dio: non lo meritate, nessuno di noi lo merita, ma Dio è così, Dio è amore e perdono. Non dimenticatelo mai, credete in questa buona notizia.
    Ho cercato di avvicinarmi, per quanto in maniera incompleta, a quello che è il nucleo di Gesù. Se questa è l'alternativa di Gesù, nulla può essere più importante nel cristianesimo attuale che tornare a Gesù. Siamo distratti da molte cose, squalificandoci e condannandoci gli uni con gli altri all'interno della stessa Chiesa, senza ascoltare Gesù. È questo che mi dà pena e, fino alla morte, vivrò solo per questo. Non ci rendiamo conto del fatto che la cosa migliore che abbiamo nella Chiesa è Gesù: la cosa più valida, quella più attraente. (...). Le religioni sono in crisi, ma Gesù no: interessa più che mai, mentre noi qui ci lasciamo distrarre da molte cose. (... ).


    T e r z a
    p a g i n A


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