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     La preghiera di Gesù

    Jon Sobrino


    P
    er illustrare la relazione di Gesù con Dio cominceremo dal fatto che egli pregava, anche se non è l'unico fatto e nemmeno il più importante. La preghiera di Gesù rivela in ogni caso che Gesù si rivolgeva a Dio e soprattutto a quale Dio si rivolgeva.

    a) Pio ebreo qual era, c'è da aspettarselo a priori che Gesù pregasse, e i vangeli lo confermano in maniera inequivocabile. I sinottici ci mostrano Gesù come un ebreo che prega: benedice il cibo prima dei pasti (Mt 15,36; 26,26 par); osserva il culto sabbatico e prega insieme alla comunità (Lc 4,16). Da una minuziosa analisi dei testi J. Jeremias trae la conclusione che «con tutta probabilità non ci fu un sol giorno della sua vita in cui Gesù non avesse recitato la preghiera della mensa, prima e dopo i pasti» [1].
    Più importante però di questo tipo di preghiera per conoscere il Dio di Gesù è la sua preghiera personale, e anche di questa parlano i sinottici: stando a essi, tutta la vita di Gesù si svolge in un clima di preghiera. In Luca la sua vita pubblica ha inizio con una preghiera (Lc 3,21); in tutti i vangeli la sua vita termina con una preghiera, diversamente interpretata come preghiera di angoscia o di speranza o di pace, in definitiva però una preghiera di esplicita relazione con Dio (Mt 27,46; Mc 15,34; Lc 23,46; Gv 19,30). La sua vita poi si presenta dall'inizio alla fine costellata di innumerevoli accenni alla preghiera. Vediamo Gesù in preghiera nei momenti in cui prende importanti decisioni storiche: prima di scegliere i dodici (Lc 6,12ss), prima di insegnare il Padre nostro (Lc 11,1), prima di guarire il bambino epilettico (Mc 9,29). Lo vediamo pregare per persone concrete: per Pietro (Lc 22,32), per i suoi carnefici (Lc 23,34). Accenna alla preghiera in occasioni importanti, come quando afferma che una certa specie di demoni non si può scacciare se non con la preghiera (Mc 9,29), o quando mette la preghiera in relazione con la convinzione di fede (Mc 11, 23ss). I sinottici affermano pure che Gesù aveva l'usanza di ritirarsi a pregare sul monte, in un orto, nel deserto (Mc 1,35; 6,46; 14,32; Lc 6,12...), e Luca introduce tale usanza in una delle sue sintesi narrative: «La sua fama si diffondeva sempre più e una folla numerosa accorreva per ascoltarlo e per farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare» (Lc 5,15ss).
    È dunque accertato che Gesù pregasse. Benché i passi concreti che abbiamo citati manifestino un'intenzione teologica, soprattutto in Luca, e un'influenza dovuta alla situazione in cui si trovavano le comunità, non v'è dubbio che Gesù abbia suscitato un'impressione profonda come uomo di preghiera. È su questo fatto che è necessario riflettere per conoscere quale sia il Dio di Gesù.

    b) La prima cosa da sottolineare è che nei vangeli Gesù non viene presentato come uno che prega in maniera ingenua, come se non conoscesse i pericoli a cui è soggetta la preghiera; anzi egli condanna molti tipi di preghiera.
    Gesù condanna la preghiera meccanica: «Nel pregare poi non moltiplicate le parole come fanno i pagani, i quali credono di venire ascoltati perché parlano molto. Voi non pregate in questo modo! Perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6,7ss). Condanna la preghiera vanitosa e ipocrita: «Quando pregate non fate come gli ipocriti, i quali amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini» (Mt 6,5s). Condanna la preghiera cinica: «Il fariseo stando in piedi così pregava dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano lì"» (Lc 18,11). Condanna la preghiera alienante: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Condanna infine la preghiera di chi opprime gli altri: «Guardatevi dai maestri della legge... è gente che divora i beni delle vedove mentre ostenta di fare lunghe preghiere» (Mc 12,38.40).
    Tutte queste citazioni mostrano come Gesù – o più esattamente, le prime comunità che riflettevano sulla preghiera in base ai ricordi di Gesù – siano coscienti degli innumerevoli modi con cui si può falsificare la preghiera: narcisismo spirituale, vanità e ipocrisia, gusto per le chiacchiere, strumentalizzazione alienante e oppressiva, ecc. Gesù non è stato dunque un ingenuo riguardo alla preghiera. Sapeva che, in quanto esseri umani, tutto quello che facciamo è soggetto alla peccaminosità: lo è quindi anche la preghiera. Per questo denuncia le falsità che si celano nella preghiera, che la preghiera non sia ciò che in fondo dev'essere: mettersi davanti a Dio e non lasciare che sia Dio a doversi mettere davanti a noi. Ciò nonostante, con tutti questi pericoli, Gesù incita a pregare e prega egli stesso. È importante rilevarne il motivo: nella preghiera si esprime, in un momento di particolare densità, l'esperienza di senso ultimo e questa – qualunque forma assuma – nell'esperienza umana non è sostituibile né interscambiabile.
    Tornando per un momento al regno di Dio, ricordiamo che Gesù dedica la propria vita al suo servizio – ciò che esige attività e riflessione – eppure lo traduce anche in parole, lo «annuncia», il che è differente dalla pratica, dalla riflessione e dalla dottrina. L'importanza dell'annuncio, il suo essere qualcosa di non sostituibile né interscambiabile, sta nel fatto che in esso il senso ultimo del regno si concentra in una parola densa di significato, esprimendo la sua caratteristica di «buona Notizia» e di «gratuità».
    La stessa cosa succede nella relazione di Gesù con Dio. Rispondere e corrispondere a Dio vuol dire ascoltare la sua parola e tradurla in opere: l'intera vita di Gesù è fatta di questo. Esprimere però quello che c'è di ultimo e di totalizzante in questo Dio, quello che c'è di alterità e di vicinanza assoluta, questo spetta alla preghiera. Nulla con ciò toglie forza alla necessaria riflessione e alla pratica richiesta. Al contrario, come vedremo, la preghiera di Gesù ha una propria collocazione storica in riferimento al suo agire, pur essendo la preghiera in se stessa una realtà distinta, un riunire insieme la totalità del senso e il senso della totalità, un mettersi realmente davanti a Dio.
    Il modo con cui Gesù si è concretamente posto davanti a Dio nella preghiera ci illuminerà sulla realtà del suo Dio. Analizzeremo perciò due preghiere di Gesù il cui contenuto ci è stato trasmesso dai sinottici, rinviando a un altro capitolo la sua preghiera sulla croce.

    c) «In quel tempo Gesù prendendo la parola disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli"» (Mt 11,25; Lc 10,21).
    È una preghiera di lode e di ringraziamento, e la si capisce meglio nei termini in cui viene espressa se proiettata sullo sfondo apocalittico della comunicazione della rivelazione (Dn 2,20-23) il cui contenuto è il regno di Dio (Dn 2,44) [2].
    Pur non potendone conoscere le parole precise né quando Gesù le abbia pronunciate, questa preghiera ha una sua collocazione storica sicura. È chiaro però che era già trascorso un certo tempo di pratica evangelizzatrice da parte di Gesù con l'annuncio del regno e che era già sorto un conflitto di fondo con i dirigenti del popolo che erano in disaccordo con lui e lo avversavano malignamente. Questa preghiera presuppone dunque un modo di agire di Gesù [3].
    In tale contesto Gesù rende grazie al Padre perché sono stati precisamente i piccoli a capire. È la realtà che affiora alla coscienza di Gesù, realtà ch'egli espone in parole davanti a Dio. È diventato possibile ciò che pareva impossibile. Da questa preghiera di Gesù si viene a sapere chi è Dio per lui. È un Dio con una sua volontà – «così è piaciuto a te» (Mt 11,26) –, è un Dio «parziale», che parteggia per i piccoli, un Dio buono e amorevole verso i piccoli. La reazione di Gesù davanti a questo Dio è rallegrarsi che Dio sia così e rendergli grazie. In un momento particolarmente intenso questa preghiera sintetizza dunque l'esperienza che Gesù ha di Dio traducendola in gioia. Viceversa, da tale gioia si può dedurre che cosa sia Dio per Gesù: quello che produce gioia perché è buono, uno in cui si può veramente aver fiducia fino a chiamarlo «Padre».

    d) «Andato un po' innanzi, cadde a terra e supplicava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. E diceva: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice, però non sia ciò che io voglio ma ciò che vuoi tu"» (Mc 14,35ss; Mt 26,39; Lc 22,41ss).
    Questo brano della preghiera nell'orto, come ce lo trasmette Marco, è una composizione, ma il nucleo della scena e della preghiera è storicamente sicuro, dal momento che «lo scandalo cristologico suscitato dalla pericope rende assai arduo poterla considerare come liberamente inventata» [4]. Il nucleo originale consiste nel fatto che Gesù manifesta la propria consapevolezza che sta per essere mandato a morte; che la sua anima è triste e chiede quindi al Padre di liberarlo da quell'ora [5].
    La preghiera ha dunque una sua collocazione storica precisa: proviene dai rischi a cui Gesù si è esposto col suo agire e sfocia nella decisione di accettare liberamente la propria morte. È una situazione di crisi e di crisi estrema; in tale situazione Gesù si dispone alla preghiera per esprimervi la totalità di senso della sua vita. Chiede a Dio di «far giungere il regno senza che lo preceda la sofferenza» [6], ma in definitiva Gesù fa l'offerta del proprio «io» a Dio. Questo «io» che nei vangeli è apparso come fonte di autorità suprema davanti alla legge, l'«io» da cui scaturisce l'invio in missione dei discepoli, l'«io» che ha guarito da malattie e scacciato demoni, è lo stesso «io» che ora si abbandona alla volontà del Padre [7].
    In questa preghiera continua a echeggiare l'Abbà-Padre della preghiera di giubilo che abbiamo visto prima, anche se ciò che questa manifesta direttamente non è la fiducia di Gesù ma la sua disponibilità totale. Ciò che tale preghiera rivela di Dio non è l'aspetto scandaloso di essere buona Notizia per i piccoli, bensì l'altrettanto scandaloso di essere oscurità totale. Dio rimane per Gesù il mistero insondabile e Gesù accetta che Dio sia Dio.

    e) Riassumendo tutto quanto è stato detto sulla preghiera di Gesù, possiamo affermare che il fatto stesso che Gesù pregasse indica che in lui esiste un polo referenziale ultimo di senso personale davanti al quale egli si pone nell'atteggiamento di chi lo riceve e lo esprime. Questa preghiera è qualcosa di diverso dalla pratica di Gesù e dalla sua possibile riflessione analitica su come costruire il regno, è una realtà nella quale egli esprime davanti a Dio il senso della sua stessa vita in relazione alla costruzione del regno, senso affermato o messo in dubbio dalla storia reale. Di conseguenza la preghiera di Gesù si presenta come ricerca della volontà di Dio, come gioia che venga il suo regno, come accettazione del proprio destino; in breve, si presenta come fiducia in un Dio buono che è Padre e come disponibilità davanti a un Padre che è pur sempre Dio, ossia mistero.

    NOTE

    1 J. Jeremias, Teología del Nuevo Testamento, I, Salamanca, 19865.c., 222.
    2 J. Jeremias, o.c., 220-224; P. Benoit e M.E. Boismard, Sinopsis de los cuatro evangelios II, Bilbao 1976, 157.
    3 J. Gnilka, «Jesus und das Gebet», in Bibel und Leben 2 (1965), 82s.
    4 J. Jeremias, o. c. , 166.
    5 Per uno studio più dettagliato cfr.: P. Benoit e M.E. Boismard, 367-370; J. Jeremias, o.c., 166ss; G. Schneider, Die Passion Jesu nach den drei ältesten Evangelien 1972, 43-54; L. Schenke, Der gekreuzigte Chnstus 1974, 111-134.
    6 J. Jeremias, o. c., 167.
    7 Ibid., 294-296.


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