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    L’umanità di Gesù

    Mario Delpiano


    I. PREMESSA

    il mio non è un approccio da biblista, perché pur amando la Bibbia, non ne ho le competenze interiorizzate, non è teologico, perché non è questo che mi è stato chiesto, vuole essere un approccio di tipo educativo-pastorale, pertanto essenzialmente antropologico.
    - Il contesto antropologico attuale e il punto di vista: Il contesto globalizzato in cui oggi viviamo per noi occidentali è caratterizzato, nelle sue forme più evolute, da crescente interesse per la qualità della vita dell’uomo, dalla ricerca di nuovi stili di vita, dalla critica del modello dell’uomo “che si è fatto da sé”, onnipotente, tecnologico, digitale, centrato su di sé, sulla propria “autorealizzazione” (autoreferente), dalla riscoperta della “debolezza” e della fragilità dell’uomo (il cosiddetto “pensiero debole”), dal superamento urgente del suo narcisismo (come dell’eurocentrismo), dalla ricerca della qualità nelle relazioni umane, non funzionali, ma vitali, dalla ricerca della integrazione con la dimensione affettivo-socio-emotiva, donatrice di senso, capace di accogliere la fragilità sempre più emergente nella consapevolezza del soggetto oggi. Si tratta di un orizzonte culturale, per quanto frammentato, che crea aspettative, attese, e che funge da “precomprensione” e da “filtro selettivo”, o lente di lettura della realtà, soprattutto per chi lo abita consapevolmente.
    - La prospettiva ermeneutica. Questa prospettiva diventa necessaria per affrontare un tema, l’umanità dell’uomo, che vuole scavare e trovare dentro un orizzonte culturale lontano (quello ebraico cristiano o ellenico-cristiano delle origini) e davvero differente dal nostro, eppure sempre in dialogo con le visioni dell’uomo che hanno caratterizzato questi due millenni di incontro tra la fede cristiana e le forme della cultura occidentale. La scommessa ermeneutica nasce dalla consapevolezza che è possibile mettere a confronto 2 o più orizzonti culturali diversi, sapendo riconoscere i diversi orizzonti e contesti, i linguaggi e le codificazioni storiche, per poter cogliere “l’indisponibile” (alla manipolazione culturale), cioè l’essenziale del messaggio sull’uomo, una volta riconosciuti i condizionamenti e i “rivestimenti culturali”, le codificazioni linguistiche che sono pertanto datate, differenti, lontane dal nostro orizzonte (forse meglio parlare di più orizzonti in un tempo di pluralismo culturale) e non più proponibili nel nostro contesto.
    - Segnalo la particolarità di avvicinamento al tema “l’umanità di Gesù”, perché ad essa non possiamo accedere direttamente, ma solo in attento ascolto delle narrazioni di molteplici testimoni, che tuttavia si sono espressi con categorie cultuali diverse; c’è un Gesù ebreo, c’è un Gesù narrato dalle comunità sulla testimonianza di coloro che lo hanno incontrato e vissuto con Lui, ma codificate in orizzonti diversi, da quello giudaico-cristiano, a quello ellenistico, senza poter accedere a quei documenti originali che si suppongono, o anche solo a quelle narrazioni aramaiche (?) che narrano di un Gesù a noi non accessibile.
    - C’è poi da tenere in conto letture non credenti di Gesù, e, quello che interessa a noi, le letture credenti (una umanità illuminata dalla fede) che tuttavia, a partire dai documenti fondanti (i testi del NT), si sono articolate nel tempo lungo la storia della Chiesa e dei credenti in lui. Dunque ogni tempo, ogni epoca culturale, ogni prospettiva altra, ci può dare una lettura della umanità di Gesù differente e anche nuova. E in un tempo di pluralismo culturale e di frammentazione, è ancora più difficile ritrovarsi consenzienti e concordi verso una lettura interpretante di un personaggio che è unico nella storia.
    - e poi c’è anche una prospettiva teologica da cui non possiamo prescindere. Gesù nella fede cristiana è UOMO e DIO in una unità esistenziale e in una esperienza storica che è unica e inaccessibile agli stessi discepoli.
    Proprio l’approccio teologico ci apre alla prospettiva dell’incarnazione: il farsi uomo di Dio nella persona e nella storia di Gesù diviene un evento e poi anche soprattutto un punto di vista da cui vedere e cogliere l’indicibile; ma in Gesù non c’è solo l’indicibile di un Dio incarnato, bensì l’”indicibile, e l’ineffabile” di una “umanità straordinaria”.

    II. L’UMANITÀ DI GESÙ NELLA PROSPETTIVA DELLA TEO.ANTROPOLOGIA EBRAICA

    Mi pare opportuno, per prendere sul serio la collocazione ebraica di Gesù, la sua esistenza vissuta in mezzo al popolo d’Israele in quel determinato contesto storico della dominazione romana sulla Palestina, cercare di cogliere la pienezza della sua umanità di uomo ebreo, che ha vissuto, abitato la cultura dell’ebraismo del suo tempo, che ha pensato, immaginato, creduto, agito secondo il paradigma e i codici di quella cultura. Gesù è appartenuto al popolo ebraico e ne ha vissuto la fede. Questi gli elementi che la qualificano:
    a) Gesù come ogni ebreo ha vissuto la consapevolezza del limite e della propria “fragilità” e della non autosufficienza, che per l’ebreo significa pensare la propria umanità dentro la prospettiva di fede dei padri, e vivere l’ “affidamento, la capacità di affidarsi oltre”, al Dio dei Padri.
    b) Gesù vive la consapevolezza della gratuità e di vivere sotto lo sguardo di Dio che nella sua infinita e sorprendente benevolenza (non sollecitata dall’uomo, il primo passo di Dio verso l’alleanza con l’uomo) si china sulla fragilità dell’uomo (essere di bisogno di fronte al mondo) e del popolo oppresso dalla schiavitù e si prende cura di lui “donandogli la libertà (liberazione dai differenti dominatori), il mondo (le cose buone frutto di una mano che le dona) e la terra”. Senza questa consapevolezza di credente del popolo di Israele la umanità di Gesù non è comprensibile.
    c) Consapevole della gratuità della benevolenza Gesù vive questa relazione di profonda riconoscenza a Dio (alleanza con risposta) e la vive come appello alla responsabilità a moltiplicare il dono nel a continuare a vivere del dono verso l’altro, qualsiasi altro, come essere di bisogno (il povero, l’orfano, la vedova, lo straniero, il malato, il peccatore , l’escluso …). [1]

    III. LE DIVERSE LETTURE DALL'UMANITÀ DI GESÙ A PARTIRE DA PRECISE COLLOCAZIONI STORICHE E CULTURALI

    “Fin dalle origini cristiane, scrive Cesare Bissoli, si assiste ad una oscillazione tra un polo, l’esaltare il suo essere uomo senza riferimento a Dio, anzi contro tale legame, e l’altro, quello di vederlo uomo in collegamento stretto e vitale con Dio. Nel primo caso l’enfasi su Gesù uomo ha portato negli anni 60’-70’ in ambito anglosassone a parlare di ateismo cristiano, di un Gesù di cui si dovrebbe cogliere la grandezza di uomo, sganciandolo da Dio, nel timore che, immerso nel divino e nell’eterno, sparisca il suo volto storico e la sua capacità di provocare come una volta (nel suo tempo), un Gesù del quale è stato detto paradossalmente: “se non ci fosse stato, bisognerebbe inventarlo!”.
    Notiamo comunque sia in ambiente credente che non credente (o diversamente credente), l’emergere di diversi tentativi di esprimerne il profilo, sempre guidati da una “pre-comprensione”, per quanto discutibile, ma dove sono sempre presenti germi di verità più o meno ampi, e che comunque colgono degli aspetti vitali, provocanti, originali della sua personalità. Su tale lunghezza d’onda menzioniamo “il Gesù socialista”, o l’ “eroe rivoluzionario a difesa degli oppressi” (dal tempo della rivoluzione francese a quella neomarxista soprattutto nei paesi in via di sviluppo, R. Garaudy); egli diventa il tipo dell’innocente che soffre, il capro espiatorio che paga per tutti ( R. Girard), viene visto come il modello etico per eccellenza, colui che, al dire di Orianna Fallaci, assicura all’individuo la libertà, e perciò la responsabilità dei suoi atti, delle sue omissioni, dei suo pensieri e sentimenti. Gesù è interpretato come un profondo conoscitore dell’animo umano, uno “psicanalista di eccezione”, un terapeuta e medico impareggiabili entrando a contatto con il quale si è “miracolosamente” guariti (H.Wolf). Nella religiosità popolare rimane indimenticabile il suo chinarsi sui poveri, sui piccoli, i diseredati, gli ultimi, gli stranieri, l’uomo che porta nella sua passione la passione degli altri; nel dialogo interreligioso egli è visto come figura carismatica non comune, unica, per la sua capacità di parlare ad ogni persona, è l’icona per eccellenza dell’uomo della non violenza e della pace, colui che abbatte i muri, e apre orizzonti di speranza. [2]
    Quello che è interessante è appunto il fatto che da qualsiasi paradigma di ordina antropologico si voglia accostare la persona di Gesù, in particolare la sua umanità, se ne coglie sempre una dimensione di eccellenza, di personaggio-uomo del tutto eccezionale, che esprime quelle che sono le qualità umane, gli stili relazionali, il suo modo di essere uomo al mondo, in una forma che radicalizza gli aspetti, per quanto diversi, di umanità.

    IV. ALLA RICERCA DI ALCUNI TRATTI DI QUESTA UMANITÀ

    Vogliano anche noi andare alla ricerca dei tratti umani di questa personalità d’eccezione che, mentre rivela il volto di dio, rivela anche lo stupendo volto dell’uomo: una umanita’ nuova. Uno stile di essere uomo che sempre, in tutti i tempi, stupisce, e che, proprio perché rivela uno stupendo e sorprendente volto dell’uomo Gesù, una davvero “nuova umanità, o se si vuole un “nuovo umanesimo”, svela e rivela appunto il volto di Dio, di un Dio “tremendamente e affascinatamente “umano”, pienamente umano, qualcuno azzarderebbe di dire “umano, troppo umano” per essere e parlarci di Dio!
    Non sono queste due le caratteristiche che accompagnano le teofanie, le esperienze di Dio fatte dall’uomo: “tremendum e fascinans” insieme, che mette sul “chi va là” e insieme attrae ?
    Intendo e vi invito a prendere sul serio l’umanità di Gesù: la “umanità di Dio” che si incarna, prende volto nella storia degli uomini, e svela le più alte vette, o le profondità abissali a cui giunge il pienamente umano; vette di umanità possibili, che Dio porta avanti nel suo sogno sull’uomo, sull’umanità, in una forma del tutto unica ed eccellente: quella di realizzarlo e di esprimerlo nella persona dell’Uomo Gesù di Nazareth, e dopo di lui, nella umanità di ciascuno di noi.
    E veniamo a questi tratti di umanità che affiorano in ogni narrazione evangelica.

    Gesù di Nazareth è un uomo vero
    Gesù di Nazareth è un uomo vero, non è Dio che fa finta di essere uomo. Vive davvero la nostra umanità, dalla nascita fino alla morte, senza escludere alcuno degli eventi che caratterizzano la vita di ogni umano. Ha appreso ad abitare una lingua e una cultura, quella ebraico-aramaica del suo tempo, come ogni bambino, insieme al latte materno e sotto lo sguardo paterno di Giuseppe, ritrovando in lui, suo “padre”, l’immagine modello di uomo. Ha ubbidito e disobbedito (Lc.2,48.51) ai genitori come tutti i fanciulli. Ha provato amarezza, ha pianto e ha avuto paura (Lc 19,41; Giov 11,35; Mt. 26,39, Lc.19,41). Ha provato gioia, l’allegrezza dei bambini che scorrazzano tra la polvere e quella adulta alla festa delle nozze (Gv.2,1-11), la meraviglia (Lc.7,9), la gioia dell’ospitalità (Lc,10,8ss) e la cordialità della mensa (Lc.7,36), la gioia di amare i suoi discepoli (Lc.12,21) fino a chiamarli e considerarli davvero ”amici”. E tutto ciò senza andare in giro con un’aureola in testa! [3] Gesù sa apprezzare i gesti dell’amore riconoscente (nella peccatrice Lc, 7,44ss); Gesù accoglie volentieri la gente che lo segue affascinata (Lc. 9,11), è un uomo di fiducia e continuamente invita a non avere paura (Lc. 12, 32), che si sdegna e sente tristezza di fronte ai cuori ostinati (Lc. 3,5); è un uomo che sa cogliere le differenze nella realtà, senza lasciarsi illudere (Lc.21,1-4 es la povera vedova al tempio).

    Gesù manifesta un “Io”, una personalità umana, unica
    - Una identità personale che è capace di tenere insieme e armonizzare dei forti elementi (atteggiamenti oltre che comportamenti) contrari: la tenerezza (Mc 10,13ss) e la intransigenza, anzi indignazione (Mc 3,5; 10,14), l’apertura incondizionata all’altro e il richiamo forte di denuncia e al cambiamento.
    - Un “Io” sicuro di sé in modo inaudito (ma io vi dico … del discorso della montagna) ma per nulla autoreferenziale.
    - Un “Io” deciso e schierato per la degnità dell’uomo, capace di proporsi come norma e come valore assoluto (Mt 10,32).
    - Gesù di Nazareth un uomo di una grandiosa libertà interiore, come libertà da … i condizionamenti anche culturali, oltre che relazionali (familiari, come a Cana), dal dominio della legge quando si fa oppressione della dignità dell’uomo (Mt 23; Lc 11,37 ss; Mc 2,27; 12,13ss), dal potere e dai gruppi di potere, quanto diventano autoreferenziali e non si pongono più come servizio all’uomo. Gesù non ha paura di “dire le cose come stanno”, di accusare e di denunciare quelli che sono sulla cattiva strada (Lc.11,39; 13,15), con la massima libertà e consapevolezza anche delle conseguenze. Si tratta di una libertà che è riscattata dell’autoreferenzialità, perché è sempre una “libertà per” la persona, l’uomo, soprattutto se marginale ed escluso, per i valori (discorso della montagna Mt. 5)

    Gesù è un uomo che di una grande apertura verso l’altro e gli altri. Gesù è un uomo di relazione
    Gesù un uomo aperto all’accoglienza dell’altro, e di ogni altro che incontra, libero da categorie precostituite, dagli stereotipi, dai pregiudizi, dalle etichette, dal giudicare (Gv.8,10-11 la pubblica peccatrice), aperto anzitutto all’ascolto dell’altro e all’incontro con l’altro nel profondo del mistero che l’altro custodisce (Gv.4 la samaritana). Questa sua apertura totale è in continuo sviluppo, e in crescendo nel corso della sua vita, perché questa apertura sembra ostacolata agli inizi da una comprensione parziale della sua missione, che sembra farlo chiudere ai non ebrei, a quelli (i pagani o quelli che non sono del suo popolo), ma che poi si apre progressivamente, fino alla capacità di cogliere la dignità e la positività dell’altro, di ogni altro, anche straniero e pagano (Lc.7,1ss, Mt.8.5ss; Mt.15,24ss)). Gesù sa coglierne la dignità e cogliere in profondità la “verità dell’altro”: la sua realtà come “essere di bisogno” (povero che attende una risposta con il suo bisogno da colmare: sia essa la cananea, sia il centurione, la samaritana o Nicodemo, o chi altro). Nella relazione con l’altro che incontra Gesù manifesta tutte le sue qualità relazionali, accoglienza, fiducia, prossimità, pazienza, tenerezza, compassione, condivisione con l’altro della sofferenza, del suo desiderio e della sua gioia ritrovata, misericordia (e l’anno della Misericordia ci ha regalato questa possibilità di scoprire quanto grande sia la capacità di accogliere e di stare con l’uomo nella fedeltà). Gesù sa farsi carico del bisogno e della sofferenza dell’altro.

    Gesù vive la relazione con l’altro nella forma suprema di “compassione”
    L’agire di Gesù nella relazione con qualsiasi “altro” che incontra, è prevalentemente un agire “terapeutico”, un agire di guarigione, indipendentemente dalla forma che la malattia (il male: malattia, limitatezza nell’agire, possessione diabolica, infedeltà, peccato) assume nelle persone che incontra. Il tratto specifico, lo stile di vita se ci piace dire oggi, di questo agire terapeutico, con cui Gesù sana le persone reintegrandole nell’ordine (dal caos al cosmos) e nell’armonia, è la sua compassione: il sentire la sofferenza altrui come propria, il mettersi al suo servizio per eliminarla. “La ragione per cui i vangeli iniziano la storia di Gesù con la sua attività di taumaturgo, dispiegando narrativamente una serie di guarigioni e di “miracoli” è proprio qui: non per dire che Gesù è un guaritore straordinario dotato di poteri di cui sono privi i normali terapeuti, non per provare che egli è Figlio di Dio per cui è giocoforza credere in lui, bensì per disvelare la intenzione ultima e radicale (nell’uomo è più importante la sua intenzionalità di ogni altro!) che è sottesa al suo agire e che, pur dentro il suo agire, è comunque sempre oltre, invisibile e indimostrabile. Tutto ciò che Gesù fa e pensa lo fa e lo pensa mosso dalla compassione. Per capire l’umanità profonda di Gesù e l’al di là del suo fare e pensare, è necessario attingere a quel livello di umanità profonda che è la compassione: l’andare verso l’altro non per coglierne il valore di cui appropriarsi e colmarsi (amore come eros, amore frutto del desiderio), come la mano si appropria e coglie il frutto dell’albero, bensì l’andare verso l’altro per chinarsi sul suo dis-valore (carenza, sofferenza, malattia, emarginazione, povertà, limitatezza …) ed eliminarlo (amore come agape) (Mt 14, 13-14). Pertanto nell’uomo Gesù l’intenzionalità di compassione non è aggiuntiva o saltuaria, che convive con altre intenzionalità, bensì costitutiva e originaria. Ciò dischiude un umano non come “l’io-per-l’io” bensì come “l’io-per-l’altro”: un umano per questo che appare “sovrumano”, appunto “divino”.[4]

    Un uomo che vive nella relazione un “segreto”
    Come uomo di relazione Gesù vive quello che è il suo segreto e che rivela progressivamente ai suoi discepoli (Gv.14,1-14), fino a condurli dentro questo suo “mondo particolare di vivere una Relazione”: quella con Colui che chiama “il Padre”[5]. Gesù vive una grande relazione di apertura, di accoglienza, di amore con il Dio, Adonai, di Israele, che egli chiama Padre; un uomo dunque che non misconosce, non nasconde, non rifugge dal riconoscimento dei “legami”, e di un legame speciale con, diremmo oggi, il “mistero della trascendenza, dell’Infinitamente Altro”, cui ogni israelita ha imparato a dare il nome; tuttavia in questa “relazione”, alleanza, Gesù si auto-riconosce, o si coglie “riconosciuto” come Figlio, disvelando pienamente la sua auto-coscienza.
    Gesù appare nelle narrazioni, di Giovanni soprattutto (Gv.17), un uomo consapevole e ricolmo dell’Amore del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dei padri, e che chiama Padre (lo Spirito è in Lui, l’Amore appunto, che coglie come “donato” del Padre); Gesù è un uomo che si sente amato e si coglie come amato, e questo Amore chiede in Lui, come per ogni bravo ebreo, la corrispondenza a quell’Amore (è il cuore dell’alleanza e dello “Shemà Israel”) che consiste nel donare (restituire) a tutti quelli che incontra, e poi ai discepoli e alla comunità, l’Amore, che nella Pasqua-Pentecoste diventa e viene chiamato lo Spirito del Risorto. In tal modo, vive in sé anzitutto, e poi instaura e propone nella gratuità una relazione d’Amore con l’altro (ogni altro che incontra), relazione che restituisce all’altro la vita in pienezza. In Gesù vi è un Amore che guarisce, risana, fa rinascere e che è alla radice dei “miracoli” cioè dei cambiamenti radicali che produce in ogni incontro con l’altro, siano essi i discepoli che scoprono in Lui il messia, sia chiunque toccato da questo Amore che cambia.

    Gesù uomo”ri-conoscente”
    Gesù pertanto è un uomo che vive interamente nella “logica del dono” e questa logica attraversa tutta la sua vita e diviene il “paradigma” o se si vuole la sua “regola o stile di vita”, che ci fa comprendere tutto il suo modo di vivere e di instaurare relazioni. Proprio questa consapevolezza dell’essere immerso nel dono, fa di Gesù un “uomo riconoscente” da intendere come seconda conoscenza o nuova conoscenza in cui l’uomo: prima di attivo si scopre passivo, di quella passività che non è un negativo, ma un positivo, non di un meno, me di un di più: il di più di sapersi amati e anticipati dall’anteriorità del Bene e della Bontà. E’ la nota sfida del filosofo ebreo F. Rosenzweig di dare inizio ad un “nuovo pensiero” che capovolte il pensiero tradizionale che “ si è imposto dalla Jonia alla Jena (cioè dai presocratici a Hegel)”. Questo nuovo modo di porsi della conoscenza nel mondo occidentale è appunto il “pensiero della riconoscenza”: il sapersi dalla Bontà che fa dell’io un “io recettivo” e della sua ragione una “ragione costitutivamente riconoscente” nel senso che non può non riconoscere l’anteriorità del Bene [6].
    Questa logica del dono tuttavia è da Gesù portata nella massima radicalità: il per-dono. Dinanzi a coloro (l’uomo) che rifiutano il dono, egli non retrocede e continua a donare, giocando la sua fiducia nell’altro, il quale, se accolto incondizionatamente, gli offre, senza vantare crediti, la possibilità di cambiare e di rientrare nella logica della vita come dono e non più come rapina, seduzione, sfruttamento.
    In questo senso Gesù si rivela di una capacità di fiducia nell’uomo e nel suo cambiamento che è sorprendente e viene da dire, “ultra umana”, una vera radicalizzazione della fiducia, che nella prospettiva teologica non è nient’altro che la “fede-fiducia” che risana e porta la risurrezione.

    Gesù è un uomo che vive per una “Causa”, un progetto che non è solo suo
    Non c’è uomo al mondo che viva pienamente la sua vita senza una causa per vivere, noi oggi diciamo un “progetto di vita”, gli psicologi della personalità parlano di “io ideale”, i pedagogisti di “mission”, di vocazione in linguaggio credente.
    Gesù è un uomo che non vive per sé, come non vive di sé, vive totalmente per una CAUSA. Possiamo parlare di estroversione di Gesù, rottura con ogni forma di autoreferenzialità, come si diceva più sopra. La causa che Gesù assume è da Lui vissuta come “comando-legge-Parola-dono” (torna la coscienza credente ebraica dell’alleanza!); questa causa non la vive come sua, ma come il “grande sogno-progetto” del Padre[7] , progetto che il Padre gli affida (l’obbedienza di Gesù) e ciò evidenza la accondiscendenza e accoglienza in prima persona da parte dell’uomo Gesù di un Progetto che supera la sua “umanità” e che costituisce il “sogno di Dio per il mondo e per l’uomo”. Un progetto e una causa che riguarda tutta l’umanità e la sua pienezza. Questo sogno viene espresso nei termini del “Regno” nei sinottici e come “vita, e vita piena e abbondante” in Giovanni. Per questo Gesù si rivela come un uomo amante della vita, e appassionato a che tutti vivano, gustino, accolgano in sé la vita in pienezza. La sua mission diventa pertanto dare vita, liberare la vita, restituire vita a chi è stata negata, aprire possibilità di vita nuova alla persona, per essa stessa impensabile prima dell’incontro con Lui: il maestro, il guaritore, il liberatore, il Messia, il salvatore.

    La causa per cui Gesù vive e si appassiona è il “regno di Dio” [8] che, travolge, mette in crisi, annienta quel senso di autoglorificazione e di autoreferenzialità con cui ci si rappresenta Dio nella storia dell’umanità e delle religioni da parte dell’uomo, e da parte stesso di Israele. Per Gesù, possiamo dire oggi ancora di più, con 2000 anni di storia dei suoi discepoli, la Gloria di Dio è l’uomo che vive (“gloria Dei homo vivens di Ireneo) e in particolare “la gloria di Dio” è la passione perché il “povero” viva (pauper vivens gloria Dei … Puebla, Aparecida … Papa Francesco). O se vogliamo dirla con Giovanni: la passione dell’Uomo Gesù è che ogni uomo viva e viva in pienezza, liberato da tutte le schiavitù e le dominazioni, anche le più raffinate e segrete. Gesù possiamo dire è un uomo interamente dedicato alla vita degli altri, di ciascuno e di tutti, e questa è la sua missione e ciò che da senso (direzione) alla sua vita. Gesù: uomo assolutamente fedele al servizio della sua causa, costi quel che costi, ma sempre fidandosi del Padre.
    Gesù un uomo di interiorità perché sa leggere dentro le persone e le cose, gli incontri, le relazioni, gli eventi, e coglie in esse una “chiamata”, quella del Padre, che si esprime come l’appello al Regno e la chiamata alla responsabilità, perciò si auto-comprende come “servo del regno” (la propria vita umana come servizio per l’altro in nome dell’Altro).

    La libertà di Gesù di fronte ad ogni forma di potere
    Proprio questo vivere totalmente per la causa della vita degli uomini, porta Gesù a scontrarsi con ogni forma di potere, e di persone di potere, che ostacola, si oppone, o impedisce che ogni persona vive in pienezza.
    Gesù non è un uomo contro il potere per il potere. Gesù è un uomo libero dal potere e dai poteri che si pongono contro la vita dell’uomo, anziché servirla. Particolarmente interessante e provocante il modo di Gesù di rapportarsi con il potere: con gli uomini di potere (quelli del tempio e della religione ebraica religioso in particolare Mt. 22 e 23); e la relativizzazione di ogni forma di potere all’uomo e alle sue necessità, alla sua libertà/liberazione. Pertanto Gesù libera l’uomo dall’Amore al Potere per aprire la strada al Potere dell’Amore: il servizio fino alla sua misura estrema: perdere la vita, accettare di essere collocato tra i perdenti, accogliere se necessario l’annientamento di sé perché davvero ci sia vita e vita piena per tutti.
    Gesù l’uomo che elabora l’impensabile antidoto alla violenza, con una “logica” sconvolgente!
    Come ogni uomo anche Gesù viene a scontrarsi contro ogni forma di resistenza al bene e al dono, e anche al rifiuto del dono attraverso le diverse forme di “violenza” che gli uomini possono mettere in atto. Gesù di fronte al male e alla resistenza sceglie come via quella di portare su di sé il male dell’altro e di esserne schiacciato; sceglie consapevolmente la croce, il fallimento, l’insuccesso, la perdita e la consegna della propria vita agli uomini del male, fidandosi che il male si vince col bene, il rifiuto del dono con la restituzione del dono all’altro (il perdono), la violenza con l’assumerla su di sé per farla morire su di sé, e in ciò rivela quanto è grande e sublime la sua capacità di uomo (e di Figlio) di fidarsi e di abbandonarsi a Colui che sempre si prende cura di Lui (il Padre). Gesù non affronta il dolore, il fallimento, la morte da disperato, ma pieno di fiducia e di speranza.
    Gesù si rivela a noi come uomo di pace, perché vive relazioni di non-violenza fino alla radicalità. Gesù non fugge i conflitti, li affronta con fermezza e con coraggio, attraverso il dialogo, il confronto, l’ascolto dell’altro, senza mai prevaricare. Anche di fronte al conflitto irriducibile degli oppositori, dei “nemici” (per Gesù non esiste alcun “nemico”), come nel caso del nucleo del potere religioso coalizzato contro di Lui (scribi, farisei, erodiani, i sadducei, gli zeloti …) egli cerca la via del ravvedimento e del richiamo alla ragione e al confronto con la tradizione, senza desistere di fronte alla verità della sua posizione (cfr. i conflitti finali in Mt. 22 e 23!).
    Nella lotta contro il male, e le sue personificazioni proprie della tradizione del tempo (i demoni!) che tengono in catene le persone più fragili che incontra sulla sua strada, utilizza tutta la sua “autorità e energia-potenza vitale e liberatrice” per sottrarle alle forse maligne che le tengono prigioniere e donare loro pienezza di vita (Lc. 8,37-39).
    Ma c’è una forza del male, che è la violenza dell’uomo e delle istituzioni da lui distorte, raffigurata nella suo affrontare la morte violenta e ingiusta alla quale sarebbe giusto sottrarsi e ribellarsi (e Gesù fa questo in diversi momenti della sua vita pubblica, quando gli è possibile!), e di fronte alle quale anche Gesù nella sua umanità come la nostra, non può nulla, assume un atteggiamento che è quello della non-violenza.
    Così si esprime Carmine di Sante in un suo testo sulla persona di Gesù: “ I racconti evangelici, più che sulle cause storiche per cui Gesù muore, pongono l’accento sulla sua volontà con cui assume liberamente la morte fino a desiderarla (Lc.9,51) e Gerusalemme, luogo simbolico della sua morte, non è, per Gesù, un incidente o una disgrazia che gli accade, ma è da lui voluto come fine del suo stesso agire (Mt 16,21 ss). Come è possibile da parte di un uomo volere la propria morte e volerla “decisamente”, come sottolinea il testo evangelico? … come è possibile voler “soffrire molto” facendo del soffrire e del patire l’oggetto di una scelta e di una decisione? Ad interrogativi come questi, pesanti come macigni, può rispondere solo un’ermeneutica attenta che, senza fare della sofferenza un valore in sé, sappia cogliere la ragione paradossale per cui Gesù la ricerca “decisamente”! Ora il motivo per cui Gesù si dirige “decisamente” verso la violenza che si manifesterà su di lui a Gerusalemme, non è perché egli la ami masochisticamente, né perché la trasfiguri illusoriamente, cercandovi un positivo che la giustifichi e la riscatti dal di dentro. Gesù non ama la violenza e la sofferenza ingiusta, ma perché vuole portarvi dentro l’antidoto che infrange la logica della violenza e la sconfigge… Come per un incendio che avvolge la casa minacciando gli abitanti e i passanti, ci vuole “qualcuno” che si getti con coraggio non perché ami l’incendio ma per spegnerlo. Gesù è questo “qualcuno”, impensabile dall’uomo e pensato solo da Dio, che “si getta” nel cuore della violenza che l’uccide, per introdurvi dentro il principio-evento dell’amore, della bontà, del perdono e della non violenza, l’unico principio, che diventa stile di vita, capace di spezzarla dal di dentro, mettendone in discussione la logica e il determinismo. … La morte di Gesù, che è un pezzo della sua umanità anzitutto, è evento di amore perché gesto amicale che non risponde all’inimicizia con l’inimicizia, bensì abolisce lo spazio dell’inimicizia e riapre al nemico lo spazio dell’amicizia (Mt. 26,50;)[9].
    È chiaro che questo atteggiamento assolutamente nuovo e originalissimo di Gesù si presta a tanti fraintendimenti, è in profonda contraddizione e denuncia contro le logiche e i modelli comportamentali di tutti i tempi della storia, anche quelli dominanti nel nostro tempo, e lo rende spesso incomprensibile e inaccettabile, se non se ne coglie la “ragione profonda”, che non fa parte tanto delle logiche della ragione, ma che fa parte della “logica del cuore”, di un cuore che trascende e appare incommensurabile con quelle del cuore umano, aprendo lo squarcio sulle “logiche del cuore (agapè)” di Dio, del Mistero che ci trascende, anche se non tutti hanno il dono di poterlo chiamare per nome.

    Un uomo che vive e propone un codice di vita controcorrente e straordinario
    Se vogliamo avere una comprensione più globale e sintetica della storia e della esistenza dell’uomo Gesù di Nazareth, possiamo cercare di cogliere nel suo stile di vita che ho cercato di descrivere, quello che costituisce “il codice etico personale” proprio di ogni persona che intende vivere nel mondo consapevole di sé e aperto alla realtà, e non chiuso nella prigione del proprio io. Si tratta del progetto valoriale, del sistema di valori che in ogni adulto regola responsabilmente e consapevolmente, al livello della libertà in cui ciascuno vive, la propria vita nel mondo.
    Questo codice personale di vita è dispiegato, ed è sottostante come “regolatore” di quegli atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano lo stile di vita di Gesù.
    Esso viene raccolto ed espresso lucidamente nel discorso del monte o in quello della pianura dagli evangelisti Matteo (Mt.5-6) e Luca (6,20-49). Si tratta del “discorso o annuncio delle Beatitudini” che le comunità cristiane delle origini, come testimoniano gli evangelisti, hanno sempre considerato come il “nuovo codice di vita”, che viene a sostituire o meglio a completare e perfezionare il Codice dell’Alleanza mosaico.
    Qui nella codificazione narrativa dei valori, ancora più o se si vuole conseguentemente alla narrazione della prassi di servizio al Regno di Gesù, emerge la radicalità di una proposta (proposta all’uomo ma già interiorizzata dall’uomo Gesù) di sistema di valori che tanto più oggi appare come radicalmente controcorrente nei confronti del codice spesso implicito o tacito che regola lo stile di vita e lo stesso evolversi delle società dell’occidente tardo-capitalista.
    Le beatitudini rappresentano, come stile di vita di Gesù proposta ai discepoli e all’uomo di tutti i tempi, un quadro di valori oggi per noi capovolto rispetto al quadro di valori dominanti attuali.
    Alla beatitudine della ricchezza e del possesso questo uomo straordinario e controcorrente, quale è Gesù, propone la “povertà come stile di vita”, essendo i poveri (gli ultimi e senza protezione) i prediletti da Gesù; alla cultura della sazietà e dell’abbondanza fino allo spreco, Gesù contrappone lo stile della sobrietà e della consapevolezza che solo l’amore sazia la fame dell’uomo; alla incosciente e spensierata ebbrezza dello stile di vita dell’eccesso, Gesù contrappone lo stile di chi sperimenta che solo Dio è colui che asciuga le lacrime e consola, proprio come la gente ha appreso e sperimentato nell’incontro con Gesù.

    V. CONCLUSIONE

    Ho percorso, senza pretesa di approccio scientifico da esperto biblista o da quant’altro, una riflessione in chiave antropologica sulla umanità di Gesù, intorno a questa affascinante figura di uomo che attraversa i secoli e i millenni per l’elevata proposta di umanità, oltre che per il sublime e unico cammino di sequela come discepolo.
    La mia esperienza e la risonanza interiore che ha attraversato questo cammino, è stata quella di una crescente curiosità, di una sempre più intensa motivazione a conoscere e ad approfondire questa figura unica di uomo, oltre che naturalmente da credente, questa relazione unica e sorprendente con il mistero dell’ uomo-Dio che ci viene incontro in ogni tempo della storia umana, da due millenni, e che sempre attrae, affascina ed inquieta.
    Certo l’approccio corretto a Gesù di Nazareth è quello guidato e orientato dalla fede in Lui e dalla decisione della sua sequela: solo chi vive in comunione profonda con Lui, con il Padre, e con l’accoglienza consapevole del dono dello Spirito di lui Risorto, nel servizio al Regno, è in condizione di cogliere in profondità questa umanità che ci rivela pienamente anche il volto di Dio.
    Quello che colpisce e affascina dell’umanità di Gesù è proprio il fatto che quella umanità trasfigura e rivela, porta a compimento in maniera trasparente quel sogno sull’uomo che Dio fa fatto fin dalla creazione, creandolo a “sua immagine e somiglianza”.
    Se noi non abbiamo posto l’accento dell’approccio a Gesù per cogliere in Lui il Volto affascinante di Dio, di certo sperimentiamo, lungo il cammino di approfondimento della “umanità di Gesù”, essenzialmente uomo-relazionale, (proprio come è nella rivelazione della fede la relazionalità in Dio!) lo svelamento della verità piena su chi è l’uomo, e la rivelazione nei tratti, nei gesti, nel modo di pensare, nello stile di agire, la pienezza dell’umano; Egli offre il modello e la proposta di vivere da uomini, da umani e non da disumani, all’uomo di tutti i tempi che vuole vivere in pienezza la sua umanità, pur nella diversità delle culture nel tempo e nello spazio, e che trova nell’umanità di Gesù di Nazareth l’ icona unica nella storia dell’uomo, come una segreta impronta custodita nel cuore di ogni figlio d’uomo, e come, ci dice la fede, la realizzazione del sogno di Dio sull’uomo, il compimento della creazione, un modello che è donato all’umanità intera, senza alcun limite storico. Un’umanità che sempre ci stupisce e ci affascina.


    Riferimenti bibliografici

    Cesare BISSOLI, Perché tanto interesse in Gesù uomo?, in NPG sett-ott. 2017
    Carmine DI SANTE, Gesù, come incontrarlo, Pazzini ed. 2012.
    Carmine DI SANTE, L’uomo alla presenza di Dio. L’umanesimo biblico, Queriniana, 2010
    Luis GALLO, Gesù di Nazareth. La sua storia e la sua grande causa per la vita dell’uomo, LDC,1991.
    Luis GALLO, Per la vita di tutti. Fondamenti teologici dell’impegno educativo, LDC,2002
    J.A. PAGOLA, Gesù. Un approccio storico, Borla, 2009.
    J.A. PAGOLA, Tornare a Gesù. Come rinnovare parrocchie e comunità. EdB 2015.
    Riccardo TONELLI, Per una pastorale giovanile al servizio della vita e della speranza, LDC, 2002.


    PISTA PER IL LAVORO DI GRUPPO

    Secondo il numero dei gruppi, ogni gruppo sceglie di approfondire e di verificare quanto attuale, uno o due delle caratteristiche della umanità di Gesù indicate nella quarta parte del testo, anche riandando ai riferimenti evangelici indicati.
    È possibile oggi vivere questo tratto o stile di vita di Gesù nel nostro contesto calabrese? A quali condizioni? In quali forme ri-esprimerlo oggi? Come si differenzia dagli stili di vita dominanti oggi nel mondo giovanile? Può essere interessante e affascinante per i nostri giovani?



    NOTE

    [1] A tal proposito rimando a Carmine DI SANTE, L’uomo alla presenza di Dio. L’umanesimo biblico. Queriniana 2010.
    [2] C. BISSOLI, Perché tanto interesse su Gesù uomo?, in NPG , settembre-ottobre 2017. http://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8618:perche-tanto-interesse-su-gesu-uomo&catid=38:articoli-npg-annata-2008&Itemid=207
    [3] ib.
    [4] Carmine DI SANTE, L’uomo alla presenza di Dio. L’umanesimo biblico. Queriniana 2010, p.45 ss.
    [5] Luis GALLO, Per la vita di tutti, pp 34 ss.
    [6] Carmine Di Sante, Dio e i suoi volti. Per una nuova teologia biblica, San Paolo 2014, p.213
    [7] Cfr. L. GALLO, Per la vita di tutti, pp.27-41
    [8]Cfr. L. GALLO, Per la vita di tutti, pp.9-26.
    [9] C. DI SANTE, Gesù come incontrarlo, Pazzini 2012, p. 82 e ss.


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