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    In quei giorni

    un decreto...

    José Saramago

    versobetlemme

    Uno scrittore famoso, premio Nobel 1998 per la letteratura, immagina i giorni in cui fu emanato l'editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento per tutti gli abitanti della regione, e l'impatto sulla gente e sulla coppia Giuseppe e Maria, incinta ormai di pochi mesi.
    Lo scrittore è un "ateo", e la tesi del romanzo da cui questo brano è tratto non è assolutamente accettabile (un Gesù uomo che si ribella a un Padre "tiranno"), ma alcuni tratti del racconto di Gesù sono di una bellezza straordinaria, segnati dal fascino (dello stesso autore) per il mistero. Per questa ragione, come abbiamo riportato tempo fa la scena dell'Annunciazione, così adesso proponiamo la scena prima del viaggio verso Betlemme e la nascita di Gesù (altro brano di una grande delicatezza e rispetto).
    Lo stile letterario dei romanzi di Saramago è peculiare, soprattutto nei dialoghi, e richiede attenzione da parte del lettore.
    Per una miglior comprensione dell'Autore, riportiamo un articolo tratto da la Civiltà Cattolica del critico letterario p. Ferdinando Castelli: Il Vangelo secondo José Saramago


    Fu nel trascorrere dei giorni dal mese di Tammuz a quello di Ab, quando si raccoglievano le uve nei vigneti e i primi fichi maturi cominciavano a colorirsi nell'ombra verde delle foglie ruvide, che accaddero questi eventi, alcuni soliti e normali, del tipo che un uomo si è accostato carnalmente alla propria moglie e che, trascorso il tempo, lei gli dice, Sono incinta, altri davvero straordinari, come quando le primizie dell'annuncio spettano a un mendicante di passaggio, il quale, razionalmente, non dovrebbe entrarci per niente, essendo soltanto l'autore del prodigio finora inspiegabile di quella terra luminosa, messa così fuori portata e investigazione dal sospetto di Giuseppe e dalla prudenza degli anziani. Arriveranno i grandi caldi, i campi saranno spelacchiati, solo stoppie e arsura, Nazaret è un piccolo paese bigio, circondato di silenzio e solitudine nelle ore soffocanti del giorno, in attesa della notte stellata per poter udire il respiro del paesaggio occultato dall'oscurità e la musica delle sfere celesti che scorrono l'una sull'altra. Dopo cena, Giuseppe andava a sedersi in cortile, a destra della porta, per prendere un po' d'aria, gli piaceva sentirsi sfiorare il viso e la barba dalla prima brezza rinfrescante del crepuscolo. Quando ormai era buio pesto, Maria lo raggiungeva e si sedeva per terra, come il marito, dall'altro lato della porta, e rimanevano lì, senza parlare, tutt'e due ad ascoltare il brusio proveniente dalla casa dei vicini, la vita delle famiglie, ciò che loro non erano ancora perché mancavano í figli, Piaccia al Signore che sia un maschio, pensava ogni tanto Giuseppe, durante il giorno, e anche Maria considerava, Piaccia al Signore che sia un maschio,
    ma non lo pensava certo per le stesse ragioni. Il ventre di Maria cresceva senza fretta, dovettero passare settimane e mesi prima che si notasse chiaramente il suo stato, e giacché lei non era tipo da legare con le vicine, discreta e modesta qual era, fu generale la sorpresa, come se si fosse gonfiata dalla notte al giorno. Ma il silenzio di Maria era forse dovuto a un'altra e più segreta ragione, e cioè che mai, perché mai era esistito, si potesse stabilire un nesso fra la sua gravidanza e il passaggio del misterioso mendicante, una precauzione che dovrebbe sembrarci assurda, sapendo come sono andate le cose, a meno che Maria, in qualche momento di debolezza del corpo o di sfrenata fantasia dello spirito, sia arrivata a domandarsi, ma perché, Dio Santo, atterrita dalla stoltezza di quel dubbio e insieme turbata da un tremito interiore, chi mai potesse essere, reale e vero, il padre della creatura che le si stava formando dentro. Le donne, si sa, quando si trovano in stato interessante, sono propense a nausee e fantasie, talvolta anche peggiori di questa, sulla quale manterremo il segreto perché nessun'onta ricada sulla buona fama della futura madre.
    Passava il tempo, un mese dopo l'altro lentamente, quello di Elul, ardente come una fornace, con il vento desertico del sud che spazzava e infocava l'aria, quando i datteri e i fichi diventano gocce di miele, quello di Tishri, quando le prime gocce dell'autunno ammorbidiscono la terra e richiamano al lavoro dei campi per la semina, e fu nel mese successivo, quello di Marheshvan, il tempo della raccolta delle olive, che finalmente, rinfrescatisi un po' i giorni, Giuseppe si decise a costruire una rustica branda, ché per un letto degno di tal nome sappiamo già come la scienza non gli basti, su cui Maria, dopo avere tanto atteso, poté adagiare il suo pesante e ingombrante ventre. Negli ultimi giorni del mese di Kisleu e quasi per tutto quello di Tebet si ebbero le grandi piogge, ragion per cui Giuseppe dovette interrompere il lavoro nel cortile e, per lavorare, approfittare solo delle brevi schiarite perché erano pezzi di grosse dimensioni, se ne stava perlopiù dentro casa, in modo da ricevere la luce proveniente dalla porta, e lì raschiava e levigava i gioghi lasciati grezzi, ricoprendo il pavimento di trucioli e segatura che poi Maria spazzava, andando a buttarli nel cortile.
    Nel mese di Shebat fiorirono i mandorli e si era già in quello di Adar, dopo la festa di Purim, quando comparvero a Nazaret alcuni soldati romani, di quelli che allora giravano per la Galilea, di paese in villaggio, di villaggio in paese, mentre altri nelle restanti zone del regno di Erode, rendendo noto alle popolazioni che, per ordine di Cesare Augusto, tutte le famiglie residenti nelle province governate dal console Publio Sulpicio Quirino avevano l'obbligo di censirsi, e che il censimento, destinato come altri ad aggiornare il registro dei contribuenti di Roma, doveva avvenire, senza eccezione, nei luoghi dí cui le famiglie erano originarie. Alla maggior parte della gente radunatasi in piazza per udire il bando gliene importava ben poco dell'avviso imperiale, visto che, essendo nativi di Nazaret o avendo preso casa lì da generazioni, si sarebbero notificati sul posto. Alcuni, però, giunti dalle diverse regioni del regno, da Gaulanitide o da Samaria, dalla Giudea, dalla Perea o dall'Idumea, da qua e da là, da vicino e da lontano, ben presto cominciarono a pensare alla vita futura e al viaggio, brontolando contro i capricci e l'avidità di Roma e parlando dello scompiglio che ci sarebbe stato per mancanza di braccia, ora che stava arrivando il tempo di mietere il lino e l'orzo. E chi aveva una famiglia numerosa, con figli in tenera età o genitori e nonni decrepiti, se non possedeva un mezzo di trasporto idoneo, già pensava a chi poter chiedere in prestito o a noleggio per un giusto prezzo l'asino o gli asini necessari, soprattutto se íl viaggio si presentava lungo e difficoltoso, con viveri sufficienti per il cammino, otri d'acqua se c'era da attraversare il deserto, stuoie e coperte per la notte, stoviglie per mangiare, oltre a qualcosa per coprirsi giacché le piogge e il vento non sono ancora passati del tutto e qualche volta si dovrà pur dormire all'aria aperta.
    Giuseppe venne a sapere dell'editto in un tempo successivo, quando i soldati erano ormai ripartiti per recare la buona novella altrove, fu un vicino della casa accanto, un certo Anania, che gli si presentò agitato a dargli la notizia. Era uno di quelli che non dovevano muoversi da Nazaret per il censimento, beato lui che se l'era schivata, e avendo deciso che, per via dei raccolti, quest'anno non sarebbe andato a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, se si era sottratto a un viaggio, un altro non lo avrebbe fatto. Va quindi, Anania, a informare il suo vicino, come si conviene, ed è contento, benché dall'espressione del viso sembrino un po' troppo accentuate le dimostrazioni di quel sentimento, voglia Iddio che non sia per il fatto di essere latore di una spiacevole notizia, ché anche i migliori vanno soggetti alle più calamitose contraddizioni, e il nostro Anania non lo conosciamo abbastanza per distinguere se, in questo caso, si tratti di perseveranza in un comportamento abituale o della tentazione di un angelo di Satana che, al momento, poteva non aver altro di più importante da fare. E fu così che Ananía andò a battere al cancello e chiamò Giuseppe, che all'inizio non sentì perché stava lavorando rumorosamente con martello e chiodi. Maria, invece sì, lei aveva un udito più fine, ma era il marito che stavano chiamando, non poteva mica andare a tirargli la manica della tunica, dicendogli, Sei sordo, non senti che ti stanno chiamando. Anania urlò più forte, allora Giuseppe sospese il suo martellare e andò a vedere che cosa volesse il vicino. Anania entrò e, dopo averlo salutato, gli domandò, col tono di chi voglia accertarsene, Di dove sei Giuseppe, e Giuseppe, senza sapere che era proprio ciò che volevano, rispose, Sono di Betlemme, in Giudea, Che si trova vicino a Gerusalemme, Sì, vicinissimo, E vai a fare Pasqua a Gerusalemme, non è vero, domandò Anania, e Giuseppe rispose, No, quest'anno ho deciso di non andare, ché mia moglie sta per finire il tempo, Ah, E tu, perché lo vuoi sapere. A quel punto Anania alzò le braccia al cielo, assumendo un'espressione di pena inconsolabile, Ah, povero te, che travagli ti attendono, che stanchezza, che immeritata fatica, così preso come sei dagli obblighi del tuo mestiere, e adesso dovrai abbandonare tutto e metterti in cammino e andare, sì, lontano, sia lodato il Signore che tutto riconosce e a tutto pone rimedio. Giuseppe non volle essere da meno nelle dimostrazioni di fede e, senza approfondire le cause di quella tiritera del vicino, disse, Il Signore, volendolo, porrà rimedio anche per me, e Anania, senza abbassare la voce, Sì, al Signore nulla è impossibile, tutto conosce e tutto ottiene, così in terra come in cielo, sia lodato per l'eternità, ma in questo caso, che Dio mi perdoni, non so se ti potrà aiutare, ché sei nelle mani di Cesare, Che cosa vuoi dire, Che sono stati qui dei soldati romani per avvisare che entro l'ultimo giorno del mese di Nissan tutte le famiglie di Israele dovranno recarsi al censimento nei luoghi d'origine, e tu, poverino, vieni da così lontano.
    Ebbene, prima che Giuseppe avesse il tempo di rispondere, entrò nel cortile la moglie di Anania, che si chiamava Chua, e, puntando diritto su Maria, ín attesa sulla soglia di casa, attaccò a gemere come il marito, Oh, povera donna, ah, delicata, che ne sarà di te, così prossima al parto, e dovrai andare chissà dove, A Betlemme di Giudea, la informò il marito, Uh, com'è lontano, esclamò Chua, e non lo diceva soltanto per parlare, perché una volta, durante uno dei pellegrinaggi a Gerusalemme, si era spinta fino a Betlemme, lì vicino, per pregare sulla tomba di Rachele. Maria non rispose, aspettava che prima parlasse il marito, ma Giuseppe appariva contrariato, avrebbe dovuto essere lui a comunicare alla moglie una notizia di questa importanza, di prima mano, con le parole adatte e, soprattutto, con il tono giusto, mica così, strappandosi i capelli, quei vicini che gli irrompono in casa, urlando. Per nascondere la propria contrarietà, assunse un'espressione di composta serietà e disse, È pur vero che non sempre Dio sceglie di potere ciò che può Cesare, ma Cesare non può nulla di fronte al volere di Dio. Fece una pausa, quasi avesse bisogno di penetrare nella profondità delle parole appena pronunciate, e aggiunse, Celebrerò la Pasqua qui, come avevo deciso, e poi andrò a Betlemme, giacché dovrà essere così, e se il Signore lo consente saremo di ritorno in tempo sicché Maria partorisca a casa, ma se, al contrario, il Signore non lo vorrà, allora mio figlio nascerà nelle terre dei suoi avi, A meno che non nasca strada facendo, mormorò Chua, ma non così plano da non farsi sentire da Giuseppe, che disse, Tanti sono i figli di Israele nati lungo la via, il mio sarà uno in più. Era una sentenza dí un certo peso, irrefutabile, e come tale l'accettarono Anania e sua moglie, ammutolita d'improvviso. Erano andati li per consolare i vicini della contrarietà di un viaggio forzato e per compiacersi della propria bontà, ma adesso avevano l'impressione di essere messi in strada, senza cerimonie, quando Maria si avvicinò a Chua e la pregò di accomodarsi dentro casa, ché voleva chiederle consiglio su certa lana che aveva da cardare, e Giuseppe, nel desiderio di attenuare la durezza con cui si era espresso, disse ad Ananía, Da buon vicino, ti chiedo di vegliare sulla mia casa durante la mia assenza, anche se tutto andrà bene, io non sarò di ritorno prima di un mese, contando il tempo per il viaggio più i sette giorni di isolamento di mia moglie, o quanto potrebbe sovrapporvisi se nascerà una figlia, che il Signore non lo permetta. Rispose Anania che, sì, stesse tranquillo, avrebbe badato alla casa come se fosse sua, e poi gli domandò, gli era venuto in mente all'improvviso, mica ci aveva pensato prima, Giuseppe, vuoi onorarmi con la tua presenza nella celebrazione della Pasqua, unendoti ai miei parenti e amici, visto che non hai famiglia a Nazaret e non ce l'ha neppure tua moglie, da quando le sono morti i genitori, già così avanti nell'età all'epoca della sua nascita che, ancor oggi, la gente si domanda come sia stato possibile per Gíoacchino generare una figlia con Anna. Disse Giuseppe, riprendendolo bonariamente, Oh, Anania, ricordati delle rimostranze di Abramo, fra sé e sé incredulo, quando íl Signore gli annunciò che gli avrebbe concesso discendenti, se un bimbo poteva nascere da un uomo dí cent'anni e se una donna di novanta era in grado di generare, ebbene, Gioacchino e Anna non erano vegli quanto Abramo e Sara al tempo loro, quindi per Dio sarà stato ben più facile, ma per Lui non c'è niente di impossibile, far nascere tra i miei suoceri un virgulto. Disse il vicino, Erano altri tempi, il Signore manifestava la Sua presenza tutti i giorni, non solo nelle opere, e Giuseppe, forte della sua dottrina, replicò, Dio è il tempo, mio caro Anania, per Dio il tempo è un tutt'uno, e Anania non seppe cosa rispondere, non era certo il momento di introdurre nella conversazione la controversa e irrisolta polemica sui poteri, non solo consustanziali ma anche delegati, di Dio e di Cesare. Al contrario di quanto potrebbero far sembrare questi sfoggi di teologia pratica, Giuseppe non aveva dimenticato l'inatteso invito di Anania a celebrare insieme a lui e ai suoi la Pasqua, solo che non voleva mostrarsi troppo precipitoso nell'accettare, come aveva deciso fin dall'inizio, ma lo sanno tutti come sia dimostrazione di cortesia e buona educazione accogliere con gratitudine i favori che ci fanno, senza tuttavia eccedere in contentezza, non sia mai che l'altro possa pensare che ci si aspetti troppo. Insomma, adesso stava ringraziando lui, magnificando i suoi sentimenti di generosità e disponibilità, mentre Chua si accingeva a uscire portandosi Maria, a cui diceva, Che buona mano hai per cardare, e Maria arrossiva come una giovincella, perché la stavano lodando davanti al marito.
    Un bel ricordo che Maria fini per serbare di questa Pasqua tanto promettente fu il non aver dovuto partecipare alla preparazione del cibo e l'essere dispensata dal servire gli uomini, lavori che le furono risparmiati dalla solidarietà delle altre donne, Non ti stancare, può farti male, le dissero, e dovevano saperlo bene, essendo quasi tutte madri a loro volta. Lei si limitò, poco più poco meno, a occuparsi del proprio marito, che se ne stava li seduto per terra insieme agli altri uomini, chinandosi solo per riempirgli il bicchiere o per rifornirgli il piatto di quei rustici manicaretti, il pane azzimo, la carne d'agnello, le erbe amare, ma anche certe gallette fatte con farina di locuste secche, una leccornia di cui Anania si vantava tanto, essendo una tradizione della sua famiglia, ma di fronte alla quale taluni invitati storcevano il naso, sia pur vergognandosi di quella mal celata ripugnanza, giacché nel loro intimo si riconoscevano indegni dell'esempio edificante di tutti quei profeti che, nel deserto, avevano fatto di necessità virtù, e di locuste manna. Verso la fine della cena la povera Maria, ormai seduta in disparte, con l'enorme ventre posato sulla base delle cosce, in un bagno di sudore, udiva a stento le risa, i detti e le storie, e le continue citazioni della Scrittura e, istante dopo istante, si sentiva sul punto di abbandonare definitivamente il mondo, come se fosse sospesa a un filo sottile che avrebbe potuto essere il suo ultimo pensiero, un semplice cogitare senza oggetto né parole, sapendo solo di pensare, ma non riuscendo ad avere chiaro che cosa e a che scopo. Si destò di soprassalto perché nel sonno, improvvisamente, spuntando da tenebre ancora più fitte, le apparve il viso del mendicante, e poi quel suo enorme corpo coperto di cenci, l'angelo, se era un angelo, era entrato nel sogno senza annunciarsi, neppure con un fortuito ricordo, e la fissava con aria assorta, fors'anche con una vaghissima espressione di interrogativa curiosità, o magari neanche, perché non c'era neppure stato il tempo di notarlo, e il cuore di Maria adesso palpitava come un uccello spaventato, e lei non sapeva se fosse stata preda della paura o se qualcuno le avesse sussurrato all'orecchio una parola inattesa e imbarazzante. Gli uomini e i ragazzi erano ancora li, seduti per terra, mentre le donne, accaldate, andavano e venivano, offrendo gli ultimi cibi, ma ormai si notavano i segni della sazietà, solo il brusio delle conversazioni, animate dal vino, era salito di tono.
    Maria si alzò, e nessuno le badò. Era scesa la notte, la luce delle stelle, nel cielo limpido e senza luna, sembrava creare una specie di risonanza, un ronzio che sfiorava le frontiere dell'inaudito, ma che la moglie di Giuseppe poteva sentire sulla pelle, e insieme nelle ossa, in un modo che non avrebbe saputo spiegare, quasi una dolce e voluttuosa convulsione che sembrava non finire. Maria attraversò il cortile e andò a guardare nella via. Non vide nessuno. Il cancello di casa sua, li accanto, era chiuso, tale e quale l'aveva lasciato, ma l'aria si muoveva, come se qualcuno fosse appena passato, dí corsa o volando, per non lasciare di quel transito nient'altro che un fugace segno, che altri non avrebbero saputo comprendere.

    (Il vangelo secondo Gesù, Bompiani 1999, pp. 34-40)


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