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    “Amo Gesù perché...”

    Enzo Bianchi



    Fuori da schemi e gabbie confessionali uno studioso delle Scritture dilata i confini della figura di Cristo.
    Un testo sorprendente, denso e audace, che è una potente dichiarazione a tratti appassionata e dolorosa.

     

    La fede cristiana proclama che Dio si è fatto umano, che Dio si è reso leggibile nella vita di un uomo e che solo un’esistenza pienamente umana è quella in cui Dio si è espresso in pienezza. Sì, l’uomo Gesù è per i cristiani «l’immagine del Dio invisibile», Gesù di Nazaret, uomo visibile come ogni uomo, è l’icona, l’immagine del Dio che non si vede. Risulta dunque estremamente chiaro perché Pilato lo presenti con le celebri parole: Ecce homo, ecco l’uomo per eccellenza!
    L’umanissima umanità e perfino la carnalità di Gesù sono il cuore del saggio breve di Frédéric Boyer Il dio morto così giovane, Edizioni Sanpino. Boyer è un scrittore, editore e traduttore francese praticamente sconosciuto in Italia, essendo questa la sua prima opera pubblicata nel nostro paese. Nato nel 1961, allievo della prestigiosa École Normale Supérieure, già direttore editoriale delle éditions Bayard presso le quali ha diretto la traduzione de La Bible pubblicata nel 2001, frutto della collaborazione tra esperti di lingue bibliche e celebri scrittori francesi tra i quali Olivier Cadiot, Florance Delay, Emmanuel Carrère. Alle Scritture ebraiche e cristiane ha dedicato diversi saggi di grande qualità, come La Bible,notre exile (Paris 2002) e nei scorsi mesi ha pubblicato presso la prestigiosa Gallimard Évangiles, la traduzione integrale dei quattro vangeli. Autore ad oggi di più di quaranta di opere tra romanzi, poemi e saggi Boyer ha anche proposto nuove traduzioni di opere classiche, quali le Confessioni di Agostino, I sonetti di Shakespeare e le Georgiche di Virgilio con il titolo Le souci de la terre.
    Solo da un autore eclettico e versatile come lui, fuori da schemi mentali e da gabbie confessionali poteva nascere Il dio morto giovane, un saggio che senza superare le cento pagine dilata i confini interpretativi della figura di cui più si è scritto nella storia dell’umanità: Gesù. Tale è la singolarità, l’atipicità e l’imprevedibilità di quest’opera che ha sorpreso e meravigliato un lettore assiduo come me alla bibliografia cristologica. Il pensiero è denso e audace, la scrittura di qualità letteraria raffinatissima: l’ottima traduzione di Emanuele Borsotti è un invito alla lettura dell’originale francese. Da subito lo si legge tutto di un fiato per la sua fluidità e passione, ma poi si è costretti a centellinarlo per la corposità e lo spessore.
    “Perché amo Gesù” è l’incipit che si ripete quasi ad ogni inizio di pensiero, così che alla fine siamo stati uditori impressionati e attoniti di una potente dichiarazione d’amore, a tratti appassionata e dolorosa. “Perché amo Gesù. Perché non credo a un modello non incarnato, non personale, di amore e di giustizia. Perché non credo affatto a un modello di amore. Perché Gesù stesso ha amato gente malata d’amore. Come Maddalena per esempio, e forse Giuda. Prima ancora di aver iniziato ad amare, siamo tutti malati come loro. E dopo Gesù, ci sono solo malati d’amore, in eterno”.
    Boyer dichiara di amare Gesù perché si è fatto uomo per amare come noi e per questo ha dichiarato che i comandamenti fondamentali sono solo due che in realtà fanno uno: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore …. e il prossimo tuo come te stesso”. L’uno senza l’altro non è possibile, “posso amare il mio prossimo senza necessariamente amare Dio. Ma l’amore di Dio per me ha certamente qualcosa a vedere con l’amore del mio prossimo”. In sostanza, posso amare il prossimo senza amare Dio ma non posso amare Dio senza il mio prossimo.
    Sì, solo la carne ci fa giungere a Dio, e sulla carne Boyer ha delle scintille di assoluto bagliore: “Il cammino più breve dell’uomo verso Dio è la carne nella sua debolezza, è l’uomo nella sua perdizione”. Sottintendendo la figura del compassionevole Samaritano riconosce che “il cammino verso Dio è molto lungo, molto lento perché deve passare per tutti quelli che vengono lasciati per strada, abbandonati nel fosso semimorti, senza nome senza abiti. Molto lungo, molto faticoso perché deve passare per tutti quelli che sono malati, che sono esclusi, che sono inquieti. Ma, ci ha ricordato Gesù, non c’è un cammino più breve. Ecco, è anche per questo che amo Gesù”.
    La domanda brutale che Gesù rivolgeva “Per voi chi sono io?”, fa di lui una persona irritante, perché con questa domanda lasciava intendere che lui era ben più di quello che era e che la gente diceva di lui, in realtà “era quell’enigma che ciascuno di noi porta in sé senza saperlo, e da cui dipende forse l’identità di ciascuno. Come se da ciascuno dipendesse l’identità di Dio”. Ponendo la domanda su di sé Gesù pone in verità la domanda su ciascuno di noi, quella domanda che permette di accedere all’enigma della nostra identità: “Come se riconoscere chi è Gesù significasse riconoscere se stessi in profondità, come se significasse forse diventare qualcun altro che si era in attesa di diventare senza saperlo. Qualcuno come Dio”.
    Dichiara ancora di amare Gesù perché tutto quel che ha fatto, l’ha fatto per i malati, a loro “ha sempre dato come ha dato se stesso alla fine. Senza vendersi. Come se lui fosse la somma delle sofferenze, la somma dei fallimenti, la somma delle percosse per niente”. Gesù guarisce consegnandosi a quelli che chiedono “ma dando se stesso a loro occupa il posto di quello che la gente chiede senza sapere quel che vuole”. E occupa quel posto, e non un altro, perché sa bene che Dio ha il suo posto ovunque la gente manchi di qualcosa, e “lo occupa perché sa bene che Dio è la dove nessuno lo chiede, dove nessuno può immaginare che lui sia … è dove nessuno può farlo stare, dove pensiamo che sarebbe meglio non fosse”. È tutto molto semplice per Boyer: “Viene dove siamo. Cioè là dove non pensiamo che venga”.
    In Gesù Dio si ha fatto uomo nel punto esatto in cui si trova l’uomo, fin nella debolezza, fin nella morte per noi. “Passi da me questo calice, se possibile”, prega Gesù, passando attraverso la supplica della vittima e sopratutto qui, nell’ora della passione, della notte, ha indicato in che modo Dio era uomo. Così per Boyer Gesù ha voluto dire chiaramente nella notte che la vera morte di Dio è l’uccisione dei deboli, e “che l’eliminazione dei deboli, dei malati, dei meno di niente, era la morte dell’umanità. Che Dio stesso era questa comunità che muore quando si trascurano o quando ci si sbarazza dei più deboli”.
    In Francia qualche voce cattolica ha dichiarato di essere scandalizzata per l’ultima parte di questo saggio dove Frédéric Boyer innalza l’inno alla necessaria assenza di Dio. La storia non è altro che l’assenza di Dio, la storia non è altro che il grido degli uomini senza Dio: “Se io percepisco Dio assente come tutti lo percepiamo così spesso, questo significa che Dio non sia accanto a me ma che si è consegnato a me”. In definitiva, essere cristiani per Boyer significa credere che per sopportare l’assenza di Dio, di cui tutti alla fin fine ci lamentiamo, abbiamo bisogno di Dio e “il bisogno di Dio sorge così nel momento della sua insopportabile e necessaria assenza”. “Essere cristiani – conclude Boyer – significa dunque credere che Gesù detto il Cristo è Dio quando Dio è assente”.
    Ed ecco giunti all’ultima, definitiva dichiarazione d’amore dell’autore: “Amo Gesù perché non è morto vecchio, perché non è morto saggio, perché non è morto al suo posto, perché risuscitando è restato quel figlio giovane, quel giovane fratello di tutti”. Amore alla giovinezza di Gesù “giovane persino nella morte per oltrepassare la morte con la giovinezza”. C’è per Boyer un nesso inscindibile tra la giovinezza di Gesù e la sua resurrezione. Quell’inquietudine tratto distintivo della giovinezza fa si che “la resurrezione, e solo lei, è l’inquietudine del mondo”.

    (La Stampa - Tuttolibri - 26 Maggio 2023)


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