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    Gesù maestro

    di preghiera

    Carlo Molari

    La teologia ha trascurato la dimensione orante nella storia umana di Gesù, come ho cercato di chiarire nel numero precedente. Di conseguenza è stata anche portata a trascurare l'educazione ricevuta da Gesù in famiglia secondo la tradizione religiosa ebraica, e l'insegnamento svolto da Gesù nella sua vita pubblica in base alla propria esperienza di preghiera.
    Sarebbe certamente errato affermare che nella tradizione spirituale cristiana non ci siano stati riferimenti alle convinzioni di Gesù sulla preghiera ma ogni riflessione, sino a non molto tempo fa, si è risolta in un insegnamento teorico che prescindeva dalla sua testimonianza vitale e quindi non coglieva la ragione di fondo della necessità di pregare. Mentre in realtà il messaggio più profondo del Vangelo relativo alla preghiera deriva proprio dalla pratica di Gesù e dalle sue scelte vitali.

    Educazione alla preghiera

    Gesù ha imparato a pregare ed è stato educato alla vita religiosa sia in famiglia che in sinagoga. Mostra di conoscere bene le preghiere ebraiche e ha famigliarità con i salmi.
    Da adulto, dopo il Bar Mizvà, che forse Luca ha rievocato nell'episodio della sua prima visita al Tempio a 12 anni, la vita di Gesù ha seguito gli stili e i ritmi della preghiera ebraica sia per le feste di pellegrinaggio, sia per la frequenza della sinagoga, sia per le pratiche religiose della vita domestica.
    Quando Giovanni Battista fu imprigionato Gesù prese l'iniziativa di continuare in altro modo il compito del Battista predicando la conversione e la remissione dei peccati. Personalmente però nella sua vita religiosa ha privilegiato lo stile della tradizione famigliare e ha insegnato a praticarla in un clima di silenzio e coinvolgendo l'interiorità o il cuore.
    Spesso nel suo cammino si ritirava da solo, su una montagna o in luoghi solitari, per pregare. I suoi apostoli gli hanno chiesto di essere istruiti sulla preghiera ed egli ha insegnato loro il modo in cui Egli si rivolgeva a Dio. Ciò che conta non sono le parole né l'intenzione di piegare Dio alla volontà delle creature, ma di accogliere il suo progetto e compiere la sua volontà!
    Gesù ha comunicato ai suoi apostoli anche delle formule di preghiera. Le sceglie tra le più semplici come il Kaddish che era un'invocazione di benedizione. L'attuale formula delle comunità italiane dice: «Sia magnificato e santificato il Suo grande nome, nel mondo che Egli ha creato conforme alla Sua volontà, venga il Suo Regno durante la vostra vita, la vostra esistenza e quella di tutto il popolo d'Israele, presto e nel più breve tempo. Sia il Suo grande nome benedetto per tutta l'eternità. Sia lodato, glorificato, innalzato, elevato, magnificato, celebrato, encomiato, il nome del Santo Benedetto. Egli sia, al di sopra di ogni benedizione, canto, celebrazione, e consolazione che noi pronunciamo in questo mondo».
    Quando chiude una sessione di studio e di lettura comune si aggiunge: «Su Israele e sui nostri Maestri, sui loro allievi e sugli allievi dei loro allievi, che si occupano della santa Torà, che si trovano in questo luogo e che si trovano in qualsiasi altro luogo, vi sia, per noi e per voi, pace e grazia e pietà e misericordia e alimento in larghezza da parte del nostro Dio, Signore del cielo e della terra Amen».
    La preghiera insegnata da Gesù è una preghiera tipica ebraica sia nella forma di Luca che in quella di Matteo. Luca scrive: «Gesù si trovava in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: 'Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato a pregare ai suoi discepoli'. Ed egli disse loro: 'Quando pregate dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano e perdona a noi i nostri peccati. Anche noi difatti perdoniamo a ogni nostro debitore. E non abbandonarci alla tentazione» (Lc 11, 1-7). Matteo ha una formula più lunga, utilizzata abitualmente nella preghiera pubblica delle comunità cristiane (Mt 6, 9-13).
    In alcune circostanze, come prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù «alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione» (Mt 14, 19) secondo la tradizione.
    Anche nell'ultima cena «Gesù mentre mangiavano, prese il pane, pronunziò la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: 'Prendete e mangiate: questo è il mio corpo'. Quindi prese il calice, rese grazie e lo passò a loro dicendo 'Bevetene tutti....'».
    La benedizione (Berachà) per il pane ed il vino ogni ebreo la pronuncia in occasione dell'entrata del Sabato, la benedizione del vino termina con l'augurio «Lechayim!» (alla vita!).

    La ragione della preghiera: diventare

    L'insegnamento di Gesù sulla preghiera non consiste solo nell'esempio, o nella proposta di formule ma anche nella indicazione degli atteggiamenti interiori. L'invito è molto chiaro: «Quando tu preghi entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto, e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 6).
    In questa direzione va anche l'invito a non moltiplicare le parole: «come fanno i pagani che credono di essere ascoltati a forza di parole». La ragione semplice: «Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno, prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,8). Non servono parole per accogliere il dono!
    La parabola della casa costruita sulla sabbia e sulla roccia (Mt 7, 24-29) traduce molto bene questa differenza. La casa costruita sulla sabbia può offrire tutti i servizi dell'altra ma non costituisce una unità organica bensì un ammasso provvisoriamente ordinato. In questo senso la preghiera serve per diventare viventi. Nel capitolo 18° del suo Vangelo Luca ha riassunto in modo plastico lo stesso insegnamento riportando la parabola del Fariseo e del pubblicano saliti nel Tempio di Gerusalemme. Ambedue sono saliti per pregare e pregano materialmente in modo esemplare. Anche il Fariseo prega secondo verità: ha digiunato, ha pagato le tasse del tempio, ma torna a casa non giustificato. Ha riconosciuto solo il bene compiuto non ha chiesto la conversione e non è cambiato. A differenza del pubblicano che è tornato a casa giustificato: è diventato nuovo riconoscendo il proprio peccato. Per questo Gesù invita a pregare sempre, con insistenza per-
    ché pregando cresciamo e diventiamo capaci di operare in modo nuovo.

    Efficacia della preghiera

    Più volte Gesù ha richiamato l'efficacia della preghiera parlando con termini usuali della ricompensa di Dio. In realtà si tratta di crescere e diventare persone così da trasmettere energia nuova. Oggi, in prospettiva evolutiva, comprendiamo meglio le necessità e l'urgenza del divenire viventi. Agli apostoli che chiedevano perché non fossero riusciti a guarire il ragazzo epilettico rispondeva: «Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera» (Mc 9, 29). La ragione fondamentale della preghiera, infatti, è il nostro divenire figli di Dio, raggiungere la statura di testimoni dell'amore. Questa è la misura dell'efficacia della preghiera: il nostro divenire. La sequela di Gesù consiste nel vivere il rapporto con Dio «prestando attenzione a Gesù, apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo» (Eb 3, 1) o «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2). Noi siamo nella storia e il riferimento a Cristo glorioso serve per procedere oltre lungo la direzione della via che egli ha tracciato. La preghiera è appunto l'esercizio di fede in Dio che sviluppiamo per diventare capaci di accogliere ed esprimere nella storia la promessa riportata da Giovanni: «farete cose più grandi di quelle che io ho fatto» (Gv 14,12). La ricchezza di vita sulla terra cresce col tempo, e la preghiera è l'esercizio della sua accoglienza perché il male non prevalga. Non è garantito che il bene sulla terra trionfi. Certo, il bene è più forte del male perché il Bene esiste in sé ed è Dio. Credere in Dio infatti, significa ritenere che esiste un Bene assoluto, più ricco di quello che finora abbiamo accolto. La novità di vita è possibile, perché esiste già il bene che viene offerto. Ma il bene deve diventare nostra decisione e nostra azione. Diceva giustamente Don Lorenzo Milani: «sarà urgente pregare quando a tutti sembrerà importante operare» (A. Corradi, Non so se Don Lorenzo, Feltrinelli, Milano 20172, p. 57). La preghiera è appunto l'esercizio che rende possibile la accoglienza e la rivelazione nella nostra esistenza della energia vitale che scaturisce da Dio e in noi diventa forza per cui diventiamo attivamente capaci di forme nuove di giustizia, di fraternità e di pace.

    (Rocca 3/2018, pp. 50-51)


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