Imparare l'umanità
da Gesù
Armando Matteo
La forza della religione cristiana è tutta nella “straordinaria umanità” del nostro Dio, che si rende manifesta nell’esperienza del giovane ebreo di Nazaret. Il Dio cristiano, infatti, visita la nostra storia non attraverso i segni di una gloria potente e irresistibile, ma nella forza disarmante di un bambino, di un giovane e di un adulto che, inserendosi nelle vicende travagliate di un piccolo popolo soggiogato dall’impero romano, insegna la verità dell’umano. E proprio in questa umanità di Gesù i cristiani di ogni tempo sono invitati a scoprire un modello felice per la loro esistenza.
Ogni volta, del resto, che siamo attraversati da domande del tipo “e ora che faccio?”, “ora che dico?”, “ora come mi comporto?”, proprio tali domande confermano la necessità di avere un modello, un riferimento e un metro di misura su cui poter giudicare le nostre decisioni e azioni. E il cristianesimo scommette la sua verità proprio nell’assumere Gesù quale modello di esistenza, quale guida per la vita quotidiana e insuperabile interprete della sempre affascinante e faticosa avventura della libertà. Perciò invita a diventare umani come Gesù. Nessuno ha vissuto più interamente, intensamente e consapevolmente di lui l’avventura dell’umano !
Compassione
Un tratto che emerge nitidamente dall’esistenza di Gesù è la sua profonda compartecipazione a ciò cui gli capita di assistere. L’unico sentimento assente dal vangelo è l’indifferenza, intesa come mancanza di interesse per la vita “dell’uomo della porta accanto”: sia una vita che gioisce, che piange, che esulta, che giudica, che patisce la malattia o la morte, mai Gesù resta indifferente. L’incarnazione è come un abbraccio che si china sul più profondo dell’umano. La vera protagonista della vicenda di Gesù è la sua passione per ogni uomo che viene alla luce e non è un caso che l’unica legge data ai suoi è quella del comandamento dell’amore, unico antidoto ad ogni indifferenza.
In modo anche esplicito, nel vangelo troviamo indicato questo tratto della compassione: «Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!”» (Mt 9,35-38).
La nostra sensibilità, al contrario, normalmente sembra sotto anestesia: per eccitarci, per appassionarci a qualcosa necessitiamo di alcolici o addirittura di assumere farmaci. Siamo quasi tutti anonimamente depressi, e quindi sempre alla ricerca dell’esotico, del “non qui”, che declassano il quotidiano a pura oppressione, a tempo “non libero”, quindi a tempo non proprio, a una schiavitù: sarà un caso il fatto che, a proposito delle ferie, si utilizzi il termine “esodo” estivo? E, non raramente, il tempo (ordinario) diventa un nemico da ammazzare.
Com-promissione
Parlando della sua missione in mezzo all’umanità, Gesù utilizza un’espressione davvero illuminante. Dice: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Per questo la sua parola non è la parola distaccata del maestro o del guru, che dall’alto della loro sapienza spargono insegnamenti a coloro li ascoltano. Gesù avanza nella storia con una promessa: è uno con-promessa; è un compromesso sino in fondo con la causa del regno di Dio. Tale espressione, in un linguaggio più vicino al nostro, non indica altro che la seguente verità: è possibile fare altrimenti, si può essere umani altrimenti.
Nessuno, dice Gesù, è irreversibilmente destinato al peggio, al male, al deforme, al triste, allo stonato. È possibile cambiare, intervenire nella e sulla storia. Noi siamo condannati ad una fame insaziabile di cose davvero belle, davvero piene, davvero gioiose e davvero buone.
Nessuno, per Gesù, è destinato a fare il male, nessuno è destinato a legarsi alle parti peggiori della sua anima, nessuno è privo della possibilità (e della grazia!) di fare il bene, di rendere questo nostro mondo più dignitosamente umano.
In nome di questa causa Gesù non ha risparmiato letteralmente nulla di sé.
E noi, a servizio di cosa mettiamo ordinariamente la nostra esistenza ?
Esposizione
L’ultimo tratto che marca l’avventura umana di Gesù è la sua capacità di esposizione. Essere adulti – è cosa nota – significa essere responsabili delle proprie idee e delle proprie azioni. In questo Gesù è oltremodo esemplare. Alla chiarezza di esposizione del suo messaggio corrisponde il coraggio della sua esposizione per quel messaggio.
Egli si lascia mettere letteralmente in croce: accetta le sfide dei maestri della legge, non si perde d’animo con i suoi discepoli e trova mille modi per dire che la sua vita è tutta un ricordo della più fondamentale rivelazione: «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). E muore pubblicamente esposto agli occhi di una folla stupita e incredula.