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    Il giorno e le stelle

    Epifania e preghiera per l’unità dei cristiani

    Piero Stefani


    Nel 2022, per tutti i cristiani, l’Epifania si prolungherà fino alla seconda metà di gennaio. Non si tratta di una globale rivincita del calendario giuliano. Il motivo è un altro: la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (17-25 gennaio) del prossimo anno sarà dotata di esplicite risonanze epifaniche.
    Il tema scelto dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente è stato infatti individuato nel versetto: «Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2). A motivo della pandemia, il Consiglio, per elaborarlo, ha dovuto affidarsi a incontri on-line avvenuti tra settembre e ottobre del 2020. Anche in questa modalità, Beirut restò comunque il punto di riferimento principale. Svolse quel ruolo in un periodo per più versi drammatico. La tremenda esplosione del porto della capitale libanese (4 agosto 2020; cf. Regno-att. 16,2020,491s), con i suoi 200 morti, le sue migliaia di feriti e le sue decine di migliaia di senza tetto, in quel primo autunno era ancora molto prossima.
    On-line: una necessità imposta a largo raggio dal COVID-19. Per forza di cose, in moltissimi si è diventati familiari con una forma di comunicazione esente da spostamenti spaziali. Ognuno, stando nella propria casa o nel proprio ufficio, è nelle condizioni di collegarsi con persone distanti da lui migliaia di chilometri.
    Vista sotto questo aspetto, è una situazione opposta a quella narrataci in riferimento ai Magi. La loro vicenda è tutta legata a una distanza nello spazio annullata per mezzo di uno spostamento. Scorta nel cielo una stella lontana, i sapienti orientali si muovono sulla terra verso Occidente. Lo fanno al fine di giungere a compiere gesti «in presenza» e a consegnare doni (oro, incenso e mirra) carichi di senso simbolico solo perché dotati di una dimensione materiale.
    La stella avvistata in irraggiungibili spazi siderali sospinge i Magi a lasciare i propri luoghi di residenza. Abramo udì una voce che gli ingiunse di uscire dalla propria terra (cf. Gen 12,1), i Magi invece lo fecero perché videro una luce apparsa nell’oscurità della notte. In tutt’altro contesto anche il Prologo di Giovanni, allorché descrive l’itinerario che condurrà la Parola a farsi carne, prospetta una luce che brilla nelle tenebre (cf. Gv 1,5).
    Tuttavia, nonostante l’arbitrarietà dell’accostamento, rispetto all’Epifania appare, per certi versi, più risonante un aforisma di Franz Kafka: «Chi non crede non vedrà mai un miracolo. Di giorno non si vedono le stelle». Il detto evoca immediatamente la dimensione notturna della fede. Il miracolo sta nel senso attribuito dai Magi al lontano baluginare di una stella. Tanti altri occhi l’avranno di sicuro scorta, solo loro hanno creduto; in virtù di quella fede partirono per cercare il re bambino.
    Il mettersi per via da parte dei Magi è per tutti i credenti simbolo della ricerca di un Dio che ha fatto balenare una luce nell’oscurità. Quel bagliore è sufficiente per aspettare la futura manifestazione divina. Un’attesa che diviene cammino.
    Nell’ambito della fede nessuno si trova ancora nel pieno meriggio. La fiducia sorretta dalla speranza è che il nostro fattivo procedere sia in grado di custodire segni che anticipano il giorno: «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno» (Rm 13,12-13). Se si riesce ad avanzare nel buio, le tenebre non possono che diradarsi.

    La strage degli Innocenti

    Nella presentazione della Settimana di preghiera si legge che la stella è sorta in Oriente così come fa il sole: essa è un segno di salvezza storicamente apparso nella regione che definiamo Medio Oriente. Tuttavia la storia di quell’area è fino a oggi «marcata da conflitti e lotte, macchiata di sangue e oscurata da ingiustizia e oppressione. In tempi recenti, dalla Nabka palestinese (cioè l’esodo della popolazione araba palestinese durante la guerra del 1948)1 la regione è stata teatro di guerre e terra di estremismo religioso».
    Anche la storia dei Magi «contiene molti elementi tenebrosi come, ad esempio, l’ordine dispotico di Erode di massacrare tutti i bambini (cf. Mt 2,16-18)». Gli astri non sono coinvolti nelle vicende umane, i bimbi sì. Il piccolo Gesù riceve l’adorazione dei Magi, ma poi deve cercare la salvezza fuggendo in Egitto. Ad altri bambini non sarebbe stata concessa questa possibilità. Il rovescio della medaglia dell’Epifania è la strage degli Innocenti. La Chiesa ne fa memoria prima (il 28 dicembre), dovrebbe ricordarli dopo. O forse potrebbe commemorarli nello stesso giorno, come nel grande quadro del Ghirlandaio nel fiorentino Ospedale degli Innocenti: nella capanna accanto ai Magi vi sono anche questi bambini segnati dal sangue (cf. Regno-att. 2,2011,65).
    Gli innocenti sono i santi che ricordano a tutti come, in una storia non ancora redenta, anche gli atti più nobili e alti hanno, troppo spesso, come contropartita l’esistenza di un’inaccettabile violenza interumana. La visita dei Magi involontariamente funge quasi da innesco per una violenza omicida. In effetti la strage degli Innocenti simboleggia un aspetto più comune ma, almeno per certi versi, anche più inquietante della pagina sacra del martirio.
    Se i Magi non avessero rivelato a Erode il motivo del loro viaggio, i bimbi non sarebbero stati uccisi. Se nel leggere i Vangeli si privilegiasse l’attendibilità storica, alla strage degli Innocenti si dovrebbe attribuire poco valore; il discorso risulta ben diverso quando la fattualità è posta a valle e non a monte del testo. Ciò avviene allorché la narrazione diventa simbolo di quel che accade realmente. In tal caso l’incontro tra i Magi ed Erode sta a significare quanto nell’esperienza concreta è dato di costatare a più riprese; nell’ambito sia generale sia individuale, troppe volte azioni compiute a fin di bene sono infatti insidiate da esiti negativi, sia pure il più delle volte, per fortuna, non tragici.

    Il bene e il male si mescolano

    Nella condizione di vita, il dritto ha sempre un suo rovescio e la luce è costantemente circondata da un alone d’ombra. Nell’esistenza umana la zizzania è frammista al grano più di quanto non avvenga nella parabola evangelica, dove è il nemico esterno a seminarla (cf. Mt 13,24-30). Capita che sia proprio il buon seme a dare l’occasione che, accanto a lui, prosperi inopinatamente un’erbaccia maligna.
    Il bimbo di Betlemme adorato dai Magi non è salvaguardato dall’ambivalenza. Non lo è per il valore simbolico attribuito alla mirra che anticipa la sua sepoltura, ma ancor di più non lo è per il fatto che la minaccia incombe pure su di lui.
    La salvezza gli venne attraverso la fuga. È una dinamica che, per via di terra, ricorda quella che, sulle acque, fu della piccola arca messa tra i canneti del Nilo per cercare di sottrarre alla morte il bimbo Mosè (la critica biblica è certa che le vicende collegate alle minacce del faraone dirette ai neonati ebrei siano sottotesti imprescindibili per comprendere avvenimenti legati all’infanzia di Gesù).
    La fuga intesa come via per sottrarsi a un pericolo incombente o per cercare condizioni di vita meno precarie è presente, come realtà e non già come simbolo, pure nei nostri giorni. Di frequente, a differenza di quanto avvenne per Gesù, Giuseppe e Maria, non è tutto il nucleo familiare, grande o piccolo che sia, a riuscire a spostarsi verso luoghi sicuri. Abbiamo ancora davanti agli occhi bimbi afghani affidati a mani ignote all’aeroporto di Kabul. È caso non isolato, in molte altre circostanze storiche solo qualche membro della famiglia riuscì a scampare.
    L’Epifania, solennità che rievoca la rivelazione di Gesù Cristo alle genti, è solennità grande. Nella presentazione della Settimana di preghiera si legge che, mentre in Occidente prevale il Natale, «per molti cristiani d’Oriente, la più antica, e ancora principale festa, è invece l’Epifania, ossia quando la salvezza di Dio (...) fu rivelata alle nazioni». Giusto.
    Eppure, scavando in alcuni dei possibili significati connessi al 6 gennaio, vi si scorge quanto sia adeguata la simbologia che lo lega a una stella scorta soltanto perché c’erano le tenebre. Da duemila anni l’autentica speranza dei credenti nel Signore Gesù Cristo rimane sempre quella di una notte che volge al suo termine e di un giorno che si avvicina. A guidarci è ancora una stella.

    NOTE

    1 Cf. A. Goldberg, B. Bashir (a cura di), The Holocaust and the Nakba. A New Grammar of Trauma and History, Columbia University Press, New York 2019.

    (Il Regno, 22 dicembre 22)


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