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     Alla scuola dei Salmi

    André Louf


    L
    a preghiera cristiana non nasce in primo luogo da un bisogno che l'uomo avrebbe di rivolgersi a Dio, ma deriva piuttosto dal fatto che un giorno Dio si è rivolto all'uomo. Questa parola di Dio all'uomo presiede a ogni preghiera. Dio prende l'iniziativa. Spetta all'uomo farsi attento e accogliente nella gioia e nell'azione di grazie.

    Ora, la Scrittura lo attesta, Dio ha parlato agli uomini "molte volte e in diversi modi" (Eb 1,1). Tuttavia, non si è accontentato di pronunciare e d'ispirare le parole che voleva dire agli uomini, ma egli stesso ha formulato le parole che voleva ascoltare da loro quando avessero risposto al suo appello. Ecco cosa significa la presenza della preghiera dei salmi nel canone biblico.
    Questo potrebbe stupire a prima vista. La preghiera non è forse essenzialmente parola che l'uomo rivolge a Dio? Questa preghiera invece, per il fatto di appartenere alle Scritture, sembra essere riconosciuta principalmente come una parola di Dio, una parola che egli stesso ha deposto nel cuore e sulle labbra dell'uomo.
    Cristiani ed ebrei dispongono quindi di una scuola e di un metodo di preghiera che vengono loro direttamente dallo Spirito di Dio, perché incorporati nella parola scritta di Dio e a questo titolo ispirati dal suo Spirito. Privilegio e fortuna unici! Esiste forse un popolo il cui Dio si renda così meravigliosamente vicino come il nostro, che ha voluto donarci le parole stesse della nostra preghiera?
    Ma allora in che senso Dio è autore del Salterio? E com'è avvenuto che questa preghiera, inizialmente ebraica, sia divenuta anche quella della chiesa e di ogni cristiano che presta a essa la propria voce? E come può ogni singolo credente entrare in questa preghiera, per farla propria a sua volta? Sono questioni che c'interpellano, specialmente in questo tempo, che s'interroga sulla preghiera e sulle tecniche di raccoglimento che a essa conducono.

    La nascita di un salmo

    È importante ritornare su ciò che ho appena detto: in un primo momento c'è stato Dio che ha rivolto una parola all'uomo. Senza questo primo passo, che ha indiscutibilmente il primato, non ci sarebbe mai stata preghiera. Dio prende l'iniziativa. La sua Parola bussa al cuore dell'uomo; non immediatamente la Parola quale è stata messa per iscritto nelle sacre Scritture, ma dapprima quella Parola che è l'Evento assoluto: il suo intervento onnipotente e pienamente efficace nella storia di salvezza, in quella delle chiese e in quella di ogni destino individuale. Anche coloro che vivono completamente estranei a ogni parola della Bibbia sono raggiunti in un modo o nell'altro dalla forza della parola di Dio.
    Tuttavia, abbandonato a se stesso, il cuore dell'uomo non sa come lasciarsi penetrare dalla Parola. Non può che presentarle il muro della sua cecità, un'assenza totale di sensibilità al timbro di quella voce. Del resto, spesso in un primo tempo la parola di Dio è assordante. Sembra quasi sia essa a rendere sordo o cieco colui a cui si rivolge, molto semplicemente perché non può fare a meno di svelarne la sordità congenita.
    Ma non si limita a questo! La parola di Dio è sempre creatrice e sovranamente efficace, porta con sé la potenza necessaria per vincere ogni resistenza dei cuori. Da lei stessa erompe la luce grazie alla quale l'uomo potrà conoscerla. Dunque non si accontenta di bussare al cuore, ma apre anche una ferita. Sconvolge il cuore di colui che interpella e lo rende vulnerabile: "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito" (Eb 4,12). Sì, ogni uomo tutt'a un tratto può essere consegnato all'onnipotenza della Parola. Anche a nostra insaputa, noi siamo tutti continuamente esposti a essa. Ma questo perché?
    Se la parola di Dio ci ferisce, è per condurci progressivamente verso una conversione e un'autentica "ricreazione". Essa penetra attraverso la debolezza per riempirla della sua forza. Prima denuncia il nostro peccato per poi ricolmarci di perdono e misericordia. Si spinge ancora più in là: viene ad abitare in noi.
    La parola di Dio s'impadronisce del cuore dell'uomo affinché questi possa a sua volta impadronirsi della Parola. Essa viene a dimorare nel cuore, affinché il cuore finisca per dimorare nella Parola. A poco a poco il cuore ne fa il suo nutrimento esclusivo, la rumina instancabilmente, l'assimila e si trasforma in essa. Ci è necessario un lungo e paziente ascolto della parola di Dio, e poco alla volta il gusto di essa penetra in noi, la sua forza, dolce ma irresistibile, ci trascina e ci mantiene impercettibilmente nel suo campo di energia. Il cuore e la ragione ne escono purificati. Tutti i desideri si trovano come unificati per coniugarsi con il desiderio di Dio di cui la Parola diffonde la gioia contagiosa. È così che la parola di Dio, a lungo frequentata, ricrea in modo autentico colui che si applica ad ascoltarla. Ed ecco che già si prepara una nuova effusione.
    Da questa lenta assimilazione, da questa reciproca compenetrazione del cuore e della Parola, un giorno sono nati i salmi. Da un cuore che, a forza di ascoltarla e di lasciarsi attraversare da essa, era stato potremmo dire identificato alla Parola al punto da diventare Parola a sua volta. Sono nati da un cuore fecondato dalla Parola, che ha partorito a sua volta, irresistibilmente, una nuova Parola, Parola che è stata nel contempo la propria e quella di Dio: "Dal mio cuore sgorgano parole di bellezza" (Sal 45,2). Era nato il salmo.
    Al tempo stesso frutto del cuore dell'uomo e frutto dello Spirito di Dio. Frutto dell'uomo perché rifletteva l'esperienza che questi aveva appena vissuto nel suo cuore. E frutto dello Spirito di Dio perché quest'esperienza vi era stata dischiusa e incessantemente guidata proprio dalla parola di Dio. Era la stessa parola di Dio, ispirata dallo stesso Spirito di Dio, che portava un nuovo frutto attraverso il cuore di un credente. Una preghiera d'uomo, nata dalla parola di Dio, ma che finisce per diventare Parola essa stessa. Una parola di Dio che ritorna a Dio, ma non senza aver dato il suo frutto più prezioso: la preghiera dell'uomo.
    Processo vivificante di cui un esempio, forse il più toccante, ci viene lasciato da colei che prega al cuore del popolo ebraico e alle soglie della chiesa: Maria che canta il Magnificat. Questo canto meraviglioso le appartiene e al tempo stesso non le appartiene. È sì frutto del suo cuore, così come Gesù era frutto del suo seno. Ma è ancor più frutto della Parola, come Gesù era in primo luogo il generato dal Padre. Tutte le parole del suo canto le provengono dalla ruminazione instancabile delle Scritture. E tuttavia il suo canto non è per questo un banale plagio. Anzi al contrario, è interamente traversato dall'esperienza inaudita che Maria ha appena fatto, lei che ha concepito per opera dello Spirito santo. E sgorgato dal suo cuore ricolmo di Spirito santo e dal suo cuore gravido della speranza di tutti i popoli. E preghiera autentica, suscitata dalla parola di Dio e che esprime il mistero che essa ha appena vissuto. Nello stesso tempo una preghiera di questo tipo è anche preghiera ecclesiale. Sulle orme della Vergine, la chiesa intera potrà per sempre riconoscersi nel Magnificat. Accanto agli altri salmi della Bibbia, il canto della Vergine era destinato a diventare la grande preghiera di azione di grazie e di lode di tutti i salvati.

    Una poesia orante

    La parola di Dio che risuona nei salmi non è del tutto simile alla parola di Dio che troviamo altrove nella Bibbia. I salmisti diranno che essa è divenuta canto, esultanza, danza, battito di mani. Essa scorre in un certo vocabolario, talora misterioso e arcaizzante. Sposa un ritmo particolare e richiede spesso qualche accompagnamento strumentale. Semplificando un po' le cose, oggi diremo che la parola di Dio nei salmi si è fatta poesia.
    Non è senza importanza per la preghiera cristiana che questa abbia avuto origine da una parola poetica. Ciò che abbiamo appena detto sul modo in cui la parola di Dio ferisce il cuore dell'uomo per suscitarvi la preghiera, ci orientava già verso un'esperienza di tipo poetico. La parola di Dio non si rivolge solo all'intelligenza cosciente dell'uomo; essa lo coinvolge nella sua totalità, ivi comprese tutte le profondità del suo inconscio, nel senso più ampio del termine. Essa non comunica soltanto una verità, ma ci mette di fronte alla Bellezza assoluta. Una parola così vicina allo splendore di Dio, così gravida di Spirito, non poteva che fare ricorso alla poesia. Come farà anche la preghiera.
    Ogni parola umana è portata da un mistero. Nata dal cuore e dal "soffio" dell'uomo, essa veicola una certa esperienza umana che è in grado di trasmettere ad altri. Può risuonare in registri differenti e molteplici. Se la parola umana diventa poesia, allora dispiega il massimo delle sue potenzialità.
    Nel linguaggio di tutti i giorni e ancor più nel vocabolario preciso degli scienziati e dei filosofi accade che la forza evocatrice della Parola venga ridotta a un'univocità indispensabile per la chiarezza dello scambio, ma che resta inevitabilmente alla superficie dell'essere umano. La poesia al contrario, come l'amore, restituisce alla parola tutte le sue armoniche. La parola poetica investe colui che l'ascolta a tutti i livelli del suo essere. Essa non è più soltanto concetto, ma anche luce, calore, musica, colore, ebbrezza, nostalgia, sentimento ineffabile dell'umiltà delle cose, degli esseri e dell'infinito, che essi tentano di raggiungere. Ogni parola in essa è carica di una vita intensa, di una pienezza di senso e di sentimento che è in grado di condividere con tutti quelli che si abbandonano alle sue vibrazioni nel raccoglimento e nell'attenzione.
    Forse era necessario che la preghiera che sgorga dal cuore del salmista si esprimesse in una parola poetica. Ed era necessario che il salmista fosse poeta. Lo Spirito di Dio aveva creato la preghiera nel suo cuore. E per diffonderla sarebbe anche lui diventato a sua volta creatore, poietés, nel senso più forte del termine: poeta. Giacché in questo ogni poeta è vicino a Dio, che ha creato tutto mediante la sua Parola: anche il poeta è chiamato a perfezionare la creazione rivelando, con l'aiuto di tutte le potenzialità della sua parola, il senso nascosto ed eterno dell'universo che egli canta.
    Entrare nella preghiera dei salmi significa essere colpiti dal movimento poetico e creativo che si sprigiona a partire dal salmo, movimento che non procede soltanto dallo spirito di un poeta terreno, ma è dovuto principalmente allo Spirito di Dio, che ha preso possesso del poeta. Lo spirito di un uomo, fors'anche poeta, conosce solo le profondità dell'uomo. Lo Spirito di Dio, al contrario, scruta tutto, perfino le profondità di Dio. Ora è proprio questo lo Spirito che noi abbiamo ricevuto, "lo Spirito di Dio,, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato" (iCor 2,12). E lo stesso Spirito di cui Paolo altrove dice che nell'ora della preghiera viene in aiuto alla nostra debolezza, giacché noi non sappiamo come pregare ed è lui che, dentro di noi, intercede per noi con gemiti inesprimibili (cf. Rm 8,26). Così, attraverso la parola poetica del salmo, siamo alla fine afferrati dallo Spirito di Dio e introdotti nella preghiera che egli stesso pone incessantemente nel nostro cuore.

    Gesù salmista

    In questo stesso modo è nata la preghiera di Gesù. Essa riveste una grande importanza per noi, perché è la preghiera del nostro sommo sacerdote: colui che nella sua umanità era chiamato a ristabilire il grande dialogo liturgico che univa incessantemente cielo e terra prima della caduta di Adamo, ai tempi in cui Dio conversava ancora familiarmente con le sue prime creature.
    Che Gesù abbia pregato e abbia pregato con le parole del Salterio, l'evangelo lo ricorda spesso. Questo suo pregare non stupisce se si ricorda il legame d'intimità veramente essenziale che, al cuore della Trinità, unisce il Verbo al Padre. E che questa comunione arrivasse poi a tradursi nella preghiera di Gesù era prevedibile fin dall'istante nel quale il Verbo, incarnandosi, aveva assunto una natura umana. Ma quando invece riflettiamo sul modo, sorge una domanda: Gesù ha dovuto imparare a pregare, così come ha dovuto imparare a obbedire (cf. Eb 5,8), per esempio? Bisogna senza esitazione rispondere affermativamente a questa domanda, ricordando come un evangelista abbia descritto la preghiera di Gesù con le immagini della lotta e dell'agonia (cf. Lc 22,44). L'umanità di Gesù era simile alla nostra, ostacolata dalle conseguenze del peccato, sul quale egli era venuto a trionfare. Secondo il Nuovo Testamento Gesù era nella condizione di essere tentato come noi, in tutto simile a noi, eccetto il peccato (cf. Eb 4,15). Il suo cuore avrà trovato difficile pregare, così come la sua volontà fu messa alla prova prima di sottomettersi alla volontà del Padre (cf. Lc 22,42). E tuttavia Gesù, per la dinamica stessa dell'incarnazione, era destinato a diventare un segno fondamentale e unico della preghiera, era chiamato a fondare la preghiera in un modo nuovo, fino alla fine dei tempi.
    A Gesù non è stata trasmessa una preghiera già pronta, senza che dovesse far fatica. Faceva parte dell'opera della redenzione. Egli ha dovuto conquistarla con un'aspra lotta, sia per se stesso in un primo tempo, che per noi, dopo di lui. La preghiera di Gesù è stata dunque pasquale e salvifica. Grazie a essa, Gesù apre un cammino nel proprio cuore di uomo, un cammino nel cuore dell'umanità, attraverso il quale la parola di Dio potrà penetrare per essere restituita al Padre in salmi e in preghiera. Per fare questo, sulle orme di tutto il popolo ebraico e alla testa del popolo della nuova alleanza, Gesù si è dovuto mettere alla scuola dei salmi. Egli è andato a porsi al centro del dinamismo dello Spirito che li anima. A forza di mormorare e ruminare i salmi, il suo cuore ha finito per esserne ferito, perché in questa ferita del suo cuore di uomo, chiamato a divenire sorgente di una preghiera nuova, potesse abitare e trasparire la pienezza dell'amore del Padre.
    Attraversando il cuore e la bocca di Gesù, il salmo ha superato una tappa decisiva, dalla quale è uscito ricreato e trasformato. Così come Gesù ha assunto tutta la natura umana con le sue debolezze, per essere in grado di salvarla nella sua integralità, allo stesso modo ha anche assimilato la totalità della preghiera del Salterio affinché, nelle stesse parole, ma attraverso il suo cuore, nascesse la meraviglia della preghiera cristiana, quella che esprime ormai la piena maturità dell'uomo adulto in Cristo, sicuro di essere gradito al Padre.
    Perciò, nella preghiera di Gesù, la forza poetica e creativa della parola di Dio nel salmo giunge a un compimento definitivo. Diventa parola della nuova creazione, inno incessante dei cieli nuovi e della terra nuova, salmo della liturgia celeste, eco sulla terra della preghiera del sommo sacerdote che incessantemente celebra e intercede per noi al cospetto del Padre (cf. Eb 7,25).

    La preghiera cristiana

    È proprio attraverso i salmi pregati da Gesù che è nata la preghiera cristiana. In Gesù un cuore d'uomo si è fatto interamente trasparente alla Parola ed è stato investito da essa. Il cuore umano del Verbo di Dio è divenuto il ricettacolo naturale della Parola, il tempio interiore dal quale questa stessa Parola sarebbe sgorgata in liturgia nuova, dal quale la preghiera pasquale della chiesa e dell'umanità intera continua a diffondersi incessantemente.
    Nel dialogo della creatura con il suo Dio, Gesù inaugura ora un registro d'infinita tenerezza che solo il Figlio in persona poteva svelare. Dio non è più soltanto il creatore, il Signore degli eserciti, la roccia inespugnabile o il baluardo della salvezza, quale lo cantano i salmi. Ormai è molto semplicemente il Padre che è nei cieli, la cui meravigliosa vicinanza ci viene offerta in Gesù.
    Questa preghiera conosce ancora l'esplosione di lode e di benedizione davanti alle meraviglie della salvezza, ma non deve più soltanto commemorarle nell'azione di grazie: le provoca e ne affretta la venuta (cf. 2Pt 3,12) a causa dell'amore che suscita: Sia santificato il tuo nome.
    Essa celebra anche l'avvento definitivo del regno di Dio, già inaugurato nella passione e nella risurrezione del Figlio, e ancora da portare a compimento nel giorno in cui l'intero universo gli sarà sottomesso: Venga il tuo regno.
    Essa scorge già il libero dispiegarsi dell'amore di Dio che riempie l'universo, fino a che sia pienamente portato a compimento il disegno di misericordia: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.
    Si fa carico dell'intercessione per tutte le necessità degli uomini, affinché siano esauditi giorno per giorno nella piena sottomissione a un Padre che dona a ciascuno secondo le sue necessità: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
    Umilmente, questa preghiera offre lo stesso pentimento che risuonava già per tutto il Salterio come invocazione e abbandono alla misericordia di Dio, ma ormai legato al perdono e alla misericordia che il comandamento nuovo di Gesù instaura tra tutti i credenti: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
    Fa nuovamente risuonare il grido di sgomento di fronte alla prova che Dio offre a tutti i suoi fedeli, e nella quale ormai il Figlio ci ha vittoriosamente preceduti: Non indurci in tentazione.
    Supplica di poter trionfare sul male e su tutti i nemici, per entrare così nel trionfo pasquale di Gesù che ha preso su di sé definitivamente, rendendole ormai superflue, tutte le maledizioni di un tempo: Liberaci dal male.
    Perciò Gesù insegna ai suoi discepoli, al termine di una notte trascorsa interamente nella lode e nell'intercessione, una preghiera nella quale non fa che riprendere, approfondendoli con la sua personale esperienza di Figlio, gli stessi sentimenti che avevano fatto vibrare i salmisti di un tempo. Meraviglioso compendio del Salterio ebraico ridotto ai suoi temi essenziali, le invocazioni del Pater sviluppano e accompagnano, come un sottofondo, la salvezza che Gesù sta per operare e alla quale tutti i cristiani sono invitati dopo di lui, riprendendo la stessa preghiera nel loro cuore.

    Imparare a pregare

    In molti casi basta incontrare un giorno un autentico uomo di preghiera perché nasca un irresistibile desiderio di pregare. Oggi sembra siano numerosi quelli che portano questa ferita nel cuore, quest'inclinazione oscura ma insistente: chiamiamola un'attrazione per la preghiera. E già un primo appello dello Spirito nel cuore del credente che lo spinge ad abbandonarsi a una corrente misteriosa, il cui senso e orientamento s'intravvedono appena. Quest'attrazione porta con sé una certa facilità per il raccoglimento, una spontanea rinuncia a tutto ciò che potrebbe distrarre colui che crede dalla sua attività, che è tutta a livello interiore e profondo.
    Ma abbandonarsi senza discernimento a questa corrente interiore non è sufficiente perché sgorghi una preghiera veramente cristiana. Gesù, nostro sommo sacerdote e salmista, deve ancora intervenire in qualche modo. L'attrazione dev'essere riconosciuta, identificata, assunta dalla potenza spirituale della parola di Dio e, in particolare, da quella Parola fatta preghiera che ci viene presentata nel Salterio. Ogni attrazione per la preghiera passerà in qualche modo attraverso la parola di Dio prima di raggiungere in noi, immancabilmente, la preghiera di Gesù e i gemiti del suo Spirito. Preghiera dapprima passata al vaglio della parola di Dio, purificata, ma ben presto anche assunta da essa e animata dal suo soffio vivificante, che sgorga dalla potenza stessa di Dio. Dunque ancora oggi, a ogni discepolo che gli chiede come pregare, Gesù offre il Salterio.
    La parola del salmo incontra il cuore del credente nel momento in cui questi si apre alla preghiera. Non si tratta di un processo meramente intellettuale, per il quale sarebbe sufficiente un'analisi razionale del Salterio, per affidarne poi i temi a una riflessione più approfondita. Siamo piuttosto di fronte a una tecnica puramente spirituale che gli antichi hanno conosciuto con il nome greco di meleté, in latino meditatio. Ora, l'oggetto per eccellenza di quella meditatio spirituale, di quella lenta ruminazione nello Spirito santo, per loro era proprio il Salterio. Oggi è urgente riscoprire questa tecnica.
    Questo si ricollega in parte con le esigenze di una lettura poetica del Salterio, indispensabile già a livello letterale, dal momento che tale preghiera è espressa in forma altamente poetica. Tanto più che questa potenza poetica del salmo, come abbiamo visto, è interamente al servizio della potenza creatrice dello Spirito santo. Attraverso il salmo lo Spirito è diventato il principale poeta della preghiera.
    Per entrare nella preghiera dei salmi, una qualche forma di lettura poetica si rivela dunque indispensabile. Solo una sintonia con il Soffio che ha creato il salmo, che continua a vibrare nei suoni, nella musica delle sillabe, nel ritmo delle parole e dei versetti, nella vivacità delle immagini, può aprirci alla densità che vive nel salmo. Viene così sollevato il delicato problema della traduzione dei salmi in lingue il cui spirito è inevitabilmente estraneo a quello della lingua del Salterio.
    Il lavoro degli esegeti si rivela qui d'importanza capitale. Tuttavia non basta, malgrado la loro competenza. Perché, trattandosi di un salmo, la sua lettura poetica coincide in gran parte con la sua celebrazione nell'assemblea liturgica. Infatti molti salmi devono la loro origine alle celebrazioni cultuali dell'antico Israele. E Gesù stesso, prima di fare del Salterio la trama della sua preghiera personale, ha imparato a conoscerlo nelle assemblee sinagogali o in occasione delle celebrazioni al tempio di Gerusalemme. La poesia dei salmi, nella maggior parte dei casi, non può essere pienamente valorizzata al di fuori di una liturgia. Essa presuppone una celebrazione.
    Il rinnovamento liturgico è stato sensibile al carattere unico di ogni salmo e alla forma in cui poteva essere valorizzata, in una celebrazione, la sua particolare carica poetica. E a giusto titolo. Ci si è del resto largamente ispirati alle tecniche tradizionali del-la salmodia che, in tutte le chiese e in tutti i riti, avevano saputo creare un clima adatto a liberare tutta la potenza spirituale delle parole utilizzate.
    La caratteristica principale di queste tecniche di salmodia consiste nel loro potere d'interiorizzazione. La densità evocatrice dei simboli utilizzati dal salmista viene messa in risalto per promuovere e accelerare una progressiva penetrazione del senso profondo del salmo all'interno della coscienza comunitaria e individuale. La celebrazione liturgica favorisce una ruminazione collettiva del salmo, che ne libera la pienezza del sapore per nutrire i cuori interiormente e lasciare che si effondano in silenziosa esultanza dinanzi al Signore. Per sua natura, il salmo dovrà essere cantato, e questo linguaggio sonoro accompagnarsi a qualche gesto. La cantilena salmica è però sempre discreta, il gesto estremamente sobrio, quel tanto che basta perché i mezzi dei quali la poesia dispone - immagini, suoni, ritmi - dispieghino tutta la loro potenzialità e penetrino dolcemente nel cuore di colui che prega. Come ogni poesia, anche ogni salmo ha il suo aroma inebriante; e raggiunge e mette in vibrazione chiunque gli presti orecchio.
    In questo modo il salmo può essere ripetuto instancabilmente. Tende anzi a esserlo, dal momento che il cuore è stato toccato dal sottile incanto del suo flusso di preghiera. È così che il salmo si ripercuote, in echi incessanti, per tutto il tempo di cui si dispone. Lo si riprende istintivamente. A poco a poco il salmo arriva a scandire la durata del tempo: la notte lo ripete al giorno e le ore se lo ridicono fra loro. Così si creano spontaneamente delle pause di preghiera lungo i giorni e le notti, tentativi incessantemente rinnovati di vincere la successione del tempo e di sfociare nell'eterno presente di Dio.
    In realtà è già il tempo di Dio che traspare attraverso l'opera del suo Spirito nel salmo. Infatti, per chi si abbandona a essa, la potenza poetica del Salterio fa entrare in un ritmo divino, il ritmo del Dio che suggerisce la preghiera all'uomo. Potere inebriante del salmo che rapisce i suoi poeti in vista della sobria ebbrezza della preghiera.
    A un dato momento della celebrazione il sapore del salmo, dopo aver raggiunto il cuore di colui che prega, si unisce alla preghiera incessante che lo Spirito santo proferisce con gemiti inesprimibili (cf. Rm 8,26). In quell'istante nasce in noi la preghiera. La parola del salmo tocca il nostro cuore. Questo contatto è il frutto della potenza poetica della parola di Dio che viene a noi dall'esterno. Ma è anche la traccia del movimento dello Spirito che, all'interno del nostro cuore, reagisce alla Parola, la riconosce, la fa sua, le dà voce, per far fiorire all'esterno un'intercessione rimasta veramente ineffabile fino ad allora. Al momento dell'incontro tra i due, la preghiera, irresistibile, sgorga in noi. Il salmo venuto dall'esterno diventa in piena verità il nostro salmo. Lo Spirito santo che intercede nel nostro cuore diventa in piena verità la nostra preghiera. Tramite la Parola divinamente poetica del salmo ecco che il nostro cuore ha dato il suo frutto.

    Il silenzio di lode

    Questo mistero si rivela grazie a una certa qualità di silenzio. Per questo il silenzio fa necessariamente parte di una tecnica spirituale della preghiera. D'altronde ha ritrovato con grande naturalezza il suo posto anche nelle celebrazioni comunitarie della liturgia postconciliare. E il suo ruolo vi è essenziale: momento di pausa e di riposo in mezzo al moltiplicarsi delle parole, il silenzio facilita l'incontro tra il testo del salmo e il cuore di colui che prega. E importante preservarne tutta la densità. Non è solo assenza di ogni rumore esterno - eventualmente anche sospensione di ogni sottofondo musicale -, ma è soprattutto cessazione di ogni pensiero, immagine o sentimento suscettibili di accaparrare o di distrarre a loro profitto l'energia spirituale della Parola. Il tempo dell'analisi concettuale o della riflessione logica appartiene allora strettamente al passato. E giunto quello di una pacifica ruminazione della Parola in un'attenzione nuda, vuota di concetti e di desideri, il cuore in stato di veglia e profondamente disponibile a ogni impulso dello Spirito. Verginità interiore per la quale non dovrebbe essere troppo alto il prezzo da pagare, tanto è indispensabile alla Parola perché possa fecondare i cuori e portarvi un frutto che rimane.
    Dopo aver percorso questo silenzio, si può ritornare alla parola del salmo, ma la preghiera del Salterio a questo punto è profondamente mutata. Il salmo non è più offerto soltanto dall'esterno, non c'è quasi più bisogno di uno sforzo per addentrarvisi. Poiché ora è dall'interno, dall'interiorità personale di colui che prega, che il salmo scaturisce. E sempre lo Spirito santo, certamente, che ispira le stesse parole di un medesimo salmo, ma il suo soffio attraversa ormai la carne e il cuore dell'orante. La sostanza del salmo è divenuta la sostanza propria di quest'ultimo. Egli è salmista a sua volta, canta il salmo come se lo componesse di nuovo, sulle orme dei grandi ispirati dell'Antico Testamento e di Gesù stesso. Trascrive i salmi nella propria vita e tutta la sua esperienza può essere tradotta in salmi. E anzi, in un certo senso, egli stesso ispirato, sia che ripeta le parole di salmi già noti, sia che ne componga di nuovi - perché no? -, attingendo, come fece la Vergine in preghiera, al sostrato comune della tradizione o alle profondità del proprio cuore: "La parola di Cristo dimori tra voi in tutta la sua ricchezza ... cantate a Dio nei vostri cuori la vostra riconoscenza con salmi, inni e cantici ispirati dallo Spirito" (Col 3,16).
    Potrà accadere che il salmista ritorni al suo silenzio e anzi che preferisca rimanervi. È forse questo che alla lunga deve succedere... Tale evoluzione non deve sorprendere. Con il tempo, la varietà delle parole del Salterio non è più necessaria, non perché siano ora di peso, ma perché hanno già portato il loro frutto. Esse si sono condensate in poche parole, a volte in una sola parola,
    ma una parola fondamentale, una di quelle parole infinitamente ruminate in cui si riassume tutta la "buona notizia" della salvezza e tutta la risposta dell'uomo in preghiera. Da "decacorde" (cf. Sal 92,4), qual era all'inizio, il canto della preghiera è divenuto monocorde. Questa può alla fine trovare il suo compimento solo in quella monotonia sacra che ci proietta incessantemente
    nell'unica cosa necessaria: la tenerezza di Dio.
    Il silenzio è allora divenuto lode. E se rimane ancora una parola, il solo Nome di Gesù nostro salvatore è sufficiente, il Nome benedetto, instancabilmente invocato, di colui che è interamente a lode di Dio Padre (cf. Fil 2, I l).

    (Fonte: Articolo pubblicato in Christus 96 (1977), pp. 419-431, ora in La vita spirituale, Qiqajon 2001, pp. 71-86).


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