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    1. Il “senso” di un progetto-in-azione (cap. 1 di «Progettare la pastorale giovanile oggi»)


    (da: Giuseppe Ruta: Progettare la pastorale giovanile oggi, Elledici 2002)

    Questa prima parte intende focalizzare i motivi che spingono oggi ogni istituzione educativa e pastorale a formulare un progetto e a coglierne quanto più possibile il “senso complessivo” in vista di un’azione coordinata, organica e sistematica. Nutre anche la pretesa di stimolare le motivazioni interne degli animatori a misurarsi in quest’impresa che non può essere considerata un “optional”, ma un’esigenza imprescindibile. In riferimento al progetto di Dio (con le sue esplicitazioni teologiche: Regno di Dio, rapporto Chiesa-mondo…), ogni pianificazione pastorale non è mai pura impresa tecnica, né semplice atto spirituale, ma mediazione che sa sintonizzarsi continuamente nella lunghezza d’onda dell’incarnazione cristiana.

    L’uomo e i suoi “progetti” nella storia

    La capacità a progettare e l’attitudine a pianificare la propria azione contraddistinguono l’uomo da tutti gli altri esseri. Ne fa fede lo sviluppo progressivo che tali competenze hanno assunto nella storia della sociocultura. Le testimonianze in merito sono innumerevoli e sotto gli occhi di tutti.

    Se per gli animali, ad esempio, la capacità d’adattamento e di costruzione del proprio habitat è rimasta pressoché invariata nel tempo, l’uomo ha affinato man mano la sua arte progettativa. Dalle caverne ai grattacieli: a nessuno sfuggono le grandi mutazioni registrate nell’edilizia. Senza esprimere un giudizio positivo o negativo sul progresso umano in questo o in altri campi, ci limitiamo a costatare che la sensibilità progettuale odierna trova le sue radici nella costituzione fondamentale dell’uomo, in quanto “progettatore”, della sua esistenza sin dalla sua remota origine e riflessa negli effetti molteplici disseminati lungo tanti secoli di storia.

    A partire dal campo ingegneristico ed architettonico, è possibile generalizzare. Insieme a grandi trasformazioni ambientali, vi sono state modifiche nell’uomo riguardo alla considerazione di se stesso e la realtà che lo circonda, non senza rilevanti ripercussioni sulla filosofia e sulla visione sapienziale della vita. Forse andrebbero riviste e superate certe rigide distinzioni e separazioni tra homo faber e homo sapiens, perché in realtà tra di loro c’è sempre stata una convivenza, anche se con sfumature simbiotiche diverse, nelle varie epoche. Anche qui non mancano gli esempi. Nella storia dell’arte occidentale e precisamente nel XIV secolo si ha un punto di autosuperamento e di demarcazione tra antico e nuovo, tra il prima e il dopo, quando si elabora una prospettiva su basi scientifiche (la “perspectiva pingendi” di Piero della Francesca) e si concepiscono opere in cui il punto di prospettiva dell’osservatore-creatore della realtà assume un’importanza notevole e sempre più preponderante. Al soggetto è riservata una postazione di riguardo; affiora una particolare visione della vita e questa assume, quasi per incanto, un’angolatura di maggiore profondità. Il corrispettivo filosofico è il primato del punto focale d’osservazione sulla res, il superamento del realismo filosofico, del predominio del reale sull’atto percettivo umano. Questo punto forza della modernità è diventato esuberante ed enfatizzato a tal punto da indebolirsi e quasi a svuotarsi nella postmodernità. Oggi si assiste, infatti, ad una disintegrazione di tale visione unitaria e si è parlato di “perdita del centro” come nota caratterizzante la nostra epoca[1].

    Anche lo sviluppo delle varie branche scientifiche porta in sé l’atavico sogno dell’uomo di prevedere il futuro, di anticipare i possibili effetti e i risultati dei fenomeni. Dalla balistica e specialmente dalla scienza ottica del XVI secolo, che iniziò a sviluppare tecnicamente la misurazione prospettica, ad esempio, G. Berger assunse queste istanze empiriche per elaborare nella sua filosofia delle ipotesi "previsionali" circa il futuro dell’umanità. Tutti i rami scientifici e le arti hanno in vario modo partecipato a questo cambio di prospettiva, a questa rivoluzione culturale che giunge, in modo più o meno continuo, fino a noi. Se poi si guarda alla chiromanzia e alle pratiche magiche, sospendendo ogni giudizio etico a riguardo, non è difficile rilevare tra gli esseri umani anche quelli più evoluti, emancipati e secolarizzati che la curiosità di scandagliare il proprio avvenire e gli avvenimenti che verranno, è forte e insistente. Nonostante l’atteggiamento fortemente ancorato nel presente, la nostra generazione si sente attratta in qualche modo dal futuro e tenta in tutti i modi di prevederlo e di anticiparlo.

    L’esistenza del “progetto” nella cultura odierna

    Nella sensibilità odierna la nozione di “progetto” è affiorata con determinazione sin dalla prima metà del ‘900, nella filosofia fenomenologica ed esistenzialista (oltre che storicistica e pragmatista). Particolarmente M. Heidegger, secondo cui l’essere (nel senso di dasein) consiste essenzialmente nel progettare, s’impone a definire l’uomo stesso come “progetto”:

    “Il progetto è la costituzione ontologica esistenziale dell’essere proprio nell’ambito del poter-essere effettivo. L’esserci [dasein], in quanto gettato, è gettato nel modo di essere del progettare. Il progettare non ha nulla a che vedere col rapportarsi ad un piano mentale, in base al quale l’esserci disporrebbe del suo essere, poiché l’Esserci, in quanto tale, si è già sempre progettato e finché è, è come in quanto tale, si è già sempre progettato e finché è, è come progettante […]. La comprensione, in quanto progettare, è il modo di essere dell’Esserci in cui esso è le sue possibilità come possibilità”[2].

    Il termine “progetto” è lo strumento linguistico che veicola una particolare visione dell’uomo nella sua dimensione esistenziale e storica, più che nella sua essenza o astrazione[3], e il più delle volte sgravato da ogni legame con il trascendente. J. P. Sartre esprime “laicamente” quest’autoprogettazione dell’uomo che oltre alla modifica di sé origina i cambiamenti di ciò che lo circonda, quando afferma in una sua lezione: “Quando dico che l’uomo è un progetto che decide di se stesso [...] ciò che intendo dire [...] è che non vi è un a priori costituito da stati psichici come il piacere o il dolore, cui si verrebbe ad apprendere la coscienza, ma che in realtà la coscienza si fa piacere o dolore, decidendo così, o nella sua struttura, o nel corso di una vita, della natura o dell’essenza di se stessa e dell’uomo”[4]. Anche Max Scheler, in una visione più deduttiva di quella di Heidegger e di Sartre, ha visto nel progetto “il terzo momento di un complesso atteggiamento spirituale, che parte da una tensione verso un valore [primo momento: Gesinnung], che si fa intenzione [secondo momento: Absicht] e diventa progetto [terzo momento: Forsatz] quando individua le condizioni empiriche per la sua realizzazione”[5].

    Da questi rapidi accenni della filosofia, è possibile riscontrare delle ripercussioni in vari campi del sapere. Così la categoria di “progetto” ha occupato non soltanto la mente dei filosofi ma ha invaso anche quella dei tecnici in campo economico (progetto finanziario), in ambito politico e giuridico (progetto di legge, progetto-giovani, progetto-ambiente), nel settore socio-operativo (progetti e piani di cooperazione e d’intervento sul territorio), bioetico e sanitario (progetto salute), gli studiosi delle scienze dell’educazione (in particolare la metodologia, con le varie denominazioni come ad es. il “metodo dei progetti” di W. Kilpatrick), e perfino di teologia (basti pensare alle espressioni “economia della salvezza”, “progetto salvifico”, “piano di Dio”...) e di pastorale (“progetto pastorale”, “piano pastorale”...).

    Una parola alla moda dunque o qualcosa di più? Permane qualcosa d’essenziale oltre le etichette e i neologismi? Per non rischiare di trovarsi sulla bocca una parola logora perché abusata, anche il termine “progetto” esige un supplemento di vaglio semantico e un’ulteriore ricerca d’intesa, nel tentativo di delinearne il senso complessivo.

    Il “progetto uomo” e la sua valenza educativa e pastorale

    L’espressione “progetto uomo” ebbe negli anni ‘70 notevole fortuna, come titolo di un testo di religione, per indicare la svolta antropologica e di concentrazione sull’uomo-in-crescita, come successivamente venne a designare anche forme sistematiche di recupero di soggetti a rischio[6]. Venne ad indicare una sensibilità nuova circa la considerazione dei soggetti educativi. L’accezione pastorale di “progetto” è dipesa in buona parte dalle scienze dell’educazione. Secondo tale angolatura:

    “Con il termine progetto si fa [...] riferimento all’operare, all’agire, al fare, al produrre. Quando, infatti, diciamo progetto, indichiamo dal punto di vista contenutistico un qualcosa da realizzare, da costruire nella realtà in risposta a bisogni, esigenze, domande, necessità reali e sulla base di una visione orientante, di un quadro di riferimento, di un’idea, appunto: il tutto organizzato come un costrutto logico e razionale, esprimente globalmente l’ipotesi che s’intende seguire in vista del conseguimento efficace di ciò che costituisce il traguardo dell’azione individuale e collettiva. Un progetto quindi comporta, più concretamente, l’indicazione specificata dei fini, dei contenuti, dei mezzi, delle strategie, degli strumenti di controllo e di verifica, ecc.”[7].

    La nozione di “progetto” sembra dipendere da quella di “curriculum” coniata da L. Stenhouse, secondo cui consisterebbe in:

    “un tentativo di comunicare i principi e le caratteristiche essenziali d’una proposta educativa in forma tale da restare aperto a qualsivoglia revisione critica e suscettibile di un’efficiente conversione in pratica”[8].

    A nessuno sfugge che la posizione assunta dal “progetto” correttamente inteso è proficua nella misura in cui si mantiene in una sospensione ottimale tra teoria e pratica, tra idealità e realtà, tra valori ed esistenza concreta. Alla base di un “progetto educativo”, in quanto promuovente l’uomo in tutte le sue dimensioni, e alla mentalità ad esso sottesa, vi sono alcune costanti così riassumibili:

    - l’aderenza alla realtà concreta, evitando astrattismi ed estraneamenti dalla situazione;
    - l’arte dell’anticipazione e la visione prospettica degli effetti positivi che si intendono raggiungere (finalità educative);
    - l’intenzionalità operativa come concertazione voluta e organica delle risorse disponibili per trasformare la situazione di partenza;
    - la globalità del processo educativo inteso organicamente e sistemicamente (correlazione tra obiettivi, contenuti e metodi);
    - la positività dell’enunciazione che va di là dalle restrizioni di normative e prescrizioni, per assumere uno stile propositivo e promuovente;
    - la continua verificabilità mediante criteri e strumenti adatti;
    - la comunicabilità, mediante la condivisione delle linee progettuali da parte di coloro che sono soggetti e agenti nel progetto[9];
    - la collegialità, in quanto partecipazione congiunta di tutti i componenti implicati nel progetto[10].
    Le funzioni di un progetto educativo contraddistinguono la sua fisionomia da ogni altro abbozzo similare (regolamento, direttorio…), in quanto “processo sequenziale ed autocorrettivo, orientato al conseguimento di obiettivi”[11].

    Su un versante teorico si distingue da un trattato sull’educazione, da un ideario pedagogico, da un quadro programmatico generico; su un versante pratico si differenzia da una collezione di tecniche e di formule da utilizzare all’istante, in un repertorio di regole d’arte o di norme pratiche utili in campo educativo. Né astratto, né pedestre, il progetto non tollera idealismi e tecnicismi[12].

    Tale avvertimento metodologico trova riscontro su due punte estreme teorizzate nel recente passato da due partiti ideologici contrapposti.

    Uno che fa capo allo psicologo F.B. Skinner[13], secondo cui la progettualità educativa dovrebbe spingersi “oltre la dignità e la libertà” per raggiungere una regolazione dei dati e delle informazioni, degli stimoli e delle reazioni, in una perfetta tecnologia “da laboratorio” alla stessa stregua degli animali da allevamento, evitando dispersioni energetiche di qualsiasi genere. Quest’accentuazione tende a disumanizzare la concezione e la pratica del progetto, anzitutto per la sua rigidità e per la sua disattenzione ai processi autoregolativi da parte degli agenti.

    L’altro partito registra posizioni che discreditano ogni possibilità di pianificare con metodo e di optare per una certa sistematicità e organicità progettuale. P.K. Feyerabend non è l’unico autore che si scaglia contro il metodo, con la convinzione che non esista una “regola, per quanto plausibile e per quanto saldamente fondata, che non sia stata violata in questa o in quella occasione [...]”[14].Ogni teoria e ogni pratica formativa sarebbe lasciata alla fantasia del momento e alla creatività assoluta dei soggetti che si autoprogettano, senza limiti e senza argini di regolazione. Il tentativo è di scrollarsi di dosso ogni condizionamento strutturale e culturale.

    Dalle due posizioni estreme non è difficile desumere i rischi che si nascondono nell’arte difficile del progettare: da una parte l’inflessibilità e l’incapacità di cogliere le variabili della vita, tutto ciò che sfugge alla morcelage progettuale come l’impossibilità del dominio delle libertà delle forze in gioco (da cui si deduce l’impossibilità a pianificare sin nei minimi particolari); dall’altra l’inettitudine fondamentale di perseguire determinati risultati e di progettare interventi intenzionali atti a modificare la realtà. Inflessibilità e indifferentismo sono le punte estreme che minano alla base ogni tentativo umano di guardare avanti consapevolmente e orientarsi verso il futuro con senso di responsabilità.

    La mentalità che sta alla base della progettazione, invece, si nutre continuamente di quella tensione che non è mai paga dei risultati raggiunti, ma che valorizza e valuta correttamente quanto è stato conquistato in passato e nel presente, inoltrandosi verso ulteriori conquiste umanizzanti.

    Progettare, quindi, è un’arte complessa d’anticipazione del futuro e di mediazione “tra “quadro di riferimento” e programmazione puntuale sul “da-farsi” nel terreno concreto dell’educazione in atto [...]”[15]. Fare un progetto, in termini filosofici richiamandosi a K. Popper[16] e più teologici facendo capo a G. Ebeling[17], non significa altro che predisporre “un’attività volta a dare una risposta concreta a problemi, bisogni, tensioni avvertiti [...]”[18]. In termini più analitici:

    “Preparare un progetto per educare vuol dire vagliare molte ipotesi, operare scelte e prendere decisioni. Queste ipotesi riguardano il campo nel quale si vuole operare, gli operatori che si vogliono impegnare, i fini e gli obiettivi che s’intendono raggiungere, i contenuti che dovranno riempirli, i mezzi e i metodi che s’intendono impiegare, ma anche la natura, le funzioni, i modi esecutivi dei processi nei quali tradurre l’atto educativo. “Processo” è uscita da uno stato definito di partenza e arrivo ad un determinato risultato, è messa in moto dei fattori, forze e operazioni, percorrendo un cammino omogeneo a convinzioni e scelte riguardanti il tutto”[19].

    È illusorio e controproducente agognare e additare le mete cui giungere, senza alcun riferimento al punto da cui si parte e al percorso da battere per giungervi. Non lo è di meno essere esperti sui processi e le metodologie educative senza una visione chiara dei fini educativi[20]. Per cui, il progetto:

    “preso seriamente per quello che è, spinge ineluttabilmente a scegliere. E a scegliere davvero, ossia non scegliere gli alibi ma i valori; non i pretesti ma i fini; non i prodotti ma i processi; non l’attesa indeterminata ma una tensione precisa, che sapendo dove intende giungere, non disdegna la programmazione dei piccoli passi necessari per giungere alla meta, la formulazione di obiettivi precisi, l’analisi dei contenuti-valori da trasmettere, il tipo di interventi da predisporre, gli strumenti di verifica e di ri-progettazione”[21].

    Pensare e porre mano ad un progetto consiste nell’offerta di “una risposta propositiva che indica un cammino orientato a mete condivisibili e comprensibili”[22].

    Come si può notare, i termini usati in questa descrizione, peraltro non esaustiva, sono di natura dinamica. I vari elementi del progetto (finalità, obiettivi, contenuti, metodi, valutazione...) non sono semplicemente accostati e sovrapposti ma sono messi in circuito, atti a influenzarsi e sostenersi a vicenda, come parti di un tutto in movimento. L’immagine della scacchiera utilizzata da F. De Saussure per spiegare la struttura della lingua[23], potrebbe essere qui ripresa per illustrare la natura del progetto. Questa connotazione dinamica non tollera l’improvvisazione che sminuisce la forza orientativa, perché anche i minimi particolari hanno un loro peso e un valore per il tutto. Respinge, inoltre, ogni rigidità che deprezza la vitalità dell’esperienza.

    Il progetto di Dio non teme la concorrenza dell’uomo

    I testi biblici, sia dell’Antico Testamento sia del Nuovo, fanno sufficiente accenno al disegno di Dio svelato gradualmente agli uomini e realizzato pienamente in Cristo (cf Rm 16,25ss.; Ef 1,9ss.; 3,8-11). Sono vari i termini che dicono riferimento a questo tema biblico per nulla secondario (progetto, disegno, idea, pensiero, giudizio, piano, proposito, volontà, mistero, consiglio). L’inserimento del Dio Trinità nella storia non è dettato dal caso, ma è il risultato di un piano prestabilito da parte del Padre. Dio, secondo la visione della Bibbia, è “autore di tutto ciò che è avvenuto, avviene attualmente ed avverrà in seguito” (Gdt 9,5ss.), è Colui che agisce “con numero, peso e misura” (Sap 11,20). Per questa presenza misteriosa e proattiva di Dio nel mondo, la storia degli uomini non cade sotto il dominio del caos e del caso. L’uomo non è preda di un cieco destino, perché Dio stesso orienta la storia da un capo all’altro del tempo, dall’origine alla fine, dalla genesi all’eschaton[24], e il mondo diventa cosmo e spazio di libertà. In questo flusso spazio-temporale Dio non se ne sta in disparte ma cammina con l’uomo, in particolare con il popolo che si è scelto (cf Es 33, 14-16; 34,9; Dt 20,4; 1 Cr 17,6; Is 52, 12...).

    Nonostante gli ostacoli che incontra nella realizzazione del suo progetto di salvezza, accettando il rischio di essere frainteso, deluso e tradito, il Dio biblico costantemente ricerca il dialogo con gli uomini (“Su venite, discutiamo - dice il Signore -”: Is 1,18), manifesta le sue originarie intenzioni, è disposto a ricominciare daccapo rinnovando l’alleanza, perdonando le infedeltà e i cedimenti umani. Se Dio si mostra fedele al suo piano e al suo patto, gli uomini sovente vengono meno; non sono di parola. La Parola di Dio, allora, denuncia lo scarto enorme che c’è tra chiamata e risposta, e l’incommensurabilità tra i progetti di Dio e quelli dell’umanità: “Le mie vie non sono le vostre – dice il Signore. Le mie vie sovrastano le vostre” (Is 55, 8-9).

    I disegni degli uomini e le loro prospettive riguardanti il presente e il futuro non solo non collimano con quelli di Dio, ma spesso si contrappongono (cf Gen 6,5). Il conflitto e la contesa tra Dio e l’uomo sono inevitabili sullo scenario dell’esistenza e della storia. Anche se non mancano esempi di uomini che, ispirati dallo Spirito santo, riescono a condividere il piano di Dio con fiducia e responsabilità ed essere testimoni autentici di fede (cf Eb 11).

    Il progetto di Dio non teme la concorrenza dell’uomo, ma nel rispetto della libertà umana si realizza non senza fatica, considerando le variabili e le resistenze umane.

    La vicenda terrena di Gesù di Nazareth è il segmento storico più intenso durante il quale il Regno di Dio si realizza in mezzo agli uomini. Se nella pienezza del tempo (cf Gal 4,4) si registrano stupore e meraviglia, non mancano violenza, insuccesso e morte. Il progetto di Dio che punta il tutto per tutto su Gesù Cristo (cf la parabola dei vignaioli omicidi: Mt 21,33-46) sembra avere un epilogo disastroso che induce anche i discepoli a disperare (cf Lc 24,21). Ma l’ultima parola del disegno di Dio che prende forma e sostanza in Cristo Gesù non è la morte ma la vita. La risurrezione è la punta avanzata della speranza e il risultato determinante il futuro dell’uomo. La sorte umana è stata decisa una volta per tutte e il corso della storia è orientato verso la pienezza dei cieli nuovi e della terra nuova (cf Is 65,17; 66,22; 2 Pt 3,13; Ap 21,1). Se si sente il gemito della creazione ed è forte l’attesa per la rivelazione dei figli di Dio (cf Rm 8,22), come si esprime Paolo, il teologo del progetto di Dio, si registrano anche le resistenze del male. Il duello tra morte e vita continua, tra la tenacia di Dio che si è schierato dalla parte della vita e la miopia umana che talvolta non riesce a vedere i segni promettenti della risurrezione e della speranza.

    Il progetto del Padre realizzato in Cristo diventa il “vangelo” della prima comunità cristiana, l’unico tesoro che la Chiesa possiede sin dalle origini e che è chiamata a donare al mondo: il disegno di Dio, che è compiuto, è motivo di gioia e di salvezza per tutte le genti (cf At 2,36-39; 4,10ss.; 10,36; 13,23 e passim). È questa la singolare missione ecclesiale sulla terra fino a quando il Figlio non metterà tutto nelle mani del Padre e finalmente Dio sarà tutto in tutti (cf 1Cor 15,24.28).

    Gli uomini di fronte al piano divino non sono passivi, quasi manichini o burattini manovrati a capriccio, ma sono voluti da Dio come partners responsabili, cioè capaci di “risposta”, interpellati a collaborare con fedeltà creativa e con fantasia. Evitando di mettersi al posto di Dio e di concepire progetti completamente alternativi, come, all’opposto, senza assumere posizioni di remissività fatalistica e di passività etica, l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è chiamato a rendere più concreto il piano della creazione e della redenzione e a collaborarvi. Non c’è alcuna concorrenza e opposizione di principio tra progetto di Dio e progetti umani. Dio non è geloso dell’intraprendenza umana, perché proprio Lui ha posto l’uomo in una situazione “creativa”, al massimo delle possibilità umane.

    I progetti umani (e i progetti pastorali non fanno eccezione) sono concepibili nella stessa lunghezza d’onda di quello di Dio. Chi elabora, realizza e valuta un progetto, sa di essere a servizio di un incontro, di precorrere un evento di salvezza e di predisporre un contatto interpersonale. Deve maturare un continuo discernimento ed un’affinata capacità profetica, perché, in ascolto del piano di Dio, orientando il cammino da compiere, si realizzi lo spazio e il tempo della simbiosi tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo.

    Un progetto di pastorale giovanile a servizio della vita

    Il termine “progetto” utilizzato nel nostro contesto specifico si caratterizza per il suo “campo” specifico: la pastorale giovanile. A seconda della concezione di pastorale giovanile viene elaborato un progetto conseguente alle premesse epistemologiche e metodologiche, siano esse dichiarate o no[25].

    Il movente che ha stimolato, in questi ultimi decenni, comunità cristiane e soggetti ecclesiali a ripensare e riesprimere un progetto di pastorale giovanile è articolato e complesso. Ad alimentare tale desiderio d’incontro tra Chiesa e giovani sono stati particolarmente il ricercato incontro con il mondo giovanile da parte di Giovanni Paolo II (nei suoi viaggi apostolici e nelle giornate mondiali della gioventù) e da parte di numerose comunità ecclesiali ed, inoltre, i vari ed importanti pronunciamenti magisteriali atti a favorire e a strutturare un contatto più continuo e profondo con le nuove generazioni (cf CCG, pp.3-5).

    Più recentemente, il piano pastorale CEI per gli anni ’90 ha indicato come “essenziale priorità”[26] (una delle tre vie da privilegiare per l’ultimo decennio del XX secolo) l’educazione dei giovani al Vangelo della carità, attraverso “un’organica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile”. Il documento è stato esplicito sull’elaborazione di “un preciso progetto educativo, che sappia coinvolgere, nel rispetto degli apporti e dei cammini specifici le realtà giovanili [...] presenti in diocesi”[27]. Il Convegno ecclesiale di Palermo ha ribadito “l’urgenza di ripensare la pastorale giovanile, conferendole organicità e coerenza in un progetto globale, che sappia esaltare la genialità dei giovani e riconoscere in essa un’opportunità di grazia”[28].

    Il senso del “progetto” è stato profondamente ed efficacemente espresso dalla relazione finale dell’ambito “Giovani”:

    “L’impegno che ci aspetta oggi non è soltanto di rincorrere i cambiamenti della realtà ma di intuirli in anticipo, come sanno fare i profeti. Abbiamo necessità di credenti e comunità che imparino con sapienza e perseveranza ad esercitare la profezia nelle situazioni in cui vivono e testimoniano la loro fede. Non possiamo accontentarci di verificare il presente, ma dobbiamo avere il coraggio di anticipare il futuro: l’esercizio dello spirito di profezia, che è in ogni credente, ci consente di incidere già oggi, con una testimonianza genuina del vangelo della carità, nel cambiamento di domani” (dalla relazione finale dell’“Ambito Giovani” al Convegno di Palermo ‘95).

    Attingendo alle istanze evidenziate da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte (cf nn. 9. 40), gli orientamenti pastorali per gli anni 2001-2010 includono nel progetto formativo che viene affidato alle comunità cristiane l’“attenzione particolare” ai giovani, oltre che alla famiglia (n. 51; cf 37. 41. 50-55)[29].

    Questi ultimi enunciati costituiscono lo sbocco naturale di tutta la precedente riflessione magisteriale[30] e di una sensibilità in crescendo verso la progettualità pastorale[31]. Negli anni ’90 veniva notata la tendenza in crescendo della sensibilità ecclesiale verso la progettazione ed era pronosticato l’incremento quantitativo dei progetti[32].

    Oggi tale affermazione richiederebbe una qualche ratifica statistica e un’analisi qualitativa aggiornata.

    A parte tutto, sebbene cogente e rilevante, questo motivo supportato dal magistero dei vescovi, per quanto autorevole e vincolante, non basta: occorre che esso si tramuti in motivazione, che sia preso a cuore e personalizzato da agenti pastorali sensibili ai problemi giovanili e capaci di intervenire attraverso un’opera sistematica e coordinata di animazione. Ogni motivo può essere considerato esatto, valido, carico di significato ma fin tanto che piove dall’alto e rimane al di fuori, è destinato ad essere esterno ed estraneo; quando invece esplode “dentro” sollecita teologicamente a intravedere l’entità del problema, ad assumere la consistenza della realtà giovanile, a ricercare adeguate soluzioni, a concepire nuove prospettive pastorali. Se viene data una risposta soddisfacente al “perché” operare una “organica, intelligente e coraggiosa” pastorale giovanile, si avrà la capacità di trovare il “cosa” e il “come” fare[33].

    Un progetto di pastorale giovanile è chiamato a dilatarsi oltre il nucleo di operatori appassionati e qualificati. Se, infatti, l’attenzione ai giovani nasce dal cuore della Chiesa deve poter coinvolgere l’intera comunità cristiana. Ineccepibile l’affermazione di Mons. Del Monte:

    “Per fare una buona pastorale giovanile il primo passo non consiste nel conquistare i giovani, ma nel ringiovanire la comunità”[34].

    Allora dalla superficie occorre scendere in profondità, dai frutti bisogna intuirne le radici nascoste, perché il senso di un progetto di pastorale giovanile risiede nella visione di Chiesa e di comunità:

    “Non qualsiasi visione comunitaria si presta come campo d’azione per una pastorale giovanile. Questo breve accenno deve escludere fin dall’inizio l’idea di una pastorale giovanile che intendesse porsi al servizio di un reclutamento di nuovi membri della comunità. Al centro delle nostre considerazioni, che si riferiscono all’inserimento di una pastorale giovanile in seno alla comunità, deve pertanto porsi la questione sulla “teologia della comunità”, e quindi gli scopi che la comunità propriamente si prefigge, quali i suoi compiti, quali le sue attività; e questo non in una dimensione astratta, fuori della storia e del tempo, ma qui ed oggi...”[35].

    Il futuro della pastorale giovanile è parzialmente nascosto nell’eredità del passato e nella sua memoria. Rivisitando le radici delle varie tradizioni educative cristiane, non si può assolutamente mettere in dubbio che la pastorale giovanile è “educazione d’ambiente”. Vi è un’evidente sintonia con una delle priorità ribadite dalla pastorale italiana, movendo dalle premesse conciliari: l’imprescindibilità della comunità educativo-pastorale come humus per ogni tentativo di progettazione e di cammini di fede.

    Un progetto di pastorale giovanile s’iscrive naturaliter nella pastorale globale della comunità cristiana e della chiesa locale[36]. Evitando verticalismi e orizzontalismi ingiustificati nella progettazione, occorre valorizzare tutte le competenze presenti nella comunità ecclesiale, da quelle più teoriche a quelle più pratiche. In questa complicità critica e consapevole si gioca la qualità del progetto e si può raggiungere una nuova coscienza di chiesa come comunione-a-servizio-in-missione. Soggetto della pastorale giovanile e dell’elaborazione del progetto è, quindi, la comunità ecclesiale in quanto comunità educativa, non in una configurazione “anonima e piatta” ma composita. I responsabili della comunità (vescovo, parroco, superiore, direttore, laico coordinatore...), l’équipe degli operatori pastorali e degli animatori (adulti e giovani), i giovani stessi, con l’eventuale aiuto di esperti, saranno in solidum l’entità promotrice del progetto. Questo processo di mente, di cuore e di mani che mira a coinvolgere energie, chiarire finalità e individuare strategie comuni è un buon rilevatore dell’immagine di comunità ecclesiale che s’intende realizzare, più o meno ispirata al modello di Chiesa voluto dal Concilio Vaticano II:

    “L’esigenza dell’unità si traduce anche in termini operativi a livello di progettazione pastorale. Qui è da superare un limite che attraversa tanta nostra pastorale e che vede ambiti, settori e preoccupazioni camminare gli uni accanto agli altri, senza effettiva comunicazione e comunione. La conversione pastorale, da più parti invocata, comporta anche un progettare insieme, che faccia unità delle diverse dimensioni della vita cristiana a partire dagli stessi soggetti, in questo caso i giovani” (EGF, n.3)

    La pastorale giovanile non risulta quindi un settore (quasi un compartimento stagno) della pastorale ecclesiale ma una sua dimensione integrante. Ma, lungi da un appiattimento e da un livellamento energetico che si registra talvolta in alcune comunità ecclesiali, la pastorale giovanile nella sua vitalità e prospetticità, non può perdere la sua specifica forza profetica e deve poter esprimere quella dinamica propulsiva che è caratteristica della stagione giovanile. Infatti:

    “le nostre comunità hanno bisogno di un soprassalto di entusiasmo e di un impegno progettuale per la trasmissione di una fede viva, di una vita comunitaria radicata nel vangelo, di un cuore aperto e di conseguenti tessuti di relazione e strutture che la rendano sperimentabile da tutti i giovani” (EGF, Premessa).


    NOTE

    [1] Cf l’opera emblematica, risalente al 1948, di Sedlmayr H., Perdita del centro. Arti figurative del diciannovesimo e ventesimo secolo come sintomo e simbolo di un’epoca, Borla, Roma 1983.
    [2] Heidegger M., Essere e tempo, UTET, Torino 1969, pp. 158-159.
    [3] Una visione dell’uomo come “progetto”, come “sistema aperto” viene tratteggiato efficacemente dal M. Pollo, seguendo la traccia antropologica di A. Gehlen: cf Pollo M., Quale uomo? La ricerca di modelli, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985; Idem, Educazione come animazione. 1. I concetti, Elle Di Ci, Leumann – Torino 1991, pp. 35ss.
    [4] Sartre J.P., Conscience de soi et connaissance de soi (1947), cit. in Lalande A. (ed.), Dizionario critico di filosofia, ISEDI, Milano 1971, p. 684.
    [5] Flores D’arcais G., Progetto, in Idem (ed.), Nuovo Dizionario di Pedagogia, Paoline, Roma 1982, p. 1020. L’espressione di G. Flores D’Arcais che riassume il pensiero di Scheler si trova delineata in: Scheler M., Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Fratelli Bocca, Milano 1944, p. 89ss.
    [6] Si pensi ad esempio al volume di Picchi M., Progetto uomo, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985.
    [7] Nanni C., Uomo, in Vecchi J. - Prellezo J.M. (edd.), Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984, pp. 107-108.
    [8] Stenhouse L., Dal programma al curricolo. Politica, burocrazia e professionalità, Armando, Roma 1979, p. 18. Per una sintetica inquadratura: cf Scurati C. - Lombardi F.V., Pedagogia: termini e problemi, Edizioni Scuola Vita, Milano 1982, pp. 362-373.
    [9] Cf Braido P., Filosofia, pedagogia e metodo educativo, in Peretti M. (ed.), Questioni di metodologia e didattica, La Scuola, Brescia 1974, p. 34.
    [10] Cf Tartarotti L., La programmazione didattica, Lisciani e Giunti, Teramo 1981, pp.15-17.
    [11] Scurati C., Programmazione, in Laeng M. (ed.), Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1990, V, c. 9480.
    [12] “Tra il progetto e gli elaborati della scienza pedagogica c’è la stessa differenza che passa fra un trattato d’ingegneria e il disegno di un edificio che dev’essere collocato su di un terreno particolare e adeguato alle esigenze originali degli utenti”: Vecchi J., Progetto educativo pastorale, in Idem - Prellezo J.M. (edd.), Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, p. 16. In modo più definito: “Progetto dice qualcosa di intermedio tra ideario e programmazione. È sbilanciato verso gli orientamenti di riferimento; ma è tanto carico di risonanza operativa da sporgersi decisamente verso la programmazione. Progetto è un insieme di orientamenti a carattere operativo che determinano la modalità storica, “situata” e “datata” dell’ideario. [...] Il progetto ha carattere totalizzante, perché è impastato di orientamento e di valori. Ma è sempre “relativo” ad una situazione concreta e storica”: Tonelli R., Collaborare attorno a un progetto, pp. 17.18.
    [13] Cf Skinner B.F., La tecnologia dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 1970.
    [14] Feyerabend P.K., Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1978, p.15. Anche P.Geheeb e A.Neill rifiutano un sistema fissato e organico e l’idea stessa di metodo.
    [15] Marchi M., Il progetto educativo: una sfida alla comunità educante, in “Rivista di Scienze dell’Educazione” 23(1985) 1, p. 15. Cf inoltre per una inquadratura pedagogica: Gianola P., Il progetto educativo: quale processo?, in “Orientamenti pedagogici” 29(1982) 5, pp. 836-850. Sul rapporto progetto-metodo: cf Ruta G., Metodo e progetto educativo, in Poggio M.R. (ed.), IRC e progetto educativo, SEI, Torino 1995, pp. 5-16.
    [16] Cf tra i tanti riferimenti: Popper K.R., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino, Bologna 1972; Idem, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Armando, Roma 1976. 1986; Idem, La vita è risolvere problemi, Rusconi, Milano 1996.
    [17] Cf in particolare: Ebeling G., Introduzione allo studio del linguaggio teologico, Paideia, Brescia 1981, p. 85 e passim.
    [18] Gasparini A., Progettazione, in De Marchi F. - Ellena A. - Cattarinussi B. (edd.), Nuovo Dizionario di Sociologia, Paoline, Roma 19872, p. 1611.
    [19] Gianola P., Il progetto educativo: quale processo?, p. 836.
    [20] Cf Maritain J., L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia 198624, spec. pp. 15-16; 27-29.
    [21] Marchi M., Il progetto educativo: una sfida alla comunità educante, pp. 15-16.
    [22] Pellerey M., Obiettivi, in Gevaert J. (ed.), Dizionario di Catechetica, Elle Di Ci, Leumann-Torino 1986, p. 461. Più ampiamente: cf Idem., Progettazione didattica. Metodi di programmazione educativa scolastica, SEI, Torino 19952.
    [23] Cf De Saussure F., Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. 107-108.
    [24] Basti ricordare la concezione lineare della storia del mondo biblico, differente e per tanti aspetti antitetica a quella ciclica del mondo greco e pagano (cf Culmann O., Cristo e il tempo, Il Mulino, Bologna 1965), stigmatizzata da E. Lévinas dal confronto tra Abramo, epigone della concezione lineare, e Ulisse, epigone della concezione ciclica (cf Lévinas E., La traccia dell’altro, Tullio Pironti Editore, Napoli 19852, pp. 28-32).
    [25] Non indugiamo direttamente sulla questione della “definizione” di pastorale giovanile: cf la prospettiva che fa capo a Tonelli R., Pastorale giovanile, in Midali M. - Tonelli R. (edd.), Dizionario di pastorale giovanile, pp. 668-679; Tonelli R., Pastorale giovanile. Dire la fede in Gesù Cristo nella vita quotidiana, pp. 14-23 e quella elaborata dalla Facoltà Teologica di Milano: cf Angelini G., Pastorale giovanile e prassi complessiva della Chiesa, in Facoltà Teologica dell’italia Settentrionale (ed.), Condizione giovanile e annuncio della fede, La Scuola, Brescia 1979, 61-92; Brambilla F.G., Linee teologiche per la pastorale giovanile, in Martini C.M. - Garelli F. - Formigoni G. et alii, Educare i giovani alla fede, Ancora, Milano 1990, pp. 97-141. Una descrizione a livello magisteriale viene data dall’episcopato Italiano, La Chiesa italiana dopo Loreto. Nota pastorale (09.06.1985), in ECEI 3, 2699 [n.55]. La pastorale giovanile viene intravista “sia come riflessione attenta sul mondo dei giovani sia come concreto impegno educativo teso ad offrire le ragioni dell’esistenza e la fiducia per il futuro”.
    [26] Tale “priorità” esige una maggiore pienezza sia a livello generale come anche nelle concrete situazioni pastorali, soprattutto in riferimento ad altre priorità “concorrenziali” espresse ultimamente dalla Chiesa italiana, ad es. nei confronti degli adulti: cf Ruta G., Adulti e catechesi oggi in Italia. Saggio bibliografico, in “Itinerarium” 4(1996) 7, pp. 100-101.
    [27] ETC, n. 45. Le altre due vie privilegiate erano: l’amore preferenziale ai poveri e la presenza responsabile dei cristiani nel sociale e nel politico.
    [28] CEI, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo. Nota pastorale dell’Episcopato Italiano, “Documenti CEI” 88, Elle Di Ci, Leumann - Torino 1996, p. 56 [n.39]; cf nn. 38-40. Cf i reportages di Bissoli C., I giovani a Palermo, in “Orientamenti pedagogici” 43(1996) 2, pp. 245-258 e Sigalini D., Giovani: il punto sulla pastorale giovanile, in “Orientamenti pastorali” 64(1996) 2, pp. 23-27.
    [29] Il termine “progetto” non viene menzionato per la pastorale giovanile, ma solo per il piano salvifico di Dio (n. 26), per il “progetto culturale” (nn. 39.50) e per il “progetto catechistico” (nn. 44. 50).
    [30] Si rimanda ai documenti che fanno esplicito riferimento al protagonismo giovanile e caldeggiano una rinnovata impostazione pastorale con e per i giovani: Messaggio del Concilio ai giovani (08.12.1965), in EV 1,525*-531*; Il laicato nella Chiesa italiana. Dichiarazione finale della III assemblea generale della CEI (06.03.68), in ECEI 1,1625-1627; Sinodo dei Vescovi, L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo (25.10.1974), in EV 5,615; Paolo VI, L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo [Evangelii nuntiandi] (08.12.1975), in EV 5,1690 [n.72]; Idem, La gioia cristiana [Gaudete in Domino] (09.05.1975), in EV 5,1294.1296.1297.1299.1300 [parte VI]; Sinodo dei Vescovi, La catechesi nel nostro tempo (28.10.1977), in EV 6,381 [n.3]; cf376 [n.1]; Consulta Generale dell’Apostolato dei Laici, La comunità ecclesiale e la condizione giovanile, in “Regno/Documenti” (1979) 15,358-364; Episcopato Italiano, La Chiesa italiana dopo Loreto. Nota pastorale (09.06.1985), in ECEI 3,2674.2699 [nn.30.55]; Idem, Comunione e comunità missionaria. Documento pastorale (29.06.1986), in ECEI 4,283 [n.44c]; Sinodo Dei Vescovi, Vocazione e missione dei laici. Istrumentum laboris (22.04.1987), in EV 10,1691; Idem, Vocazione e missione dei laici. Proposizioni (29.10.1987), in EV 10, 2206-2211 [proposizioni 51-52]; Giovanni Paolo II, Vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo [Christifideles laici] (30.12.1988), in EV 11,1807-1811 [n.46]; Episcopato Italiano, Chiesa italiana e Mezzogiorno. Sviluppo nella solidarietà (27.10.1989) in ECEI 4,1968 [n.30]; Consiglio Episcopale Permanente, Comunicato circa i lavori della sessione del 9-12 marzo (16.03.1992), in ECEI 5,695 [n.4]; CEI, Comunicato circa i lavori della XXXV assemblea generale del 11-15 maggio (19.05.1992), in ECEI 5,917 [n.11]; Consiglio Episcopale Permanente, Comunicato circa i lavori della sessione invernale del 25-28 gennaio (01.02.1993), in ECEI 5,1321-1323 [n.3]; Idem, Comunicato dei lavori della sessione invernale del 23-26 gennaio (30.01.1995), in ECEI 5,2455 [n.5]; Comitato Preparatorio Nazionale del Convegno Ecclesiale di Palermo, Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Palermo, 20-24 novembre 1995 (19.12.1994), in ECEI 5,2428-2430 [n.40]; Commissione Episcopale per l’Educazione Cattolica, la Cultura, la Scuola e l’Università, Per la scuola. Lettera agli studenti, ai genitori, a tutte le comunità educanti (29.04.1995), in ECEI 5,2579 [n.17]. A questa lunga lista vanno aggiunti i documenti già citati nelle precedenti note.
    [31] L’ultimo impulso in tale direzione viene offerto, non senza esitazioni e fraintendimenti, dal cosiddetto “progetto culturale” della CEI, promosso dal card. Ruini: cf Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (ed.), Progetto culturale orientato in senso cristiano, “Documenti CEI” 90, Elle Di Ci, Leumann - Torino 1997; Ruini C., Per un progetto culturale orientato cristianamente, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1996. Per una disamina critica: cf in particolare Angelini G., Progetto culturale: il senso pertinente di una formula ambigua, in “Teologia” 20(1995) 20, pp. 211-222; più in generale Lanza S., Progettualità: tra ipertrofie e resistenze, in “Rivista liturgica” 84(1997) 3, pp. 307-326. Inoltre: Aa.Vv., Cattolici in Italia tra fede e cultura. Materiali per il progetto culturale, Vita e Pensiero, Milano 1997; Aa.Vv., Fede, libertà, intelligenza. Forum del progetto culturale, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1998; Bonini F., Il progetto culturale orientato in senso cristiano e l’università, in “Quaderni della Segreteria Generale CEI/Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università” 3(1999) 13/3, pp. 10-16; Lambiasi F., Il progetto culturale della Chiesa italiana: coordinate, obiettivi e strumenti, in “La rivista del clero italiano” 78(1997) 1, pp. 5-29; Riccardi A., La Chiesa italiana negli ultimi trent’anni. Magistero, orientamenti pastorali e vita della comunità cristiana, in Cattolici in Italia tra fede e cultura. Materiali per il progetto culturale, Vita e Pensiero, Milano 1997, pp. 3-22; Salvini G., Note sul progetto culturale della Chiesa italiana, in “La Civiltà Cattolica” 139 (1998/I) pp. 248-259; Spera S. (ed.), Un progetto culturale per la Chiesa italiana, Biblioteca Diocesana Pio IX, Barletta 1988.
    [32] Cf Prestifilippo F., Pastorale giovanile in Italia/1: l’organizzazione diocesana, in “Note di pastorale giovanile” 27(1993) 6, p. 37. Afferma in senso più ampio V. Grolla: “Oggi forse l’agire pastorale si gioca, si rinnova sul piano della progettualità. Non è questa una espressione che si affianca alle precedenti [“pastorale d’insieme”, “pastorale organica”, “pastorale programmata”], piuttosto le integra e le avvalora; rende cioè possibile sia il fare insieme organicamente, in modo programmato, che rispondente ad esigenze reali e a un futuro prevedibile”: Grolla V., Giocare il rinnovamento della pastorale sulla progettualità, in Centro Orientamento Pastorale (ed.), Tempi nuovi per la pastorale. XLV Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, Dehoniane, Roma 1996, p. 74.
    [33] Per amplificare l’ambito motivazionale si rimanda a: Pintor S., L’uomo via della Chiesa. Elementi di teologia pastorale, Dehoniane, Bologna 1992, pp. 229-232.
    [34] Del Monte A., Una Chiesa giovane per annunziare il Vangelo ai giovani, s.e., Novara 1978, n. 25.
    [35] Knobloch S., Fondazione teologica di una pastorale giovanile, in “Note di pastorale giovanile” 23(1989) 4, p. 15. In modo più tecnico l’Autore aggiunge alla fine dell’articolo: “I giovani rappresentano l’oggetto materiale delle nostre considerazioni; l’oggetto formale però è l’attuale concetto teologico di comunità” (Ibidem, p. 28).
    [36] Cf Pintor S., L’uomo via della Chiesa. Elementi di teologia pastorale, pp. 53-57.


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