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    Il sistema preventivo

    esperienza di spiritualità

    Juan E. Vecchi

    1. Alcuni chiarimenti

    Gli aspetti pedagogici e pastorali del Sistema preventivo sono stati studiati a fondo ripetute volte e largamente divulgati. Negli ultimi anni abbiamo accumulato conoscenze sulla sua origine e sviluppo, e abbiamo ribadito criteri e procedimenti per la sua attualizzazione nel contesto odierno [1]. Non tutto è stato interiorizzato e messo in pratica. Ma sarebbe inutile ripeterlo.
    Altrettanto si può dire circa il Sistema preventivo come spiritualità. Si sono rivisitati l'esperienza e il pensiero di Don Bosco in merito. Si è esplicitato l'aspetto mistico e quello ascetico [2]. E non si è trascurato il confronto tra il contesto in cui è nato con quello odierno per ricavarne linee di attualizzazione.
    A tale riflessione sottostanno tre convincimenti: che c'è un vissuto spirituale, quasi nascosto nel quotidiano educativo, conosciuto solo in forma frammentaria da coloro che lo vivono; che è possibile creare comunione sulla base di tale vissuto a livello di Famiglia Salesiana; che i giovani possono percepirlo e trovare in esso un cammino di vita nello Spirito. A quest'ultimo punto risponde lo sforzo di formulare un percorso di spiritualità giovanile salesiana.
    Il passo avanti nella riflessione di oggi sta nel riferimento, di quanto abbiamo già sentito, all'attualità e alla strenna: a quali condizioni una prassi educativa tra libertà e valori, può diventare esperienza spirituale; e viceversa a quali condizioni una esperienza di vita nello Spirito può proporsi oggi come educatrice della libertà e orientarla verso i valori.
    • L'uso della parola "esperienza" è inflazionato. Esprime attese diverse. Sovente viene adoperata più per la sua forza "evocativa", atta a suscitare un desiderio o immagine favorevole, che per consegnare un significato preciso. "Il termine risulta disponibile per molti usi, ma le soluzioni che offre sono semplicemente illusorie" [3]. Proprio in rapporto alla spiritualità è stato definito come una baia che raccoglie le acque di molti fiumi, ma da cui non si riesce a salpare verso nessuna direzione certa.
    Noi vogliamo liberarla da alcune accentuazioni con cui spesso la si usa: fugacità, soggettività, prevalenza della emotività; vogliamo invece sottolineare il carattere di contatto prolungato con la verità, la trasformazione che produce nel soggetto, il cammino di crescita che suppone.
    L'esperienza sarà allora il modo più efficace e diretto con cui la persona giunge a "sapere" una realtà; cioè a sentirsi attratta, a conoscerla, gustarla, lasciarsi da essa modellare e cercare di penetrarla sempre più. E ciò perché si coinvolge in essa in forma libera e totale. È un modo diverso dall'apprendere intellettualmente anche alla perfezione, dal solo gustare emotivamente e anche dal "contemplare" con diletto e profondità.
    Nell'esperienza si dà nella persona un'unificazione originale tra conoscenza e amore, tra contemplazione e azione, tra teoria e prassi.
    L'esperienza spirituale non solo prescinde ma addirittura esclude la "sperimentazione", cioè quell'incursione temporanea, quasi turistica che si fa nella realtà per curiosità o per giudicarla a partire dai propri criteri.
    Mentre si è in atteggiamento di sperimentazione non si hanno le condizioni per fare una vera esperienza spirituale che consiste nel consegnarsi, coinvolgersi completamente. Ciò dice che all'inizio dell'esperienza spirituale c'è sempre la grazia che attira, muove, illumina e accende.
    • Anche sul termine "spirituale" ci vuole un breve commento per quanto scontato. "Spirituale" non appare nei Vangeli riferito ad azioni, a cose, a persone, a sentimenti. I Vangeli parlano della presenza e dell'azione dello Spirito che muove dal di dentro tutta la persona in ammirevole unità, e indirizza le comunità verso Dio Padre attraverso Cristo. Con la potenza di questo orientamento trasforma mentalità e atteggiamenti, anima e guida la storia.
    A partire dalla presenza e azione dello Spirito, San Paolo descrive la persona "spirituale". "Non ci regoliamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. Coloro infatti che sono secondo la carne pensano e aspirano alle cose proprie della carne, quelli invece che sono secondo lo Spirito pensano e aspirano alle cose proprie dello Spirito... Coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio" [4].
    Paolo vede le persone strutturate profondamente da "forme" differenti, mosse da energie diverse per quanto riguarda la visione della realtà, il senso della propria vita e l'atteggiamento verso gli altri.
    L'uomo carnale coglie la realtà, usa le cose, si rapporta alle persone secondo i dettati della natura, come sono l'istinto del possesso, la tendenza al godimento, una normale ragionevolezza, secondo la condizione umana (animalis = vivente).
    L'intellettuale, il sapiente di questo mondo" si lascia sfidare dagli interrogativi dell'esistenza e cerca il senso della vita con tutte le forze dell'intelligenza, approfittando anche della riflessione fatta da altri, la saggezza appunto di questo mondo. L'Apostolo ha una certa simpatia per questi ricercatori di senso e di ragioni per vivere. E allo stesso tempo esprime una condanna per la loro pretesa di voler chiarire il mistero dell'esistenza umana, del suo destino e della sua salvezza senza riconoscere il mistero che vi sta dentro.
    Infine, come al vertice di questa scala, c'è l'uomo "spirituale". "L'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito... L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno" [5]. Possiede un "senso" che lo aiuta a percepire la presenza di Dio negli eventi, a scoprire, alla luce di questa presenza, i significati più veri della vita, a rapportarsi alle persone attraverso l'amore. Ha ricevuto lo Spirito di Dio. Nel suo cuore e nella sua mente si è diffuso un dono che è la carità: ha una connaturalità da figlio riguardo a Dio (partecipi della natura divina!), che lo rende capace di percepirLo e amarLo in se stesso e negli uomini.
    Un'esperienza spirituale è una grazia, una proposta e un cammino di vita in Dio, mediante la fede, che Lo scopre negli avvenimenti e nelle persone; mediante la speranza, che va seguendo i suoi passi nella storia e attende l'incontro finale con Lui; mediante la carità, che Lo cerca e si unisce continuamente alla sua persona, alla sua volontà, al suo progetto.

    2. L'esperienza spirituale della famiglia salesiana

    Dove e come fanno i membri della Famiglia Salesiana la loro esperienza di spiritualità? Bisogna ripartire da un quadro di riferimento spesso ribadito, comunque indispensabile per ogni ulteriore considerazione.
    Alla base della nostra esperienza spirituale c'è un accadimento: la chiamata di Dio a collaborare con Lui per la salvezza dei giovani in Cristo. È un'iniziativa del Padre attraverso lo Spirito che dimora nella Chiesa e in noi: una grazia che ci attira nell'orbita di Don Bosco così come Don Bosco stesso è stato portato verso i giovani perché svelasse loro l'amore del Padre.
    Questa grazia diventa per noi progetto di vita. Attorno ad esso e per il suo influsso si vanno organizzando i diversi aspetti della nostra esistenza. È già avvenuto in Don Bosco. Le sue capacità e inclinazioni naturali e i doni dello Spirito "si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani" a cui si dedicò "con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso"6].
    Non è il caso di dilungarci sui diversi aspetti che compongono il progetto. Ci sono doni congeniti alla vocazione che la "costituiscono" nella sua originalità; ci sono atteggiamenti da coltivare e condizioni di cammino da assicurare.
    Tra i doni che si ricevono con la vocazione salesiana, c'è la predilezione per i giovani: è il fatto che la chiamata di Dio si manifesta come desiderio di lavorare per la loro salvezza [7]; ma è anche il fatto che noi sperimentiamo la presenza e azione di Dio nel contatto coi giovani; e ancora che la crescita dei giovani in umanità e grazia provoca in noi un particolare senso di responsabilità e gioia.
    Tra i doni c'è pure la connaturalità a Cristo Pastore, per cui ci sentiamo attratti dalla sua figura e dai suoi gesti. E possiamo enumerare anche il dono della paternità e del magistero di Don Bosco: "Il Signore ci ha donato Don Bosco come Padre e Maestro. Lo studiamo e imitiamo ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia" [8]. L'incontro con lui è stato forse, dopo il battesimo e la fede, la grazia principale della nostra vita. Egli, con attorno coloro che hanno seguito e arricchito la sua esperienza, diventa riferimento e modello per scorgere tratti e vie della nostra vita nello Spirito.
    Gli atteggiamenti sono presentati con dovizia dalle Regole di vita di ciascun ramo della Famiglia: la gratitudine verso il Padre, la consapevolezza di essere suoi strumenti, il desiderio di restare docili sotto l'azione di Dio, l'entusiasmo per il Regno e "quello slancio apostolico" che ci porta a far crescere le persone e servire Dio: tutto compreso nel "Da mihi animas".
    Anche un'ascesi caratterizza la vocazione. Su di essa si dilungano i testi spirituali: la dedizione e disponibilità, la competenza, la capacità di mediazione, l'accettazione delle esigenze quotidiane e le rinunce che esige la vita apostolica: tutto quello che viene sotto la voce di "lavoro e temperanza".
    • C'è un luogo o situazione dove, simultaneamente, maturano i doni, si radicano gli atteggiamenti, si impone e appare indispensabile l'ascesi, dove si può vedere dal vivo e in diretta, nell'unità della vita e in movimento, cosa sia e come si sviluppi la spiritualità del salesiano, quale energia la muova, verso quali obiettivi si orienti, che tipo di persona produca: è la "missione".
    Quando vogliamo vedere la spiritualità benedettina, in un luogo e in un momento caratteristico, andiamo in un monastero e partecipiamo alla vita dei monaci: celebriamo la liturgia con loro, visitiamo gli ambienti dove i monaci lavorano con pazienza: lo scriptorium, la biblioteca, i laboratori di restauro. Quando vogliamo vedere il tratto tipico dei movimenti carismatici, andiamo alle adunanze di preghiera: è il loro "momento originale e manifestativo", non unico.
    Per cogliere la spiritualità salesiana, nel luogo, nel momento e nel gesto tipico, bisogna sorprenderla mentre compie la missione giovanile e popolare. Ciò viene ripetutamente ribadito nei nostri testi: nel compimento della missione "troviamo il cammino della nostra santificazione" [9]; "Don Bosco ci segnala un programma di vita nella massima 'da mihi animas'" [10]; "la testimonianza di questa santità che si attua nella missione... è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani" [11].
    Se l'esperienza spirituale ha una risonanza nell'affettività, il salesiano la sente e ne gode quando riscatta un giovane, provoca in lui una spinta verso il meglio, produce un'apertura alla grazia. Egli contempla, segue e imita Cristo come "l'apostolo del Padre" [12], che percorre città e paesi guarendo, predicando e liberando dal male.
    • Nella missione si plasma la persona, matura uno stile di vita e di azione che è "insieme pedagogia, pastorale e spiritualità". Un'unica e indivisibile esperienza fonde intenzionalità, atteggiamenti interni e comportamenti esterni; proposte educative, metodi adeguati e profilo di interventi per farli assimilare. La totalità diventa esperienza spirituale perché ispirata e orientata dalla carità.
    Così è stato letto da tutti i rami della Famiglia Salesiana. "Guidato da Maria che gli fu Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo oratorio un'esperienza spirituale ed educativa che chiamò 'Sistema Preventivo'... ce lo trasmette come il nostro modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vità di comunità, nell'esercizio di una carità che sa farsi amare" [13].
    L'incontro con i giovani e "nell'oratorio" non sono solo la circostanza, ma costituiscono la terra dove è possibile il forgiarsi di questo tipo di carità, l'humus dove si trovano le sostanze nutrienti per questa esperienza. Essa non ha origine nei monasteri, nelle biblioteche, nei laboratori del pensiero, ma nell'esercizio dell'amore spinto verso uno stile originale dalla presenza di destinatari tipici e dai loro bisogni.
    • In che cosa consiste l'originalità? La carità è la radice e la manifestazione di tutti i tipi di santità che appaiono nella Chiesa: quella degli apostoli, degli anacoreti, dei contemplativi e dei santi "attivi" dell'epoca moderna, dei mariti e mogli sante, dei sacerdoti e religiosi e persino del "buon ladrone" o del santo bevitore.
    La storia della santità è la sinfonia della carità. Si tratta di una grazia, un dono che Dio infonde in noi per cui ci sentiamo attratti da Lui, i segni della sua presenza ci interpellano e vediamo nelle persone altrettante immagini e figli suoi.
    La carità non è soltanto l'ornamento degli atti virtuosi. Ne è la sostanza spirituale. Così lo spiega San Paolo: "Se parlassi tutte le lingue... se dessi tutte le mie sostanze ai poveri... se avessi una fede capace di smuovere le montagne... ma se tutto ciò non è mosso dal di dentro dall'amore, non vale niente" [14].
    I salesiani/e non esprimono una novità dicendo che il centro e la fonte della loro spiritualità è la carità. Ma essi affermano che è la carità pastorale. E ciò segna una differenza specifica. La carità "pastorale" porta a sintonizzare con il desiderio ardente di Gesù di fare tutti gli uomini figli di Dio e a mettere le nostre persone e il nostro "lavoro" a disposizione di questo suo disegno, attraverso le energie che sgorgano dal mistero di Cristo e che sono patrimonio della Chiesa: la testimonianza, la parola, i sacramenti, il servizio.
    La carità pastorale muove tutta la Chiesa che continua l'opera di Cristo Pastore. Il Concilio la propone a Vescovi e sacerdoti, e afferma che essi, sviluppando ogni forma di carità pastorale, cioè donandosi generosamente al ministero sacerdotale, realizzano l'unità della vita e si santificano" [15]. Un commento esauriente sulla carità pastorale lo si trova nell'esortazione apostolica "Pastores dabo vobis" [16].
    Il Sistema preventivo, in quanto carità pastorale, ha un'altra specificazione che non la restringe, ma la staglia meglio: è una carità pedagogica: un amore che sa creare un rapporto educativo. Si esprime sulla misura dell'adolescente e dell'adolescente povero che deve interpretare se stesso, aprirsi alla comunicazione, scoprire la ricchezza della vita. Per questo destinatario povero, a volte scarso di parole, di consapevolezza e di progetti, la carità pedagogica deve diventare iniezione di speranza, stimolo alla crescita e segno leggibile dell'amore di Dio.
    L'educativo è una dimensione ricamata da Giovanni Paolo II nella Juvenum Patris: la santità di Don Bosco si plasma come santità educativa. "Egli realizza la sua personale santità mediante l'impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico [17]"; "L'interscambio tra educazione e santità è l'aspetto caratteristico della sua figura: egli è un educatore santo" [18]; "Il tratto peculiare della sua genialità è legato alla prassi educativa" [19].
    I confratelli e le consorelle che lavorano con ragazzi e giovani emarginati riferiscono che una delle maggiori difficoltà che molti di essi sentono è quella di esprimersi di fronte a persone adulte estranee, di fronte alle istituzioni e a coloro che le rappresentano, inclusa la Chiesa. Le istituzioni sono per loro l'immagine di quel mondo organizzato dal quale si sentono esclusi. La carità educativa rende capaci di gesti che aiutano a prendere la propria vita con gioia e speranza, ad aprirsi alla fiducia e al dialogo, anche nel contesto di una vita povera e con pesanti condizionamenti. All'ardore spirituale unisce, dunque, la saggezza, la bontà e il senso pratico, l'ottimismo educativo e la pazienza di chi deve sostenere e coltivare i germi di vita.

    3. L'esperienza di spiritualità nell'educazione [20]

    Questa nostra esperienza, allo stesso tempo spirituale e educativa, è oggi segnata da alcuni avvenimenti: la Lettera di Giovanni Paolo II "Juvenum Patris", in occasione del centenario della morte di Don Bosco, nella quale l'intreccio tra educazione e santità appare come il principale tratto della spiritualità salesiana; la riflessione sull'educazione dei giovani alla fede, portata avanti dai salesiani e quella sull'educazione della donna, compiuta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice; il movimento della nuova evangelizzazione che ha luogo nella Chiesa; lo scenario – cioè visioni dell'uomo, contenuti, valori, rapporti, luoghi e modalità – in cui si svolge l'educazione.
    Da questo contesto, confrontato con le indicazioni precedenti, provengono alcune linee rivisitate in questi ultimi anni e da approfondire.

    3.1. Rimeditare l'educazione alla luce della Parola di Dio

    La prima linea è ripensare e vivere il compito educativo come collaborazione all'opera di Dio [21]. Giovanni Paolo II afferma che la "peculiarità dello spirito di Don Bosco, le sue istituzioni, il suo stile non vengono meno perché ispirati dalla trascendente `pedagogia' di Dio" [22].
    La Scrittura infatti presenta l'azione di Dio come un processo educativo. Egli salva le persone e il popolo educandoli. Parla non solo a loro ma con loro. Essi sono i suoi interlocutori. Ascoltano ma anche rispondono e interrogano. Proposta e risposta, grazia e libertà si intrecciano continuamente. Il parlare e ascoltare è la caratteristica del Dio vero, in contrapposizione agli idoli che sono muti e sordi, lontani e schiavizzanti.
    Ma oltre a parlare, il Signore spinge e quasi obbliga il popolo a esperienze sempre nuove e maturanti, sebbene non facili: rom pere la dipendenza dall'Egitto, avventurarsi nel deserto, formare la comunità nella propria terra, esprimere l'identità religiosa, assumere la legge.
    Stimola e accompagna un cammino di liberazione dai gioghi umani, anche attraverso lotte e prove, perché vivano pienamente l'alleanza con Lui. Così gli fa maturare la coscienza di quello che sono, del loro destino, che l'uomo per se stesso non riuscirebbe a scoprire: non schiavi, né sottomessi ai poteri del mondo, alle forze della natura o alle potenze magiche, ma "popolo di Dio", oggetto del suo amore, soggetti della propria storia.
    La Parola di Dio non soltanto descrive l'agire di Dio secondo gli atteggiamenti che noi attribuiamo all'educatore (rispetto della libertà, pazienza, offerta di nuove opportunità, prove); non soltanto adopera le parole che noi usiamo per definire le finalità educative (orientare, accompagnare, correggere), ma per designare la sua opera impiega la radice ebraica "Musar" che in greco viene tradotta con "Paideia". "Io gli insegnavo a camminare tenendolo per mano... li traevo con legami di bontà... ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare" [23]. "Riconosci dunque in cuor tuo, che come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge Te" [24].
    Questi sono i testi più teneri e poetici, ma non gli unici. Si potrebbe raccoglierne altri dello stesso tenore, brevi e lunghi, sull'opera educatrice di Dio riguardo all'uomo.
    Il filone culmina in Gesù Cristo. Egli si presenta come Maestro. Non è difficile spigolare nel Vangelo tratti educativi: i dialoghi con la gente che gli si avvicina; il linguaggio delle parabole, con cui rende facile ai suoi ascoltatori la comprensione della verità; gli inviti a superare le domande materiali, che in generale presentano i suoi interlocutori e a passare a quelle più profonde, ai beni del Regno.
    La sua azione educativa diventa sistematica e quotidiana con gli apostoli. Un po' per volta li aiuta a capire il valore e le esigenze di un progetto comunitario e a lunga scadenza, mentre essi erano preoccupati dei propri vantaggi e desiderosi di effetti immediati. Devono uscire mentalmente dal villaggio e pensare in termini universali.
    Li spinge a superare l'integrismo e lo zelo autoritario. Bisogna che imparino ad accettare avversari, rivali e gente che pensa diversamente [25].
    Insegna loro a guardare con profondità i problemi fondamentali dell'uomo, per esempio, le malattie, le catastrofi inspiegabili, la morte [26]. Non devono cedere di fronte a spiegazioni colpevolizzanti, fataliste o pseudoreligiose.
    Li guida ad essere critici anche su alcuni aspetti della religione che si sono rivolti contro l'uomo: il legalismo, il puritanesimo, l'uso della religione da parte di chi governa, il ritualismo [27].
    Li porta a giudicare le persone con prudenza e finezza, a superare la superficialità e la rozzezza nelle loro valutazioni. Pensiamo all'episodio della donna che unse i suoi piedi in casa di Simone e a quello dell'adultera.
    L'opera educatrice di Dio non finisce qui. San Paolo ne vede tre fasi, ciascuna delle quali trasforma più profondamente la persona.
    Israele è come un bambino sotto il controllo di un pedagogo esterno: la legge. Questa gli mostra la via, ma non gli dà la forza per percorrerla, né gli fornisce l'identità da conseguire. La legge infatti non è la meta, né la forma, né tanto meno la vocazione dell'uomo. Il destino della persona invece sono l'amore e la libertà.
    La seconda fase viene nella pienezza dei tempi: Dio manda suo Figlio. In Lui ci infonde la forma umana alla quale siamo destinati. Tale forma è seminata dentro di noi per l'incarnazione di Gesù e costituisce il nostro codice genetico per la grazia dell'adozione. Deve svelarsi e svilupparsi secondo le età dell'uomo.
    Infine c'è la terza fase: Gesù ci dona lo Spirito che diventa nostro pedagogo e guida interiore. È lo Spirito di libertà, creatività e generosità che ci spinge a modellarci, nelle diverse situazioni storiche, secondo le dimensioni di Cristo, Uomo, Figlio di Dio.
    In questa prospettiva va letta la funzione educativa della Chiesa nel mondo. L'educazione dell'umanità non è per essa una manifestazione opzionale della carità: è il cuore stesso della sua missione. La Chiesa diviene la mediatrice dell'azione educativa di Dio, la continuazione del magistero di Cristo, il segno della presenza dello Spirito nell'umanità [28].
    Perciò in essa tutto – presenza, annuncio, celebrazione, diaconia – è educativo: tende a dare all'uomo coscienza del suo essere e del suo destino, a risvegliare in lui energie di costruzione, a scoprire quanto di buono, di nobile e di eterno [29] ha posto il Creatore in lui, ad aprirlo al rapporto che lo costituisce nella sua dignità: quello con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
    Molti in essa riceveranno il "carisma" dell'educazione e si dedicheranno professionalmente all'attività educativa, facendone l'espressione dell'opzione radicale per Dio: non un aspetto giustapposto alla consacrazione religiosa, bensì un modo singolare di esprimerla.
    Oggi il compito educativo corre il rischio di svuotamento e svalutazione. Il tecnicismo, la pura funzionalità, la fugacità dei rapporti, la complessità possono farla apparire come un "ambito" povero di prestigio e redditività e soprattutto mettere in forse la sua reale efficacia.
    Il ritornare al suo senso ci dà delle motivazioni per riassumerla con speranza.

    3.2. Guardare al mistero di Cristo Redentore dell'Uomo

    Parecchi fatti portano verso questo riferimento. La spiritualità salesiana ha nella figura di Cristo il suo punto di unità e ispirazione: Cristo pastore consumato dalla passione per salvare l'uomo, cioè per portarlo verso il compimento della sua vocazione secondo il disegno del Padre, la filiazione.
    Ci richiamiamo sovente alla meditazione soprattutto dei suoi gesti educativi: "Sull'esempio del Signore e seguendo il metodo della sua carità 'sulla via di Emmaus' (...) prendiamo l'iniziativa dell'incontro e ci mettiamo accanto ai giovani; con loro percorriamo la strada ascoltando, condividendo la loro ansia e aspirazioni; a loro spieghiamo con pazienza il messaggio esigente del Vangelo; e con loro ci fermiamo per ripetere il gesto di spezzare il pane e suscitare in essi l'ardore della fede che li trasforma in testimoni e annunciatori credibili" [30].
    Ma oltre che modello del Pastore-Educatore Cristo è fondamento e sostegno della fiducia nell'opera educativa. La forza della sua redenzione agisce nel mondo e in ciascuno dei cuori umani. Sorregge dunque la speranza nel recupero di tutti, giovani e adulti, qualunque sia la loro condizione e situazione. La sua conoscenza comunica grazia sanante e santificante a tutto il dinamismo umano. Quando gli si aprono le porte, intelligenza, volontà, sentimenti e progetti si muovono nella direzione della salvezza. La sua grazia è il principio di costruzione della personalità umana.
    Cristo diviene dunque modello di riferimento per l'educazione: immagine dell'uomo che il giovane e ciascuno di noi è chiamato ad essere. "La meta che il cammino (educativo) propone al giovane è quella di costruire la propria personalità avendo Cristo come riferimento sul piano della mentalità e della vita. È un riferimento che facendosi esplicito e interiorizzato lo aiuterà a vedere la storia come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo.
    Per la fecondità misteriosa di questo riferimento la persona si costruisce in unità esistenziale; assume le proprie responsabilità e ricerca il significato ultimo della propria vita" [31].
    E ciò perché siamo convinti che solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. "L'uomo che vuol capire se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali e spesso superficiali e persino apparenti criteri e misure del proprio essere – deve con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo [32].
    La coscienza di sé, la verità della propria esperienza esistenziale e il destino ultimo dell'uomo – persona e storia – che segna la direzione dell'educazione si comprendono alla luce del mistero di Cristo.
    Questa meditazione diventa sempre più urgente di fronte all'odierno pluralismo culturale ed educativo. L'educazione e più generalmente la cultura che respiriamo ammettono la dimensione religiosa ma non si ispirano ad essa come riferimento obbligante; la consegnano alla opzione e gusti del singolo. Ne soffre la stessa concezione della persona e di conseguenza tutto l'orientamento educativo.
    Nella Chiesa si dà perciò una nuova attenzione e un approfondimento del mistero di Cristo a partire della sua ricchezza intrinseca, ma anche provocati dalla nuova temperie umana e culturale, che vede l'uomo al centro della riflessione sulla storia, l'uomo che diventa anche "la via della Chiesa".
    Si stabilisce attorno all'uomo e al senso della sua esistenza un'interazione tra cultura e Vangelo, tra Chiesa e mondo, tra fede ed educazione, diversa dal passato. Predomina l'annuncio indirizzato alla libertà. L'educazione è rivolta a svegliare l'interesse della persona circa la qualità della sua vita e a dotarla degli strumenti per realizzarla. La fede viene comunicata attraverso la testitnonianza convincente.
    Le conseguenze pratiche per la spiritualità sono indicate da Giovanni Paolo II: bisogna radicare la convinzione che avvicinandoci a Cristo tocchiamo "le più profonde sfere dell'uomo, la sfera – intendiamo – dei cuori umani, delle coscienze umane, delle vicende umane" [33].

    3.3. La ragione e la fede come capacità di lettura e discernimento evangelico

    Un insieme di sfide vengono lanciate all'educazione. Le sentono gli educatori professionisti e i genitori, le scuole, gli ambienti giovanili e le famiglie. Vuol dire che sono reali e già pervadono il quotidiano.
    La prima e più appariscente è l'emergenza di esigenze e sensibilità a cui prima non davamo tanta importanza: i nuovi valori. Fattori diversi hanno collaborato a farle sorgere e affermarsi: il progresso tecnico, la comunicazione sociale che diffonde gusti e modelli, l'allargamento della visione geografica del mondo, l'apertura delle frontiere tra i popoli e il movimento migratorio, la caduta della fiducia in determinati progetti storici e forme di intervento e, più in generale, il sospetto verso i "sistemi" di verità imposti, con pretesa di completezza e obbligatorietà.
    La lista di queste esigenze comprende la dignità della persona concretizzata nel riconoscimento dei suoi diritti civili, la qualità della vita, che si esprime nella ricerca del benessere, la libertà di coscienza, la pace, l'ambiente, la tolleranza e accoglienza positiva della diversità culturale, etica e religiosa, la parità-reciprocità tra uomo e donna, la mondialità, la solidarietà.
    Di tutti questi valori si sente l'urgenza. Provocano dunque attese e mobilitano energie. Sono però poco precisati e portano il segno dell'ambiguità. Sradicati dalle motivazioni fondamentali non liberano il loro potenziale, e finiscono per chiudere la stessa personalità nei soli orizzonti mondani. Per lo stesso motivo sovente la loro interpretazione si rivolge contro la persona in nome della quale erano stati proclamati.
    Soprattutto dopo averli enunciati, come si fa nei convegni, rimane l'arduo compito di elaborare e mettere in pratica una pedagogia per proporli e farli assimilare. Pedagogia che, va detto, non è solo questione di metodo, ma proprio originale trattamento e definizione educativa del valore.
    Insieme ai nuovi valori ci sono forme inedite di realizzare i valori tradizionali: la sessualità, il lavoro, l'impegno pubblico, la religiosità. Di ciascuna di queste costellazioni si possono riportare le espressioni che vengono abbandonate, le sfide attuali, le correnti nascoste che muovono in una certa direzione, le manifestazioni preferite. Pensiamo all'amore umano con i problemi che riguardano il sesso, il rapporto di coppia, la mentalità sul matrimonio, l'atteggiamento di fronte alla vita nascente, la biogenetica. O la costellazione dei valori sociali con la nuova polarizzazione tra libertà e giustizia, la caduta delle "regole" per i rapporti tra organismi e poteri, il sorgere di particolarismi non solo nazionali ma anche economici e sociali, la disaffezione all'attività politica, la realizzazione della solidarietà sociale in ambiti pubblici diversi dalla "politica".
    Il tutto è percorso da fenomeni trasversali: lo scarso riferimento a fondamenti di verità, la mancanza di una autorità di qualsiasi tipo capace di "far prevalere" un insieme di valori, il predominio della soggettività nell'assumere verità e valori, la "privatizzazione" di entrambi.
    L'educazione salesiana si caratterizza dall'intima fusione tra sviluppo umano e annuncio evangelico, il che vuol dire tra persona e verità. È convinta che il primo è possibile in senso pieno soltanto attraverso il secondo e che l'annuncio di Cristo rivela aspetti fondamentali della crescita umana che l'uomo da solo non potrebbe né scoprire né realizzare. Ma il Vangelo è sempre come la luce, il seme, il lievito nella cultura e nella storia umana dove avvengono i fenomeni descritti.
    Un tempo mentalità, valori e Vangelo erano, se non fusi, almeno collegati obiettivamente. Compito della persona era interiorizzarli e inverarli nella vita. Ma la comprensione univoca era scontata e le agenzie educative avevano, in tale comprensione, un fondamento indiscutibile.
    Oggi ci vuole vigilanza mentale e discernimento evangelico. Quello che si produce nel nostro mondo (dal telegiornale alla riproduzione in provetta) ha bisogno di valutazione critica e di cernita alla luce del mistero di Cristo. Soltanto questo atteggiamento assicura una giudiziosa opzione personale e abilita a fare una proposta di fede ai giovani. Niente è scontato. Tutte le aree di valore e tutte le manifestazioni sono come intaccate e hanno bisogno di illuminazione. Ciò richiede un esercizio della ragione, che deve superare la passività, che non può procedere per pregiudizi (destra-sinistra, ieri-oggi, cristiani e non cristiani!) e nemmeno lasciarsi trascinare dall'ingenuità. Comporta allo stesso tempo un esercizio della fede in Gesù Cristo che offre una chiave per giudicare e lievitare questi valori, e un cammino per realizzarli.
    Il discernimento ci porta a "temperare", a mettere nel giusto equilibrio, e a fare un paziente confronto tra tendenze culturali e fede, tra la soggettività che va riconosciuta e la verità, tra le molteplici possibilità di scelte che sono garanzia di libertà e la responsabilità morale.
    È quello che, nel linguaggio tradizionale del Sistema preventivo, viene sotto il nome di "saggezza" o "sapienza"; la lezione che Giovanni Bosco doveva imparare da Maria per capire e intervenire; un tratto della spiritualità di Don Bosco, ricordato nell'ufficio liturgico, è uno dei tre termini che conformano l'ideale educativo anche per i giovani. Saggezza come "bontà" illuminata, cioè capacità di scorgere il bene e di valorizzarlo; dono dello Spirito che abilita alle scelte, in primo luogo, di senso e di valore, alla luce del mistero di Dio e del destino della persona.

    3.4. Un itinerario di carità che diventa prassi educativa

    Oltre a discernere i "valori" l'educazione, in qualsiasi struttura, richiede capacità di mediazione. Non è solo definizione e neppure "predicazione" di verità o valori. È avvicinamento del soggetto ad essi e accompagnamento nel cammino di assimilazione. Oggi i due problemi presentano la stessa urgenza e difficoltà: si devono vagliare verità e valori nel pluralismo e nella complessità; ma non di meno si deve superare l'incomunicabilità e la distanza, una volta che gli educatori sono orientati su verità e valori.
    • Espressione tipica della carità educativa è innanzitutto il saper incontrarsi con i giovani. Don Bosco fu uno specialista del primo incontro, all'aria aperta e in qualsiasi luogo. Era capace di suscitare immediatamente la fiducia, eliminare le barriere, provocare la gioia. Alcuni di questi "primi incontri" sono rimasti nella storia come momenti fondanti. L'incontro con Bartolomeo Garelli gettò le fondamenta dell'oratorio. Don Bosco rievoca con piacere i suoi primi incontri con i ragazzi e si sofferma a ricostruire passo a passo lo scambio di battute.
    Li propone come modelli pedagogici. Si esibisce quasi nella sua arte di attingere la vita del ragazzo. L'incontro comincia sempre con un gesto di assoluta stima, di affetto, di sintonia. Don Bosco entra subito e con semplicità nei punti importanti della vita del suo interlocutore (santità, abbandono, vagabondaggio). Il dialogo, dunque, è serio nei suoi contenuti, sebbene le singole espressioni siano cariche di allegria e di buon umore. Perché affrontano punti caldi di vita e li affrontano seriamente e con gioia, questi incontri si caratterizzano per l'intensità dei sentimenti. Michele Magone si commuove [34], Francesco Besucco piange di commozione [35], Domenico Savio "non sapeva come esprimere la sua gioia e gratitudine; mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte" [36].
    Se tale era il ricordo che avevano lasciato gli incontri nel suo animo, se tale è la rilevanza che lui gli dà nelle biografie, fino a farne il perno della narrazione, è perché era convinto che la qualità dell'educatore-pastore si rivela nell'incontro personale.
    Questo "esercizio" della carità educativa ci fa pensare a due fenomeni attuali e a quello che richiedono da noi: la lontananza fisica di molti giovani, la distanza psicologica di altri che pur sono vicini. E anche l'idea della carica mistica e ascetica che comporta.
    • La seconda manifestazione della carità pedagogica è dedicarsi con pazienza e cura a costruire un ambiente ricco di umanità, che sia espressione e veicolo di valori. L'esperienza della forza dell'ambiente appartiene ai primi anni di apostolato di Don Bosco e diviene un'acquisizione definitiva per tutto il resto dei suoi giorni.
    Don Bosco sarà l'amico di molti ragazzi avvicinati individualmente nei più disparati luoghi; ma sarà anche l'animatore di una comunità di giovani, caratterizzata da alcuni tratti e con un programma da sviluppare. Ragioni psicologiche, sociologiche e di fede lo confermarono nella convinzione che c'era bisogno di un'ecologia educativa, dove la fede e la ragionevolezza si respirassero e dove la carità informasse i ruoli, i rapporti e 1' atmosfera.
    La carità educativa porta a spendere tempo e forze per animare un ambiente ampio, positivo, ricco di proposte, capace di accogliere molti giovani e offrire loro un'esperienza positiva della convivenza, della responsabilità, dell'impegno, della vita di fede.
    • Insieme all'incontro e all'animazione di un ambiente, la carità ispira un altro gesto: il rapporto educativo personale prolungato capace di aiutare la crescita.
    L'incontro richiama soltanto il primo momento di accoglienza. L'educazione non è un "consiglia e fuggi" o "predica e scappa"; richiede un accompagnamento rispettoso ma a lungo termine. Tale accompagnamento, approfondendosi, prende due forme: l'amicizia e la paternità. Tutte e due sono manifestazioni di un amore che cresce nell'educare e, crescendo, incide ancora di più sull' educazione.
    L'amicizia prima ricorre spessissimo nelle narrazioni di Don Bosco che riguardano l'esperienza personale e la prassi educativa. L'amicizia è stata un tratto della sua giovinezza, dimostrazione della sua capacità di dare e ricevere affetto gioiosamente e sempre in maniera personale e profonda.
    Occupa pure un posto rilevante nelle sue riflessioni pedagogiche. Nelle biografie di Domenico Savio [37], di Michele Magone e di Francesco Besucco l'amicizia fine, costruttiva, permeata di razionalità e indirizzata verso il progresso morale e la santità, costituisce uno dei capitoli più delicati e più interessanti.
    L'amicizia profonda tra educatore e giovani nasce dai gesti e dalla volontà di familiarità, e di essi si nutre. A sua volta provoca confidenza.
    L'espressione concreta è l'assistenza. Essa viene intesa come un desiderio di stare con i giovani e condividere la loro vita. È allo stesso tempo presenza fisica lì dove i ragazzi si trovano, interscambiano o progettano e forza morale con capacità di animazione, stimolo e risveglio. Assume il doppio aspetto della preventività: proteggere da esperienze negative precoci e sviluppare le potenzialità della persona attraverso proposte positive. Stimola con motivazioni ispirate alla ragionevolezza (vita onesta, attraente senso dell'esistenza) e alla fede, mentre rafforza nei ragazzi la capacità di risposta autonoma al richiamo dei valori.
    L'amicizia-assistenza sfocia in un'altra manifestazione singolarissima del rapporto educativo: la paternità-maternità. Essa è più che l'amicizia. È una responsabilità affettuosa e autorevole che porge guida e insegnamento vitale ed esige disciplina e impegno. È amore e autorità.
    Si manifesta soprattutto nel "saper parlare al cuore", in maniera personalizzata e personalizzante, perché si attingono le questioni che attualmente occupano la vita e la mente dei giovani; saper parlarne col linguaggio adatto all'argomento e ai giovani in modo tale da toccare la coscienza e formarli in una sapienza con cui affrontare problemi presenti e futuri: in una parola, la paternità si manifesta nell'insegnare l'arte di vivere secondo il senso cristiano.
    Amicizia e paternità creano il contesto in cui i valori diventano comprensibili e le esigenze accettabili. Così si traccia la linea tra l'autoritarismo, che rischia di non influire, e il permissivismo che non riesce a trasmettere valori e in cui l'amicizia risulta passatempo inconsistente che non aiuta a crescere.
    Incontro, amicizia, paternità segnano un crescendo nella maturità dell'amore oblativo che corrisponde anche a un itinerario educativo nel giovane.

    3.5. Contemplare nell'azione educativa

    La dimensione contemplativa è "il momento più alto e più pieno dello Spirito, quello che può gerarchizzare ancora oggi la piramide dell'attività umana" (Paolo VI). Consiste nell'essere attenti alla presenza di Dio e pronti nel fare la sua volontà con gioia e disponibilità. "Esercizio continuo della presenza di Dio", si diceva nel linguaggio salesiano tradizionale.
    Riconosciuta la sua preminenza nella vita spirituale, rimangono da chiarire i "luoghi" e le forme in cui la si può esercitare. La Settimana di spiritualità della Famiglia Salesiana del 1980 ("Il sistema preventivo come cammino di santità") parlava dell'incontro con Dio attraverso due tipi di mediazioni, incluse in un unico universo sacramentale: quelle "celebrative-rituali" e quelle "pratico-tecniche". Sottolineava l'importanza di queste ultime nell'esperienza spirituale salesiana [38]. In una parola "lavoro e preghiera fusi nel sacramento totale della vita orientata verso Dio e mossa dalla carità".
    Unione di preghiera e unione di vita con Dio: due movimenti dello stesso cuore. Le due hanno ritmi e forme proprie. "L'unione di preghiera celebrata interrompe le relazioni con le creature per concentrare tutta l'attenzione direttamente sulla luce e sulla vita intima di Dio. L'unione pratica si attua nel cuore stesso della vita corrente, nel tessuto delle relazioni umane" [39]. Non è infrequente trovare ancora testi in cui l'esperienza spirituale viene concepita con un "prima" e "a parte" preparatorio, nel quale ha luogo l'incontro con Dio; e un "dopo" nell'azione in cui mettiamo a frutto, e, in un certo senso, spendiamo utilmente la luce e l'energia ricevuta. E ogni volta che si tende a fonderli in un continuo c'è un richiamo alla precauzione.
    Nel Sistema preventivo si ha continuità senza rottura tra i due momenti; anzi, i due si uniscono in un punto di congiunzione ulteriore: la carità. E per il tipo di carità il momento dell'azione è principale come carica e manifestazione.
    Lo esprime un testo dei Salesiani: "Educare i giovani alla fede è, per il salesiano, lavoro e preghiera. Egli è consapevole che impegnandosi per la salvezza della gioventù fa esperienza della paternità di Dio. (...) Don Bosco ci ha insegnato a riconoscere la presenza operante di Dio nel nostro impegno educativo, a sperimentarla come vita e amore. (...) Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell'incontro con Lui e per disporci a servirLo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza di vita.
    Il momento educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui" [40].
    Chi educa è chiamato a riconoscere Dio che opera nella persona umana e a mettersi a suo servizio. Qualcosa di simile a quello che dovette fare Maria, perché nella umanità di Gesù si manifestasse in forma storica la coscienza divina. Maria dovette accompagnarlo e sostenerlo con il cibo, l'affetto, il consiglio, l'insegnamento della lingua e delle tradizioni, l'inserimento nei rapporti umani, l'iniziazione nell'universo dei gesti e delle parole religiose, senza sapere di scienza certa che cosa si sarebbe rivelato questo suo figlio.
    C'è un dialogo misterioso tra ciascun giovane e quello che gli giunge dall'esterno, quello che sorge dentro di lui, quello che scopre come imperativo, grazia o senso. Un po' alla volta va acquistando piena coscienza di sé, va elaborando un progetto di esistenza nel quale scommette le sue forze e gioca le sue possibilità.
    Il suo futuro è un'incognita. Don Bosco, adattando un detto della Scrittura conforme alle traduzioni del suo tempo, aveva fatto scrivere sui muri dell'oratorio una frase che ancora oggi si può leggere: "Non si può conoscere la traccia che lascia il serpente sulla pietra, né la strada che prenderà un fanciullo nella vita"[41].
    L'educatore è chiamato ad offrire tutto quello che crede opportuno, vivendo con speranza le incognite del futuro. Si interessa sinceramente dell'umano incerto che cresce. In esso infatti Dio verrà accolto e anche in forza della crescita si manifesterà con sempre maggior luminosità.
    Chi educa, dunque, – genitore, amico o animatore – mantiene viva la consapevolezza che egli è parte nella festa dell'incontro di Dio con i giovani. È l'amico dello sposo, non protagonista ma aiuto e spettatore attivo come Maria alle nozze di Cani. Dei suoi sforzi, dei suoi gesti, delle sue parole si serve il Signore per farsi sentire nella vita dei giovani e svegliare in loro il desiderio di essere "di più". L'educatore non raggiunge direttamente il santuario del cuore e della coscienza. Ma la sua voce, la sua presenza sono gli strumenti con cui Dio fa risuonare la sua voce nell'interno dei giovani. Nelle Costituzioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice si legge che l'assistenza "è attenzione allo Spirito che opera in ogni persona" [42].
    Proprio nella fede che intravede l'agire di Dio, nella speranza che attende la sua manifestazione nella vita dei giovani, e nella carità che si mette a disposizione del giovane e dello sposo si sviluppano i sentimenti e si vivono come preghiera i momenti educativi di gioia, di attesa, di dolore, di sforzo, di apparente fallimento. Si ringrazia, ci si rallegra, ci si lamenta, si intercede, si desidera, si invoca.
    La celebrazione liturgica ha un Kyrie, un Gloria, un Credo, un'offerta, uno spazio simbolico, una comunità, tempi di penitenza e di esultanza. Così la liturgia della vita ha momenti di risultati gratificanti e di delusione, di iniziativa e di attesa, di solitudine e di compagnia. C'è uno spazio (cortile, scuola, quartiere!) e ci sono persone da amare e con le quali collaborare di cuore (la comunità educante).
    Il tutto, vissuto alla luce della presenza operante di Dio, diventa contemplazione. Avviene come nella comunicazione tra persone che si conoscono bene: un sentimento si può esprimere con parole, con un gesto, con un dono, con uno sguardo, con un silenzio, con una visita, con un messaggio attraverso telefono o fax.
    Si tratta – direbbe Sant'Agostino – "di prendere in mano il salterio delle buone opere e con esso cantare le lodi del Signore".

    NOTE

    1 Cfr AA. VV. Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, Atti del Convegno europeo salesiano sul Sistema educativo di Don Bosco, Torino-Leumann, LDC, 1974.
    2 Cfr Il Sistema preventivo vissuto come cammino di santità. Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, Roma 1980, Torino-Leumann, LDC, 1981.
    3 PRIVITERA S., Voce "Esperienza cristiana" in Nuovo Dizionario di teologia morale, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1990.
    4 Rom 8, 5-19.
    5 1Cor 2, 14-15.
    6 Cfr Cost. SDB 21.
    7 Lo dicono le Costituzioni all'art. 14: "La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani. Questo amore... dà significato a tutta la nostra vita".
    8 Cost. SDB 21; cfr Cost. FMA 1. 6.
    9 Cost. SDB 2.
    10 Cost. SDB 4.
    11 Cost. SDB 25.
    12 Cost SDB 11.
    13 Cost. SDB 20; cfr Cost. FMA 7. 66.
    14 1Cor 13, 2-3.
    15 Cfr LG 41; PO 13.
    16 Pastores dabo vobis, nn. 21-26.
    17 JP 5.
    18 JP 5.
    19 JP 8.
    20 Cfr D. EGIDIO VIGANO, Lettere del Rettor Maggiore, in ACG 326 "Studia di farti amare"; ACG 334 "Spiritualità salesiana e nuova evangelizzazione"; ACG 337 "Nuova educazione".
    21 Cfr JP 7 e 13; ChL 61; CG23 SDB 11-14.
    22 JP 13.
    23 Os 11, 1-4.
    24 Deut 8, 5.
    25 Cfr Mc 9, 38-39; Lc 9, 52-56.
    26 Cfr Gv 9, 1-4; 11, 17ss; Lc 13, 1-5.
    27 Cfr Mt 12, 1-11; 15, 10-19; 13, 13-20; Le 13, 10-16; Gv 5, 9-18.
    28 Cfr JP 7.
    29 Fil 4, 8.
    30 CG23 SDB 93.
    31 CG23 SDB 114.
    32 RH 22.
    33 RH 10.
    34 Cfr Cenno Biografico sul giovanetto Magone Michele, capo II (Curioso incontro).
    35 Cfr Vita del giovane Besucco Francesco di Argentera, capo XII (Tenore di vita all'oratorio - Primo trattenimento).
    36 Cfr Vita del giovinetto Savio Savio, capo VII (Primo incontro con Domenico Savio).
    37 Cfr Vita del giovinetto Savio Domenico, capo XVIII e XIX.
    38 Cfr Il sistema preventivo vissuto come cammino di santità, pag. 36-51.
    39 BROCARDO P., "Don Bosco profeta di santità per la nuova cultura" in M. MIDALI (a cura di) Spiritualità dell'azione, Roma, LAS, 1977, pag. 197.
    40 CG23 SDB 95.
    41 Prov 30, 19.
    42 Cost. FMA 67.

    (Atti delle XViII Settimana di spiritualità della Famiglia Salesiana, Roma 1995)


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