Trovare Cristo
Un segreto da vivere come fratelli poveri
Thomas Merton
Mancavano ancora tre settimane a Pasqua. Poiché pensavo sempre più al monastero trappista dove sarei andato a passare la Settimana Santa, un giorno andai nella biblioteca e presi l'Enciclopedia Cattolica per leggere dei trappisti. Seppi così che i trappisti erano cistercensi, e poi cercando dei cistercensi, arrivai ai certosini, e trovai una grande tavola con gli eremi dei camaldolesi. Ciò che vidi in quelle pagine mi penetrò nel cuore come un coltello. Che meravigliosa felicità esisteva nel mondo!
Su questa terra miserabile, rumorosa e crudele, v'erano dunque ancora uomini che assaporavano la gioia stupenda del silenzio e della solitudine, che abitavano in remote celle sui monti, in monasteri appartati, al riparo dalle notizie, dai desideri, dagli appetiti e dai conflitti del mondo. S'erano liberati dal peso della tirannia della carne, e i loro occhi limpidi, purificati dal fumo del mondo e dal suo irritante sentore, si elevavano al cielo e ne penetravano gli abissi infiniti, e la luce salutare. Erano poveri, non avevano nulla, e perciò erano liberi e possedevano ogni cosa, e tutto ciò che toccavano emanava una scintilla del fuoco divino. E lavoravano con le loro mani, arando e zappando in silenzio la terra, spargendo il seme e mietendo i modesti raccolti per nutrire se stessi e gli altri poveri. Edificavano le loro case e facevano, con le loro stesse mani, i mobili e i rozzi vestiti che portavano; e intorno a loro tutto era semplice, povero e primitivo perché erano gli ultimi e i più piccoli fra gli uomini; esuli volontari, erano andati a cercare fuori delle mura del mondo Cristo povero e respinto dagli uomini. Soprattutto, avevano trovato Cristo, conoscevano la potenza, la dolcezza, la profondità e la misura infinita del Suo amore, vivo ed operante in loro. In Lui, nascosti in Lui, erano diventati i «Poveri Fratelli di Dio». E per amor Suo avevano rinunciato a tutto e si erano nascosti nel Segreto del Suo Volto. Proprio perché non avevano nulla, erano i più ricchi della terra, possedevano ogni cosa; perché a mano a mano che la grazia svuotava i loro cuori dal desiderio creato, lo Spirito di Dio vi entrava e colmava il posto fatto per Dio. E nelle loro celle, i Poveri Fratelli di Dio gustavano nel loro intimo la segreta gloria, la manna nascosta, il nutrimento infinito e la potenza della Presenza di Dio. Gustavano la dolce esultanza del timor di Dio che è il primo intimo contatto con la realtà di Dio che si conosca e si esperimenti sulla terra, il principio del Paradiso. Il timore del Signore è il principio del Paradiso. E per tutta la giornata Dio parlava loro. Nella sua tremenda pace, la pura voce di Dio faceva scorrere in loro la verità, semplicemente e direttamente come l'acqua sgorga dalla sorgente. E all'improvviso la grazia si faceva in loro sempre più abbondante; ed essi non sapevano da dove venisse, eppure questa grazia li ricolmava, li riempiva d'amore e di liberazione. E traboccando in ogni atto, in ogni movimento, la grazia faceva di tutto ciò che compivano un atto d'amore, la glorificazione di Dio non con gesti, né dramma, né dimostrazione esteriore, ma con la semplicità stessa e l'economia della perfezione estrema, tanto estrema da passare inosservata.
Nel mondo vivevano uomini santi, santi nel senso che riconoscevano tutte le circostanze in cui poter dimostrare quell'amor di Dio che li possedeva. Ma questi uomini nascosti si erano tanto avvicinati a Dio nelle loro segrete dimore da non vedere altro all'infuori di Lui. Nel quadro essi s'erano sperduti; non poteva esservi paragone tra loro che ricevevano e Dio che dava, perché la distanza sulla quale si sarebbe potuto misurare questo paragone s'era ridotta a nulla. Essi dimoravano in Lui. Essi s'erano ridotti al nulla e si erano trasformati in Lui con la pura e assoluta umiltà del loro cuore.
E traboccando da quei cuori puri, l'amore di Cristo li rendeva fanciulli e li rendeva eterni. I vecchi con le membra simili alle radici di un albero avevano occhi di fanciulli e vivevano eterni sotto le loro grigie lane monacali. E tutti, giovani e vecchi, non avevano età, i piccoli fratelli di Dio, i fanciulli per il quale era stato creato il Regno dei Cieli.
Ogni giorno, il giro delle ore canoniche li riuniva e l'amore che era in loro si trasformava in canti austeri come il granito e dolci come il vino. E nel lungo e solenne salmodiare essi si drizzavano, si inchinavano. La loro preghiera apriva le sue ali e le ripiegava nel silenzio, prorompeva all'improvviso in un inno, il color di fiamma, e moriva nel silenzio; si sentiva appena la vecchia e debole voce recitare la preghiera finale. Il sussurro degli amen correva sulle pietre come un sospiro e poi i monaci rompevano le file e uscivano in parte dal coro, mentre alcuni rimanevano a pregare. E anche durante la notte si alzavano e riempivano le tenebre con la forte e paziente angoscia della loro supplica a Dio; e la potenza della loro preghiera (lo Spirito di Cristo celava la Sua forza nelle parole che le loro voci esprimevano) tratteneva miracolosamente il braccio di Dio dal colpire e distruggere il folle mondo pieno di avidità e di avarizia, di delitto, di lussuria e di ogni peccato.
Il pensiero di quei monasteri, di quei cori remoti, di quelle celle, di quegli eremi, di quei chiostri, di quegli uomini nelle loro cocolle, poveri monaci, uomini che si erano annullati, mi trafisse il cuore. In un attimo il desiderio di quelle solitudini si aprì in me come una ferita.
(La montagna dalle sette balze, 377-378)