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    Ritorno a Greccio


    Ritorno a Greccio

    Raniero Cantalamessa

    Conosciamo la storia di Francesco che a Greccio, tre anni prima della morte, dà inizio alla tradizione natalizia del presepio. Papa Francesco l’ha ricordata nel recente viaggio a Greccio dove ha firmato la sua lettera sul presepio.
    È importante notare l’intenzione e lo scopo che mosse il santo: “Vorrei, diceva, rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva tra il bue e l’asinello”.
    “Vedere con gli occhi del corpo”: in questo particolare è espresso il rapporto originalissimo che Francesco ha con la persona di Cristo e con i misteri della sua vita. Essi non sono per lui dei concetti e delle astrazioni, o dei semplici “misteri”. Sono realtà vive, concrete e palpitanti. Francesco ha ridato “carne e sangue” ai misteri del cristianesimo spesso “disincarnati” e ridotti a puri concetti e dogmi nelle scuole teologiche e nei libri.
    C’è un canto natalizio, il più popolare in Italia, che esprime alla perfezione i sentimenti di San Francesco davanti al presepio e cioè lo stupore e la commozione di fronte all’amore del Salvatore che lo spinge a farsi povero per noi. È il canto “Tu scendi dalle stelle” scritto, parole e musica, da sant’Alfonso Maria de Liguori. Il canto si sofferma anch’esso sui disagi reali e pratici del Bambino a cui “mancano panni e fuoco”, che scende dal cielo e viene “in una grotta al freddo e al gelo”.
    Per Francesco, Natale non era però soltanto l’occasione per piangere sulla povertà di Cristo; era anche una festa che aveva il potere di fare esplodere tutta la capacità di gioia che c’era nel suo cuore. A Natale, il Poverello faceva letteralmente pazzie. “Voleva – scrive il suo primo biografo – che in questo giorno i poveri edi mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. Se potrò parlare all’imperatore – diceva – lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza” (Celano, Vita Seconda, 151).
    Diventava come uno di quei bambini che stanno con gli occhi pieni di stupore davanti al presepio. Durante la funzione natalizia a Greccio, racconta il biografo, quando pronunciava il nome ‘Betlemme’ si riempiva la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva ‘Bambino di Betlemme’ o ‘Gesú’, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”.
    Purtroppo è successo all’arte del presepio quello che è successo all’arte sacra in genere: la rappresentazione diventa facilmente fine a se stessa; è la sua bellezza e originalità che conta, più che il mistero in essa rappresentato. Anziché finestre aperte sull’infinito, l’immagine sacra diventa come certe finestre “cieche” negli affreschi barocchi. Nel caso del presepio, la bellezza artistica, la tecnica e la novità (qualche volta la stranezza) della rappresentazione rischiano di essere l’unica cosa a cui si guarda e che attira la gente. Non sono da disprezzare queste cose e neppure le gare e le mostre di presepi. Papa Francesco ha scritto la sua lettera proprio per incoraggiare e mantenere viva la bella e santa tradizione del presepio in tutte le sue forme, pubbliche e domestiche. Il ricordo di Greccio dovrebbe aiutarci però a guardare il presepio con altri occhi, con gli occhi, appunto, del Poverello.
    Potremmo chiederci: ha ancora senso il presepio e la rappresentazione sacra in genere, oggi che la parola scritta e pronunciata è a disposizione di tutti? Il loro bisogno nasce oggi da un motivo diverso, ma non meno urgente che nel passato, quando le immagini e le sacre rappresentazioni erano “la Bibbia dei poveri”. Viviamo in una cultura che ha fatto dell’immagine il veicolo di comunicazione principale. Il valore perenne dell’immagine e della rappresentazione visiva nasce dal carattere sintetico e riassuntivo che essa possiede e che permette a chi guarda di abbracciare con un solo colpo d’occhio tutta una vicenda e una storia. Per una società “frettolosa” come la nostra, questa caratteristica è di grande importanza. C’è un motivo ulteriore per mantenere in vita la tradizione del presepio. I bambini sono oggi inondati di immagini violente; sarebbe un peccato privarli della possibilità di contemplare immagini di pace, di semplicità e di poesia come quelle del presepio.
    Alcuni vorrebbero eliminare la tradizione del presepio e di altri simboli natalizi con il pretesto di favorire in questo modo la convivenza pacifica con credenti di altre religioni, in pratica con gli islamici. In realtà questo è il pretesto di un certo mondo laicista che non vuole questi simboli, non dei musulmani. Nel Corano c’è una Sura dedicata alla nascita di Gesú che vale la pena conoscere. Dice: “Gli angeli dissero: “O Maria, Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù [‘Isà] figlio di Maria. Sarà illustre in questo mondo e nell’altro… Parlerà agli uomini dalla culla e da uomo maturo, e sarà dei Santi”. Disse Maria: “Signore mio, come potrò avere un figlio, quando nessun uomo mi ha toccata?”. Rispose: “Proprio così: Iddio crea ciò che Egli vuole, e quando ha deciso una cosa, le dice soltanto ‘sii’, ed essa è” (Corano, sura III, 45-47).
    La venerazione con cui il Corano ricorda la nascita di Gesú e il posto che occupa in essa la vergine Maria ha avuto di recente un riconoscimento inatteso e clamoroso. L’emiro di Abu Dhabi ha deciso di dedicare a Mariam, Umm Eisa,”Maria Madre di Gesú”, la bellissima moschea dell’emirato che prima portava il nome del suo fondatore, lo sceicco Mohammad Bin Zayed.

    (Vita e Pensiero - 14 dicembre 2019)


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