1. Quando ti chiamano
spenditi fino in fondo
Nicolò Anselmi
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2009 il Papa ha invitato i giovani ad un rinnovato “impegno spirituale, apostolico e sociale”.
Ogni settimana decine di migliaia di giovani in tutta Italia distribuiscono amore, gratuitamente e generosamente, negli oratori, nei dopo-scuola, nelle mense per i poveri, nei campi sportivi, nei ricoveri per anziani, nei gruppi giovanili, nelle aule di catechismo...; alcune domeniche fa erano giovani quelli che mi hanno venduto una primula per la ricerca medica e una fetta di crostata all'albicocca per una missione africana.
Ho visto molti adolescenti come Federica esagerare in generosità ed entusiasmo fino a trascurare i primari doveri familiari e scolastici; molti ragazzi, che si definiscono cristiani, non fanno nulla per gli altri; qualcuno si vergogna, altri sono incostanti, altri ancora, come Michele, hanno paura che il servizio tolga spazio alla loro autonomia, tempo allo studio ed alla fidanzata. Solo una profonda vita spirituale può farci capire a che tipo di impegno sociale siamo chiamati: i ragazzi o gli anziani? i disabili o i senza fissa dimora, l'Africa o il Sud America? l'università o la parrocchia? Là dove il Signore ci chiama ci dona anche la forza per spenderci fino in fondo.
L'impegno sociale e l'impegno spirituale sono quindi molto collegati, come pure è collegato ad essi l'impegno apostolico. L'esperienza mi dice che non è un vestito caldo o un piatto di minestra che da soli salvano una vita sofferente; solo l'amore, ed in particolare la fede nell'amore di Dio per me, dona speranza ad ogni istante della vita. Oggi noto un rinnovato interesse dei giovani per la politica, per il servizio al bene comune. Tanti ragazzi trascorrono ore seduti sugli scooter, sulle panchine, sui divanetti dei locali; forse sono come gli operai dell'ultima ora di cui parlava Gesù in una parabola: attendono che qualcuno li chiami a lavorare nella vigna del Signore, per costruire la civiltà dell'amore. Una scrittrice ebrea scrisse che un vero credente non si riconosce solo da come parla di Dio ma da come parla, con amore, delle persone, dei loro problemi, delle loro sofferenze.
(Avvenire, 17 marzo 2009)