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    Lo Spirito e la Chiesa

    Bruno Forte


    L’invio dello Spirito Santo da parte del Risorto può essere considerato l’inizio stesso della Chiesa: “Il tempo della Chiesa - afferma Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dominum et vivificantem -ha avuto inizio con la ‘venuta’, cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con Maria, la Madre del Signore”[1]. Quest’origine dalla Trinità attraverso le missioni del Figlio e dello Spirito mostra come la Chiesa sia costitutivamente “kenosi” e “splendore”, nascondimento e irradiazione, dell’amore trinitario nella storia[2]. Come nella Trinità così - per una non debole analogia - nella Chiesa, la missione è l’espressione del dinamismo più profondo della comunione, l’irradiazione della sovrabbondanza dell’amore, che in essa è effuso dallo Spirito Santo. Questo dinamismo originario è stato variamente vissuto e pensato nello sviluppo storico del popolo di Dio: nella varietà dei modelli che si sono succeduti nel tempo si realizza, in un certo senso, la “kènosi” dell’azione dello Spirito nella storia; nell’unica pienezza della Catholica e del suo dono al mondo è lo “splendore” dell’essere ecclesiale che viene a esprimersi.

    La Chiesa come “kenosi” dello Spirito: i modelli storici della sua missione

    L’Ecclesia de Trinitate esiste nella storia anzitutto come “kènosi” della gloria divina: la Trinità mette le sue tende nel tempo mediante la Chiesa, con tutti i limiti che derivano dalla dimensione storica e mondana. Di questa “kènosi” artefice principale è lo Spirito: “Lo Spirito Santo - scrive il teologo ortodosso Vladimir Lossky - si comunica alle persone, segnando ogni membro della Chiesa con il suggello di un rapporto personale e unico con la Trinità, divenendo presente in ogni persona. Come? Qui permane un mistero: il mistero dell’esinanizione, della ‘kènosi’ dello Spirito Santo veniente nel mondo. Se nella ‘kènosi’ del Figlio la persona ci è apparsa mentre la divinità rimaneva nascosta sotto ‘le sembianze del servo’, lo Spirito Santo, nel suo avvento, manifesta la natura comune della Trinità, ma lascia che la sua persona sia dissimulata sotto la divinità. Rimane non rivelato, nascosto per così dire dal dono, affinché il dono ch’Egli comunica sia pienamente nostro, fatto proprio dalle nostre persone”[3]. Proprio così, lo Spirito è la dimensione storica del mistero ed è Lui che la dona alla Chiesa, perché sia il volto - storicamente determinato e soggetto a cambiamento - della vita divina che viene dall’alto per tutti.
    Sotto l’azione dello Spirito la tensione missionaria costitutiva dell’essere ecclesiale ha assunto nel tempo forme diverse, sviluppatesi in rapporto alle diverse situazioni storiche del cristianesimo[4]: è possibile individuare - in maniera del tutto generale - alcuni modelli fondamentali di questa “kenosi” dello Spirito nella Sposa, la Chiesa. Il primo modello si afferma nel tempo della Chiesa dei martiri, segnato dalla forte tensione escatologica e dallo slancio teso a offrire al mondo la vita nuova in Cristo fino alla testimonianza suprema del martirio. L’urgenza dominante è quella di portare dovunque il Vangelo e l’attività missionaria della Chiesa è intesa soprattutto come missione in atto, come animazione, cioè, che si realizza dappertutto grazie alla forza espansiva della presenza dei cristiani vivificati dallo Spirito. Questo comportamento è ispirato al principio giovanneo dell’essere nel mondo ma non del mondo (cf. Gv 17,11. 14) ed è descritto con efficacia dalla Lettera a Diogneto (II sec.): “Ciò che è l’anima nel corpo, lo sono i cristiani nel mondo. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo, i cristiani lo sono nelle città della terra. L’anima, pur abitando nel corpo, non è del corpo; i cristiani, pur abitando nel mondo, non sono del mondo. L’anima invisibile è custodita nel corpo visibile; i cristiani sono noti al mondo, ma resta invisibile la loro adorazione di Dio...”[5]. La fecondità della missione scaturisce dunque dalla sovrabbondanza dell’esistenza trasformata dallo Spirito, vissuta nei luoghi e negli ambienti più diversi per una spontanea irradiazione del dono di Dio, che viene a pervadere la società in cui si è immersi.
    Col delinearsi della situazione di cristianità, caratterizzata dall’osmosi fra la Chiesa e l’Impero, lo slancio missionario tende a indebolirsi e il modello della missione in atto cede sempre più il posto a quello della missione compiuta: la tensione si sposta dall’esterno all’interno della comunità, perché sembra che la buona novella abbia ormai raggiunto l’intero spazio del cosmo conosciuto e debba perciò essere proclamata e celebrata soprattutto a favore della vita spirituale e liturgica dei cristiani. In tal modo, la specifica operosità missionaria della comunità passa dal centro al margine dell’autocoscienza ecclesiale: “L’impegno dell’evangelizzazione… viene pensato come un impegno contingente, che dipende da peculiari condizioni storiche… A sua volta, la concezione della Chiesa non è per nulla determinata dal suo dinamismo missionario. La sua normale principale attività non è la missione né l’evangelizzazione, bensì quella che si chiama l’attività pastorale la quale, presupponendo la fede già predicata ed accolta, comporta impegni ed azioni tesi alla maturazione della fede dei credenti, alla loro santificazione attraverso i sacramenti, alla difesa della loro fedeltà ed alla promozione della loro coerenza con la fede professata”[6]. La “missio ad intra” diventa la forma ordinaria della vita ecclesiale, la “missio ad extra” quella straordinaria ed eccezionale. La stessa attenzione alla Terza Persona divina va affievolendosi a favore di una concezione della Chiesa legata quasi esclusivamente all’incarnazione del Figlio (“cristomonismo”).
    Col tramonto del Medio Evo la scoperta di nuovi mondi totalmente da evangelizzare e il profilarsi del confronto dialettico fra la Chiesa e la modernità provocano una profonda modifica nei modelli, cui si ispira la missione: emergono due atteggiamenti opposti. Da una parte, si delinea la concezione della missione nascosta, che valorizza il protagonismo interiore della soggettività nel servizio alla causa della salvezza del mondo e corrisponde alla generale riscoperta del soggetto tipica dell’evo moderno. Dall’altra e soprattutto, è l’idea della missione “ad gentes” che va imponendosi: i nuovi mondi da evangelizzare costituiscono un richiamo troppo forte alla coscienza credente per poter essere eluso. Si va delineando la meravigliosa fioritura missionaria, che porterà la Chiesa non solo ad espandersi nelle terre del nuovo mondo, ma anche a conoscere in se stessa una vigorosa ripresa dell’anelito alla missione. Vissuta con una prodigiosa ricchezza di mobilitazione di uomini e mezzi e con una non meno straordinaria fecondità di frutti, nonostante tutti i limiti e le contaminazioni con l’opera colonizzatrice delle potenze imperialiste, la missione “ad gentes” implica una forte coscienza della necessità della Chiesa per la salvezza e, ancor più radicalmente, presuppone una precisa affermazione dell’assolutezza del cristianesimo, della singolarità, cioè, del tutto unica e irripetibile del Salvatore del mondo, Gesù Cristo, che nella Chiesa si rende presente e opera grazie al suo Spirito.
    Il grande merito del modello della missione “ad gentes” è di esplicitare in tutta la sua ricchezza il valore dell’apostolicità della Chiesa: convocata dalla fede degli apostoli e in essa conservata, grazie alla comunione dello Spirito Santo nel tempo e nello spazio, la comunità cristiana si riconosce inviata a testimoniare questa fede fino agli estremi confini della terra ed a suscitare dappertutto presenze della Chiesa, che rendano possibile il ricorso ai mezzi di grazia e l’esperienza salvifica della vita nuova, donata in Gesù Cristo. La “plantatio Ecclesiae” riconosce così il suo modello originario e normativo nella stessa opera missionaria degli apostoli, che predicarono il Vangelo, fondando la Chiesa dovunque andavano e preoccupandosi di assicurarne la sopravvivenza in particolare con la costituzione del ministero apostolico. Proprio per questo, però, il modello vale fin tanto e fin dove ci sia la Chiesa da impiantare: in questo senso, la concezione che sta alla base della “missio ad gentes” non esclude del tutto il rischio di ricadere nell’ideologia della missione compiuta[7].
    Si determina così la necessità di integrare il modello della “missio ad gentes” con un modello più consapevolmente pneumatologico, che fondi l’urgenza missionaria come elemento costitutivo dell’essere ecclesiale nella sua pienezza, a prescindere dalle condizioni contingenti che accentuino l’uno o l’altro aspetto dell’azione apostolica: questo modello è quello che potrebbe definirsi della cattolicità della missione. Esso salda la nota dell’apostolicità, ispiratrice della “missio ad gentes”, a quella della pienezza cattolica del popolo di Dio, secondo una mutua inabitazione delle proprietà essenziali della Chiesa: l’Una Sancta è anche ed inseparabilmenteCatholica et Apostolica. Ciò significa che la raccolta escatologica, che il Signore Gesù viene a compiere, non solo raduna la comunione dei santi nell’unità a immagine della comunione trinitaria, ma esige anche che questa convocazione raggiunga nella forza dello Spirito tutti i tempi e tutti i luoghi mediante la continuità della tradizione apostolica e della successione del ministero in essa e il farsi presente del dono della riconciliazione in ogni tempo e in ogni luogo. La cattolicità della Chiesa è, in altre parole, inseparabilmente un dono e un compito: la Chiesa universale già esiste come Israele finale, popolo del raduno escatologico dei popoli, Catholicapresente nella storia grazie alla missione del Figlio e dello Spirito; essa, tuttavia, richiede di attuarsi ancora in pienezza sia dove non esiste, sia dove, sebbene presente, la pienezza cattolica deve ancora esprimere tutta la ricchezza delle sue potenzialità, carismatiche e ministeriali. In questo senso, dovunque c’è la Catholica, c’è la missione, come realtà in atto o come esigenza imprescindibile: la missione si presenta come l’aspetto dinamico della cattolicità, il suo effettivo compiersi nella storia della salvezza, sotto l’azione dello Spirito Santo.
    La sfida della concezione pneumatologica della Chiesa, ispirata all’insegnamento del Vaticano II e ripresa dall’Enciclica Dominum et vivificantem non è, allora, quella di sostituire un modello all’altro, fino a svuotare il senso della “missio ad gentes”, quanto piuttosto di mantenere anche in ecclesiologia il principio trinitario della “pericoresi”. La cattolicità non va separata dall’apostolicità, come testimonia la tradizione della Chiesa indivisa, per la quale l’una non può sussistere senza l’altra: la “plantatio Ecclesiae” continuerà ad essere urgenza apostolica ineliminabile dell’attività missionaria; allo stesso modo, l’azione missionaria “ad intra” sarà sempre necessaria al popolo di Dio, per rinnovarsi incessantemente nella fedeltà alla fede apostolica e nell’apertura alle sorprese dello Spirito. Questa rinnovata percezione dell’inseparabilità delle due urgenze della missione, “ad intra” e “ad extra”, corrisponde a quella che in modo particolare a partire da Giovanni Paolo II viene detta la “nuova evangelizzazione”. Anch’essa va compresa nella luce del primato dell’azione dello Spirito: l’aggettivo “nuova”, posto innanzi al termine “evangelizzazione” non sta a significare una semplice novità cronologica, quasi che quanto prima fosse sbagliato o parziale, ma vuole evidenziare il bisogno di una novità qualitativa.
    Per ricorrere alla terminologia del greco neotestamentario, in gioco è la novità del “kainós”, non quella del “neós”, la novità qualitativa ed escatologica, non quella meramente cronologica del prima e del poi. Non a caso Gesù chiama “kainé” il suo comandamento nuovo (“entolé kainé”: 1 Gv 2,7s), per indicare che solo gli uomini nuovi, resi tali dallo Spirito del Figlio, possono vivere la novità dell’amore da Lui richiesto e darne testimonianza credibile. È lo Spirito Santo, insomma, l’agente principale della “nuova evangelizzazione”, cui aprirsi per realizzare la piena cattolicità della missione ecclesiale di fronte alle sfide dei tempi nuovi nel “villaggio globale”, che è ormai il pianeta. Nella luce di questo dinamismo reso possibile dallo Spirito, si dovrà parlare di una triplice cattolicità della missione: la cattolicità del soggetto missionario; quella legata al contenuto dell’annuncio, che è la fede custodita nella tradizione apostolica; e infine, non meno rilevante, quella del destinatario della missione, che è tutto l’uomo, in ogni uomo. L’approfondimento di questi tre aspetti consentirà di chiarire in che consista lo “splendore” del Paraclito attuato nella missione ecclesiale e come esso si coniughi alla kénosi, di cui si è detto finora.

    La missione come “splendore” dello Spirito: la cattolicità del soggetto missionario

    Nella cattolicità della missione si manifesta la ricchezza dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa, lo “splendore” della Sua presenza. Questa consapevolezza si è espressa al nostro tempo in maniera altissima nel Concilio Vaticano II: “L’insegnamento di questo Concilio - afferma la Dominum et vivificantem - è essenzialmente ‘pneumatologico’, permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò che lo Spirito dice alle Chiese in ordine alla presente fase della storia della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo consolatore”[8]. Questa presenza è colta a vari livelli: il primo soggetto della missione è la Chiesa universale, la Catholica unita e vivificata dallo Spirito nella comunione dello spazio, espressa dalla comunione delle Chiese locali intorno alla Chiesa di Roma, che presiede nell’amore, “cum et sub Petro”, e nella comunione del tempo, manifestata dalla continuità ininterrotta della tradizione apostolica. La responsabilità di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra e di impiantare dovunque la Chiesa è di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa.
    Tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti devono donarlo: “Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere per parte sua la fede”[9]. In modo particolare, questa responsabilità missionaria investe il ministero della comunione: il Vescovo di Roma, anzitutto, in quanto ministro dell’unità della Chiesa universale, è caricato della “sollicitudo omnium ecclesiarum”, che si esprime particolarmente nell’ansia missionaria di far crescere ovunque la Catholica, sia nell’integralità della fede e della vita apostolica, che nella sua dilatazione presso tutte le genti. Nella solenne testimonianza della fede, attraverso il suo ministero profetico, liturgico e pastorale, nella promozione e nel sostegno della vitalità missionaria della Chiesa, ovunque diffusa, nell’esercizio del suo ministero universale di unità, il Papa si fa missionario del Vangelo per il mondo intero, come per la Chiesa e nella Chiesa, tutta in missione. Questa responsabilità universale il Vescovo di Roma la condivide con il collegio episcopale, cui spetta non di meno la sollecitudine per tutte le Chiese, e perciò l’impegno in vista dell’attività missionaria intrinseca alla Catholica, in esse presente[10]. Così, attraverso i loro vescovi in comunione col vescovo di Roma, tutte le Chiese partecipano alla sollecitudine dell’evangelizzazione e della missione universali, e sono chiamate a contribuire ad essa secondo i doni che lo Spirito ha dato a ciascuna, nella fecondità della cooperazione e dello scambio reciproco dei doni ricevuti.
    Soggetto plenario dell’invio missionario è pure la Chiesa locale o particolare, in cui la Catholica si attua nella concretezza di uno spazio e di un tempo determinati: il popolo di Dio, radunato dalla Parola e dal Pane eucaristico, in cui nello Spirito Cristo si fa presente per la salvezza di tutti, è inviato ad estendere la potenza della riconciliazione pasquale a tutte le situazioni in cui vive ed opera. Tutta la Chiesa locale è inviata ad annunciare tutto il Vangelo a tutto l’uomo, ad ogni uomo: alla cattolicità, propria della Chiesa locale sul piano della “communio”, deve corrispondere la cattolicità sul piano della missione. Che tutta la Chiesa locale sia inviata, vuol dire che, in forza del dono dello Spirito ricevuto nel battesimo e nell’eucaristia, non c’è nessuno nella comunità ecclesiale che possa ritenersi esentato dal compito missionario. Al ministero di unità spetta discernere e coordinare i carismi in vista dell’azione missionaria, a ogni battezzato il compito di mettere i doni ricevuti al servizio della missione ecclesiale. A nessuno è lecito il disimpegno, come a nessuno è lecita la separazione dagli altri. Tutti, nella corresponsabilità e nella comunione, sono chiamati a partecipare attivamente alla missione della Chiesa: se ciò implica da una parte l’esigenza di riconoscere e valorizzare il carisma di ciascuno, esige dall’altra lo sforzo di crescere in comunione con tutti, in modo che la stessa comunione sia la prima forma della missione. La missione non è opera di navigatori solitari, ma va vissuta nella barca di Pietro, che è la Catholica in tutte le sue espressioni, in comunione di vita e di azione con tutti i battezzati, ciascuno secondo il dono ricevuto dallo Spirito. “Tutti i credenti in Cristo - afferma l’Enciclica Dominum et vivificantem - sull’esempio degli apostoli, dovranno mettere ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà dello Spirito Santo, principio di unità della Chiesa”[11], soggetto trascendente, vivo e presente della sua missione.

    La missione, inseparabilmente “kenosi” e “splendore” dello Spirito: la cattolicità del messaggio e dei destinatari

    La cattolicità della missione non investe solo il soggetto di essa, ma anche il suo oggetto e i suoi destinatari, nella forza dello Spirito di Cristo: “La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l’altro consolatore, o nuovo consolatore, perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita”[12]. La cattolicità del messaggio, lo “splendore” della verità salvifica, esige che la Chiesa, tutta impegnata nell’annuncio, si faccia portatrice del Vangelo nella sua interezza: tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangelo! La buona novella da annunciare non è una semplice dottrina, ma una persona, il Cristo: è lui, vivente nello Spirito, l’oggetto della fede e il contenuto dell’annuncio, ed insieme è lui il soggetto che opera nello Spirito in chi evangelizza. Il Cristo evangelizzato è al tempo stesso il Cristo evangelizzante nei suoi testimoni. Ne consegue per la Chiesa l’esigenza di non appartenere che a lui, di essere la sua memoria vivente, lasciandosi sempre nuovamente evangelizzare da lui, per essere sempre di nuovo rigenerata dalla sua Parola (Ecclesia creatura Verbi!). La missione esige la testimonianza integrale del Cristo, che abbraccia la comunione della fede nel tempo e nello spazio ed è voce della comunione dello Spirito, che, attraverso la tradizione apostolica, rende la Chiesa identica a se stessa nel suo principio sempre presente, il Cristo.
    La cattolicità del messaggio comporta anche inseparabilmente la cattolicità del destinatario della missione: la buona novella è risuonata per tutti ed esige di raggiungere tutti. “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19s). Per mezzo del ministero ecclesiale, nella potenza dello Spirito, è Cristo che “predica la Parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede”[13]. Lo scopo della missione non è altro che portare all’incontro con Cristo: essa è diretta alla profonda verità di ogni essere umano, bisognoso di incontrare il Risorto e di farne sempre nuovamente esperienza. La frontiera dell’evangelizzazione non è la linea di demarcazione esteriormente riconoscibile fra spazio sacro e spazio profano, ma anzitutto il luogo della decisione salvifica, il cuore umano, lì dove la totalità di un’esistenza raggiunta dallo Spirito Santo si decide per Cristo. In questa decisione, possibile solo nell’incontro della libertà della persona con la Parola della fede e lo Spirito che dà vita, il tempo quantificato diventa tempo qualificato, ora di grazia, oggi di salvezza: da “krònos”, successione secondo il prima e il poi, si trasforma in “kairòs”, tempo della grazia e della vita nuova (cf. ad esempio Mt 8,29; 26,188; Mc 1,15; Lc 19,44; 21,8; Gv 7,6-8; At 1,7; 1 Ts 5,1ss.; Ef 5,16; Col 4,5; ecc.). La frontiera della missione passa dunque anzitutto nelle scelte fondamentali che qualificano la vita, e perciò anche all’interno della comunità ecclesiale, che, evangelizzando, ha sempre nuovamente bisogno di essere evangelizzata e di decidersi per il suo Signore nel vivo delle situazioni sempre nuove della storia. La Chiesa evangelizza, se continuamente si evangelizza, lasciandosi purificare e rinnovare dal giudizio della Parola di Dio e dal fuoco dello Spirito: così sta “sub Verbo Dei”, e può celebrare fiduciosamente i divini misteri per la salvezza del mondo.
    La costante apertura alla cattolicità del messaggio non è tuttavia ancora pienamente realizzata, se non si attua la contemporanea apertura all’ampiezza dei bisogni umani e della destinazione dell’evangelo a tutte le genti: è qui che si pone l’esigenza imprescindibile per ogni battezzato, come per tutta la Chiesa, di impegnarsi affinché l’annuncio raggiunga veramente ogni persona umana. La Parola della salvezza esige la libertà e la generosità audace per essere gridata dai tetti, fino agli ultimi confini della terra. La “kènosi” della Parola e dello Spirito è rivolta a raggiungere ogni creatura in tutto il suo essere. Ciò esige l’impegno in un processo analogo al dinamismo dell’Incarnazione: “La Chiesa, per poter offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita portata da Dio, deve inserirsi in tutti i diversi raggruppamenti umani con lo stesso movimento, con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò alle determinate condizioni sociali e culturali degli uomini, con cui visse”[14]. Cattolicità del soggetto, del messaggio e della destinazione della missione vengono così a saldarsi nell’unica cattolicità della Chiesa: se il Signore non chiederà conto ai suoi discepoli dei salvati, perché la salvezza è un mistero di grazia e di libertà di cui nessuno può disporre dall’esterno, chiederà loro conto degli evangelizzati. In tal senso, una Chiesa senza urgenza e passione missionaria tradisce la propria cattolicità, oppone resistenza allo Spirito che pour vuole animarla e si trasforma in un campo di morti, contraddicendo la sua natura di comunità dei risorti nel Risorto.

    Conclusione

    La Chiesa nella storia appare dunque come la “kènosi” e lo “splendore” dello Spirito Santo: “La Chiesa, radicata mediante il suo proprio mistero nell’economia trinitaria della salvezza, a buon diritto intende se stessa come sacramento dell’unità di tutto il genere umano. Essa sa di esserlo per la potenza dello Spirito Santo, della quale è segno e strumento nell’attuazione del piano salvifico di Dio. In questo modo si realizza la condiscendenza dell’infinito amore trinitario: l’avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al mondo visibile. Dio uno e trino si comunica all’uomo nello Spirito Santo sin dall’inizio mediante la sua immagine e somiglianza. Sotto l’azione dello stesso Spirito l’uomo e, per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si avvicinano ai loro definitivi destini in Dio”[15]. Ecco perché la vita secondo lo Spirito è inseparabile dalla comunione ecclesiale e questa da quella. Afferma Agostino: “Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo”[16]. Il testimone sa, perciò, dove attingere lo Spirito di cui ha bisogno per vivere la propria missione, partecipazione alle missioni divine: “Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna”[17].
    È lo Spirito che agendo nella comunità ecclesiale la rende eternamente giovane e bella! Mossa da questa convinzione, l’Enciclica di Giovanni Paolo II sullo Spirito Santo si conclude così: “La via della Chiesa passa attraverso il cuore dell’uomo, perché è qui il luogo recondito dell’incontro salvifico con lo Spirito Santo, col Dio nascosto, e proprio qui lo Spirito Santo diventa ‘sorgente di acqua, che zampilla per la vita eterna’. Qui egli giunge come Spirito di verità e come Paraclito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui egli agisce come consolatore, intercessore, avvocato… Lo Spirito Santo non cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che possiedono le primizie dello Spirito e aspettano la redenzione del loro corpo. Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione col Redentore dell’uomo, è il realizzatore della continuità della sua opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo”[18]. Così lo Spirito nel cuore della Chiesa e di ogni credente è la sorgente sempre viva della giovinezza e della speranza del mondo!


    NOTE
    [1] Enciclica Dominum et vivificantem di Giovanni Paolo II,18 Maggio 1986, n. 25.
    [2] Concilio Vaticano II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes, 2. 3. 4.
    [3] V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, Il Mulino, Bologna 1967, 160s.
    [4] Per un disegno dei vari modelli storici cf. S. Dianich, Chiesa in missione. Per un’ecclesiologia dinamica, San Paolo, Milano 1985, 80-133. Cf. pure S. Neill, A History of Christian Missions, Harmondsworth 1980, e A. Roux, Missions des Églises, mission de l’Église. Histoire d’une longue marche, Paris 1984.
    [5] Ad Diognetum VI,1-7: Funk I, 318s.
    [6] S. Dianich, Chiesa in missione, o.c., 87.
    [7] Cf. S. Dianich, Chiesa in missione, o.c., 121. L’episodio che provocò clamorosamente la presa di coscienza dei limiti del modello della missione “ad gentes” e dell’urgenza di una visione più integrale della missione fu la pubblicazione del libro di H. Godin e Y. Daniel, France, pays de mission? (1943), dove, senza abbandonare l’idea che la missione fosse destinata «là, dove non c’è ancora niente», ci si chiedeva se questo “là” non fosse anche un paese come la Francia, che, sebbene cristianizzata da secoli, conosceva ormai in non pochi ambienti, soprattutto sociali, una tale scristianizzazione, da richiedere una nuova, urgente azione missionaria.
    [8] Dominum et vivificantem 26.
    [9] Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 17.
    [10] Cf. Lumen Gentium, 23.
    [11] Dominum et vivificantem 62.
    [12] Ib. 64.
    [13] Lumen Gentium, 21.
    [14] Ad Gentes, 10.
    [15] Dominum et vivificantem 64.
    [16] «Quantum quisque amat ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum Sanctum»: S. Agostino, In Iohan. Evang. Tract., 32,8: CChr 36,304.
    [17] San Giovanni Crisostomo, Homilia De capto Eutripio, c. 6: PG 52,402.
    [18] Dominum et vivificantem 67.

    25 ottobre 2012 - Convegno sullo Spirito Santo, svoltosi presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma per il RdS)


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