«Non ci indurre
in tentazione»
Anselm Grün
Molti cristiani hanno difficoltà ad accettare l'ultima invocazione del Padre nostro. Si ribellano all'idea che Dio possa indurci in tentazione, perché contraddice la loro immagine di Dio. Tuttavia, invocare Dio perché non ci induca in tentazione non implica necessariamente la convinzione che possa essere Dio a tentarci.
La Lettera di Giacomo ammonisce i suoi lettori a non voler attribuire a Dio la tentazione: «Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono» (Gc 1,1314). La Lettera di Giacomo prevede quindi le tentazioni, che ci mettono alla prova e ci offrono l'occasione di farci valere. Non dobbiamo però imputarle a Dio.
Se interpretiamo l'invocazione di Gesù nel Padre nostro sullo sfondo della Lettera di Giacomo, possiamo spiegarla in questo modo: dobbiamo pregare Dio di rimanere al nostro fianco per aiutarci a evitare di essere indotti in tentazione dalla nostra concupiscenza e dai nostri bisogni.
Da sempre i teologi hanno avuto difficoltà con il testo di questa invocazione e hanno proposto quindi anche altre possibili traduzioni. Nella Chiesa primitiva Origene così ha tradotto l'ultima invocazione del Padre nostro: «Fa' che non cediamo alla tentazione». È la traduzione adottata dalla Chiesa brasiliana. Leonardo Boff basa la sua interpretazione del Padre nostro su questa traduzione ufficiale in portoghese. Il padre della Chiesa Tertulliano la spiega così: «"Non ci indurre in tentazione" significa non permettere che vi siamo indotti da colui che ci tenta. Lungi dal dare l'impressione che sia il Signore a tentare!».
Secondo sant'Agostino invochiamo l'aiuto di Dio per non cedere alla tentazione. E lui lo prega con queste parole: «Tu sei fedele e non permetti che siamo tentati al di là di quel che possiamo» [1]. Di certo con questa invocazione del Padre nostro Gesù non vuole dire che Dio ci induce attivamente in tentazione. Lo imploriamo invece di proteggerci dal luogo della tentazione, di non lasciarci cadere in tentazione.
Un'altra questione è che cosa si debba intendere con tentazione. I primi monaci consideravano positivamente la tentazione come prova: come la tempesta costringe l'albero a spingere sempre più a fondo nel terreno le sue radici, così la tentazione rafforza il monaco nella sua lotta per il bene. Origene dice: «Anche la tentazione ha i suoi lati positivi. Nessuno all'infuori di Dio sa che cosa ha ricevuto da Dio la nostra anima, neppure noi. La tentazione però ce lo rivela, per insegnarci a capire noi stessi e a scoprire la nostra miseria; e per obbligarci a rendere grazie per tutto il bene che la tentazione ci ha rivelato».
La tentazione ci mostra tanto la forza che Dio ci ha donato, quanto ciò che ci minaccia. Oggi diremmo: i lati oscuri che rischiano di trascinarci giù. Dobbiamo guardare negli occhi la tentazione. Origene pensa addirittura che l'intera esistenza terrena dell'uomo sia una tentazione. «Perciò vogliamo pregare di essere liberati dalla tentazione non nel senso di non essere tentati, perché ciò non è possibile in terra, bensì nel senso di non cedere alla tentazione».
Oggi distinguiamo tra tentazione e prova. Quest'ultima ci rende più forti ed esperti. La tentazione invece è meglio evitarla, perché è come un gorgo che ci trascina giù e potrebbe ingoiarci.
Tuttavia ormai è difficile parlare di tentazione come la intendeva Gesù, perché è un concetto sempre più banalizzato. La pubblicità parla della «cioccolata lilla» come della tentazione più dolce che esista. Una simile commercializzazione dei termini biblici ostacola la giusta interpretazione dell'invocazione del Padre nostro.
LA SPIEGAZIONE NEL DISCORSO DELLA MONTAGNA
Se interpretiamo l'invocazione del Padre nostro sulla base del Discorso della montagna, i versetti 7,13-23 del Vangelo secondo Matteo si prestano come modello, in quanto contengono due immagini che chiariscono cosa si debba intendere per tentazione.
La prima immagine è quella delle due vie: la via angusta e la via spaziosa. La tentazione sarebbe quindi quella di percorrere la via spaziosa, che conduce alla perdizione. La via spaziosa è quella percorsa da tutti. Seguire gli altri – fare quello che fanno tutti – conduce alla perdizione. Ognuno deve percorrere la propria strada.
La tentazione sta nel fatto di non vivere, ma di lasciarsi vivere. La vera tentazione è il rifiuto della vita. È molto più comodo correre dietro agli altri. Eppure non resta altro che farsi forza e cercare la propria via personale alla vita e a Dio. E la vita si realizza soltanto se troviamo e percorriamo la nostra via, quella che Dio ha assegnato personalmente a ciascuno di noi.
L'altra immagine che ci spiega la tentazione è quella dei falsi profeti. Gesù ci mette in guardia da loro: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!» (Mt 7,15).
Secondo questa metafora, la tentazione sarebbe la confusione. I falsi profeti ci confondono, ci fuorviano con le loro parole pie.
Oggi parliamo di abuso spirituale: riferendomi a parole della Bibbia o della tradizione religiosa esercito il potere su altri. Li faccio sentire in colpa se non seguono ciò che presento loro come la volontà di Dio. L'abuso spirituale porta alla confusione emotiva. Che Dio ci preservi da questa confusione in cui non distinguiamo più il bene dal male.
L'esegeta evangelico Walter Grundmann pensa che con tentazione si intenda il rischio dell 'apostasia, per cui traduce in questo modo l'ultima invocazione del Padre nostro: «Fa' che non ci cacciamo in una situazione di apostasia, ma allontanaci dal male» [2].
Proprio nella nostra odierna società pluralistica, in cui si decantano vie salvifiche di ogni genere, è quanto mai attuale invocare la protezione dalla tentazione, pregando Dio di donarci la chiarezza su come realizzare davvero la nostra vita. Gli chiediamo di aiutarci a riconoscere i falsi profeti che – come ai tempi di Gesù – promettono la salvezza là dove non c'è e ci convincono che possiamo fare tutto ciò che vogliamo. Non dobbiamo lasciarci confondere da tutte queste lusinghe, bensì riconoscere e percorrere la via che conduce davvero alla vita.
LA TENTAZIONE DI GESÙ
Anche l'invocazione del Padre nostro che tratta della protezione dalla tentazione vuole condurci a un rapporto nuovo con Gesù Cristo. Vuole farci capire come Gesù ha resistito alla tentazione di Satana, che voleva condurlo sulla via sbagliata.
I primi tre Vangeli narrano tutti la tentazione di Gesù. Marco ne parla senza scendere nei particolari (cfr. Mc 1,12-13). La sua osservazione che Gesù stava con le bestie feroci ed era servito dagli angeli ci indica comunque quale fosse per lui la tentazione: Gesù doveva affrontare il suo lato selvaggio, animalesco e quindi pulsionale. Tuttavia gli angeli lo servono. Le belve non possono fargli nulla. Gesù ha integrato in sé l'aspetto selvaggio come forza e passione per Dio e per gli uomini.
Matteo e Luca riferiscono di tre tentazioni di Gesù (cfr. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) che sono tipiche di ogni essere umano. Tutti noi, nel nostro cammino per diventare uomini, sperimentiamo queste tentazioni, che possono trascinarci sulla strada sbagliata. Gesù le supera. Si dimostra figlio del Padre. Perciò anche noi, nella tentazione, dobbiamo comportarci come figli e figlie di Dio, senza servirci di lui per i nostri scopi.
La prima tentazione è quella di trasformare i sassi in pane. È la tentazione di rendere tutto utilizzabile e consumabile. Ogni cosa deve servire ai nostri scopi. Invece di lasciare i sassi così come sono, devono diventare pane perché possiamo mangiarli.
Ciò non si riferisce soltanto al cibo, ma anche ai nostri rapporti interpersonali: anche questi spesso ci devono «fruttare qualcosa». E si riferisce pure al nostro rapporto con Dio: vorremmo utilizzarlo a nostro vantaggio. Ci aspettiamo che ci faccia stare bene. E Dio a servire noi, anziché il contrario.
La prima tentazione ha anche un altro significato: in Israele esistevano delle pietre sacre. Il sacro è ciò che si sottrae a noi, che sfugge a ogni strumentalizzazione. Trasformare i sassi in pane significa consumare tutto ciò che è sacro; ma in questo modo non è più sacro. Non lasciamo le cose così come sono. Vogliamo impossessarci di tutto. Gesù, nella sua risposta, si riferisce al vero fondamento della nostra vita: la parola di Dio, che ci nutre davvero. Di questa parola non possiamo disporre a nostro piacimento: si rivolge a noi dal di fuori per essere obbedita.
Per il diavolo che tenta Gesù, Matteo usa sempre il termine greco «diabolos», che sta a indicare colui che confonde, che mischia ogni cosa e mette tutto sottosopra. Mischia il sacro con ciò che si può consumare, il bene con il male. Mescola le sue intenzioni impure perfino alle Sacre Scritture. Tenta Gesù con parole tratte dalla Bibbia, con parole sacre che nella sua bocca perdono la loro santità e diventano corruttrici. Gesù, a sua volta, risponde sempre a Satana con frasi bibliche. È consapevole dell'intento del diavolo di travisare le parole di Dio e con le sue risposte indica ciò che Dio voleva davvero dire.
La seconda volta il diavolo tenta Gesù con le parole del Salmo: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie» (Sal 91,11). È una meravigliosa parola di conforto, tuttavia il diavolo la usa per-indurre Gesù a gettarsi dal pinnacolo del tempio. Gesù deve abusare della promessa di Dio per dimostrare la sua capacità di fare miracoli.
È la tentazione a percorrere il cammino spirituale per rendersi interessanti e sentirsi superiori agli altri. È una tentazione di grandissima attualità. Nelle mie consulenze incontro continuamente persone che abusano della propria spiritualità per gonfiare il proprio ego, per sentirsi migliori degli altri e guardarli dall'alto in basso. La loro spiritualità è un narcisistico girare intorno a se stessi con il quale vogliono attirare su di sé l'interesse altrui. Tutte e tre le volte Gesù ribatte al diavolo con parole tratte dal Deuteronomio, il libro che spiega di nuovo al popolo d'Israele la volontà di Dio. Vuole così dimostrare che non intende servirsi di Dio per i propri fini ed è invece pronto a compiere la volontà di Dio, affidandosi totalmente a lui. Ora cita il detto: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Mt 4,7; Dt 6,16). Non dobbiamo mettere alla prova Dio adattandolo all'idea che ci siamo fatti di lui. Dobbiamo lasciare che Dio sia Dio e servirlo.
La terza tentazione è la tentazione del potere e del possesso. Il diavolo è pronto a dare a Gesù tutta la ricchezza del mondo purché lui lo adori. Questo motivo del patto con il diavolo ricorre in molte fiabe. Là il diavolo promette di soddisfare tutti i desideri, di permetterci di realizzare tutte le nostre fantasie di potere e di darci tutte le ricchezze che desideriamo. La condizione però è che lo adoriamo: che scacciamo Dio dalla nostra vita e ci prostriamo dinanzi a un idolo. Quelle fiabe però non sono a lieto fine. Il prezzo è troppo alto: è il prezzo dell'amore.
Thomas Mann nel suo Doctor Faustus descrive una situazione del genere: il musicista Adrian Leverkiihn stringe un patto con il diavolo, che gli permetterà di comporre e suonare sempre una musica geniale. Il prezzo consiste però nella perdita della capacità di amare. Leverkiihn non potrà mai più provare amore né avvertire il calore umano.
Chi adora un idolo anziché Dio perde la propria umanità, il suo cuore si raffredda e si inaridisce. Forse pensiamo di essere molto lontani dallo stringere un patto con il diavolo. Ma quanto subiamo anche noi il fascino del potere e del denaro? Un fascino che ci può indurre a prescindere dai nostri impulsi interiori, cosicché ne vogliamo sempre di più, fino a perdere la nostra umanità.
Gesù respinge Satana con le parole: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Mt 4,10; Dt 5,9; 6,13). Soltanto quando ci prostriamo dinanzi a Dio diventiamo davvero uomini, ci dimostriamo veri figli e vere figlie di Dio.
Poiché Gesù stesso è stato tentato, può sostenerci nella nostra tentazione: «Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18).
Perciò, proprio nella tentazione sperimentiamo una particolare vicinanza a Gesù: Gesù ci è vicino nella prova. Ci capisce e ci aiuta a non cedere alla tentazione. Proprio guardare Gesù, che è passato indenne attraverso le sue tentazioni, ci aiuta a non arrenderci quando siamo tentati, ma a resistere fiduciosi nella sua vicinanza. Nell'ultima invocazione del Padre nostro chiediamo perciò che Dio non ci lasci cadere in tentazione ma ci doni, quando siamo tentati, la comunione con il suo figlio Gesù Cristo affinché insieme a lui superiamo le tentazioni alle quali siamo continuamente esposti.
NOTE
1 Cfr. Agostino d'Ippona, La preghiera, p. 112.
2 W Grundmann, Das Evangelium nach Matthäus, p. 203.
(da: Il Padre nostro. Come pregarlo, come viverlo, Paoline 2010, pp. 107-117)