Lungo i percorsi del cuore
L'incanto
della porta aperta
Angrelo Casati
Mi sto caricando di anni, ma non finisco di incantarmi davanti ai "percorsi del cuore". Davanti ai "percorsi del cuore" mi sento ancora come un bambino. E continuo, impenitente, a sognare una comunità che si incanti davanti ai "percorsi del cuore".
Anche la fede, quella vera, il tesoro che ci è più caro, appartiene a questi percorsi segreti. Se non entra in questi spazi del cuore è, per lo più, frastuono e blabla religioso: costretti a urlare la fede, quasi per autoconvincersi di credere. I "percorsi del cuore" sfuggono alle statistiche; rifuggono dalla nostra pretesa di racchiudere in numeri e diagrammi anche il mistero.
Più che nella moltitudine delle parole li sorprendi in un brivido degli occhi, nella tenerezza di una stretta di mano. Chiamo "percorsi del cuore" le emozioni , le intuizioni, le riflessioni, gli smarrimenti e le aperture, i sussulti e le decisioni: fanno la storia delle nostre giornate e diventano cammino interiore, il nostro mondo segreto.
C'è una condizione che ti introduce ai "percorsi del cuore" e ti dà l'emozione di scoprirne o solo forse intuirne le tracce. La vorrei descrivere con alcune parole, purtroppo imprecise. Condizione è "guardare l'altro immaginando l'inimmaginabile". Oltre la superficialità, oltre i luoghi comuni, oltre l'apparenza, immaginando dell'altro il cuore, la terra segreta.
A chi oggi parla di "percorsi del cuore" può succedere - non è un mistero - di essere guardato con sufficienza, quasi fosse uno "fuori", fuori della realtà, impenitente sognatore. Non devono aver guardato con occhi molto diversi, penso, il Signore Gesù, quel mezzogiorno di grazia, al pozzo di Sicar. Anche lui incantato davanti ai "percorsi del cuore" di una donna samaritana. A tal punto preso, che più non sentiva fame.
Parlava di campi biondeggianti e ancora mancavano quattro mesi al tempo della mietitura: "Levate i vostri occhi " - diceva - "guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura " (Giov. 4,35).
Ad aprirti il cuore è infatti lo sguardo di chi immagina l'inimmaginabile che è in te, lo sguardo di chi ti accarezza "dentro", come ti accarezza Dio con la sua luce e il suo calore. "Non basta" - diceva Danilo qualche sera fa in una riunione - "non basta aprire le finestre, accorre aprire la porta". La finestra aperta ti consente sì di osservare. Ma dall'alto. E dall'alto giudicare.
Aprire la porta significa invece coinvolgersi. Anzi rimanere porta aperta: la gente entra e esce, nel respiro della libertà. Che cosa privilegiamo nella vita la finestra o la porta? Come partecipiamo a un'Assemblea? Con quale spirito viviamo un incontro? Osservando e giudicando , cioè stando alla finestra, o immaginando che cosa vive dietro quel volto, cioè aprendo la porta?
Le osservazioni di chi sta alla finestra per lo più portano poco lontano, spesso sono di una monotonia e di una ovvietà insopportabili: quanti inviti, quante risposte; quanti credenti, quanti non credenti; che cosa abbiamo detto, che cosa non abbiamo detto; quale l'organizzazione, quali i risultati. I risultati - quelli palpabili, quantificabili - sono l'ossessione, la fissazione di coloro che stanno alla finestra.
Gli uomini e le donne della finestra passano al setaccio minuziosamente ogni parola - per loro manca sempre qualcosa all'ortodossia - ma sono sempre in ritardo all'appuntamento con il cuore. Raramente nei loro occhi cogli stupore: hanno immancabilmente l'aria di chi ti dice: "Tutto qui?".
Gli uomini e le donne della porta si perdono dietro i percorsi del cuore, si incantano per i minuscoli, impercettibili, germogli. Si incantano dietro l'emozione di una voce. Basta a incantarli - tanto sono sensibili - la nudità di una presenza: che qualcuno abbia varcato una soglia, per loro sa già di miracolo. Gli uomini e le donne della porta vivono sì un'inquietudine: li fa inquieti lo zelo - spesso in buona fede ma poco illuminato - di chi si illude di aprire germogli rovesciando sui fiori tinozze d'acqua.
Hanno da Dio un dono: quello di immaginare - tanta è la familiarità - la misura d'acqua che aprirà, senza soffocarli, i teneri germogli. Glielo va suggerendo lo spirito, la fonte segreta del loro immaginare l'inimmaginabile. Quanti i percorsi che potrei ricordare: ne accenno solo alcuni, cosciente purtroppo che già il parlare ne impoverisce l'emozione.
Ricorderò innanzitutto alcune voci dell'ultima nostra assemblea, voci per timbro diverso, ma accomunate dall'unico desiderio di schiudere una porta. Tenera e intensa quella femminile, più concreta, quasi pragmatica quella maschile. Ricorderò poi alcuni percorsi del cuore, nati dalla lettera che ci aveva invitati all'assemblea: "tracce di una comunità desiderata".
(Fonte: www.sullasoglia.it)