Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     

    Le componenti

    essenziali

    della vita cristiana

    Cesare Bissoli


    INTRODUZIONE

    1. Spirituale = cristiano

    La nostra riflessione strettamente biblica avrà prodotto il suo primo frutto, e non il minore, se il tema così vitale della spiritualità cristiana riusciremo a comprenderlo come diretta emanazione ed espressione quasi sinonimica dell'essere semplicemente cristiano. Di qui il titolo intenzionale: le componenti essenziali della vita cristiana. Infatti operando per i termini spiritualità, spirituale come è stato fatto a proposito del termine laico nel contesto del recente Sinodo, destrutturandone cioè significati storici sovrapposti (secondo questo o quel carisma del fondatore) e ritornando al nucleo centrale ossia alle radici rivelate, si può dire che essere «spirituale» per un cristiano delle origini voleva dire essere se stesso, avanti ad ogni eventuale concretizzazione storica. In effetti, opere recenti, che cercano di delineare il senso di spiritualità all'interno del NT, sostanzialmente approdano a riferire il tipo di vita, le esperienze umano-religiose provocate dall'impatto con la rivelazione di Gesù di Nazaret [1]

    2. Come leggere l'esperienza religiosa del NT

    È quanto intendiamo fare anche noi. A questo scopo nella Bibbia circoscriveremo ovviamente la testimonianza del NT. Ma cosa significa interrogare il NT per un tema come il nostro? Facciamo tre osservazioni di metodo:

    a) A prima vista tutti sappiamo più o meno i contenuti materiali che determinano l'esistenza cristiana secondo il NT: dottrina su Dio, Cristo, Chiesa, l'uomo... Credo però che sia necessario, perché sovente sfugge, vedere come viene proposto l'insieme di tali contenuti, secondo quali accenti, entro quali prospettive, con quali categorie, dinamiche, tensioni, così come la ricerca esegetica oggi riesce a darci. Solo così infatti compare, e può essere compresa, l'esperienza religiosa, nel NT veramente ricca e varia, elemento dí base di ogni spiritualità.

    b) Seguire però la ricerca esegetica oggi significa imbattersi in una dialettica di unità o convergenza e molteplicità di punti di vista all'interno dei 27 libri del NT, per cui una trattazione non può essere esaustiva, tanto meno di un unico modello; è semmai piuttosto generica e sintomatica, anche perché la realtà supera le strettezze di una fissazione scritta, per sé rigida e statica. In verità si avvicinerà di più al senso codificato dalla Parola scritta colui che cercherà dí farne l'esperienza viva.

    c) Il messaggio o teologia del NT è familiare ormai a tanti degli operatori pastorali. Perciò noi ci soffermeremo di quegli aspetti che in rapporto (sovente per contrasto) con la mentalità di oggi paiono avere di più i tratti della novità e attualità.
    Concretamente, articoleremo così la trattazione:
    - I punti di riferimento essenziali di un'esperienza cristiana di vita;
    - Alcuni tratti costanti che la caratterizzano.

     

    Parte prima
    I PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO

    Se ci fosse dato d'interrogare oggi qualcuno dei cristiani di Gerusalemme o di Roma o di Antiochia o di Corinto o delle sette chiese dell'Apocalisse (cc. 13), nel tempo che va dal 30 d.C. fino alla conclusione del sec. I (nei tempi dunque del NT), su ciò che motivava il loro essere e vivere da cristiani, potremmo ricavare, e con buon fondamento, [2] che, pur nella grande varietà ed evoluzione delle culture, dei linguaggi e dei bisogni di vita, essi erano continuamente confrontati, esortati, ammoniti a possedere come dato stabile e decisivo quelli che, con terminologia moderna, potremmo chiamare punti essenziali di riferimento (le ragioni della fede cioè), e possederli secondo un'articolazione organica e marcatamente dinamica.
    Ne evidenziamo quattro:
    A. La percezione vitale non di una costringente filosofia (si pensi alla polemica paolina contro la sapienza mondana in 1Cor 1-3; cfr pure la preferenza dei semplici di Gesù in Mt 11,25), ma di qualche cosa che era capitato, un avvenimento, anzi un insieme intrecciato di avvenimenti tanto imprevedibili, gratuiti e inauditi, quanto sconvolgenti e decisivi, un vero kairòs epocale che crea un passaggio irreversibile tra il prima e il dopo. E l'avvenimento del Regno di Diodi cui un altro avvenimento, la Pasqua di Gesù (e poi tutta l'esistenza terrena), viene compreso come essenziale epifania storica, e davanti a cui sovrasta l'avvenimento del ritorno del Signore, epifania completa o escatologica del Regno. Vi risponde un unico globale atteggiamento totalizzante da parte dell'uomo: la fede, secondo un itinerario di conversione, di confessione, di fedeltà.
    B. Di qui la coscienza di una situazione ben definita, carica di grazia e di responsabilità, entro cui si colloca radicalmente la loro vita: una situazione anzitutto d'ineffabile e pur reale compagnia con Dio, cui corrisponde una qualità etica e a vita veramente nuova.
    C. I discepoli sono chiamati a vivere un originale cambio sociale in due direzioni: una singolare relazione tra di loro e verso il mondo.
    D. Infine si registra il ricorso periodico stabile ad una mediazione simbolica ritenuta peculiare e indispensabile: la cena del Signore o Eucarestia.

    A. «Voi non-popolo, ed ora il popolo di Dio (1Pt 2,10)
    Il senso di avvenimenti decisivi

    1. «Ecco ora il giorno della salvezza» (2Cor 6,2)

    I cristiani delle origini hanno acuta e vitale coscienza che un evento provocato da Dio divide la storia singola e collettiva in due parti.
    La prima è come siglata «oggi», per dirla con Gesù a Nazaret (Lc 4,21), «ora», per dirla con Paolo in un passo decisivo ai Romani (3,21); cfr Ebr 3,13. È quell'«oggi la salvezza è entrata in questa casa» di Gesù a Zaccheo (Lc 19,9).
    A questo presente, che ha per sé il futuro, si contrappone superato, ma conturbante ed insidioso il passato, il «quando eravate schiavi del peccato» (Rom 6,17), passato che cerca di avvelenare il presente come tentazione. Si stabilisce così nella coscienza del cristiano il sentimento di una singolare bipolarità di situazione, non sullo stesso piano, il che creerebbe angoscia, ma come chi, scampato da un disastroso naufragio, dalla sponda in cui si trova, guarda all'indietro, e ne prova una vivissima, interiore gioia che però è come solcata da un brivido, per cui non si può dimenticare, bensì trepidare e ringraziare insieme. Si provi leggere in questa ottica i primi otto capitoli di Romani, la 1Giov, 1Pt 1, 1-2,10. [3]
    Ma qui incalzano altre domande. Quale avvenimento ha provocato ciò? Quale era la situazione di prima? E quale quella di oggi? Quale atteggiamento è richiesto al cristiano?

    2. « Non irretiti da favole inventate, ma testimoni della sua grandezza» (2Pt 1,16)

    a. «Voi conoscete ciò che è accaduto» (Atti 10,37).
    Una delle certezze fondanti del NT, purtroppo esposta all'oblio tra i cristiani di oggi, è che non l'annuncio di teorie, ma di fatti, anche se tosto racchiusi in categorie teologiche, segna l'inizio della missione sia di Gesù di Nazaret che della comunità cristiana, ne costituisce il kerigma essenziale e si pone come il fondamento assolutamente prioritario dell'autocoscienza del credente.
    Per Gesù, Marco sintetizza ciò nel testo celebre di apertura: «Il tempo (kairós) si è compiuto: il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (1,14-15). Vedi pure in bocca a Gesù l'annuncio di Nazaret (Lc 4,16-21). [4]
    Per la prima Chiesa, lo strato più antico dei testi, cui appartiene la celebre confessione di fede di 1Cor 15,3ss., testifica come kerigma di base il fatto che «Cristo morì per i nostri peccati... fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno». Vedi pure Atti 1,22; 2,32; 3,15; 4,33... La portata del duplice avvenimento, il Regno e la Pasqua, è immensa, sia pur a livelli diversi di testimonianza come mostrano i libri del NT: determina tutto il resto (gli altri punti di riferimento), quindi una nuova percezione di Dio, dell'uomo, del tempo e della storia, e quindi tutto un mondo di valori ed una dinamica esistenziale caratteristica. [5]

    b. «Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, apparendo loro e parlando del Regno di Dio» (Atti 1,3)
    Ma di quale avvenimento insomma si tratta? La stessa differenza così singolare di enunciazione (in bocca a Gesù e nei Sinottici, il fatto del Regno; nelle prime comunità e in Paolo, i fatti pasquali), pur problematica nella sua formulazione storica, lungi dal creare contraddizione, [6] aiuta a capire meglio il profilo complesso dell'evento. Si tratta certamente del Regno di Dio promesso dai profeti (Dan 2,28) e di cui Gesù ha prodotto segni clamorosi (Mt 11,2-6; 12,28); ma, ecco, proprio la risurrezione di Gesù dai morti fa da segno supremo e incontrovertibile del Regno. Conferma che con il Regno arriva la salvezza escatologica, ossia la vita e la pace messianica, a partire dai poveri e dagli oppressi (così come Gesù, giusto oppresso, viene restituito alla vita in pienezza). La risurrezione manifesta pure il protagonismo indiscusso di Gesù, Signore nel Regno di Dio (Mt 21,41-45). Indica infine come l'affermazione del Regno sia un processo drammatico, di cui la croce diventa emblema, determinato in particolare dalla lotta contro le potenze del male (cfr. Mt 27,11; Lc 24,25-27; Mt 6,10.13; 13). Cosicché la Risurrezione dona storia al Regno, ne garantisce il suo radicamento nel mondo. A sua volta il Regno nella sua trascendenza escatologica dona il profilo giusto dell'evento della risurrezione, ne svela la rilevanza inesauribile, l'impatto e l'efficacia incommensurabile, e la salvaguarda da riduzioni gnostiche mondane.

    c. «Ecco il giudice è alle porte» (Giac 5,9)
    Avvenimenti iniziati ad essere nel passato, quello del Regno e della Pasqua. Un terzo avvenimento sta davanti nel futuro, carico di conseguenze, avvertito quasi con febbre negli inizi immediati nella Chiesa (cfr Atti 1,6; 2Tess 2,2), ma mai spentosi con il prolungarsi degli anni: la seconda e definitiva venuta del Signore Gesù e quindi il trasporto definitivo della realtà (umana) sulla sponda del Regno, superato ormai il drammatico momento della croce e del male. L'incidenza esistenziale di tale venuta è assai rilevante. Assume la forma di giudizio decisivo: «Ecco il giudice è alle porte», scrive Giac 5,9, sottolineando, come già fece il Maestro, più che gli ingredienti cosmici di un cambio, la responsabilità di fronte ad esso. La venuta del Regno di Dio in Cristo nella compiutezza della salvezza, «senza più lutto né lacrime» (Apoc 21,4), si fa perciò verifica finale della disponibilità dell'uomo di farvi parte. Di qui la tensione etica ed ascetica verso l'appuntamento finale (cfr Mt 24-25: le parabole della vigilanza; 1 Tess 5; Atti 10,42; 17,31). [7]
    Da questo intreccio tra passato e futuro [8] si può intuire quale caratteristica concezione del tempo e della storia i cristiani delle origini poterono avere, e come il senso del pellegrinaggio, inteso quale crescere, fosse per loro un tratto dinamico costante, di cui tutti i libri del NT si fanno carico. Ma questa è la situazione attuale determinata dall'avvenimento di Dio. Vi ritorneremo nella fase successiva.

    3. «Quando eravamo nemici» (Rom 5,10)

    Tradiremmo il nostro dialogo con i primi cristiani, se non accennassimo anche al versante negativo dell'uomo, su cui sopravvengono i fatti di Dio, sicché per loro il discepolato di Gesù è assai più che pratica di religione: vale radicalmente come via necessaria alla salvezza.
    Facendo seguito in ciò all'AT, secondo il quale fuori dell'alleanza con Jahvè esistono solo «cisterne screpolate» (Ger 2,13), basti ricordare per Gesù la parabola del figlio prodigo che, lontano dalla casa del padre, muore di miseria e di fame (cfr Lc 15,17); in Paolo il tremendo dittico con cui si apre la lettera ai Romani (1,18-3,20). Cfr 1Pt 4,3.
    Un passato, che per altro cerca d'insinuarsi nel presente, sotto il segno del peccato, che per l'uomo del NT è inteso anzitutto come autosufficienza, ossia lo sforzo di affidare a se stessi, fossero pure le proprie opere buone, il criterio di realizzazione di sé.
    È facile vedere in filigrana il peccato delle origini (Gen 3), che Gesù denuncia nell'atteggiamento farisaico (cfr Lc 18,9-14), come pure Paolo quando afferma la giustificazione per la sola fede (cfr Rom 1-4). A causa di questo malessere di orgogliosa solitudine, l'uomo è schiavo. L'ansia delle cose, del prestigio, della sapienza mondana lo soffoca (la critica alle ricchezze è veramente radicale: cfr Lc 13,21; Mt 6,25-34; Pii 4,6; Giac 4,13-17; 1Pt 5,7). Vi corrisponde un atteggiamento d'ipocrisia ed insieme di spietatezza (cfr Mt 23,13-29) e di accecante ed aberrante stupidità: «Hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile» (Rom 1,23; cfr Giov 9,39-41). [9]

    4. «Il Regno è vicino: convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15)

    Ma quello che più conta è che «ora invece, indipendentemente dalla legge, si manifesta la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono» (Rom 3,21).
    Il tema della fede è veramente il costitutivo radicale dell'essere cristiano. Oltre 550 volte ritorna, come termine, nel NT, senza eccezione per alcun libro. E lo si comprende. Unica prestazione richiesta all'uomo e base essenziale delle opere buone, la fede rappresenta solo avvenimento possibile all'uomo davanti agli avvenimenti di Dio: è l'evento della sua totale e incondizionata disponibilità alle grandi azioni di Dio fattesi proposta di vita ín Gesù.
    Per l'uomo del NT la fede non è un atto statico o puramente intellettuale, bensì un processo vitale che conosce esperienze diverse. In corrispondenza alla situazione di male originario, la fede si profila come conversione profonda (metanoia, oltre 50 volte nel NT), atteggiamento destinato a continuare nella misura che il passato, pur vinto, allunga la sua ombra nel presente («Voi dunque pregate così: ... e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male»: Mt 6,13).
    In corrispondenza all'offerta di Dio nel kerigma, la fede è omologia, confessione come opzione fondamentale e irreversibile; in rapporto alla situazione presente, la fede è fedeltà attiva, che sí fa speranza verso il futuro e carità nell'oggi.
    Il binomio conversione-fede domina il NT, dal messaggio di Gesù che annuncia il Regno (Mc 1,15), alla predicazione di Pietro (Atti 2,38), di Paolo (Atti 13,39), degli altri apostoli (cfr Ebr 11,6: senza la fede è impossibile piacere a Dio). [10]

    B. «Noi per i quali è arrivata la fine dei tempi» (1Cor 10,11).
    Una nuova qualità della vita

    1. Le grandi compagnie del cristiano

    Come primo sta dunque la coscienza che qualcosa è capitato di grande e di irreversibile che contagia di sé definitivamente il presente, e determina, come incrollabile promessa, il futuro (cfr Atti 1,11). Ormai il mondo di Dio e il mondo dell'uomo si sono incontrati nel mondo di Gesù. Attendiamoci che a livello di appropriazione soggettiva propria della fede si determini una singolare condizione esistenziale. Eccone alcuni tratti più vistosi.
    Globalmente parlando - e questo potrebbe essere un altro modello di lettura del NT - il mondo di esperienze dei primi cristiani ci appare oggi come un mondo di grandi compagnie:
    a) La compagnia di una grande memoria (í magnalia Dei che sono capitati, l'abbiamo visto sopra, e di cui l'Eucarestia è come sintesi).
    b) La compagnia di una grande presenza, quella stessa di Dio e della sua esaltante intimità. Converrà ricordare che nei primi cristiani il livello mistico antecede quello ascetico ed etico e ne sostanzia la pratica, in una misura che a noi forse ormai sfugge. Si pensi che il vangelo di Giovanni (e lo stesso si potrebbe dire ad es. di Rom 8) è stato voluto per comunità di battezzati (cfr Giov 20,31), e non, come talvolta si stima fra di noi, per gruppi elitari (contemplativi, religiosi...). Piuttosto l'alto profilo del vangelo e delle lettere di Paolo indicano il livello di dignità che gli apostoli pensano per i cristiani.
    c) Vi è poi la compagnia dei discepoli tra di loro nella comunità ecclesiale.
    La più espressiva. Senza però che si dimentichi, e talvolta con senso acutissimo, di condividere una eredità più grande, gloriosa ed insieme drammatica: è la compagnia di Israele.
    d) Infine, difficile, ma appellante, la compagnia del mondo.
    Ora questa molteplice compagnia, che forma l'esistenzialità del credente, era intesa non in termini statici, acquisita una volta per sempre, ma, facendo analogia con la figura del neonato che si sviluppa (1Pt 2,2; 1Cor 3,2), ammetteva un necessario processo di crescita. Si prospettava così un'incoercibile tensione in due direzioni, nello spazio fino ai confini nel mondo (ed è la missione), e nel tempo fino alla venuta del Signore, che è poi il transitus vitae (ed è lo sviluppo alla maturità cristiana).
    Entro questo quadro esistenziale, insieme mistico, ascetico, ecclesiale e missionario, si determinava così il senso di una condotta di vita veramente qualitativa, in particolare una coscienza etica, in cui non tanto le norme, sovente mutuate dal tempo quanto le motivazioni di fondo sono profondamente innovative, in corrispondenza alle grandi compagnie di cui il cristiano era portatore. A questo livello, l'onnipresente forza della fede chiamata a verificarsi nella carità, s'irrobustisce del conforto della speranza, necessaria ad una vita pensata come cammino nello spazio e nel tempo verso la visione.
    Componente mistica, componente etica, componente biblica, componente ecclesiale, componente missionaria, sono i diversi aspetti dell'esperienza cristiana che prendiamo in breve considerazione, suddividendoli, per praticità in questa seconda e poi nella terza sezione dí questa prima parte.

    2. «Voi siete figli» (Gai 4,6).
    La compagnia di Dio, o in quale Dio credono i primi cristiani

    Siamo dunque al momento in cui gli avvenimenti di Dio ascoltati nel kerigma, accolti nella conversione e nel battesimo, introducono nell'oggi della salvezza.
    Anzitutto i discepoli di Gesù si sentono annunciare e godono di una grande visione di Dio, unica e certamente originale nella storia dell'umanità, e nella medesima storia biblica, di cui Gesù si è fatto rivelatore come una delle massime sue verità e delle più care: Dio come Trinità: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27; Giov 3,34; 17,3s).
    Ma ciò che conta, nelle testimonianze soprattutto di Paolo e di Giovanni, è il rilevare che non si tratta del Dio smorto e consunto di certa teologia e catechesi, per cui se non ci fosse, o fosse diverso, quasi non cambierebbe nulla. Bensì - come ha recentemente mostrato, tra i tanti, B. Forte [11] - è una presentazione della Trinità fortemente coinvolta e partecipativa nella storia del mondo.

    a. «Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rom 8,16)
    Si dovrà avvertire come novità in tanti di noi, cristiani di dopo, il fatto che i cristiani di inizio abbiano evidenziato con forza lo Spirito Santo, quasi a dargli un certo primato, non nell'ordine dell'iniziativa e della missione della salvezza, che spettano al Padre e al Figlio Gesù, ma certamente nell'esperienza cristiana effettiva: «Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio »(Rom 8,14). Dio lo s'incontra nello Spirito.
    E quanto mai illuminante che lo Spirito appaia fin dall'inizio (dal Battesimo di Gesù, Mc 1,10 parr.; anzi a partire dal suo umano concepimento, Lc 1,35), come l'animatore essenziale dell'opera di Cristo e della sua esperienza interiore, in una maniera che l'attraversa tutta. [12]
    E lo stesso Spirito compare come animatore indispensabile della comunità fin dall'inizio (v. Pentecoste, Atti 2,1-11), in una così scoperta unità tra il Cristo e la Chiesa che autori del NT parlano arditamente di Spirito di Cristo (Rom 8,39; cfr Atti 2,33; Giov 7,39).
    Per un cristiano delle origini, Dio dunque non è veramente conosciuto solamente nel pur necessario apprendimento dell'annuncio, ma, attraverso questo, nell'incontro con lo Spirito. Come è stato bene osservato, «lo Spirito Santo sta all'inizio del cristianesimo storico, non come oggettiva garanzia esterna di fede (qual è la risurrezione di Gesù), né come prima causa degli eventi storico-salvifici (qual è Dio Padre), ma come intimo costitutivo della stessa novità instaurata, agente prima di ogni percezione cosciente. Quindi, tutto nella Chiesa parte dal dato esperienziale dello Spirito di Cristo (...). Entrare in contatto personale con Cristo risorto significa ricevere lo Spirito, e viceversa; né una sola cosa è possibile senza l'altra». [13]

    b. «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Rom 15,6)
    Anche quanto a Dio come Padre, viene dai cristiani di oggi abitualmente e giustamente citata la sua qualità di Abbà, padre creatore universale e provvidente. Ma forse sfugge che lo specifico del NT e primo nel valore è l'asserto che Dio è «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Rom 15,6; 2Cor 1,3; 11,31; Ef 1,3; 1Pt 1,3). In Gesù dunque soltanto s'incontra il Padre (cfr Mt 11,27), soltanto nel rapporto di solidarietà con Cristo nello Spirito ci viene dato di rivolgerci a Lui come Padre nostro (cfr Lc 11,2-4; 1Tess 3,11-13; 1Cor 6,14).
    Da qui nasce come dono (non può essere diversamente) l'attestazione di chi sia Dio per noi e noi per Lui, secondo il testo rigoroso e splendido di Paolo: «Dio (il Padre) mandò suo Figlio, nato da donna... per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,4-6). «Figli nel Figlio», dice la bella formula patristica, e con verità. [14]
    Per dei cristiani dunque l'unica concezione di Dio come principio e fine assoluto non può che essere secondo come Gesù dice, vive, dona Dio. Formule così generiche di appartenenza a Dio, come si sentono in bocca talvolta ad operatori pastorali, hanno un sapore decisamente deistico, non corrispondono alla testimonianza neotestamentaria.

    c. «Chi vede me, vede il Padre» (Giov 14,9)
    Il Dío dei cristiani è un Dio cristiano, colui che come Padre e Spirito ha in Gesù Cristo il luogo assoluto della rivelazione e comunione di sé. Realtà questa felicemente in via di affermazione dopo la grande opzione cristocentrica della teologia, della pastorale e della spiritualità al seguito del Vaticano II. Semmai, per sfuggire a forme astratte, si riterrà alla luce del NT che la fede in Cristo, punto di partenza e centro delle confessioni dí fede, riguarda il Figlio di Dio fatto uomo, Salvatore e costituito Signore (cfr Rom 1,1-7), dunque in rapporto ad una storia dinamica, per cui la stessa esistenza travagliata e umile di Gesù entra in qualche modo a far parte della realtà di Dio. [15]

    d. «Verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Giov 14,23)
    Allo sguardo dei primi cristiani Dio viene annunciato congiunto potentemente alla storia degli uomini, alla loro storia personale. Con questo Dio i cristiani hanno la grazia e il compito di vivere ín compagnia, in una profonda relazione di presenza.
    I modi di esprimerla sono tanti. [16] Secondo la tradizione biblica, hanno prevalenza le immagini parentali di padre-madre, sposo, fratello, famiglia (cfr Mc 3,31-35; Mt 23,9; Giov 15,23).
    Cose per lo più note. La novità oggi sta piuttosto nel riconoscere il livello d'ineffabile appartenenza che il cristiano viene a ricevere con Gesù, e mediante Lui, con il Padre e lo Spirito. Egli viene costituito persona mistica, cui è propria la zona del mistero.
    Le categorie usate corrispondono alla varietà delle culture: da quella più dinamica, apparentemente estrinseca, ma in realtà coinvolgente fino in fondo il destino della propria vita, racchiusa nel motivo della sequela (Sinottici) (cfr Mc 8,34-38); alla categoria paolína di tipo mistico rivelata dalla congiunzione syn (con) tra il credente e Gesù (v. le grandi Lettere, es. Rom 6,1-11); alla categoria di visione-comunione preferita da Giovanni (cfr 1Giov 1,1-4). [17]
    È perciò una situazione divina quella in cui vive il cristiano (2Pt 1,4), precisata con notevoli formule (il c. 8 di Rom ne è vivace testimonianza). Tra cui non possiamo dimenticare per la loro incidenza nella storia cristiana quelle di noi gente giustificata nella fede (Rom 5,1-5), in situazione di riconciliazione (2Cor 5,18-21), collocati, secondo la più prestigiosa categoria biblica, nella «nuova alleanza» (1Cor 11,25; Ebr 8,6-13; Mt 26,28).
    Anche questa ricchezza di categorie espressive, mezzo fecondo di autocomprensione, mostra lo sconcertante impoverimento linguistico, e dunque anche contenutistico, sopravvenuto tra di noi.

    3. «Possiamo camminare in una vita nuova» (Rom 6,4).
    Senso morale dei primi cristiani

    Dalla mistica all'etica. Il cristiano è avvolto in una forte relazione religiosa da poter dire con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gai 2,20). Ma questo non lo situa certamente in uno sterile quietismo di autocompiacenza, perché, toccato dalla forza del Regno e della risurrezione di Cristo, si sente coinvolto in un formidabile impegno etico, che cí appare tra i più alti all'interno delle religioni storiche.
    Senza dilungarci su questo capitolo dell'etica neotestamentaria, [18]componente indiscutibilmente essenziale delle origini cristiane, mi limito ad evidenziare alcuni aspetti che in rapporto all'oggi possiedono una certa dimenticata rilevanza.

    a. «Nella novità di vita» (Rom 6,4)
    Quello della novità etica pare essere l'accento più insistente lungo tutti i libri del NT.
    Novità a due livelli.
    Nell'insidioso ottundimento attuale della coscienza merita sottolineare che i primi credenti sono persone altamente morali, più che dedite al rito o al culto (cfr Mc 7,9-13; Le 14,1-5). Essere morali è infatti il primo livello di novità dei cristiani, rispetto al rischio dell'esteriore ritualismo verboso dei giudei (Sinottici: Mt 7,21; Giac: 2,14-26) e delle accomodanti, ma anche così aberranti gnosi dei greci (Paolo: cfr Rom 1,24-32; 1Cor 6,1-11; Coi 2,8).
    Moralità, d'altra parte, che si regge nella novità - ed è il secondo livello -di un insieme di valori, di motivazioni, di valutazioni da configurare il credente intrinsecamente come «nuova creatura» (2Cor 5,17; Gal 6,15), chiamato a vivere «una vita nuova» (Rom 6,4; cfr I Cor 5,6-7).
    Sta alla base la charis (grazia) degli avvenimenti dí cui sopra (la base mistica), a cui si perviene e in cui si rimane con un ineliminabile e costante processo di conversione (se ne ricordi l'imperativo sia in Mc 1,15 da parte di Gesù sia in Atti 2,38 per la prima comunità), che perciò è e rimane momento intrinseco dell'azione morale dei credenti. [19]

    b. «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro» (Mt 5,48)
    La morale cristiana è morale della santità (Ef 1,4; 1Pt 1,16), il non essere mediocri la caratterizza e il non poter prestabilire da sé la sufficienza. Si svolge quindi come un inarrestabile movimento ascensionale verso la piena maturità cristiana (Ef 4,12); si gioca in una relazione incondizionata di fede-amore in Dio come Padre (testi come quelli dei Sinottici Mt 6,25-34; Lc 12,4-7 si prolungano in tutto il NT), senza di cui mancherebbe il sostanziale riferimento di misura smisurata («siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli»: Mt 5,48) e di fiducia («il Padre vostro sa! »: Mt 6,32); spinge a dispiegare nel mondo, nel quotidiano, come per irradiamento, la segreta e incoercibile energia del Regno/Risurrezione, così come Gesù e gli apostoli hanno fatto. [20]
    Le Beatitudini e íl Discorso della montagna in Mt 5-7 sono un modo esemplare di pensare la vita morale da cristiano. [21] Le Beatitudini annunciandolo fanno presente l'orizzonte del Regno (che Dio solo pone); il resto del Discorso determina una prassi di tale impegno etico per cui la paradossalità si fa spia di autenticità: è impegno radicale (il cominciare sempre da capo), continuo (il darsi sempre da fare), a tensione escatologica (mai di qui assolto, ma certamente realizzato nel Regno definitivo), in cui s'incrociano alcuni verbi etici che Bultmann raduna felicemente così: fa (non solo parla), fa dal di dentro (dal cuore, dove il Padre vede), fa per amore (di Dio e del prossimo), fa senza confini (nella misura della perfezione di Dio, ma anche senza i limiti di razza, di status, di una pura giustizia).'
    Si sente qui il vocabolario dei Sinottici, che rappresenta certamente uno degli stadi del complesso mondo del NT, ma facilmente identificabile nelle istanze etiche degli altri autori pur dette con altre forme corrispondenti a situazioni diverse. Si pensi al primato della carità in Paolo (1Cor 13) e in Giovanni, alla necessità del fare in Giacomo, ín Ebrei. [23]

    c. «Esaminate ogni cosa. Tenete ciò che è buono» (1Tess 5,21)
    Piuttosto dai testi extraevangelici, più collegati a concrete esigenze di vita (si pensi alle comunità di Paolo, ad es., in ICor), appare un prezioso complemento: con quale libertà di spirito siano assunte determinazioni morali dall'area del profano sotto la sicura ispirazione della motivazione rivelata. Vi è nel mondo una sana laicità, quella della creazione, che esprime con facilità (cfr Rom 1,20) segni di «quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, che è virtù e merita lode». Ebbene «tutto questo - dice con forza Paolo -sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8).
    Vengono in mente le tavole domestiche (Ef 5,21-6,9; Col 3,18-4,1; 1Pt 2,113,7), le lunghe liste di virtù civiche delle Pastorali cui basta aggiungere il riferimento al Kfrios, alla potenza redentrice della sua presenza e richiamare il comandamento dell'agape per determinare una condotta morale degna dei cristiani (cfr E! 6,1-4). [24]

    4. «Secondo le Scritture» (1 Cor 15,3)
    La tormentata ma necessaria compagnia di Israele [25]

    Merita infine notare come una caratteristica dei primi cristiani, che segnò il loro mondo in una forma a noi difficilmente immaginabile, sia l'acuta coscienza di essere coinvolti in un flusso storico più grande che non la storia fenomenicamente così esigua di Gesù. Riguarda la storia di Israele a cui essi si sentono collegati a due livelli.
    Il primo che interessa tutti, anche i critiani provenienti dal paganesimo, è il legame con l'AT, come storia delle promesse di Dio che approdano in Cristo (cfr Gal 3,24). Ciò determina il fatto cosi macroscopico della rilettura dell'AT in chiave cristiana, [26] e di conseguenza l'avvio alla comprensione di Scrittura sacra anche degli avvenimenti di Gesù di Nazaret e degli sviluppi apostolici, codificati negli scritti che formano il NT. Per cui, senza riferimento all'AT, i primi cristiani sentivano quasi di non poter dirsi tali. [27]
    Tanto più che si dà un secondo livello, particolarmente percepito dal gruppo giudeo-cristiano, e riguarda il senso della drammatica svolta negativa del popolo dell'antica alleanza. È un tratto che attraversa tutto il NT: i vangeli, Paolo (Rom 9-11), Ebrei... Rappresenta una componente storica che noi oggi saremmo tentati di dire non essenziale (come del resto cercarono di fare eretici fin dall'inizio). [28] Ma così non fu per le autorità apostoliche che del dramma d'Israele avvertirono le implicanze teologiche (Rom, Gal, Ebr) traducendole immediatamente in conseguenze spirituali e morali: «Tutte queste cose accaddero loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi» (1Cor 10,11; Rom 10,19-21; Ebr 3 -4).

    C. «Ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano te della risurrezione del Signore Gesù» (Atti 4,32-33).
    In comunione per la missione

    Continuando la nostra esplorazione del mondo dei primi cristiani, viene spontaneo parlare, tanto è fondamentale, di quel modo singolare di vivere le relazioni sociali, tra di loro e con il mondo circostante non cristiano, che raduniamo sotto il termine di ecclesialità.
    Anche qui, la complessità evolutiva del fenomeno «Chiesa» nel NT chiederebbe notevoli differenziazioni. [29] Agli effetti del nostro compito vogliamo fissare alcuni elementi, insieme comuni. e caratteristici, tanto più se confrontati con certa mentalità dei cristiani di oggi.

    1. «lo ho un popolo numeroso in questa città» (Atti 18,10)

    a. «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto» (1Cor 1,27)
    Come prima delle cose che stupiscono ancor oggi è l'estrazione sociale semplice, di «non sapienti, potenti, nobili», per dirla con Paolo ai Corinti (ICor 1,26), della massa dei cristiani, provenienti per lo più dalle città, dove il tradizionale sentimento religioso certamente non faceva velo su limiti, difetti, anzi deformazioni anche gravi, nell'ordine delle idee (il peso della sapienza grecaper i gentili, il sentire fino all'arroganza il valore della Legge da parte dei giudei) e in quello della prassi (la difficoltà di accettare la castità cristiana, il raggiro negli affari, il parassitismo, l'egoismo, la gelosia, la vanagloria...). [30] Ví è solo l'imbarazzo della scelta nelle esortazioni-denuncie che fanno i pastori delle comunità, così come appare per lo più nella parte parenetica delle lettere (prova insieme della schiettezza dei rapporti). [31] Ebbene di tale gente Dio si fa un popolo (cfr «Voi non popolo, ora invece il popolo di Dio»: 1Pt 2,10), con una proposta di vita, che rompe inveterate abitudini religiose e di costume per una relazione e dei compiti di stupefacente portata.

    b. «Per essere pasta nuova» (1Cor 5,7)
    Come è noto - l'abbiamo più sopra accennato - la coscienza ecclesiale delle prime comunità ha radici lontane: si pone nel solco d'Israele, in quanto popolo di Dio irrevocabilmente scelto da Lui, secondo però una dialettica di contemporanea continuità e discontinuità (cfr lCor 10,18; Gal 6,16). Per cui certamente rinnovato e nuovo compare il modo cristiano di sentirsi popolo del Signore: lo è totalmente ed esclusivamente secondo la traccia lasciata indelebilmente da Gesù, secondo cioè la potenza escatologica trasformante propria dell'avvento del Regno e il fatto della Risurrezione (e Pentecoste), cui si richiama indivisibilmente, e perciò entrandovi costitutivamente, tutta la vita e missione terrena di Gesù.
    Non si rifletterà mai abbastanza che è sulla radice di questi avvenimenti fondatori da noi riferiti all'inizio, dunque in base ultimamente all'azione escatologica di Dio stesso, che il gruppo cristiano si distingue da una corporazione religiosa pagana, come pure dal giudaismo e da Qumran. [32]
    In questa luce prendono rilievo giusto, tra le altre, due peculiarità da sempre riconosciute tipiche della prima Chiesa (ma che per sé, materialmente parlando, non ne sarebbero esclusiva): la comunione e la missione, la comunione per la missione, vissute nella memoria insostituibile del Maestro. Vediamole singolarmente negli aspetti più illuminanti.

    2. « Radunati nel mio nome» (Mt 18,20).
    Insieme nella memoria di Gesù

    È stato ben notato che «l'unità nascosta del NT è la memoria di Gesù nella liturgia, nel kerigma e nella prassi». [33] È un modo diverso di dire Chiesa, che focalizza la maniera dinamica e strutturata con cui si costituiscono le prime comunità cristiane. Nel variare delle contingenze (si può stare insieme per motivi di aiuto, di vicinanza culturale, etnica... e certamente anche queste ragioni caratterizzarono i primi gruppi cristiani) [34] le componenti ora accennate costituiscono sempre e ovunque la ragione più alta del convenire, e che di fatto ritroviamo a Gerusalemme, come ad Antiochia, a Corinto, a Roma... Paradigmatico, e a tutti noto, rimane il quadro ideale proposto in Atti, proprio all'inizio assoluto della prima comunità, quella di Gerusalemme: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... Stavano insieme e tenevano ogni cosa ín comune» (2,42-44).

    a. «Quelli che sono di Cristo Gesù» (Gal 5,24)
    Il contesto mette in chiaro una cosa per lo più taciuta, ossia il principio di comunione (koinonía), di cui si parla, è anzitutto comunione con Gesù, centro della parola, della celebrazione e ragione di vita (cfr Atti 2,38).
    La sua memoria è intesa nell'unità della sua vita terrestre con quella gloriosa. Quanto sia grande, intensa, onnipresente ne sono un segno parlante le 905 volte in cui viene ripetuto il nome di Gesù, 529 il nome di Cristo, 718 quello di lqrrios (senza contare altri titoli) lungo tutti i 27 libri, in una maniera che tra tutti i termini significativi di persona è quello più distribuito nei diversi scritti.
    Ciò che ha detto Gesù, ciò che egli ha fatto, ciò che egli è «rende possibile la molteplicità e limita le diversità delle testimonianze neotestamentarie di Cristo», [35] insomma permette di fare o meno un discorso sensato e organico sul NT.
    Veramente Gesù Kfrios nello Spirito occupa tutta l'area della comunità ecclesiale. Si stabilisce un vincolo profondo, mistico di Cristo (e la Trinità tramite Cristo) con i discepoli espresso con diverse immagini sempre calde e suggestive: da quelle di maestro-discepolo dei Sinottici nel caratteristico rapporto di sequela (cfr Mc 1,16-20), a quelle pastorali ed agricole di Giovanni (cfr Giov 10; 15,1-6), ed ancor più di tipo profondamente amicale nei discorsi della cena (13-17), fino alle molteplici formule paoline culminanti nell'immagine di organismo vivente, di cui Cristo é il capo, i cristiani le membra (1Cor 12,12-27; Ef 1,22s; 4,4-6). [36]

    b. «Assidui nella frazione del pane e nelle preghiere» (Atti 2,42)
    La più intensa, se non la prima, delle linee portanti la memoria di Gesù che aggrega i cristiani e li fa Chiesa è la liturgia. [37]
    Eredi della grande tradizione giudaica del memoriale e della pratica di preghiera al tempio (che all'inizio continuano a frequentare: Lc 24,53; Atti 2,46), essi vi pongono la novità della memoria di Gesù, anzitutto nei due sacramenti della cena (ciò che Gesù ha fatto) [38] e del battesimo (ciò che Gesù ha comandato: cfr Mt 28,18-20).
    Un clima di preghiera, e più strettamente l'esperienza liturgica, fanno da rilettura delle opere di Gesù (es. la moltiplicazione dei pani in Giov 6), ne interpretano la vita (v. la teologia del sacerdozio in Ebrei), illuminano l'identità dei discepoli (si veda la grande teologia battesimale di Paolo in Rom 6) e fanno da sorgente alle confessioni di fede nella forma di inni (cfr Lc 1-2; Fil 2,6-11; Col 1,15-20...).
    Veramente senza il referente liturgico ed eucologico in primo piano non ha consistenza la prima comunità. [39]

    c. «Assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli» (Atti 2,42)
    Le altre due linee di aggregazione intorno alla memoria di Gesù sono l'annuncio e lo stile di vita. Sono cose note.
    È del tutto impensabile una comunità in cui non risuoni la Parola di Dio, assoluto punto di partenza dell'essere e vivere da cristiani (cfr Rom 10,14). Possiamo richiamare alcuni tratti stabili nel variare delle situazioni. [40] La continuità, espressa dalla molteplicità delle forme: kerigma, catechesi, didascalia, testi scritti (come il corpo epistolare), seguendo un doppio livello d'intervento, uno di prima evangelizzazione, ed uno di approfondimento (cfr Ebr 6,1-2). L'incisività, ossia una Parola per le situazioni di vita: le lettere di Paolo e degli altri lo dicono con chiarezza; ancora di più, è tale criterio d'incarnazione che determina il paradosso per cui medesime parole di Gesù nei vangeli ricevono versioni diverse. La fedeltà, evidenziata sia dal tono di parresia (Atti 4,29; 1Tess 2,2), sia dall'attenta trasmissione per tradizione (paradosis) (1Tess 1,5; Gal 1,11; 1Cor 15,1.3). Infine, la dialogicità o provocazione della fede, resa possibile da un ascolto dinamico e impegnato (Atti 4,4; 10,44; Rom 10,14), per cui si è inevitabilmente provocati e coinvolti in una risposta. [41]

    d. «Un cuor solo e un'anima sola» (Atti 4,32)
    Quanto allo stile di vita, esso estende tra i credenti il principio di comunione che li lega alla memoria di Gesù. Il trapasso dall'agape di Gesù per i suoi al medesimo amore dei discepoli tra di loro, e questo inteso come suprema legge della convivenza, lo ha posto in sommo rilievo Giovanni (Giov 13,34-35; 1Giov 4,7-21), attingendolo dal modo storico di comportarsi di Gesù (cfr Mc 10,41-45 ) .
    Altri autori del NT evidenziano altri aspetti della koinonía: la comunione dei beni a favore dei più poveri (Atti 2,44-45; 4,32-35; la colletta di Paolo, 2Cor 8-9); il rispetto degli ultimi e l'aiuto ai diseredati (Giac 2,1-13); un vincolo di carità, di pace, di mutua edificazione nel contesto familiare (v. le tavole domestiche, es. Ef 5,21-6,9), sociale (cfr 1Pt 2,11-25), comunitario (cfr Rom 12,321); infine un principio di buona armonia nella corretta distribuzione, articolazione e governo di carismi e ministeri (cfr 1Cor 12-14; le Pastorali). [42]

    3. «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).
    In missione per il mondo

    La qualità missionaria delle prime comunità è a tutti nota. Si può dire che il NT è nato in contesto e in funzione della missione. Lo prova la clamorosa espansione del primo cristianesimo nel bacino del Mediterraneo e oltre, tenuto conto delle possibilità e mezzi di comunicazione allora vigenti. [43] Quello che sfugge forse e che vogliamo richiamare sono alcuni contrassegni tipici della coscienza e dello stile missionario. Eccoli in breve:

    a. «Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua» (Atti 2,6)
    Non vi è difficoltà, quella specialmente dovuta alla diversità delle culture, che blocchi la missione. Piuttosto la diversità crea modelli diversi. Il NT ce ne mostra almeno tre maggiori, paradigmatici dí ogni processo d'inculturazione del vangelo:
    – la missione nel mondo giudaico così rigido e reattivo, con al centro Gerusalemme (Atti 1-9);
    – la missione nel mondo giudeo-ellenista, con al centro Antiochia, nodo provvidenziale di espansione del vangelo nel mondo pagano (Atti 13ss, con la singolare anticipazione nel racconto di Cornelio: Atti 10 s);
    – la missione infine nel mondo greco-romano, per il quale Paolo diventa il modello per eccellenza.
    Di ognuno di questi modelli la ricerca esegetica ha posto bene in luce le peculiarità. [44] Secondo il nostro scopo noi vi attingiamo alcuni elementi comuni.

    b. «Niente altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2)
    Nei leaders anzitutto è fortemente presente la coscienza di portare ai non cristiani il vangelo. La memoria di Gesù la fonda.
    Tre sono i principali mandati del Signore custoditi gelosamente nella tradizione e continuamente ripetuti: il precetto dell'amore (cfr Mt 22,34-40), il precetto della Cena («fate questo in memoria di me»: 1Cor 11,25), il precetto della missione (cfr Mt 28,16-20).
    Il primo esprime il contenuto profondo di ogni evangelizzazione; la Cena ripropone la grazia e la misura di tale carità; la missione ricorda i destinatari ultimi dell'agape evangelizzatrice.
    Su quest'ultimo mandato della missione si costruisce letterariamente e teologicamente tanta parte del NT: ne sono casi clamorosi la formazione dell'ultimo capitolo dei vangeli, imperniato sui racconti pasquali, e l'elaborazione dell'opera di Luca in Vangelo e Atti.
    Missione è dunque condividere con gli altri la memoria di Gesù, con la stessa intenzionalità e stile. Egli è apparso come missionario escatologico, nella prospettiva del Regno che viene. [45] La salvezza e non la volontà di qualche rafforzamento umano, nazionalistico, o anche semplicemente filantropico (ad es. la lotta per i diritti civili) muove Gesù. È una spinta che si esprime in lui con un'incoercibile volontà di annunciare («Per questo sono venuto»: Mc 1,38), con un atteggiamento di appassionata dedizione («Sono venuto a portare il fuoco sulla terra»: Lc 12,49), soprattutto con una prassi ricca di segni messianici di misericordia liberatrice (e dal suo punto di vista Gesù si batte per i diritti anche solo civili più di ogni altro campione del passato, incidendo nella storia in misura indimenticabile: cfr il manifesto di Nazaret in Lc 4,16-19), con una rivelazione infine che manifesta in Gesù una coscienza che ci sorprende. I popoli del mondo non sono da temere o esorcizzare come potenze del male, egli dice, giacché mostrano disponibilità (noi diremmo domanda) di salvezza, così come la messe matura di estate attende soltanto la venuta dei mietitori, ossia i missionari (cfr Mt 9,37; Giov 4,35-38).
    È precisamente in questo contesto della memoria di Gesù missionario che s'innesta il sentire profondo di Paolo, il modello per eccellenza della missione: «Guai a me se non predicassi il vangelo: è un dovere per me» (1Cor 9,6), «poiché l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti» (2Cor 5,14).
    È una vibrante collocazione della missione nel solco dell'esperienza palestinese di Gesù, assunta come motivazione e come prassi senza altre alternative. Si noti a questo proposito la somiglianza intenzionale di Mt 9,35 (Gesù in missione) con 10,1 (gli apostoli in missione), come pure la concezione lucana secondo cui la missione degli apostoli (in Atti) altro non è che la missione di Gesù che continua. [46]

    c. «Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7)
    E infatti su imitazione anche esteriore del Maestro, missionario itinerante –è una testimonianza tra le più sicure dei vangeli –, si svolse la prima missione, da parte di missionari itineranti, chiamati più tardi evangelisti (cfr Atti 21,8; Ef 4,11), in colloqui a piccoli gruppi e da uomo a uomo, quali risultavano dai contatti di tutti i giorni (Atti 2,6.41; 4,4.43; 5,16.28; cfr Mc 6,7-11 par). «La rapidità dell'espansione si spiega solo col fatto che ogni discepolo divenne testimone missionario per la propria zona». [47]

    d. «Godendo la simpatia di tutto il popolo» (Atti 2,47)
    Ma questa maniera individuale, spicciola, già per sé illuminante di un'interiore coscienza, non fa concludere ad una missione affidata soltanto ad alcuni volonterosi, per delega, come oggi noi diremmo (e purtroppo facciamo abitualmente).
    Il modello itinerante fu anzitutto del periodo gerosolimitano, quando ancora il numero era scarso. Ed anche se continuò a funzionare lungo la storia nella forma che noi diremmo del movimento, [48] va riconsiderata la missionarietà della comunità come tale, ragione ultima in fondo della rigogliosa espansione di cui abbiamo parlato.
    Paolo, quando afferma, alla fine degli anni 50, scrivendo ai Romani, che «non mi restano più zone da evangelizzare» (Rom 15,23), in realtà aveva fondato le comunità cristiane in una decina di città al massimo. Il territorio circostante era tutto da evangelizzare. Ma era proprio la comunità presente su quel territorio che faceva da garanzia della diffusione del vangelo nell'ambiente.
    Si noti la profonda corrispondenza tra i missionari e la comunità che li invia nei viaggi missionari di Paolo e Barnaba (Atti 14,27-28; 15,4.12; 21,17-19). Ancora di più, la comunità impiantata si fa missionaria per contagio. Eccone qualche esempio. [49]
    La comunità di Tessalonica è un piccolo gruppo di cristiani in una città di 300.000 persone pagane. Di essi Paolo potrà scrivere: «La parola di Dio rieccheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia, ma anche in Grecia... La fama della vostra fede si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi» (1Tess 1,6-10). Alla chiesa di Filippi, che Paolo non ha fondata, riconosce il valore di un'efficace «cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente» (Ed 1,5); poi sottolinea come qualità missionaria l'intenso amore reciproco sull'esempio di Gesù (2,6-11). Per tale contegno di «irreprensibili e semplici figli di Dío», hanno la grazia di «splendere come astri nel mondo tenendo alta la parola di vita» (2,15-16; cfr Mt 5,14-15: «Voi siete la luce del mondo»). Dunque per Paolo un'intensa vita di comunità possiede un'attrazione irresistibile.
    Del resto è quanto ritroviamo in Atti, nel quadro di vita della prima comunità: «Prendevano i pasti con letizia e semplicità dí cuore, lodando Dio (preghiera e liturgia) e godendo la simpatia di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla comunità quelli che erano i salvati» (2,47-48).
    Non c'è nessuna propaganda in questo modo di vivere la fede; c'è semplicemente uno stile di vita: una genuina fraternità, resa credibile dalla decisa eliminazione delle divisioni tra chi ha e chi non ha (Atti 2,45), da uno stile di «letizia e semplicità di cuore», da un modo di «lodare Dio» (pregare), da «godere la simpatia di tutto il popolo». Il Signore allora faceva entrare nella comunità nuovi cristiani (cfr pure Atti 4,32-33). [50]
    Infine della prima lettera di Pietro ricorderemo quel passo famoso, secondo cui una comunità che sia fedele alla propria scelta di fede, tanto più se in un contesto dí oppressione, finisce con l'incuriosire, affascinare e sollecitare la domanda: perché? Ecco allora un puntuale ed efficace intervento missionario: «Non abbiate paura di quelli che vi contraddicono, accettate anche íl prezzo della fedeltà, soffrite per la giustizia; adorate invece il Cristo che è nei vostri cuori, sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (3,14-15; cfr pure 2,11-12). È la trascrizione delle parole di Gesù: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
    Anche le lettere Pastorali a loro modo sottolineano il rapporto con l'ambiente. Infatti i requisiti richiesti per chi fa da vescovo e presbitero sono sostanzialmente accoglienza degli altri e irreprensibilità di sé. [51]
    La concezione di missione che appartiene alle prime comunità si fonde con quella di testimonianza. Il punto di partenza dell'annuncio, che ovviamente rimane indispensabile, è la bellezza di vita dei credenti. Tale qualità suscita la domanda. L'annuncio allora altro non appare che risposta a tale domanda.
    Ancora una volta è la trascrizione di un motivo missionario di Gesù: quell'appuntamento tra messe e mietitori (Giov 4,35-38) che sí compie.

    D. «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,25).
    Il tutto nel frammento

    Una religione come quella biblica non può che avere una struttura sacramentale, giacché l'estrema trascendenza di Dio da una parte ed insieme la sua presenza nel tempo non si conciliano se non attraverso dei segni, che non sono la realtà svelata, ma la indicano efficacemente. Abbiamo avuto occasione di ricordare come la componente liturgica, non unica ma certamente principale mediazione sacramentale, fosse per i primi cristiani un elemento sostanziale di autoidentificazione. Due sacramenti soprattutto esercitano un ruolo costitutivo: il battesimo, la porta di entrata, quindi non iterabile; e la Cena del Signore o Eucarestia.
    Questa ora c'interessa, perché, pur nella germinalità della sua presenza ed entro un quadro esegeticamente complicato e probabilmente mai più nettamente ordinabile, [52] rimane in continuità, e perciò iterabile, il segno rivelativo dell'identità di Gesù e del nostro essere sua Chiesa. È veramente la simbolica per eccellenza del cristianesimo, il frammento che svela il tutto. Così l'hanno compresa i primi cristiani, se consideriamo il peso di una testimonianza che attraversa tutti e quattro i vangeli (racconto dell'istituzione nel contesto di passione e per Giovanni nel racconto della moltiplicazione dei pani, c. 6), passa attraverso gli Atti (2,42.46; 20,7-11), manifesta in Paolo tutta la sua valenza soteriologica ed ecclesiale (1Cor 10,14-17; 11,17-34), se ne riconosce la presenza nel configurare il «giorno del Signore» dell'Apocalisse (1,10: cfr. Atti 20,7; 1Cor 16,2).
    Globalmente parlando, e Paolo lo esplicita con vigore, la Cena è sentita come un avvenimento di comunione, dunque di amore in tutte le direzioni in cui si muove l'esistenza cristiana (cfr. 1Cor 10,14s e 11,17s), in verticale con Dio in Cristo e in orizzontale con la comunità. Sono cose sovente dette: si tratta di prenderne atto, perché qui siamo insieme al vertice del culto e alla fonte radicale della salvezza. Possiamo in qualche modo dipanare cinque fili maggiori e più marcati nella coscienza dei cristiani di inizio:

    1) È memoria di Gesù carica di senso come un testamento, cioè concentrazione di ciò che Gesù ha voluto essere nel mondo, l'approdo dei diversi significati della sua esistenza. Lo si ricava da quelli che sono gli elementi comuni nelle molteplici tradizioni sopra indicate. [53] Nel pane e nel vino donati si manifestano l'amicizia e la cura provvida di Cristo, espresse nei tanti banchetti con peccatori (cfr Mt 9,10-13; 11,19). Le parole sul pane e sul vino («spezzato», «versato») indicano la sua vita di Servo e il sacrificio dell'alleanza del Sinai. La cornice di tradimento e di abbandono («nella notte in cui fu tradito») evidenziano quasi con stridore il contrasto tra Lui e gli uomini.
    L'approdo di questi significati che fanno la Cena determina il significato basilare e globale di essa, e si può tradurre in una «esistenza per». La Cena rappresenta la verità di Gesù, il suo essere una vita donata «per la vita del mondo» (Giov 6,51).
    Come si vede, facendo narrazione della Cena del Signore, l'Eucarestia dei primi cristiani si manifesta esperienza di comunione perché anzitutto viene riconosciuta ed accolta la comunione che Gesù fa con noi. La nostra con Lui non sarà dunque che comunione di risposta, perciò ringraziamento, eucarestia.

    2) La memoria di Gesù colta nel senso più alto, in quanto condivisione, comporta una comunione tra i discepoli nel senso più alto e radicale. Qui emerge quel rapporto tra Chiesa ed Eucarestia, di cui Paolo si fa in particolare portavoce nei due testi di 1Cor 10 e 11. Con un realismo di cui forse abbiamo perso senso e gusto, Paolo vede nell'Eucarestia e nella Chiesa le due forme dell'unico Corpo di Cristo: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10,17). [54] Siamo alla base del noto detto: l'Eucarestia fa la Chiesa; la Chiesa fa l'Eucarestia.

    3) Fissata sul passato della memoria, la Cena per i cristiani degli inizi non perde la sua carica profetica, secondo la migliore tradizione biblica. Ritroviamo di fatto nel NT un clima altamente escatologico (cfr. 1Cor 11,26). Facendo la Cena dopo la risurrezione, i cristiani leggono quel momento di passione proiettato in avanti, coronato di vittoria nel Kjirios Gesù, in un clima di allegrezza (cfr. Atti 2,46; Col 3,16), cui si associa la trepida e gioiosa speranza del suo ritorno. Sí conserva ancora l'invocazione aramaica: Marana tha (1Cor 16,22).

    4) Come quarto elemento va ricordata la carica etica che promana dal sacramento della comunione, in cui si riflette come condotta di vita ognuno dei diversi fattori che tale comunione costituiscono, íl cammino della vita donata nel sacrificio sull'esempio dell'offerta di Gesù (cfr. Ebr 12,1-4), come il superamento delle divisioni tra mio e tuo per una profonda condivisione dei beni (cfr Atti 2,42-45; 1Cor 11,18).

    5) Necessariamente l'Eucarestia crea la festa, il giorno del Signore (Apoc 1,10), il quale, se è tale in quanto ricorda la risurrezione del Cristo, trova nella Cena lo specchio della sua verità, mentre la Cena nel ricordo della risurrezione ancor maggiormente acquisisce la sua valenza escatologica.


    Parte seconda
    TRATTI DI CARATTERIZZAZIONE

    In una considerazione sintetica che tenga conto di alcuni tratti maggiori che in maniera costante attraversano tutto il mondo spirituale dei primi cristiani, ci sembra di poter enumerare i seguenti:
    – la centralità dell'esperienza nel cammino della fede;
    – un originale dinamismo di vita;
    – un'esistenza in tensione;
    – la differenza nell'unità;
    – la laicità come qualità di vita.

    A. Al centro non una dottrina, ma un'esperienza

    «La "teologia" del Cristianesimo primitivo è rapportata all'annuncio evangelico e alla vita secondo la fede, in una misura che non si verifica forse in altra epoca della storia ecclesiastica». [55] Non per un pregiudizio anticoncettuale, ma per il fatto che tutte le parole e le azioni di queste prime comunità erano ancora dominate in maniera diretta dall'esperienza pasquale dei primi testimoni. Perfino nelle comunità non fondate dalla prima cerchia dei discepoli di Gesù, la vicinanza dell'evento pasquale fu sentita così profondamente, che il riferimento ad esso rimase il centro della fede e del pensiero. [56]
    In quest'esperienza pasquale fu compreso storicamente l'avverarsi dell'evento metastorico del Regno di Dio, l'inizio alla svolta dei tempi: «Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate delle nuove!» (2Cor 5,17). Da tale esperienza si fece una rilettura della storia precedente e si aprì una prospettiva sul futuro.
    Nel pluralismo così forte delle origini, l'esperienza pasquale di Gesù fece da unità sostanziale pur nel variare delle formulazioni. La vicinanza storica con i testimoni, con i narratori e trasmettitori dei fatti ha ulteriormente rafforzato la convinzione, e quindi la vita e la missione dei primi cristiani, che non una dottrina, ma un'esperienza da ridire, da celebrare, da attuare nella vita era la religione cui appartenevano.
    Glí effetti li sviluppiamo più avanti. Intanto si può restare stupiti dell'oblio dei cristiani di oggi nei confronti di questo punto fermo dei nostri padri di fede. Per loro Pasqua faceva come trasalire interiormente (cfr 1Pt 1,3-9); per noi risuona come un'interessante dottrina. [57]

    B. Una vita animata da un originale dinamismo

    Un dato certo di tutti i libri del NT è la concezione fortemente dinamica U dato certo di tutti i libri e dell'esistenza cristiana. Ciò è proprio della vita o, più giustamente, questo richiede la singolare compenetrazione mistica tra il mondo di Dio e il mondo dell'uomo, tipica del cristianesimo. Di qui - come vedremo nel punto successivo - una singolare bipolarità che segna le categorie consuete di condizione umana: spazio, tempo, valori morali... Una stringente, anche se non lacerante díaletticità ed insieme una tensione evolutiva ben finalizzata contraddistinguono la spiritualità dei cristiani delle origini.
    Consideriamo anzitutto le tre tappe dell'unico cammino entro cui si organizza la vita del credente. È ín certo modo una rilettura sintetica dello sviluppo analitico della prima parte. Esprimiamo tale dinamismo, ben registrato da diversi studiosi, [58] avvalendoci di termini e motivi dello stesso NT.

    1. «Quando eravamo nemici... ora invece riconciliati» (Rom 5,10).
    Dalla perdizione alla salvezza. La forza della fede

    Possiamo parlare della fase ontologica o fase fondante dell'esistenza cristiana, ciò che il cristiano diventa ed è. E segnata dalla coscienza di un passaggio irreversibile, operato da avvenimenti escatologici di Dio (Regno, Risurrezione di Cristo), per cui da una condizione disperatamente perduta si è come fatti rinascere in una di radicale salvezza. Vi risponde un atteggiamento totale dell'uomo: la fede, secondo uno sviluppo di conversione, di professione, di fedeltà.

    2. «Non siamo più come fanciulli, ma cerchiamo di crescere alla piena maturità di Cristo» (cfr Ef 4,13-15).
    Dall'infanzia alla maturità. IL conforto della speranza

    Possiamo parlare della fase mistica, ascetica ed etica, tra loro unite, dell'esistenza cristiana, ciò che il cristiano vive e fa. La sua vita «è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3), in una intimità profonda con la Trinità, e segnatamente con il mistero di Cristo morto e risorto; ma egli si sa anche come uno in cammino, da fanciullo ad adulto (Ef 4,13-15), da carnale a spirituale (1Cor 3,1-3), quindi sia in crescita che in attesa di un appuntamento conclusivo: la venuta dí Cristo e il compimento definitivo della salvezza e della storia.
    A questa situazione di «già e non ancora» corrisponde una qualità etica della vita veramente nuova e originale: «Sii ciò che sei», come fa intendere sovente Paolo. È tempo di impegno. Ancor più, tempo di lotta e di croce. Ma nella speranza. Il cristiano è uomo di speranza, di cui sente il conforto, sicché il suo impegno morale viene stimolato da un'attesa di un grande domani, e la sua ardente attesa, d'altra parte, si nutre e verifica con un forte impegno.

    3. «Il più piccolo di tutti i semi cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi» (Mc 4,31-32).
    Da Gerusalemme ai confini del mondo. Il dinamismo della carità

    Possiamo parlare della fase ecclesiale-missionaria dell'esistenza cristiana, per quale scopo storico il cristiano è e opera. Fa da punto di riferimento la coscienza di essere chiamati ad una originale socialità, una comunione intensa tra i discepoli (ecclesialità) da irradiare nel mondo (missione). Una fede, aperta alla speranza, opera nella carità, diventando la forza convincente di cui dispone il cristiano.

    C. Un'esistenza in tensione

    Abbiamo accennato alla bipolarità che regge e anima l'esistenza credente. Merita richiamare almeno alcuni fattori, che determinando l'ordine dell'essere necessariamente si riflettono in mentalità ed esperienze spirituali. Riguardano la stessa memoria di Gesù, l'identità della condizione cristiana nel tempo, la medesima identità vista nello spazio, la concezione etica.

    1. Gesù della storia e Cristo della fede

    È il celebre binomio della critica moderna, giustamente intuito come tipica tensione con cui era fatta la memoria di Gesù presso i primi cristiani.
    Com'è noto, i due termini del binomio furono modernamente contrapposti come irriducibili, ora a favore del Cristo della fede (R. Bultmann), ora a favore del Gesù della storia (cristologie della prassi). [59] In realtà i due poli devono restare in singolare tensione nella logica che li unisce: il Risorto che il credente accoglie nella fede rappresenta l'attualità definitiva di Gesù e il fondamento supremo della salvezza; ma è tutta la sua vita terrena culminante nella croce che resta come via storica alla risurrezione.
    Su questa tensione si è prodotta la letteratura del NT. Pur sulla sponda della risurrezione, che forma l'ultimo capitolo dei vangeli, gli evangelisti sentirono la necessità di riandare ai giorni mortali di Gesù, scrivendo tutti gli altri capitoli. Il primo kerigma mantiene la medesima tensione (es. il discorso di Pietro a Pentecoste, Atti 2,22-24; cfr Atti 10,34-43; 1Cor 2,2-5) e anzi la erige a garanzia di autenticità apostolica (Atti 1,21-22). La celebrazione della Cena unisce indissolubilmente i due poli di morte e risurrezione collegandoli con l'attesa futura (1Cor 11,26).
    Ne consegue una fondamentale verità: ogni considerazione dogmatica, ascetica, morale del mistero dí Cristo, supera il pericolo di una cristologia della gloria, quindi del comodo disimpegno e trionfalismo illusorio, nella misura che assume e proclama il ministero messianico terreno di Gesù, la cristologia della croce (come fa Marco) e ne fa criterio di verifica, di serietà e concretezza storica della fede. Viceversa la memoria dei giorni terreni di Gesù, così ricchi di impegno e di lacrime (cfr Ebr 5,7-9) ricevono nel «miracolo» della risurrezione il sigillo divino della validità e la via Jesu si rende via obbligata dei cristiani. Il testo di 1Pt 1,3-9 esprime stupendamente i riflessi di questa singolare memoria Jesu nella prima spiritualità cristiana: cfr pure un po' tutta la teologia paolina, quella del battesimo in particolare (Rom 6), e la stessa esperienza personale dell'Apostolo (Fil 3; 2Cor 4-5). È l'inevitabile segno di come la bipolarità di croce e gloria, questo chiaroscuro che investe la memoria del Capo, si prolunghi e determini diversi livelli di tensione nell'esistenza di noi sue membra.

    2. La condizione di «già-e-non-ancora» dell'esistenza credente

    La bipolarità della vitale memoria di Cristo tocca dunque profondamente l'esistenza del credente. Ciò viene espresso dal modo nuovo, di tensione appunto, di considerare le categorie di tempo e di spazio in cui viene a situarsi la vita del cristiano.
    Il cristiano redento vive una singolare collocazione nella storia. È stata bene enunciata, con una qualche enfasi, da O. Cullmann che ha parlato di un tempo, questo dell'eone cristiano, in cui la battaglia decisiva è stata vinta, anche se non ancora la guerra. [60]
    L'esistenza del credente assume in sé la drammatica esperienza di Cristo e, mentre da una parte vede risolversi íl suo conflitto nel trionfo pasquale (ed è la sua speranza confortante), dall'altra sa che deve percorrere fino in fondo il cammino che fu di Gesù.
    Di qui la coscienza acuta – ed oggi invece quanto addormentata! – che la vita del cristiano si svolge nell'incontro-scontro di due eoní, quello vecchio del peccato già vinto da Cristo (Gal 1,4; Ef 1,21), ma ancora resistente e seduttore, e quello nuovo che ha per sé il futuro e che quindi fortifica ed attira, ma che domanda un deciso cammino di crescita, di maturazione faticosa ma alla fine vincente. Come la vicenda del seme nel campo sassoso ed infestato dalla zizzania (cfr Mt 13,1-52; cfr Lc 20,34-35; Giov 16,11).
    Questo determina una certa condizione di crisi dell'esistenza. Se ne fa testimonianza tutto il NT con un'impressionante insistenza: le vergini stolte (Mt 25,1-13), il servo fannullone (Mt 25,14-30), il parassitismo dí chi vuol mangiare senza lavorare (2Tess 3,11), il libertinismo mondano dei cristiani di Corinto (cfr 1Cor 6,12), la resa sfiduciata di quelli cui si rivolge la lettera agli Ebrei (Ebr 10,25), le maniere discriminatorie a favore dei ricchi contro i poveri in Giacomo (2,4), la tiepidezza delle sette chiese dell'Apocalisse (1-3).
    Tutto questo è come un filo nero che diventa monito ineludibile e dal NT raggiunge ciascuno di noi: «Quindi chi crede di stare in piedi guardi di non cadere» (1Cor 10,12).
    La certezza della vittoria di Cristo e d'altra parte il senso profondo di essere esposto al rischio di perdersi producono nell'animo cristiano una singolare esperienza spirituale, quella di una riconciliazione mai finita, eppur operante, tra sentimenti opposti: da una parte il senso profondo e sereno di essere salvi nella speranza (Rom 8,24), dall'altra la coscienza di essere messi alla prova, di essere chiamati al buon combattimento spirituale tra carne e spirito (Gai 5,16-23), che porta ad una «crocifissione della carne con le sue passioni e
    i suoi desideri» (Gai 5,24; cfr il monito di Gesù di seguirlo portando la croce, Mc 8,34); da una parte ancora la forte coscienza del compimento esclusivamente escatologico della maturità e perfezione cristiana, ma insieme un incessante impegno morale di costruzione, dí cui si fanno particolare carico le parabole della vigilanza attiva (cfr Mt 24-25).
    Questa bipolarità di avere un senso solido del vivere e del morire, anzi la gioia di essere con Cristo nel cielo (Col 3,3) ed insieme di essere esposti alla trepidazione, all'impegno attivo, anzi alla lotta e alla croce è tra le costanti più memorabili del NT. Ma ricordiamolo ancora una volta, non sono aspetti sullo stesso piano e con le stesse possibilità di affermarsi, essendo la linea dolorosa guidata e confortata dall'affermarsi certo della linea gloriosa. Espressione simbolica di questo stato è quel «Non abbiate paura» così sovente ripetuto da Gesù (Mt 1,20; 10,28; Lc 12,32) e che ritroviamo lungo il NT (Atti 18,9; Rom 8,15; Ebr 12,1-3; 1Pt 3,14; 1Giov 4,18; Apoc 1,17), cui si affianca paradossalmente ma non senza ragioni l'altro monito di «avere timore» (Lc 12,5; Rom 11,20; Ef 5,21; 1Pt 1,17). Fra tutte, memorabile è l'espressione di Paolo: «Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore» (Pii 2,12).

    3. Nel mondo, ma non del mondo» (cfr Giov 17,11s)

    Non solo il tempo, ma anche lo spazio entro cui si muove l'esistenza del credente è segnato da una caratteristica tensione. [61] Anzi, il tempo della fine sarà raggiunto e si mostrerà la gloria di Dio quando i confini del mondo saranno toccati. È quanto appare dal mandato missionario di Cristo risorto (cfr Mt 28,16-20; 24,14; Atti 1,6-8).
    Per spazio intendiamo la collocazione vitale del cristiano in un luogo, quindi in una cultura, dentro una rete di relazioni, coinvolto in una serie di appartenenze familiari e sociali.
    Ebbene su questa pur necessaria condizione di vita si stende e lascia il suo effetto la bipolarità che già marca il tempo. Nessuno meglio di Giovanni l'ha evidenziata nel noto «essere nel mondo e non del mondo» (cfr Giov 17,11-21).
    Più concretamente viene da ricordare un triplice contrassegno di questa dialettica:
    1) Fin dagli inizi un caratteristico modo dei cristiani di vivere lo spazio è indicato dalla missione. Con la missione ai pagani il cristiano esce dall'isolamento e irrigidimento di una terra, di una patria, di una cultura e accetta la ricchezza ed insieme il rischio di un pluralismo d'imprevedibile portata, dove il dare della missione si coniuga con un ricevere che rompe equilibri precedenti. L'esperienza di Pentecoste (Atti 2) e poi quella in casa di Cornelio (Atti 10s) ne sono evidente prova.
    Ma ancora, sempre riguardo alla missione, un altro aspetto sopravviene a correggere possibili abusive interpretazioni dell'estensione della Chiesa, come espressione di successo, come conquista territoriale: la missione è sì una dilatazione degli spazi abitati dai cristiani, ma insieme íl manifestarsi di un appuntamento di Cristo con le genti che antecede la stessa venuta del missionario. È la missione pensata come avveramento della mietitura escatologica, per cui «uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato» (Giov 4,35-38; Atti 18,10).
    2) L'appartenenza alla comunità locale è il modo assai concreto con cui un cristiano vive il suo spazio di vita: lo si vede bene non solo dagli indirizzi così circostanziati delle lettere, ma soprattutto dai contenuti. Ebbene tale appartenenza, per il NT, s'intreccia di continuo e si sostiene con il sentirsi membro della Chiesa universale o cattolica, dentro dunque lo spazio delle altre comunità.
    Di qui la pratica di un necessario vincolo di comunione, anzi dí condivisione anche materiale come segno che autentica le singole comunità: dallo scambio di un bacio di saluto (Rom 16,16) all'organizzazione di aiuti materiali (celebre è la colletta di Paolo, 2Cor 8-9).
    3) Infine, terzo esempio, la condizione del cristiano è di appartenere ad un luogo, di avere un'attività, quindi godere di una sedentarietà nella città degli uomini, che significa condivisione di cultura, scambi di vita, anzi non estraneità ai valori di ambiente (Fil 4,8). Egli deve possedere una buona fama nel mondo (1T ess 4,12; Ef 4,28; Mt 5,16; 1Pt 2,12)). Ed insieme egli si sa «ospite e pellegrino» (/Pt 2,11; 1,17), in cammino verso la città futura (cfr Ebr 11,13), «la patria che è nei cieli» (Fil 3,20; Col 3,1-4).
    Sono dualità non certamente così facili da comporre, ma esprimono un tratto originale dell'identità, e quindi della spiritualità dei cristiani delle origini.

    4. «Sii ciò che sei». Indicativo di grazia e imperativo morale [62]

    Questo dell'etica è forse l'ambito in cui meglio si manifesta la bipolarità della condizione cristiana, luogo dell'applicazione più vistosa della situazione escatologica conseguente alla venuta del Regno di Dio e della risurrezione di Cristo.
    Ciò che è capitato infatti è la costituzione di una nuova creatura antecedentemente ad ogni prestazione umana (cfr Giov 3,1-5; Gal 6,15; Giac 1,18). Il credente è chiamato piuttosto a sviluppare con le proprie risorse le qualità conferitegli.
    Come annota R. Schnackenburg, «la tensione tra il già possedere e il non ancora possedere esige imperiosamente la prova morale; essa sola rende possesso duraturo quello che già possediamo e ci fa sperare da Dio la pienezza dell'eredità futura». [63]
    Così sulla bocca di Gesù, l'indicativo del Regno che viene determina gli imperativi della conversione e della fede (Mc 1,14-15). In bocca agli apostoli, sarà l'evento della risurrezione che fonda tutta una vita: «Se siete dunque risorti con Cristo, cercate le cose di lassù» (Col 3,1; cfr Rom 6; 1Cor 5,7).
    Le conseguenze pratiche sono di assoluta rilevanza. Vi è la necessità di conoscere ed aderire all'avvenimento di grazia per commisurarvi l'azione morale, pensata come risposta ad un'offerta. Anzi, la misura dell'etica è di essere senza misura, «perfetti come è perfetto il Padre vostro» (Mt 5,48), in tensione verso la santità come vero modo per essere gente morale. La mediazione razionale, non ignorata dai primi cristiani, [64] non viene certamente negata, ma assunta e approfondita.
    Infine si tratta di un'etica volontaria, gratuita (Lc 17,10; 1Cor 9,10), dove la ricompensa appare a prima vista marginale, non però per un giudizio negativo sui meriti dell'uomo, ma perché vi è la certezza che la ricompensa divina va ben oltre l'osservanza della norma, con un di più che viene esclusivamente dalla misericordia di Dio (cfr Mt 20,14-15).

    D. La differenza nell'unità [65]

    Chi esamina le testimonianze di vita del NT non può non fare i conti con un processo accidentato di evangelizzazione, tale da determinare il giudizio tipico dell'esperienza spirituale dei primi cristiani che è di apparire sottoposta al principio della pluralità e della differenza, e ciò in nome delle stesse ragioni che imponevano l'unità. [66]
    Due sono le espressioni più evidenti: una di tipo spaziale, in rapporto alla diversità delle culture; una di tipo temporale, in rapporto all'evoluzione storica.

    1. Nel primo caso si ricorderà la chiara caratterizzazione dell'annuncio cristiano nelle tre forme ormai lungamente studiate:

    a. Forma giudeo-cristiana, con al centro la comunità di Gerusalemme, testimoniata dalle parti arcaiche del NT, in cui si fa sentire il contesto culturale e spirituale del mosaismo in un mondo ormai pervaso dalla novità cristiana. [67] Vi si riferiscono i primi capitoli di Atti.
    Come tratti distintivi si possono riconoscere: una fervente fede ín Gesù Servo e Messia escatologico, risorto dai morti e prossimo al ritorno (Atti 3,2021); l'esperienza calda dello Spirito (Atti 2,38; 10,43); la triplice perseveranza nell'istruzione degli apostoli, nel fare comunità, nella frazione del pane e nella preghiera (Atti 2,42-47).

    b. Forma ellenista-cristiana, con al centro Antíochia: sono comunità di cristiani che provengono dalla diaspora giudaica, il cui mosaismo è temperato dalla visione aperta sul mondo pagano cui il Vangelo deve poter arrivare. È testimoniata dalla figura di Stefano (Atti 6-7) e di altri cristiani ellenisti di Antiochia (Atti llss), tra cui Luca, Barnaba, Paolo.
    Tratti rimarcati del loro mondo spirituale sono: la comunione fra le chiese (di Antiochia con Gerusalemme, delle chiese fondate da Paolo con Antiochia) come fedeltà alla Tradizione (Atti 8,14-17; 11,1-18.22.23-30); lo slancio missionario: verso i samaritani (Atti 8), i greci (Atti 11,19-21; 13-14); l'approfondimento della fede in Gesù Signore con le prime formule di fede (1Cor 15,3-5; 11,23-25) ed inni (Fil 2,6-11; Col 1,15-20).
    In particolare ad Antiochia si vive e si soffre il cristianesimo di frontiera, dove giudei e pagani sono convocati ad una convivenza dí unità e di universalità: «Non c'è più giudeo né greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è più né uomo né donna, perché tutti siete uno solo in Gesù Cristo» (Gai 3,28). Ad Antiochia si compie il miracolo per la prima volta di un pluralismo di concezioni e di comportamenti nell'unità del vangelo. [68]

    c. Forma gentile-cristiana: sono le comunità che sgorgano anzitutto dalla missione di Paolo in Grecia. Basti pensare a Corinto, individuarne la fisionomia per capire quale altro mondo spirituale si delinei. B. Maggioni con sintesi efficace nota come quella di Corinto sia un'esperienza cristiana che nasce per contrapposizione (non quindi con facile irenismo) in tre direzioni:
    – fra la sapienza della Croce e quella del mondo;
    – fra la tradizione apostolica e l'urgenza della modernità con affermazione della precedenza di quella;
    – fra l'edificazione comune e l'affermazione di sé. [69]
    Sarebbe facile vedere che le altre comunità di 1 e 2 Pietro, di Giacomo, di Ebrei, di Giovanni si ripartiscono ora sul versante delle comunità più legate al contesto giudaico ora su quello a sfondo pagano. Le differenze teologiche, liturgiche, istituzionali sono reali, ma salvate dalla lacerazione in forza della fede in Cristo e dal profondo senso di essere unica Chiesa di Dio. Lo Spirito come principio di novità e la Tradizione come principio di continuità sorreggono il miracolo di differenti spiritualità nell'unità della comunione. [70]

    2. Vi è pure una componente cronologica che differenzia le modalità di essere cristiani all'inizio, che in parte coincide con i modelli ecclesiali sopraddetti. Sono tappe non chiaramente delimitabili e su cui si discute molto, in termini polemici talvolta.
    Così si cerca di distinguere una fase cristiana dei primissimi inizi (vivente Gesù stesso e da Lui condivisa) a tasso fortemente carismatico, di tipo itinerante, sorretto dall'entusiasmo dello Spirito e dalla febbre dell'imminente restaurazione delle cose nel Regno di Dío, con quasi assenza praticamente di forme istituzionalizzate.
    Vi è poi la fase della prima istituzionalizzazione in armonia e dialettica con la novità dei carismi, di cui sarebbero esempio le comunità paoline (le lettere autentiche) e a cui Luca presterebbe il servizio di una teologia della storia della salvezza (Vangelo, Atti).
    Vi è successivamente il fatto dell'istituzionalizzazione rigida, sprezzantemente chiamata fase del «primocattolicesimo» e che avrebbe nelle Pastorali la testimonianza più clamorosa. Ad essa farebbe da reazione sulla fine del I secolo la linea delle comunità giovannee (Vangelo, Lettere), sensibili al carisma degli inizi e alla semplicità e radicalità della memoria di Gesù. [71]
    Non addentriamoci nei particolari di una testimonianza, quella del NT, quanto mai complessa storicamente pur nella brevità dei tempi. È una complessità germinale che però ha il fondamentale valore dí aver costituito fin dall'inizio un'eredità spirituale a più anime di cui troveremo puntuale riscontro nella storia della spiritualità cristiana postbiblica. Non che il NT legittimi ogni differenza, ma certamente fonda il principio di diversità, sia in prospettiva sincronica che diacronica. Talmente è forte e praticato il principio di unità secondo gli elementi evidenziati in precedenza.

    E. La laicità come qualità di vita

    È un'annotazione di complemento che proviene dalla considerazione del tema del convegno e che oggi viene dibattuta. [72] All'inizio abbiamo osservato che nel NT è la condizione cristiana dí vita che forma la qualità di base di ogni spiritualità. E lungo il cammino abbiamo visto come sia vero. Ebbene, prendendo di petto la nostra moderna questione sull'identità e spiritualità del laico, alla luce di studi moderni [73] è facile vedere che tale qualità fa arretrare vistosamente certe comprensioni di laico come subordinato al ministero ordinato o per reazione visto del tutto relativo e quasi determinato dal carattere della secolarità.
    Tre testimonianze del NT, tanto più illuminanti in quanto dislocate in punti diversi della sua storia, ossia lettera agli Ebrei, 1Pietro, le lettere paoline, mettono ín risalto una concezione di laicità che antecede ogni ulteriore specificazione:

    a. Nella lettera agli Ebrei viene radicalmente superato il concetto di sacerdozio come separazione sacrale, tipica del mondo ebraico. Cristo è un prete solidale, grazie alla cui solidarietà gli uomini come tali, come laici, trovano la via e la comunicazione con Dio. «Per diventare sommo sacerdote» Cristo dovette rendersi «in tutto simile ai fratelli» (2,17). Il sistema antico di separazioni tra sacerdozio e laico, tra culto e vita viene del tutto superato (Ebr 9) per un esercizio di corresponsabilità (3,12-13; 10,22). [74]

    b. La prima lettera di Pietro esplicita ciò che Ebrei racchiude: tutti i cristiani ín quanto tali condividono la sacerdotalità propria di Gesù: «Voi siete regale sacerdozio» (2,9). Entro questo, come mezzo al fine, sí comporranno servizi diversi, tra cui il sacerdozio ordinato, ma sempre sulla base della comune responsabilità sia verso la Chiesa che verso il mondo. [75]

    c. Infine le lettere di Paolo mettono in risalto l'aspetto ecclesiologico, il più carico di conseguenze nel delineare il profilo del laico. Ebbene per Paolo (ad es. in 1Cor 12-14), i cristiani esistono a partire dal battesimo come membra diverse nel Corpo di Cristo, chiamati singolarmente al servizio di esso, per i carismi che hanno ricevuto. La diversità dei servizi non avviene in forza di una qualche diversità di superiorità, dí potere, di scienza, di abilità, ma per onorare e impiegare la diversità dei doni.
    È la straordinaria molteplicità dei carismi di Dio, di cui l'essere in tanti e diversi si fa segno, che legittima la diversità dei servizi, e non una qualche titolarità diversa. Solo Cristo ha diritto dell'autorità, ma egli l'ha vissuta nella solidarietà. I ministeri che formano íl clero sono dunque ruoli reali, da accettare, ma subordinati al tutto e da vivere nella solidarietà.
    È facile vedere come la teoria di Paolo nasca dall'effettiva esperienza di tantissimi collaboratori laici, uomini e donne, celibi e sposati, che con lui hanno edificato la Chiesa (cfr Rom 16). [76]


    CONCLUSIONE

    Che cosa abbiamo fatto della nostra prima eredità cristiana, prima non solo in senso cronologico, ma in senso di fondamento ineliminabile?
    Per lo Spirito di Gesù e della Pentecoste che continuamente assiste la Chiesa nella verità non possiamo dubitare di una radicale fedeltà, di un'eredità non svenduta. Ma questo si può dire di ogni singola chiesa locale o area religioso-culturale? E la Catholica come tale non ha nulla di opaco, trascurato, inevaso di cui convertirsi?
    Penso che si debba parlare di eredità, quella del NT, inquietante, confortante, stimolante: tre verbi che sia pur in proporzione diversa ci interpellano come persone, come istituzioni religiose, come comunità cristiane: inquietudine e dolore per l'oblio di questa o quella caratteristica, segnatamente di una trasparenza evangelica più percepibile; conforto per la fedeltà ad un'eredità non meno difficile e contestata che nei primi tempi; stimolo ad una conversione che si fa riforma.
    Dopo una non breve sosta sulle pagine della Scrittura ed insieme attento alle problematiche della Chiesa di oggi in prospettiva di nuova evangelizzazione, sono convinto che il NT rimane una miniera da frequentare, dove è la novità delle nostre domande, delle nostre sensibilità che permette di avvertire accenti nuovi da informazioni risapute, ma invecchiate, rimaste cioè come risposte a domande di altri tempi. Spiritualità cristiana è spiritualità biblica, di matrice neotestamentaria per sua natura.

     

    NOTE

    1 M. LACONI, Il progetto della spiritualità nei Vangeli sinottici, in: R. FABRIS (a cura di), La spiritualità del Nuovo Testamento, Roma, Borla 1985, 274; P. GRECH, Ermeneutica e teologia biblica, Roma, Borla 1986, 335-336. Converrà notare che la categoria di uomo spirituale (pneumatikós) in Paolo (1Cor 2,15-3,1) indica non una classe privilegiata di cristiani, ma il cristiano semplicemente tale, maturo, adulto.
    2 Infatti i libri del NT, per tanta parte, sono riflesso diretto (il corpus epistolare) o indiretto (Vangeli e Atti) di bisogni, esigenze interiori, esperienze spirituali dei lettori cristiani. Cfr. FR. MOULE, Le origini del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia 1971.
    3 O. CULLMANN, Il mistero della Redenzione nella storia, Bologna, Il Mulino 1966.
    4 R. SCHNACKENBURG, Signoria e Regno di Dio, Bologna, Il Mulino 1971.
    5 R. PENNA, Saggio sulla teologia del Nuovo Testamento, in: Il messaggio della salvezza, 5, Leumann (Torino), LDC 1968, 1155-1167.
    6 E. JUNGEL, Paolo e Gesù. Alle origini della cristologia, Brescia, Paideia 1978.
    7 È giusto pensare, come osserva R. Penna, che la seconda venuta di Gesù fosse soltanto oggetto di un'intensa attesa e incidesse più sulla vita e l'esistenza dei singoli che non avesse già carattere di oggettivata concettualizzazione. Questo però non vuol dire che per i cristiani delle origini la storia rimanesse bloccata nella risurrezione di Cristo come punto eterno. 11 proseguimento del tempo ha svelato piuttosto il grande e decisivo valore di questo come via tra Cristo venuto e Cristo venturo (Saggio sulla teologia del Nuovo Testamento, 1161-1162).
    8 C.H.DODD, La predicazione apostolica, Brescia, Paideia 1973, 112-113 .
    9 P. GRECH, Ermeneutica e teologia biblica, 337-339.
    10 J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento, I: La predicazione di Gesù, Brescia, Paideia, 1972; L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, I: L'opera di Gesù nel suo significato teologico, Brescia, Morcelliana 1982.
    11 B. FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Cinisello Balsamo (Milano), Edizioni Paoline 1985.
    12 Com'è noto, è caratteristica di Luca l'averlo messo fortemente in luce: Lc 1,35; 3,22; 4,1.18 ecc.
    13 R PENNA, Saggio sulla teologia del Nuovo Testamento, 1164.
    14 Ibid., 1165-1167.
    15 G. SEGALLA, La cristologia del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia 1985.
    16 H. SEEBASS, Il Dio di tutta la Bibbia, Brescia, Paideia 1985.
    17 A. SCHULZ, Discepoli del Signore, Torino, Gribaudi 1967; C. Bissoil, Bibbia e educazione, Roma, LAS 1981, 306-317.
    18 R. SCHNACKENBURG, Messaggio morale del Nuovo Testamento, Alba, Edizioni Paoline 1971; H.D. WENDLAND, Etica del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia 1975.
    9 C.H. DODD, Evangelo e legge, Brescia, Paideia 1968; J. JEREMIAS, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia 1968.
    20 J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento, 233-263.
    21 J. DUPONT, Le Beatitudini, I-II, Roma, Edizioni Paoline 1976-1977.
    22 R. BULTMANN, Gesù, Brescia, Paideia 1972, c. III.
    23 L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, II: Molteplicità e unità della testimonianza apostolica, Brescia, Morcelliana 1983; G. SEGALLA, Panorama teologico del Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana 1987, 75-114.
    24 R. SCHNACKENBURG, Messaggio morale del Nuovo Testamento, 209-239; C. BISSOLI, Bibbia e educazione, 226-251.
    25 F. MUSSNER, Il popolo della promessa. Per il dialogo cristiano-ebraico, Roma, Città Nuova 1982.
    26 C.H. DODD, Secondo le Scritture, Brescia, Paideia 1972; P. GRECH, Ermeneutica e teologia biblica, 77-96.
    27 G. SEGALLA, Panorama teologico del Nuovo Testamento, 59-74.
    28 L. GOPPELT, L'età apostolica e subapostolica, Brescia, Paideia 1986, 39-49.
    29 SCHNACKENBURG, La Chiesa nel Nuovo Testamento, Brescia, Morcelliana 1966; C. BISSOLI, Il problema Chiesa, oggi e nella Bibbia, in: M. MIDALI e R. TONELLI (a cura di), Chiesa e giovani. Dialogo per un itinerario a Cristo, Roma, LAS 1982, 78-79.
    30 Emblematica fra tutte è la situazione di partenza della comunità di Corinto, come bene appare dalle due lettere di Paolo che ci sono restate: 1 e 2 Corinti. Cfr G. BARBAGLIO, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Assisi, Cittadella Editrice 1985, 109-131.
    31 Cfr Rom 12-14; Gal 5-6; 1Tess 5,12-28; Ebr 13; Giac 1-5.
    32 R. PENNA, Saggio sulla teologia del Nuovo Testamento, 1174.
    35 U. LUZ, cit. da G. SEGALLA, Panorama teologico del Nuovo Testamento, 44.
    36 O. CULLMANN, Cristologia del Nuovo Testamento, Bologna, Il Mulino 1970; R. SCHNACKENBURG., Cristologia del Nuovo Testamento, in: Mysterium Salutis, 5: L'evento di Cristo, Brescia, Queriniana 1971, 289-491.
    37 F. HAHN, Il servizio liturgico nel cristianesimo primitivo, Brescia, Paideia 1972.
    38 V. più avanti, la sezione D.
    39 G. SEGALLA, Panorama teologico del Nuovo Testamento, 45.
    40 B. MAGGIONI, La vita delle prime comunità cristiane, Roma, Borla 1983, 53-94.
    41 Si osservi la struttura di tanti discorsi in Atti degli Apostoli: prima il kerigma e poi la presa di posizione dell'uditorio, 2,14-36 e 37; 3,12-26 e 4,1; 4,8-12 e 13, ecc.
    42 B. MAGGIONI, La vita delle prime comunità cristiane, 153-185.
    43 H. CONZELMANN, Le origini del cristianesimo. I risultati della critica storica, Torino, Claudiana 1977.
    44 W. SCHNEEMELCHER, Il cristianesimo delle origini, Bologna, Il Mulino 1987.
    45 J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento, 145-184.
    46 Si vorrà notare l'influsso di un medesimo schema interpretativo nei Sinottici e in Atti: in cammino per l'annuncio, presa di parola, segni miracolosi come quelli di Gesù: Mc 6,56 (Gesù) e Atti 5,15 (Pietro); 19,12 (Paolo). Cfr. R. FABRIS, Atti degli Apostoli, Roma, Borla 1977, 48-57.
    47 L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, II,367.
    48 G. THEISSEN, Gesù e il suo movimento. Analisi sociologica della comunità cristiana primitiva, Torino, Claudiana 1979.
    49 R. FABRIS, Atti degli Apostoli, 441-443.
    50 Ibid., 757-759.
    51 R. FABRIS, Stile di vita cristiana secondo le Pastorali, in: Le Lettere. di Paolo, III, Roma, Boria 1980, 460-468.
    52 L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, I, 286-296.
    53 B. MAGGIONI, La vita delle prime comunità cristiane, 126-142.
    54 L. CERFAUX, La teologia della Chiesa secondo san Paolo, Roma, Editrice AVE 1968, 266-268; E. KÄSEMANN, Prospettive paoline, Brescia, Paideia 1972, 149-174.
    55 W. SCHNEEMELCHER, Il cristianesimo delle origini, 251.
    56 È facile riscontrarlo, sia pur nella variazione dei termini e rappresentazioni, in Ebr 8-9, 1Pt 2,1-10, Apoc 4-5.
    57 W. SCHNEEMELCHER, Il cristianesimo delle origini, 251-255.
    58 È nota la trilogia di L. CERFAUX a proposito del pensiero di Paolo relativamente al Cristo, alla Chiesa e al cristiano. Più recenti e in termini globali, si possono vedere le opere già citate di L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, II, e di G. SEGALLA, Panoramica teologica del Nuovo Testamento.
    59 C. BISSOLI, La figura di Gesù Cristo secondo il Nuovo Testamento, in: A. AMATO e G. ZEVINI (a cura di), Annunciare Cristo ai giovani, Roma, LAS 1980, 109-115; R. FABRIS, Gesù di Nazaret. Storia e interpretazione, Assisi, Cittadella Editrice 1983, 7-27.
    60 O. CULLMANN, Cristo e il tempo, c. V; In., Il mistero della Redenzione nella storia, 225-249.
    61 H. SCHLIER, Il tempo della Chiesa. Saggi esegetici, Bologna, Il Mulino 1965, 142-169; L. GOPPELT, L'età apostolica e subapostolica, 114-129; 157-161.
    62 H.D. WENDLAND, Etica del Nuovo Testamento, 85-94; G. BARBAGLIO, Indicativo e imperativo, problema dell'etica di Paolo, in: Le Lettere di Paolo, I, Roma, Borla 1980, 335-340.
    63 Messaggio morale del Nuovo Testamento, 252.
    64 S. ZEDDA, Relativo e assoluto nella morale di san Paolo, Brescia, Paideia 1984.
    65 L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, II; ID., L'età apostolica e subapostolica.
    66 P. GRECH, Ermeneutica e teologia biblica, 216-224; G. SEGALLA, Panorama teologico del Nuovo Testamento, 41-47; 112-114.
    67 B. MAGLIONI, La spiritualità nelle prime comunità cristiane, in: R FABRIS (a cura di), La spiritualità del Nuovo Testamento, 136-147.
    68 Ibid., 147-153; L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, II, 397-402.
    69 B. MAGGIONI, o.c., 157-169.
    70 W. SCHNEENIELCHER, Il cristianesimo delle origini, 231-249.
    71 V. nota 65. Posizioni ben più radicali sono rappresentate da altri autori, come dal già citato H. CONZELMANN, Le origini del cristianesimo.
    72 Cfr. ad es. AA.VV., I laici nella Chiesa, Leumann (Torino), LDC 1986; S. DIANICH (ed.) -L. SARTORI - D. MOGAVERO, Dossier sui laici, Brescia, Queriniana 1987.
    73 Cfr. P.S. VANZAN (a cura), Il laicato nella Bibbia e nella storia, Roma, Editrice AVE 1987; G. BARBAGLIO, La laicità del credente. Interpretazione biblica, Assisi, Cittadella Editrice 1987.
    74 A. VANHOYE, I laici nella Lettera agli Ebrei, in: P.S. VANZAN, o.c., 47-56.
    75 M. ADINOLFI, I laici nella prima lettera di Pietro, in: P.S. VANZAN, o.c., 57-66.
    76 G. BARBAGLIO, I laici nelle lettere di san Paolo, in: P.S. VANZAN, o.c., 67-89.

     (da: Coffele-Tonelli, Verso una spiritualità laicale e giovanile, LAS 1989)


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu