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    «Conquistare»

    se stessi

    Thomas Merton

    trust yourself

    L'espressione «conquista di sé» può arrivare a diventare odiosa perché molto spesso non significa la conquista di noi stessi, ma una conquista fatta da noi. Una vittoria riportata con le nostre facoltà. Ma su che cosa? Proprio su ciò che è all'infuori di noi. La vera conquista di sé è la conquista di noi stessi compiuta non da noi, ma dallo Spirito Santo. Conquista di sé vuol dire in realtà resa di sé, donazione di sé.
    Eppure ancor prima di poterci arrendere dobbiamo diventare noi stessi. Perché nessuno può dare quello che non possiede. Più precisamente, dobbiamo avere abbastanza dominio di noi stessi da poter rinunciare alla nostra volontà nelle mani di Cristo, in modo che Egli possa conquistare ciò che non siamo riusciti a raggiungere con i nostri sforzi.
    Per poter arrivare al possesso di noi stessi, dobbiamo avere una certa confidenza, una certa speranza di vittoria. E per poter far vivere questa speranza, dobbiamo ordinariamente avere un certo gusto della vittoria. Dobbiamo sapere che cosa sia la vittoria e amarla più della sconfitta.
    Non ha nulla da sperare chi combatte per rag giungere una virtù astratta, una qualità di cui non ha esperienza. Costui non preferirà mai realmente la virtù al vizio opposto, per quanto sembri disprezzare quest'ultimo.
    Ognuno di noi ha un desiderio innato di operare bene e di evitare il male. Ma è un desiderio, questo, che rimane sterile, finché non abbiamo fatto esperienza di quel che significhi fare il bene.
    La gioia che viene da una buona azione è qualche cosa che va ricordata: non per alimentare la nostra compiacenza, ma per ricordarci che gli atti virtuosi non solo sono possibili e meritori, ma possono divenire più facili, più graditi e fruttuosi di quelli del vizio che a essi si oppone e che li rende vani.
    Una falsa umiltà non dovrebbe privarci della gioia della conquista, che ci è dovuta ed è necessaria alla nostra vita spirituale, specialmente agli inizi. È vero che più tardi ci possono venire lasciati dei difetti che siamo incapaci di vincere: e questo avviene per procurarci l'umiliazione di combattere contro un nemico che sembra imbattibile, senza nessuna soddisfazione di vittoria. Ci può difatti venire richiesto di rinunciare anche alla gioia che si prova nel fare il bene, per essere sicuri che lo facciamo per un motivo che trascende questa stessa gioia. Ma prima di poter rinunciare a un tale piacere bisogna averlo provato. E agli inizi la gioia che viene dalla conquista di sé è necessaria: non dobbiamo temere di desiderarla.

    (Pensieri nella solitudine, 23-25)


    T e r z a
    p a g i n A


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     Etty


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    A cura del MGS


     

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