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    «Beati i costruttori

    di pace» (Mt 5, 9)

    Carlo Molari


    Prima di riflettere sulla beatitudine relativa ai costruttori di pace, facciamo un momento di silenzio per sintonizzarci con la presenza di Dio in noi e per metterci in ascolto della sua Parola. La pace è un'armonia della persona che fiorisce nell'interiorità, si sviluppa come struttura di relazioni e caratterizza perciò tutti i rapporti sociali. Scendere nella profondità dello spirito è raggiungere la fonte della vita e lasciarsi permeare dalla sua armonia che ci avvolge attraverso i messaggi delle creature e ci consente di creare insieme agli altri un ambiente di fraternità. Raccogliamoci nel silenzio di Dio presente in mezzo a noi e nel nostro spirito. (Pausa.)
    Per aiutarci nella riflessione silenziosa ascoltiamo il brano della lettera di Paolo agli Efesini 2, 12-22: Cristo è la nostra pace. (Lettura e pausa.)
    Vorrei proporvi alcuni stimoli di meditazione, che possano orientare un cammino di pace in questo giorno. Premetto alcune brevi notazioni introduttorie.

    Importanza della pace

    Il problema della pace è oggi uno dei più assillanti per l'umanità, perché riguarda la sua sopravvivenza. Importante il problema lo è stato sempre, ma mentre in altri tempi i conflitti avevano presupposti tali che li giustificavano e sembravano renderli doverosi, oggi se siamo consapevoli che i conflitti fanno parte del processo di crescita dell'umanità, sappiamo pure che essi possono essere gestiti in modo non violento così da pervenire a traguardi superiori di convivenza pacifica tra i popoli.

    Aggressività come componente genetica e storica

    L'aggressività fa parte del bagaglio genetico dell'uomo e in diverse circostanze facilmente essa assume modalità violente. L'uomo emerge dalle forme precedenti di vita animale, che hanno come componente essenziale l'aggressività, quale istinto necessario per l'acquisizione del cibo e quale strumento di difesa. La nostra specie ha poi sviluppato questo istinto in forma violenta perché prima della domesticazione di animali e piante, quando ha vissuto suddivisa in bande di cacciatori e di raccoglitori, e quindi per circa il 90% della sua storia, la lotta è stata una condizione di sopravvivenza [1]. Dato il carattere di consapevolezza e di libertà proprio dell'attività umana, l'esercizio dell'aggressività violenta ha contaminato la crescita interiore dell'uomo, conferendogli una caratteristica che possiamo chiamare il suo «cuore violento» [2].

    La pace è un processo

    Dobbiamo inoltre ricordare che l'orizzonte della pace è in continuo movimento, nel senso che la realizzazione di ogni progetto di pace apre nuovi orizzonti e prospetta ulteriori traguardi. Le mete raggiunte sono sempre provvisorie, perché ogni persona nasce con meccanismi di aggressività, che in molte circostanze, anche a causa di strutture sociali ingiuste e disarmoniche, assumono forma violenta. Solo l'educazione e quindi la cultura possono determinare l'orientamento pacifico delle comunità e la crescita armonica delle persone. La pace in questo senso non è mai un possesso definitivo, bensì è un'avventura da affrontare nella successione di eventi storici, da discernere e orientare. Per il credente la pace è una costruzione da realizzare accogliendo in tutte le situazioni l'azione pacificatrice di Dio.

    L'uso biblico del termine pace

    Come è noto, il termine shalom in ebraico ha contenuti semantici molto più ricchi delle corrispondenti parole greca (eiréne) e latina (pax) con cui il messaggio ci è pervenuto, e ancora più dei termini con cui è tradotto nelle lingue moderne. Osserva Nicolò Maria Loss:

    I tre nomi shalom, eirénè e pax, considerati nella loro nativa portata etimologica, mettono in evidenza tre aspetti della realtà «pace», che già presenti nell'AT ebraico e successivamente esplicitati nella versione greca e nel Nuovo Testamento, e ripresi poi dalla riflessione ecclesiale cristiana, illuminano [...] la densità della realtà alla quale si riferiscono: la totalità integra del benessere oggettivo e soggettivo (shalom), la condizione propria dello stato e del tempo in cui non c'è guerra (eirénè) e la certezza basata sugli accordi stipulati e accettati (pax) [3].

    In particolare, il termine ebraico connota una componente religiosa della pace che rischia di andare perduta se non viene continuamente richiamata. Pace, infatti, indica l'armonia profonda che si realizza nella persona umana, nei rapporti fra le persone e fra i gruppi sociali, quando si seguono le leggi della Vita e si resta in sintonia con l'azione di Dio.

    Dimensioni della pace

    Vi sono almeno due dimensioni nella pace da tenere presenti: quella personale e quella sociale. La pace personale è l'armonia fra tutte le componenti (fisica, biologica, psichica e spirituale) dell'individuo. Quella sociale è l'armonia tra le diverse strutture della comunità. I costruttori di pace sono coloro che, avendo raggiunto una profonda armonia personale, sono in grado di indurre nella società dinamiche nuove di riconciliazione perché sanno portare il male degli altri. Le comunità costruttrici di pace sono i gruppi sociali capaci di svolgere questa stessa funzione all'interno della oileuméne umana. Nell'uomo la vita, attraverso lo sviluppo della dimensione spirituale, sta acquisendo modalità superiori e inedite, molte delle quali si esprimono in forme nuove di pace. Il cammino tuttavia è lungo e procede lentamente, attraverso conquiste e sconfitte, progressi e involuzioni. In questo cammino si inserisce la novità Gesù come un nuovo fiore di pace, emergente dalla tradizione ebraica.

    La pace nel Vangelo delle beatitudini

    La beatitudine della pace
    Nel Vangelo di Matteo l'annuncio di Gesù suona: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5, 9). Nella traduzione in lingua corrente il testo è: «Beati quelli che diffondono la pace, perché Dio li accoglierà come suoi figli». Non bisogna confondere questa beatitudine con quella dei miti, di cui è detto che erediteranno la terra (Mt 5, 5). Costruire la pace significa portare la violenza senza entrare nel circolo vizioso della reazione. Non è solo offrire perdono a chi è stato violento, bensì è anche assumere su di sé la violenza rivolta verso altri, immettendo dinamiche di vita all'interno della storia. Il gesto ecumenico del dialogo e del perdono reciproco serve costruire la pace, ad aprire un futuro nuovo di armonia.
    In Matteo le beatitudini non indicano solo le situazioni verso cui la misericordia di Dio si esprime (come nel Vangelo di Luca) bensì anche gli atteggiamenti interiori necessari perché il processo si realizzi. Mentre Luca si riferisce alle condizioni oggettive di povertà, fame, sofferenza e persecuzione nelle quali deve fiorire l'azione costruttrice dei testimoni della benevolenza divina, Matteo considera anche gli atteggiamenti soggettivi necessari per esprimere in modo efficace l'azione di Dio misericordioso. Per questo Matteo qualifica in senso spirituale o interiore le quattro beatitudini di Luca e ne aggiunge altre quattro, che fissano le condizioni spirituali per annunciare il regno di Dio e indurre vita, cioè per mettere in circolo nella storia i beni salvifici. Mentre quindi le beatitudini di Luca sono dirette ai poveri, ai piangenti, agli affamati e ai perseguitati per rassicurarli dell'amore benevolo di Dio nei loro confronti, quelle di Matteo sono rivolte ai seguaci di Cristo per sollecitarli a trasmettere la benedizione divina a coloro che hanno concreti motivi per dubitarne a causa delle condizioni penose in cui si trovano a vivere. In questa prospettiva le beatitudini di Matteo offrono un criterio per interpretare la condizione precaria delle creature, per approfondire il senso del male, per chiarire il carattere salvifico del messaggio evangelico e per valutare la fedeltà dei discepoli. L'espressione "costruttori di pace" non si trova più nel Vangelo di Matteo, ma il messaggio ritorna più volte.

    La pace ricchezza suprema del Regno
    La pace costituisce il nucleo centrale del messaggio del Vangelo. Pietro, quando in casa di Cornelio scopre che «Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10, 34 s), proclama che Dio in Gesù ha «evangelizzato la pace» (At 10, 36). Anche per l'apostolo Paolo il messaggio di Cristo è «l'evangelo della pace» (Ef 6, 15). Cristo, infatti, «venendo, evangelizzò pace, ai lontani e ai vicini» (Ef 2, 17) perché «per mezzo di lui» Dio rappacificò «le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1, 20). Vivere in pace è un valore insistentemente raccomandato ai fedeli della Chiesa apostolica (Rm 12, 18; 2 Cor 13, 11; Ef 4, 3; 1 Ts 5, 13; 2 Tim 2, 22; Eb 12, 14). L'augurio della pace, conseguentemente, è diventato, fin dalle prime generazioni, il saluto cristiano per eccellenza, come appare già da tutte le lettere apostoliche.

    Resistenze e difficoltà
    Sarebbe tuttavia insensato pensare che sia sufficiente ripetere a parole l'augurio di pace, perché il cammino venga di fatto compiuto. Ma sarebbe ugualmente insensato cedere al pessimismo e ritenere che di fronte alla violenza e alla disarmonia non vi sia nulla da fare. Più la pace avanza, maggiori resistenze essa suscita in chi ha qualche interesse a opporsi, ma nel contempo gli ideali, quando vengono vissuti da molte persone, diventano irresistibili e orientano la storia. Fino a non molto tempo fa gesti violenti venivano considerati sacri quando erano compiuti a difesa della religione, della patria, o di un ideale elevato. Oggi è acquisito il principio che la violenza è insensata in ogni caso e non può risolvere alcun problema fra gruppi sociali e fra i popoli come fra le persone. Ma l'acquisizione non è ancora diventata sensibilità sociale, tradizione politica, stile di vita. I mezzi attuali di comunicazione e di trasporto, le strutture industriali e commerciali richiedono una particolare capacità di incontro e di dialogo ed esigono cambiamenti sul modo di pensare e di atteggiarsi nei confronti degli altri. Per questo oggi la contrapposizione tra i popoli, la non accettazione dei diversi, l'incapacità di fare comunione sono mali molto più gravi che in altri secoli.

    L'insufficiente sviluppo della dimensione interiore
    Occorre ricordare inoltre che nell'evoluzione i tempi dei processi biologici, psichici e spirituali in genere oggi sono più lenti dei mutamenti storici e delle acquisizioni scientifiche. Parlando della nostra attuale incapacità di renderci conto delle enormi misure di spazi e di tempi della cosmologia, o di quelle infinitesimali di cui parla la fisica delle particelle, R. Dawkins scrive:

    Come i nostri occhi possono vedere solo la stretta banda di frequenze elettromagnetiche che i nostri antenati sono stati equipaggiati a vedere dalla selezione naturale, così il nostro cervello è stato costruito per fare fronte a bande limitate di dimensioni e di tempo. È presumibile che i nostri progenitori non avessero alcun bisogno di far fronte a dimensioni e tempi al di fuori della gamma ristretta delle esigenze pratiche della vita quotidiana, cosicché il nostro cervello non evolse mai la capacità di immaginarle. È probabilmente significante che le dimensioni del nostro corpo, comprese fra un metro e mezzo e due metri, si collochino press'a poco alla metà della gamma di grandezze che noi possiamo immaginare. E la durata di alcuni decenni della nostra vita si trova press'a poco alla metà della gamma di tempi che possiamo immaginare [4].

    Analogamente possiamo pensare che i nostri antenati non abbiano avuto alcuna possibilità di pensare alla pace in grandi dimensioni e di sviluppare atteggiamenti interiori corrispondenti. Quando Roma combatteva con la Sabina, o quando Firenze si batteva con Siena, e Pisa con Pistoia, gli orizzonti della pace erano i confini di una piccola regione. Gli altri erano gli estranei. Quando l'Italia combatteva con l'Austria o con la Francia le dinamiche della pace non si estendevano neppure quanto l'Europa. Esistevano anche allora uomini di pace, ma il loro impegno riguardava i nemici esistenti entro i brevi confini comuni. Oggi gli orizzonti della pace abbracciano tutta la terra e le dinamiche da diffondere hanno la vastità del mondo. Non ci sono ancora molti uomini che pensino e vivano a queste dimensioni. La consapevolezza dell'attuale insufficienza spirituale deve stimolarci a scoprire le qualità umane richieste, perché i progressi tecnici non producono in modo automatico gli atteggiamenti necessari per gestirli. La nuova cultura e la spiritualità corrispondente non si sviluppano solo perché i parametri temporali e geografici sono più ampi o solo perché oggi sappiamo di essere piccoli frammenti della polvere stellare in una piccola galassia di un angolo dell'universo immenso. Il tempo stringe, perché i processi tecnici e culturali sono oggi molto veloci e se manca la corrispondente dimensione spirituale noi ci troveremo a vivere con grandi disagi la stagione della storia umana che sta cominciando.

    Il lento cammino della spiritualità umana
    D'altra parte, non possiamo supporre che questi cambiamenti spirituali possano realizzarsi in modo istantaneo o anche definitivo e stabile. Il tempo è parte costitutiva dell'esistenza creata, che suppone perciò la successione degli eventi e richiede la pazienza della speranza. In persone di una certa età i mutamenti spirituali necessari possono realizzarsi solo in modo provvisorio e sono quindi da rinnovare costantemente. I modelli interiorizzati nella prima fase della vita, infatti, non possono essere sostituiti, restano sempre in profondità e si ripropongono continuamente, anche dopo numerose conversioni. Gli adulti devono quindi rinnovare ogni giorno il proprio impegno per la pace. Il momento di silenzio o di preghiera del mattino serve per mettere a punto lo spirito per quelle conversioni che non possono essere compiute una volta per tutte. Chi ha fatto una scelta in direzione della pace, deve essere consapevole dei cambiamenti necessari, ma deve pure ogni giorno registrare lo spirito sui nuovi parametri, perché i modelli iniziali di aggressività e di egoismo se non sono controllati riemergono continuamente e ispirano valutazioni, scelte e reazioni emotive. Per i giovani il problema è diverso, perché essi sono ancora duttili e sono quindi in grado di operare conversioni definitive, quelle cioè che definiscono per sempre l'identità della persona. Per loro il problema consiste nello scegliere in modo coerente la pace oggi possibile.

    La pace evangelica è ancora straniera
    Il Vangelo di Cristo, riassunto nell'annuncio della pace, è molto esigente, ma non è stato ancora accolto.• Nella nostra società, benché regolata da leggi, i rapporti tra gruppi sociali, tra partiti politici, tra le persone, sono spesso ispirati alla contrapposizione e alla violenza verbale; lo scontro sociale si sviluppa attraverso ripicche e vendette, offese e sospetti. Ma queste dinamiche si riscontrano anche nelle nostre comunità e nei rapporti fra le Chiese cristiane. Solo generazioni educate ad annunciare e a vivere la pace susciteranno persone capaci di perseguire con trasparenza il bene comune anche negli aggrovigliati intrecci di interessi e di conflitti che caratterizzano le società complesse come la nostra. Da generazioni educate alla violenza sacra non ci si può attendere di più. Bisogna con pazienza aspettare che sorgano nuove generazioni che, educate agli ampi orizzonti di pace, siano in grado di introdurre nella società uno stile nuovo di dialogo e di confronto per realizzare il bene comune, per creare un inedito ordine sociale e inventare una nuova fraternità.

    Alcuni aspetti soggettivi necessari alla costruzione della pace

    Costruire la pace, perciò, implica una costellazione di atteggiamenti personali, di qualità soggettive, che si traducono in pratiche comunitarie e in impegni politici.

    Esistenza teologale: i costruttori di pace saranno chiamati figli di Dio
    La pace, essendo una qualità della vita, è caratterizzata dalla gratuità del dono e richiede da parte della persona umana un atteggiamento di accoglienza e di sintonia vitale. Per il credente la costruzione della pace non è opera umana, ma fluisce da un rapporto con Dio, che si concretizza nell'atteggiamento teologale. Fin dall'inizio l'esistenza cristiana è stata riassunta nei tre atteggiamenti fondamentali della fede, della speranza e della agàpe (cf 1 Ts 1, 3; 1 Cor 13, 13 ss). Essi sono modulazioni di un unico orientamento vitale che possiamo qualificare appunto teologale, perché attraverso di essi il credente riconosce in Dio l'inizio della sua avventura, orienta la propria esistenza a lui come termine del cammino e la svolge alla sua presenza. Quelle che chiamiamo le tre virtù teologali sono quindi le modulazioni temporali di un unico atteggiamento fondamentale di sintonia con l'azione divina che proviene dal passato (fede) e irrompe dal futuro (speranza) nell'istante presente in cui l'amore divino accolto fiorisce in noi come dono da offrire ai fratelli. La pace è l'accoglienza armoniosa di queste dinamiche divine in ogni istante dell'esistenza. L'azione divina non fa parte del creato ma lo rende possibile; la sua azione non si aggiunge alla nostra azione, bensì la fa fiorire. La costruzione della pace fa crescere nella dimensione filiale perché rende rivelatori dell'azione divina. Chi costruisce la pace mostra nella sua esistenza l'azione pacificatrice di Dio. Questa ostensione avviene attraverso le perfezioni che si sviluppano quando la persona accoglie in armonia l'azione divina. Essa diventa così icona di Dio, cresce nella sua identità filiale.

    Acquisizione della maturità personale
    La persona nasce incompiuta e deve raggiungere una completezza. La pace a livello personale ha la sua espressione compiuta nella maturità. Essa tuttavia non può essere definita in modo adeguato una volta per tutte. Se l'umanità è in processo, anche la maturità delle persone non ha sempre la stessa forma. C'era una maturità per l'uomo medievale, una maturità per l'uomo dell'800, per l'uomo illuminista, come c'è una maturità per l'uomo postmoderno. Se, infatti, l'umanità è in processo, ogni generazione ha caratteristiche proprie e quindi ha il suo tipo di maturità. Ciò non implica che la maturità di una generazione sia più perfetta della precedente, perché la perfezione è relativa alle esigenze concrete e alle possibilità reali. Ogni generazione ha limiti e caratteristiche specifiche secondo i compiti che è chiamata a svolgere. Anche l'evoluzione non procede sempre in modo lineare, ha biforcazioni nelle quali nuove qualità umane sono rese possibili e altre appaiono insufficienti. Allora comprendiamo che la vita ha modalità diverse di esprimersi e che quindi non possiamo parlare di un'unica forma di maturità umana. A livello personale, tuttavia, il processo ha per tutti come punto di riferimento la morte. La maturità umana ha quindi come criterio supremo l'accettazione della precarietà e il confronto con la morte. Finché non si accetta la condizione di creatura e la precarietà che la caratterizza si resta nella sfera del narcisismo e nel clima dell'onnipotenza che caratterizza la prima fase dell'esistenza. Nel suo procedere la vita mette al vaglio tutti gli ideali perseguiti e le ragioni che hanno alimentato i suoi sviluppi e le sue scelte. Giungere a maturità, perciò, implica la necessità di saggiare le fedeltà, di verificare gli ideali vissuti, di individuare non solo i criteri di scelta proclamati ma anche quelli realmente utilizzati nel susseguirsi degli im-
    pegni quotidiani. In una parola la maturità e poi la vecchiaia pongono sfide radicali alla persona e mettono alla prova la sua pace e la sua capacità di costruirla.

    Praticare la giustizia
    Non vi è pace senza giustizia. Finché una comunità consente che la giustizia possibile non sia realizzata, non è in pace e non è in grado di costruire la pace. Il primo aspetto della giustizia è la difesa dei poveri e il superamento delle disparità oppressive. Nella fase attuale dello sviluppo umano la presenza dei poveri non è più una fatalità, dipendente dalla carenza dei mezzi di sussistenza. Oramai la presenza dei poveri diventa una ingiustizia. L'umanità ha i mezzi per realizzare un benessere medio sufficiente per tutti. La condizione è che tutti insieme i popoli decidano di ridistribuire i beni della creazione che sono a disposizione di tutti gli uomini. Da più di una decina di anni la Commissione Brundland ha espresso la convinzione «che la diffusa povertà non sia più inevitabile». Ha scritto nella conclusione dei suoi lavori: «Lo sviluppo sostenibile impone di soddisfare i bisogni fondamentali di tutti e di estendere a tutti la possibilità di attuare le proprie aspirazioni a una vita migliore [ ...] Il soddisfacimento dei bisogni essenziali esige non solo una nuova era di crescita economica per nazioni in cui la maggioranza degli abitanti siano poveri, ma anche la garanzia che tali poveri abbiano la loro giusta parte delle risorse necessarie a sostenere tale crescita» [5]. La solidarietà che deve guidare a queste decisioni non può avere il corto respiro della difesa di interessi nazionali o settoriali. La pace del mondo è ora condizionata al superamento delle disparità enormi che si sono create tra i diversi popoli della terra.

    Praticare la misericordia, perdonare le colpe altrui
    La beatitudine della pace potrebbe essere anche tradotta: «Beati coloro che perdonano» (cf Mt 18, 21-22, 23-35). Chi perdona costruisce la pace. Astenersi da giudicare il fratello (Mt 7, 1-5), mostrare benevolenza gratuita verso tutti (Mt 5, 38-42) e specialmente verso i nemici (Mt 5, 43-47); riconciliarsi con il fratello prima di ogni altra cosa (Mt 5, 23-24), realizzare un cuore solo e un'anima sola (At 4, 32) è costruire la pace. Commentando alcune esortazioni paoline, san Cirillo di Alessandria scriveva: «Bisogna dunque che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Se un membro soffre, tutte le membra ne soffrano e se un membro viene onorato, tutte le membra ne gioiscano. Perciò "accoglietevi", dice, "gli uni gli altri, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio" (Rm 15, 7). Ci accoglieremo vicendevolmente se cercheremo di avere gli stessi sentimenti, sopportando l'uno il peso dell'altro e conservando "l'unità dello spirito nel vincolo della pace" (Ef 4, 3)» [6]. Quando le comunità cristiane si accolgono reciprocamente, offrendo perdono per il male compiuto nel passato, costruiscono la pace e aprono un nuovo futuro.
    La pace costruita sui cadaveri dei nemici, anche se violenti e perversi, non è duratura. Essere pacifisti in questo contesto vuol dire considerare la pace un valore così assoluto che consenta il sacrificio anche della vita personale. In realtà la pace è un valore organico, inserito cioè nel contesto dei valori che rendono la vita umana degna di essere vissuta. La pace è un valore da raggiungere e ordinato alla vita. Per questo non si può mettere a repentaglio la vita di tutti per la pace. Altrimenti sarebbe la pace della morte. Per questo si può anche sopportare una ingiustizia per conservare la pace e rendere possibile una giustizia più ricca e profonda domani. Il giudizio quindi non è assoluto, ma relativo. Oggi ricorrere alla guerra è un atto retrogrado; anche se fosse una decisione legittima secondo gli statuti dell'ONU o le regole del diritto internazionale, sarebbe ingiusta perché produce disordini maggiori dell'ordine che vuole instaurare, e rende molto difficile il cammino all'unificazione dell'umanità.

    Raccogliere il pianto e il sangue di chi è violentato, cioè caricarsi del male del mondo
    In questi ultimi anni le nostre case sono state invase dalle immagini strazianti di corpi abbandonati lungo le strade, di cadaveri scaricati come rifiuti in fosse comuni, di profughi in fuga con scheletrici animali e poche masserizie portate sul capo da donne attorniate da bambini macilenti. Anche nei sogni ci hanno inseguito immagini di campi fangosi sui quali tende e casupole sgangherate raccoglievano uomini sbandati, dagli occhi sbarrati e dai volti senza speranza. Campi che sono diventati cimiteri per molti di loro a causa delle epidemie o più ancora della violenza assassina di altri disperati. In mezzo a tutto questo tormento uomini eroici hanno dato la vita per restare accanto a chi soffriva e moriva. I costruttori di pace nell'inferno della violenza possono solo raccogliere il pianto di chi viene oppresso, ma in questo gesto è già la premessa di un futuro diverso. In questi momenti costruire la pace significa raccogliere il pianto di chi soffre, ascoltare il grido soffocato di chi viene ucciso, far risuonare il canto sommesso di chi ancora prega e conservare memoria dei volti sfigurati. Sono questi luoghi terribili e tragici nei quali anche quest'anno ci è stato chiesto di proclamare la parola del Vangelo e costruire la pace. Non solo nei luoghi tranquilli delle nostre case o dei nostri templi, ma ovunque queste tragedie umane vengono rievocate da sopravvissuti e narrate da coraggiosi cronisti è necessario che molte persone annuncino a forti parole il messaggio della pace: è possibile a uomini diversi per cultura, razza e religione vivere insieme. Fare memoria dei martiri è la modalità cristiana di raccogliere il sangue perché non vada perduto il caldo seme della vita. La memoria dei martiri non è fine a se stessa, ma deve rendere capaci di portare il male del mondo, di immettere cioè spinte vitali e positive nel luogo del male e della violenza. Oggi gli operatori di pace debbono fare della memoria di quanti cadono per la giustizia non semplice offerta di consolazioni, ma luoghi dove «osare» ancora per la pace. Il luogo principe dove proclamare la pace è proprio là dove la violenza provoca sterminio e morte.

    Costruire la pace è il compito primario della nostra generazione
    Il processo della pace avviene in noi e attraverso di noi. La pace non è la semplice assenza di guerre, ma una modalità nuova di vivere i rapporti e di costruire un nuovo ordine sociale; è una forma di esistenza che ancora non conosciamo, di cui non possediamo i contenuti e i parametri fondamentali. Sappiamo però che la pace costituisce la sfida principale del nostro tempo, il compito primario della nostra generazione. Non è sufficiente condannare le guerre del passato, ma è necessario introdurre nuove modalità di vivere i rapporti. L'analisi e il giudizio della storia ci devono servire a capire quali errori stiamo commettendo, e soprattutto a riconoscere il divario tra le esigenze della situazione storica e il nostro atteggiamento spirituale. I processi in corso ci coinvolgono come attori. Non possono accadere senza nostre consapevoli decisioni. Oggi la contrapposizione tra i popoli, la non accettazione del diverso, l'incapacità di fare comunione sono molto più gravi che in altri secoli. Questa consapevolezza ci deve servire per individuare che cosa sta avvenendo e quali novità spirituali ci sono chieste, consapevoli che i progressi tecnici non producono in modo automatico una nuova spiritualità. Non tutti possiamo entrare nella terra promessa, ma è necessario che tutti ne viviamo l'attesa, maturando gli atteggiamenti spirituali che renderanno possibile la realizzazione del grande progetto di Dio: radunare nella pace il popolo eletto di tutti gli uomini divenuti fratelli.
    Ci chiediamo: come vivere il nostro rapporto con Dio in modo da costruire la pace? Come appartenere a una struttura religiosa senza provocare conflitti o divisioni? Quali atteggiamenti sviluppare e diffondere nel mondo per favorire l'armonia tra i popoli?
    Beati noi se, accogliendoci reciprocamente e dialogando serenamente, nei nostri incontri prepariamo un futuro nuovo di armonia nel mondo.
    Ci raccogliamo in silenzio per far risuonare dentro di noi la parola di Dio: Cristo è la nostra pace.«Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 10)

    NOTE

    1 Cf J. DIAMOND, Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi 13 mila anni, Einaudi, Torino 1998.
    2 A. Rizzi, Il cuore violento, in ID., Differenza e responsabilità, Marietti, Casale Monferrato 1984, pp. 307-319.
    3 N.M. Loss, Pace, in Nuovo Dizionario di Teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, p. 1056.
    4 R. DAWKINS, L'orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Rizzoli, Milano 1988, p. 238.
    5 Il futuro di noi tutti. Rapporto della Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, Bompiani 1988, p. 32.
    6 CIRILLO Dl ALESSANDRIA, Commento alla lettera ai Romani, 15, 7 (PG 74, 854).


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