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    La speranza

    nella società del rischio

    Massimo Cacciari


    Essere sempre in cerca, in attesa: questa è la speranza

    Che cosa significa "sperare"? Di quale speranza parliamo? La speranza alle origini della nostra cultura, della cultura greco-romana, è un termine molto debole. Platone parla di buone speranze, sì, ma queste buone speranze rimangono del tutto infondate, non hanno propriamente nessun fondamento. Secondo il "timbro" fondamentale della cultura greco-romana, la speranza è una virtù degli equi, cioè propriamente di "coloro che non sanno", che non vedono: teoria significa "visione", chi vede, chi è faccia a faccia con la realtà, "sa". Il filosofo o lo scienziato "sanno", non sperano. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che la speranza è una "passione", un "affetto": chi sa non spera, e chi spera, spera perché non sa. Cosa significa questo? Che uno dei timbri o dei toni dominanti nella nostra cultura tecnico-scientifica è "lotta contro la speranza", perché si presenta a noi come un sapere che una volta interiorizzato ci permette di pre-vedere, non soltanto di pro-gettare, di "scontare" il futuro, di farne - come diceva il titolo di un libro importante di qualche decennio fa - "un passato". Sì, è futuro, ma io "so", estrapolando se non propriamente gli accadimenti futuri, il "senso" del futuro. Questo è il tratto fondamentale della cultura tecnico-scientifica, senza questa filosofia non si può comprendere il progetto tecnico-scientifico contemporaneo, e della potenza con cui ha dominato la nostra vita quotidiana. La speranza può essere anche una "buona speranza, certo, può farci pensare ad un al di là dove i meriti siano riconosciuti e perciò premiati, può incentivare i nostri buoni comportamenti quaggiù, ma tutto ciò è privo di ogni serietà scientifica.
    Qual è la grande idea che il cristianesimo introduce in questo scenario e che costituisce l'altro "timbro", l'altra tonalità fondamentale della speranza che fino alla fine sarà in contraddizione con quello tecnico-scientifico?
    Perché secondo me questa crisi tra le due forme della speranza è secondo me insuperabile, finché ci sarà l'Europa. Perché l'Europa vive di questa contraddizione, l'Europa è contraddizione; e chi vuole sanare questa contraddizione vuole annientare l'Europa. Se l'Europa diventerà nient'altro che una costola atlantica, morirà, ma morirà perché cesserà di essere contraddizione. Gli Stati Uniti, la loro grande civiltà nasce proprio da una volontà specifica, da un progetto di staccarsi dalla contraddizione europea: solo se si capisce questo, si capisce la cultura americana, quella che qualcuno chiama la "religione americana".
    La contraddizione europea nasce dunque dalla contraddizione tra i due timbri fondamentali della speranza: quello che abbiamo visto, che domina il progetto tecnico-scientifico e che non a casa ha negli Stati Uniti la sua capitale, e quello cristiano. Quello cristiano non accoglie o sviluppa la "buona" speranza platonica: la speranza cristiana è fondata, ha fondamento, perciò è "vera" speranza. Non "buona" speranza, ma "vera" speranza. E voi pagani siete nell'errore che non vi permetterà salvezza, e vi condannerà alla disperazione perché ritenete la speranza "infondata".
    Nel cristianesimo la speranza può avere fondamento. Ma il cristianesimo avverto fino in fondo la paradossalità, la straordinarietà della pretesa di dare fondamento alla speranza: perciò la speranza è virtù teologale, e non virtù qualsiasi. . E in questo modo diventa uno "sperare questo o quello", uno "sfarinato sperare", e si perde la grandiosità della contraddizione, mentre le speranze diventano "buone" speranze. Ma Paolo capiva perfettamente che non è con le buone speranze che si può contraddire il paradigma scientifico, epistemico, che ritiene che appunto la speranza sia infondata.
    Allora, cerchiamo di capire cosa significa sperare, dopodiché possiamo anche "sperare questo o quello", ma solo dopo aver dato fondamento all'idea di speranza, non soltanto in termini teologici. La radicalità paradossale di questo discorso cristiano si evidenzia proprio in questo: noi speriamo radicalmente non di possedere, raggiungere, ottenere "questo o quello", ma in qualche modo è esattamente l'opposto. Noi non speriamo "securitas", non speriamo di "assicurarci" questo o quello, che è il discorso della speranza scientifica, il cui obiettivo è afferrare, possedere, comprendere, in cui il futuro è scontato. Un'idea, questa, che ha permeato quasi completamente il nostro senso comune, il nostro modo di ragionare. L'idea di speranza del cristianesimo si colloca, potremmo dire, esattamente all'opposto: cristianamente noi speriamo di poter resistere nell'essere in-sicuri, di poter avere la fo4rza, la capacità di rimanere in-securi, non "assicurati". La stessa parola, securitas, se-cura non avere cura, ce lo spiega. Al contrario della securitas, inquieto è il cuore cristiano. Essere sempre in cerca, in attesa: questa è la speranza come virtù teologale. Isidoro di Siviglia diceva "Spes viene da piede", perché? Perché la speranza è quella che fa camminare, che fa andare; essere disperati è come tagliarsi un piede e non potersi più muovere. Se si vuole essere sicuri si resta chiusi nella propria casa, e allora sperare non ha più senso. Sperare di essere sicuri, è una contraddizione in termini. Solo in viatoribus, diceva S. Tommaso, sta la speranza.
    Speranza di poter essere in-cura eternamente. C'è qualcuno ancora in grado di ascoltare questo timbro della speranza? E' la domanda che ponevano alla cristianità contemporanea pensatori come Auerbach. Un timbro che non esiste più nel mondo dominato dalla tecnica, dall'assetto; il cristianesimo, da questo punto di vista è morto. Ma aggiungeva, l'interessante del cristianesimo è proprio in questo, è proprio la sua impotenza, il suo non potere nei confronti della società contemporanea, il suo "essere in croce" oggi più che mai, se viene ascoltato secondo la sua giusta radicalità. Ecco perché allora nessuno mai potrà fare del cristianesimo un cavallo vincente. Un cristiano non potrà mai puntare sul suo essere cristiano per vincere; e se è consapevole di questo e continua ad essere cristiano, allora è invincibile. Ecco il paradosso.
    Il mondo contemporaneo dice: "spero di poter fare ciò che voglio"; la paradossalità della speranza cristiana invece afferma esattamente il contrario. Perché, badate, il volere in quanto tale, significa "essere": il senso della speranza è all'opposto delle "velle" come essere, come dimensione naturale. L'essere libero è una dimensione completamente diversa da quella del volere, ma la speranza cristiana chiama proprio a questo: ad essere liberi, a trascendere il proprio io. Un concetto che riporta a quello di libertas. Libertas, per i latini, è la condizione filiale, distinta da licentia: quest'ultima che esprime la speranza di poter affermare la propria volontà. Libertas esprime invece il senso della relazione filiale, che è una relazione indissolubile, indissociabile. Ecco quindi, che la libertà è la massima cura per la relazione. Nella nostra cultura l'io, l'individuo viene prima di tutto; la libertà che deriva dal concetto di speranza cristiana esprime invece una "follia" per il mondo: il paradosso che prima è la relazione.
    Io credo che si debba tornare ad ascoltare questi timbri e ad apprezzare la loro contraddittorietà fino in fondo senza pretese di eliminarla: eliminare la contraddittorietà dei due timbri è politicamente irrealistico.
    E per tornare ad ascoltarli, ed apprezzare la paradossalità dell'idea cristiana di speranza, credo sia necessaria "l'angustia", il "soffocare", il temere la dispersione nell'impersonale e nell'inseguire "questo o quello": se non avvertiamo di soffocare, non spereremo mai e dunque, non ci muoveremo mai.

    (Ore Undici)


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