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    La contemplazione:

    evasione

    o ricerca di Dio?

    Enzo Bianchi


    Tra rivincita di Dio e crisi della Chiesa

    La rivincita di Dio

    Nel 1991 usciva in Francia (Ed. du Seuil) un libro dal titolo emblematico, La revanche de Dieu (di Gilles Kepel) [1], che notava come nel quindicennio 1975-1990, dopo lo smarrimento patito di fronte alla crisi della modernità, le tre grandi religioni monoteistiche (e, all'interno della religione cristiana, le grandi confessioni - perlomeno quella cattolica e quella protestante) hanno conosciuto un soprassalto di rinvigorimento, una sottolineatura della propria identità confessionale, una ricompattazione, una ristrutturazione che le porta a progettare di «riconquistare il mondo» (titolo della conclusione del libro di Kepel), mostrando dunque una rinnovata coscienza della propria forza e capacità di persuasione e penetrazione tra gli uomini d'oggi. La Chiesa cattolica sembra, in particolare, essersi venuta a trovare in una posizione di grande forza e prestigio:
    - la caduta dei regimi comunisti non è forse una delle più evidenti prove della rivincita di Dio?
    - la crisi delle grandi ideologie e, in particolare, del razionalismo postilluministico non è forse una convalida, una conferma della fede?
    - l'attuale crisi morale porta poi di fatto la Chiesa a essere soggetto socialmente rilevante, riconosciuto, cercato e ascoltato, come produttore di valori etici;
    - nel «mercato dei simboli», il prodotto religioso sembra aver avuto la meglio sugli altri prodotti (simboli portatori di senso) e la Chiesa sembra essersi imposta come il venditore più forte...

    Un atteggiamento apologetico poco-meditato

    Vi è anche chi vede nella postmodernità (caratterizzata dalla disillusione verso la modernità e il suo mito di costruire un'umanità ideale fondata sulla ragione e sull'autonomia del soggetto; caratterizzata dunque dalla critica dei grandi temi della modernità quali la ragione, l'autonomia del soggetto, il progresso) un alveo ideale in cui può dispiegarsi l'efficacia del messaggio cristiano. Afferma J.-M. Lustiger: «La nostra epoca si dichiara postmoderna: è possibile. Essa però non è postcristiana» [2]. Emerge così un atteggiamento apologetico poco-meditato: «Oggi l'Occidente (e senza dubbio il mondo intero) è diventato un tale enigma a se stesso, si trova di fronte ad interrogativi così drammaticamente nuovi e si espone al giudizio di una prova tale da dover prendere in considerazione l'ipotesi che solo la venuta del Cristo gli può offrire idee e forza per affrontare il proprio destino» [3]. Continua lo stesso arcivescovo di Parigi riprendendo le fila della sua riflessione:

    Si è visto come tre dei grandi problemi del mondo moderno -l'unità del genere umano, la capacità di autodistruzione, l'integrità della creazione - trovino la loro collocazione originaria in tre dati fondamentali della rivelazione del Cristo: la fratellanza dei figli di Adamo, la fine dei tempi e il giudizio delle genti, la creazione a beneficio dell'uomo.
    Queste tre esperienze, comuni alla coscienza contemporanea, testimoniano la rinnovata attualità del messaggio evangelico [4].

    Lo scollamento tra «vertici» dell'istituzione ecclesiale e «base» dei credenti

    In verità il fenomeno di «rivincita di Dio» appare decisamente più complesso e contiene anche un aspetto di sfida e forse di crisi portato alla grande istituzione ecclesiale: inserito nel ritorno del religioso esso implica anche il nascere e pullulare di movimenti, il sorgere di forme quasi settarie all'interno stesso delle Chiese, il fiorire di gruppi che aderiscono al proprio leader carismatico, il formarsi di forme neocomunitarie che sottolineano certi aspetti della spiritualità non soddisfatti dalla istituzione ecclesiale.
    Al di là dei tentativi di omologazione, assorbimento e, eventualmente, sponsorizzazione da parte dell'istituzione ecclesiastica, queste forme si pongono in rapporto diretto con l'individualizzazione della fede e del credere, così da porre in discussione proprio il dispositivo istituzionale della regolazione della fede. In discussione è il principio di autorità (e dunque le sue modalità e forse anche la sua possibilità). L'emanazione del Catechismo universale lo mostra. Con lucidità la sociologa Danièle Hervieu-Léger rileva: «La contraddizione maggiore risiede nel fatto che l'offerta di senso (da parte della Chiesa) è socialmente credibile, in un universo in cui prevalgono massicciamente i diritti della soggettività individuale, solo nella misura in cui non prende la forma di un discorso di doveri da imporre ai fedeli» [5].
    Lo scarso riscontro che i pronunciamenti dei vescovi, le indicazioni magisteriali, hanno nel popolo cristiano, lo scarto fra il magistero e la «base» pongono un problema serio, che è quello che la Chiesa spesso denuncia a livello sociale e politico come scollamento fra le istituzioni e la gente, e che ormai deve constatare anche al proprio interno (perché si tratta di un fenomeno che riguarda le grandi istituzioni portatrici di simboli, di senso): è significativo il discorso d'introduzione di monsignor Duval all'assemblea dei vescovi francesi (ottobre 1992) che parla di ciò che può essere messo in atto «per ridurre il fossato tra la Chiesa e la società civile».
    La comparsa di movimenti in cui il principio di autorità è costituito da una persona che incarna un carisma si inserisce proprio nello spazio sempre più grande lasciato tra vertici e base, rapporto che non è più drammaticamente conflittuale come negli anni sessanta e nella prima metà degli anni settanta, ma segnato da indifferenza, irrilevanza della voce magisteriale sul vissuto del populus Dei. E più si moltiplicano i pronunciamenti, più risuonano come un'eco sempre più lontana. Avviene forse - e magari già da tempo - ciò che aveva scritto Frarwois Roustang in un lungimirante articolo del 1966 in cui, a seguito dell'evento conciliare, aveva previsto il nascere di un «terzo uomo», un terzo tipo di credente, né conservatore né riformista? Scriveva Roustang:

    C'est comme si brusquement les catholiques s'étaient réveillés avec l'audace d'exister, d'avoir une existence personnelle.
    La naiveté de certains les pousse peut-étre à croire que l'on peut se libérer de toute institution et à oublier que la liberté de l'homme ne saurait étre pur jaillissement. Abandonnant un système de déterminisme, il est fatai que nous en retrouvions un autre et que de nouvelles lois s'imposent à nous. Il n'en reste pas moins que ces catholiques, sans pouvoir bien souvent le définir, en appellent à un nouveau type de relation entre la foi et la loi.
    [...] Si l'on n'y prend garde et si l'on se refuse à voir l'évidence, le détachement à l'égard de l'Eglise, qui est largement commencé, ira en s'accentuant. Il ne revétira pas alors, comme dans le passé, la forme d'une opposition ou celle d'un abandon, mais d'un désintérét tranquille à l'égard, disent-ils, de cette montagne d'efforts qui accouche inlassablement d'une souris. L'impossibilité, pour ces chrétiens, d'entrer dans le nouveau système se fera méme au nom de la foi que le concile les a aidés à redécouvrir et à mieux vivre. Ce mouvement risque d'ailleurs de les conduire, s'ils demeurent isolés, à une pure indifférence. Alors que l'autorité elle-méme a suscité en eux une bienfaisante libération, ils trouvent paradoxal de la voir ignorer les effets premiers de son action pour tenter en quelque sorte de les neutraliser [6].

    Insomma, oggi sembra dato di verificare una crescente disaffezione alla Chiesa. «Amare ancora la Chiesa?», si chiede un teologo-biblista spagnolo in un recente libro in cui rileva che il capovolgimento della Chiesa da «comunità» (koinonia) a «istituzione» (omologabile alla società profana) «rende a volte assai difficile l'adempimento di questo dovere di amore» [7].

    La riduzione antropocentrica del messaggio della Chiesa

    Un altro aspetto di crisi che forse è possibile far emergere dietro la facciata di protagonismo della Chiesa (titolo forse più adatto rispetto a quello di rivincita di Dio) è che la Chiesa è sempre più divenuta ministra, in questi ultimi vent'anni, di parole sociologiche, di parole politiche (ancora oggi sull'unità politica dei cattolici!), di parole economiche, di parole etiche/morali e ha sempre più ricercato una presenza sociale visibile. Scrive uno psicoanalista cattolico:

    La pastorale elle-méme a fini par intérioriser, pour une part, l'idée que l'expérience religieuse correspondait surtout à un engagement dans le monde plut6t qu'à l'accès à une relation personnelle avec Dieu, dans l'Eglise, grace à la révélation biblique. Le fait religieux a été minimisé pour étre transformé en morale sociale, voire en idéologie. Dans ce contexte, il était sans doute difficile de voir l'originalité de la religion chrétienne, qui pouvait ainsi se confondre avec n'importe quelle pratique au service de la société. L'important c'est d'aimer les autres, de rendre service, d'étre tolérants et, une fois ces valeurs certes évangéliques honorées, à quoi bon se tourner vers Dieu pour lui-méme puisqu'il sert d'équivalent symbolique à une relation altruiste [8].

    Sempre più la Chiesa appare come public Church e gli uomini di Chiesa come opinion leaders che intervengono costantemente sui mass media a proposito dei più svariati problemi: siano essi sociali, di costume, politici, amministrativi (si pensi agli interventi di critica nei confronti delle amministrazioni pubbliche), di ordine pubblico (per esempio, i temi della mafia e della camorra), ecc.
    Questa immersione nel «penultimo» ha fatto dimenticare «le cose ultime», e alla lunga ha deluso le attese dell'uomo in cerca di approfondimento della fede, di senso e di qualità della vita, di valori delle relazioni, di conoscenza di Cristo, di vita spirituale ecc. Si tratta forse di un «sessantottismo» addomesticato e ritardato, e dunque fuori luogo e fuori tempo? (E forse anche l'esito ultimo della svolta antropologica di rahneriana memoria in teologia?).
    La rinascita dello spirituale con tutte le sue ambiguità e deviazioni ha trovato spazio in questo vuoto! I movimenti che riprendono sul serio l'iniziazione cristiana (neocatecumenali), i movimenti che sottolineano l'importanza dell'azione dello Spirito nella preghiera e nella vita del credente (carismatici), quelli che fanno emergere l'importanza del corpo e della mente nel coinvolgimento col Cristo, le «oasi di preghiera», i centri di spiritualità, i corsi di meditazione... trovano lì il loro spazio.

    Il ruolo centrale del carisma e della personalità carismatica

    Dal punto di vista sociologico 9 non è un caso che si verifichi che nelle società più avanzate nel processo della modernità e più segnate dalla crisi degli ideali moderni la ricomposizione del tessuto religioso sia affidata a personalità carismatiche, fondatori, iniziatori di movimenti... L'identità cristiana specifica del singolo tende a stabilirsi attraverso «l'identificazione soggettiva del credente con personalità-faro, la cui capacità personale di porsi in rottura con la cultura dominante sembra poter compensare la perdita di autorità sociale del cristianesimo istituzionale» [10].
    In questo senso è significativo il caso di questo papato in cui il massimo rappresentante dell'autorità dell'istituzione cattolica affida alla sua persona, alla sua presenza personale, visibile, attraverso gli innumerevoli viaggi e la spettacolarizzazione del suo carisma tramite i mass media, un ruolo di collante della cattolicità.
    È una personalizzazione dell'istituzione e della sua autorità per renderla più «accoglibile» da parte degli uomini d'oggi.

    Un fenomeno storico ricorrente

    Insomma, i movimenti, le rinate ricerche di spiritualità ecc., pur presentando molte ambiguità, parzialità e settarismi, pongono una serie di problemi che denunciano carenze, deleghe, aporie, se non veri e propri tradimenti da parte della Chiesa... E, naturalmente, rispondono a una crisi antropologica!
    Forse dunque ha ragione Maurice Bellet quando afferma, a proposito del «ritorno del religioso»:

    Ce beau retour de Dieu risque de n'étre que la répétition de la situation «moderne» de l'Eglise. Aussi bien, de tels retours, on en a déjà connus; ils viennent quand l'angoisse du vide saisit un peu trop vivement les hommes emportés dans le processus de la modernité. Mais le balancier fait son office: aujourd'hui, vague religieuse; demain, retour de l'irreligion. Sur le long terme, le vieux monde où Dieu était encore Dieu continue de se défaire. [11]

    Siamo di fronte a un fenomeno storico ricorrente, da cui occorre prender lezione e ricavare indicazioni per la riformulazione della spiritualità; che occorre ascoltare per discernere le seti, le attese, le direzioni che esso indica e sapervi far fronte; che bisogna valutare attentamente per cogliere anche le negatività, le evasioni, le antievangelicità che presenta e portarvi dei correttivi.

    Istanze spirituali emergenti da una critica del «ritorno al religioso»

    Prendendo ora spunto da alcuni aspetti del variegato e ambiguo fenomeno di «ritorno del religioso» (tenendo presenti manifestazioni sia extraecclesiali che intraecclesiali dello stesso), vogliamo far emergere alcune positive indicazioni che giudichiamo essenziali per una spiritualità adeguata all'uomo d'oggi e che affondi le radici nelle sorgenti della spiritualità cristiana. Si tratterà di aspetti che il «risveglio del religioso» sottolinea con forza, o di cui evidenzia la problematicità, oppure, ancora, a cui cerca di sfuggire.

    La necessità di un'iniziazione

    Questo elemento è molto sottolineato nei movimenti religiosi e spirituali, e corrisponde all'esigenza di un tempo di noviziato, di catecumenato, di preparazione e formazione in vista dell'ingresso a pieno titolo nel gruppo, della condivisione del «credo» comune. Questa sottolineatura diviene un'urgenza per l'educazione alla fede da parte delle Chiese cristiane che devono prendere atto di vivere in un contesto radicalmente scristianizzato in cui costituiscono una minoranza! E non si può dimenticare, come scriveva recentemente W. Kasper in una lettera pastorale alla sua diocesi di Rottenburg-Stuttgart (28 agosto 1989), che «una scarsa conoscenza della fede è il terreno migliore per la superstizione e l'errore».
    Questo elemento svela le mancanze e le debolezze della Chiesa per ciò che riguarda la «trasmissione della fede»: il modello dei catechismi ha ridotto la catechesi a istruzione, a dottrina, e l'ha poi appiattita sul modello scolare. Nella mistagogia di età patristica, invece, era salvaguardato il rapporto sacramenti-catechesi [12]. E svela anche quello che Ratzinger stesso ha denunciato come «l'esito catastrofico della catechesi moderna». Il problema dell'iniziazione è duplice: antropologico e teologico. Lo si può esprimere con queste parole di Maurice Bellet:

    Pour beaucoup, l'initiation manque. Plus rien ne correspond sérieusement à ce qu'offraient, à leur manière, d'autres sociétés, pour permettre à l'homme de passer au-delà des menaces et des détresses qui sont au fond de lui, pour trouver enfin son chemin d'homme. On va au hasard, selon les rencontres, les circonstances et les impulsions... L'initiation introduit à la vie humaine; cette vie va à la mort. Il y aura ainsi, dans l'initiation, deux aspects, deux dimensions: ce qui introduit à la vie en degà de la mort; ce qui parle de par-delà la mort [13].

    Oppure lo possiamo ridire con A. Gesché, affermando che c'è forte la necessità di reperire il senso (dell'esistenza) e il senso del senso (le questioni ultime) [14].
    E probabilmente dietro ad esso appare che il variegato fenomeno di «ritorno del religioso» è una forma di espressione dell'uomo alla ricerca dell'uomo. La polarità evasione o ricerca di Dio è insufficiente e troppo schematica: si tratta anche di ricerca dell'uomo. E così viene svelata la necessità di una rifondazione antropologica.
    Vi è un bisogno antropologico nel ricorso di molte persone ai movimenti e alle sette della rinascita religiosa (New Age per esempio): «esse tentano di ritornare a ciò che vi è nell'uomo di primordiale nel suo rapporto col mondo, nel suo rapporto con gli altri, con ciascun individuo e con la società degli uomini» [15].
    A livello antropologico poi, l'iniziazione ha al suo cuore la trasmissione di racconti fondatori. Ora la società postmoderna in cui ci muoviamo in questa fin du siècle è stata definita come «la prima generazione post-tradizionale» [16]. E qui si innesta un secondo problema.

    Il rapporto con la tradizione

    Il «religioso» ormai si inscrive all'interno di un mondo radicalmente pluralista, caratterizzato dalla mobilità, dalla fluidità, dall'estrema differenziazione e coabitazione dei diversi... Le grandi tradizioni religiose, con le loro pretese di stabilità, perennità, permanenza, monicità, ne sono poste in crisi. In effetti l'estremo pluralismo ha per contrappunto l'estrema incertezza: anche i riferimenti portatori di senso subiscono questo contraccolpo. Nelle società moderne l'adesione religiosa è divenuta sempre più l'oggetto di una scelta individuale, non l'accettazione di un dato di tradizione trasmesso con la generazione stessa.
    Chi si allontana da un sistema religioso per aderire ad un altro non incorre in alcuna sanzione sociale, come non vi incorre chi non aderisce ad alcuno dei simboli di senso, dei simboli religiosi disponibili sulle bancarelle di questo «mercato dei simboli» [17]. In questo ambito viene privilegiata l'istanza soggettiva a discapito della capacità e autorità dell'istituzione religiosa a normare la vita del singolo [18].
    Il cristianesimo (ormai fuoriuscito dal regime di cristianità) non è più un discorso autoevidente! Anzi!
    La crisi delle grandi ideologie, la caduta dell'ultima polarità strutturante dei sistemi di senso (l'opposizione Ovest-Est), si traduce oggi in una frammentazione e fluttuazione generalizzate di tutti i riferimenti. Scrive Patrick Michel:

    Toutes les sociétés contemporaines, sociétés occidentales aussi bien qu'anciennes démocraties populaires, sont aujourd'hui «des sociétés post-communistes, au sens où elles ont toutes à gérer la fin d'une polarité d'ultime référence, qui structurait, outre les comportements, les mentalités elles-mé'mes» [19].

    In quest'ambito si comprende il pullulare delle sette e il fiorire di gruppi religiosi o esoterici o di meditazione sempre nuovi, di recente fondazione, senza tradizione: nella setta si entra a far parte per scelta personale, rompendo con una situazione precedente di provenienza.
    È stato scritto: «essere religiosi, nella modernità, non significa tanto sapersi generati, quanto piuttosto volersi generati» [20].
    Il relativismo, la crisi di autorità (l'incapacità delle Chiese di rendere socialmente operative le proprie indicazioni), il soggettivismo (l'integralismo soggettivo che rifugge dal peso di ogni tradizione come legge uniforme e universale a cui attenersi) producono forme religiose sincretistiche: trans-religiosità, doppie appartenenze teorizzate, assunzione di elementi eterocliti rispetto alla «tradizione» religiosa di appartenenza senza che questo sia sentito problematico [21]. È la crescita di una «fede senza dogmi» (F. Ferrarotti)? Certo è che il singolo si sente autorizzato alle più strane miscele religiose: «un pizzico di islam, un altro di giudaismo, qualche briciola di cristianesimo, un dito di nirvana, con la possibilità di tutte le combinazioni, il che prevede anche l'aggiunta, per essere realmente ecumenici, di un po' di marxismo o anche la confezione di un paganesimo su misura» [22]. Dove è chiaro che, ancor più che di sincretismo, si deve parlare di indifferenza (in senso etimologico), come prodotto ultimo del radicalismo pluralista. Mancanza di una tradizione significa anche sradicamento, lacerazione con il passato, il che rende problematica l'edificazione di un'identità personale e la costruzione della relazione con gli altri e con quell'Altro che è Dio.
    In questo senso si comprende bene che molta parte del fenomeno di «rinascita del religioso» possa essere etichettato come risorgenza di religioni o forme religiose a struttura simbolica materna, non paterna [23].
    Fenomeno, questo, di segno regressivo, intimistico, evasivo. E dietro ad esso si può intravedere un problema antropologico, spirituale e teologico: bisogno di padre in una società senza padre, bisogno di padri spirituali in una Chiesa in cui si è troppo dimissionato a questo proposito; sottolineatura del Dio-Padre, Creatore e Salvatore in un contesto teologico che forse l'ha un po' sbiadito dietro al cristocentrismo.

    L'uomo è anche enigma

    Un'altra indicazione antropologica e spirituale che si può trarre dall'esplosione del religioso in questa multiformità e articolazione è quella che ci convince che l'uomo non è pura trasparenza a se stesso, non è pura razionalità, non può spiegare tutto di sé e in sé, ma è anche enigma e che questa enigmaticità va accolta: nel rapporto con sé, con il reale, con gli altri, con Dio.
    Questi fenomeni religiosi lasciano ampio spazio all'irrazionale (avendo ormai assodato che la razionalità non può risolvere ogni problema) e, anche se spesso in forme degenerate, perverse e financo pericolose, rivelano i limiti della tecnica (che spersonalizza penalizzando la soggettività umana), i limiti dell'azione (già mostrati dal fallimento delle ideologie), dunque i limiti della razionalità. Ma implicano anche i limiti della fede e dell'affettività. Dell'affettività: dimensione che viene enormemente enfatizzata ma non ordinata, bensì estremizzata in forme di unione con il cosmo, di ritorni a forme panteistiche pagane (paniche), in forme di onnivoracità, di fusionalità, oppure appagata nella ricerca di sicurezza e di gratificazione nel chiuso del gruppo... Della fede: evidenziando l'impotenza mostrata in questo secolo dalla fede cristiana di creare pace, di rendere vivibile il mondo, di sanare i conflitti, reagendo all'incapacità delle grandi tradizioni ecclesiali cristiane (e non) di attuare una trasformazione del mondo e dell'uomo [24]. L'indicazione che emerge è dunque quella dell'enigma come dimensione costitutiva dell'uomo e dunque del suo farsi, della sua crescita umana e spirituale.

    L'istanza comunitaria

    L'esigenza di vivere insieme, di condividere l'esperienza cristiana emerge da tutti i fenomeni di fioritura religiosa (movimenti, gruppi, sette...). Rivela l'aporia di una Chiesa che ha predicato la Chiesa locale e non ha saputo far nascere delle vite comuni, delle comunità in cui potessero trovare libera circolazione ed epifania i doni personali per l'edificazione del corpo comunitario, in cui ci fosse libertà di parola e di espressione.
    C'è qui tutta la debolezza del modello parrocchiale e la sua attuale crisi. Spesso si nota, e noi stessi l'abbiamo rilevato, che le sette e i movimenti forniscono gratificazioni affettive inserendo il singolo in un calore, in un gruppo chiuso ecc. Ma questa dimensione di appagamento psicologico e affettivo non è un passe-partout... Il «vivere con» è una istanza neotestamentaria fondamentale (cfr. syn zén in Paolo; i sommari sulla vita della Chiesa in Atti) e richiede una concreta esperienza di vita insieme, di condivisione della propria esperienza cristiana, senza la quale rischia di cadere nell'insignificanza anche la partecipazione eucaristica domenicale, se resta l'unico elemento comune... L'amore alla Chiesa passa anche attraverso l'esperienza che è dato di fare di amore nella Chiesa!

    La radicalità del coinvolgimento personale

    L'istanza comunitaria va di pari passo con l'esigenza di radicalità del coinvolgimento personale, con il bisogno di personalizzazione della fede. Si sottolinea la dimensione totalizzante dell'impegno nel movimento, il carattere integrale dell'adesione a un «credo», l'importanza di darsi «senza riserve»... E questo ricorda alla Chiesa la necessità di superare il gap esistente tra fede e vita, e di riconoscere le diverse soggettività che la compongono affinché i loro personali carismi siano di edificazione all'insieme. Questa dimensione di radicalità non riguarda poi solo l'estensione (gli spazi della vita: sociale, familiare...), ma anche la profondità, investe cioè la vita interiore.

    L'esigenza di vita spirituale-interiore

    Quest'istanza emerge dalla ricerca di una esperienza di Dio, di una conoscenza del Signore che sia coinvolgente e vissuta.
    L'esperienzialità e il vissuto sono un aspetto basilare del rinnovato bisogno religioso: la fede deve divenire profonda esperienza di vita teologale, della vita divina. E qui siamo al cuore della vita spirituale, che è vita del Cristo nel credente (cfr. Gal 2,20).

    La dimensione della trascendenza

    La ricerca di un rapporto con il soprannaturale ha aspetti molteplici e variegati, non certo tutti positivi, ma indica anche la sete di fini ultimi, di vita eterna, della dimensione escatologica all'interno di un contesto che ha ridotto sempre più il cristianesimo nei confini dell'impegno sociale, caritativo e del retto agire morale.
    Anche su quest'ultimo punto l'aspetto più squisitamente teologico non può essere scisso da quello antropologico, la domanda sul senso ultimo della vita, la questione dell'al di là, il problema della morte...

    Conclusione

    Si dovrebbero ricordare diversi altri aspetti che caratterizzano la ricerca di Dio e la sete di spiritualità attuali. Tra questi innanzitutto il fatto che la Bibbia sia ormai diventata per molti cattolici un indispensabile riferimento per la propria preghiera e vita spirituale, a livello personale e di gruppi. È il dato più positivo, più importante, più fecondo, perché capace di plasmare una fede libera e matura e di dare radici salde al credente consentendogli la conoscenza di Gesù, il Signore. E questo è il frutto della riscoperta della centralità della Parola di Dio dovuta al concilio Vaticano II.
    E poi la diffusione dei fenomeni del volontariato, del servizio ai poveri, dell'attività sociale e caritativa... Segno indubbiamente di una positiva rottura con una spiritualità individualistica, di separatezza, in favore di un coinvolgimento, una solidarietà, una condivisione con gli altri uomini, i più bisognosi soprattutto. Ma fenomeno che è anche carico di elementi di forte ambiguità; che rischia di «ecclesificare» la fede riducendo l'adesione personale a Cristo negli angusti confini dell'impegno pastorale o della carità organizzata... Fenomeno che, assolutizzato, rischia di offuscare il primato della fede!
    Tuttavia il groviglio di esperienze e fenomeni che abbiamo incolonnato, forse un po' sommariamente, sotto la voce «risveglio del religioso», ci consente già, mi pare, di reperire elementi di positività di una vita spirituale seria; e ci consente soprattutto di affermare che è necessaria oggi una contemplazione cristiana rettamente intesa. L'autenticità (e la legittimità) di una spiritualità oggi la si misura dalla sua capacità di coniugare esperienza umana ed esperienza di Dio. Oggi forse è un periodo in cui andrebbe riscoperta la dimensione della Sapienza (presenza di Dio nel quotidiano, nell'umano...).
    La spiritualità deve farsi storia, incarnarsi in comunità, creare dei tópoi, dei luoghi, dove possa avvenire la traditio (transdare), dove possa avvenire la narrazione dell'azione di Dio attraverso la testimonianza di vite segnate da Dio, di persone afferrate da Dio... Solo così la contemplazione può sfuggire all'accusa di evasione, di u-topia e mostrare la sua efficacia in storie personali di santità e in luoghi comunitari che siano spazi di libertà. E per essere sincera ricerca di Dio dev'essere anche ascolto dell'uomo, dell'uomo ferito e dubbioso, dev'essere ricerca dell'umano, dev'essere capace di svegliare l'uomo che c'è in ogni persona. Perché ogni persona è immagine di Dio, sua icona.

    La contemplazione cristiana

    Non ogni soprassalto mistico o zelo di preghiera può dirsi rispondente all'autentica contemplazione cristiana, e dunque autentica risposta alla rivelazione del Dio cristiano.
    Vorrei qui sottolineare l'aspetto di funzione critica e purificatrice che la contemplazione cristiana esercita su ogni manifestazione spirituale e su ogni atteggiamento del credente e della Chiesa. Funzione che deve essere attivata più che mai nei confronti dei due aspetti più appariscenti del «ritorno del religioso» in ambito cattolico: cioè la rinnovata sete di spiritualità e la ritrovata centralità della Chiesa sulla scena storica.
    Ebbene, nel Nuovo Testamento il vocabolo «contemplazione», in greco theoría, si trova una sola volta, in Lc 23,48, dove ha per oggetto il Cristo crocifisso: «tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo [theoría], ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto». Il termine dunque designa lo «spettacolo concreto [...] di Gesù di Nazareth "Re dei giudei" crocifisso» [25]. Ed è su questo centro focale, irriducibile e irrinunciabile, del Cristo crocifisso, che deve essere misurata l'autentica esperienza cristiana di Dio. Questa theoría trova un suo corrispondente nel vocabolo, molto più frequente nel Nuovo Testamento, gnósis («conoscenza»), che anch'esso ci rimanda alla centralità della croce di Cristo, «scandalo per í giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). Vocaboli che nel linguaggio cristiano si sono purtroppo caricati di valenze filosofiche, neoplatoniche soprattutto, che rendono ancor oggi ambigua la loro valenza semantica prettamente cristiana, ormai distaccata da quella radice che è la croce di Cristo, il mistero di Gesù Cristo morto e risorto.
    Vocaboli poi che, nel contesto socio-culturale attuale, rinviano ad esperienze - il vedere e il conoscere - spesso private di profondità, non colte come esperienze umano-relazionali estremamente dense e articolate (si pensi al mito dell'immagine, dell'esteriorità, del look; e si pensi alla riduzione intellettualistica dell'esperienza della conoscenza). Vocaboli che, nel contesto attuale di «rinascita del religioso», traducono spesso esperienze che contraddicono direttamente il nucleo cristo-logico irriducibile della contemplazione e della conoscenza cristiana: il fenomeno delle apparizioni, la ricerca del prodigioso, della guarigione miracolistica non è forse un voler vedere che si colloca sulla scia della pretesa dei giudei che «chiedono í miracoli» (1Cor 1,22)? Non sta forse nello spazio di quell'atteggiamento che Evagrio chiamava yperefanía («tracotanza», «orgoglio») e collocava al «vertice» degli otto peccati capitali? E il neognosticismo, la riduzione del cristianesimo a sapienza umana, non è forse un voler conoscere che ripete l'atteggiamento dei greci che «cercano la sapienza» (1Cor 1,22)? A entrambi l'Apostolo risponde con vigore: «noi predichiamo Cristo crocifisso» (1Cor 1,23), «io ritenni [...] di non sapere altro [...] se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2).
    Al cuore della contemplazione cristiana sta dunque la croce di Cristo: essa norma, ispira il contenuto della fede («non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»: Mc 14,36), ma anche la forma che la fede deve assumere nella storia («non come voglio io, ma come vuoi tu»: Mt 26,39).
    Essa critica dunque ogni atteggiamento arrogante, ogni gesto o parola ispirato da altro «vanto» che non sia la «croce di Cristo» (Gal 6,14), ogni atteggiamento trionfalistico o di forza che dimentichi che «la potenza [di Dio] si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). E questa conoscenza-contemplazione che ha al suo centro il Cristo crocifisso è un'attività transitiva, per cui il Cristo crocifisso contemplato deve arrivare a configurare il volto e la testimonianza della comunità ecclesiale, a farsi visibile nella persona del credente, a determinare il contenuto e la forma della predicazione e di ogni comunicazione ecclesiale.
    È questa contemplazione che deve informare la visibilità della Chiesa, efficace nella sua evangelizzazione e testimonianza a misura del suo essere trasparenza del Crocifisso. È questa contemplazione che ha plasmato in questo secolo il volto della santità di tanti testimoni guidandoli a una condivisione radicale della miseria, dell'angoscia, dello smarrimento del senso, della discesa agli inferi conosciuti dagli uomini contemporanei: Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Charles de Foucauld, Silvano dell'Athos... Ed è in questa santità misericordiosa e compassionevole verso tutti gli uomini e tutte le creature, mossa da condivisione e non da separazione, che si svela il carattere autentico, non di evasione, ma di vera esperienza di Dio, della contemplazione cristiana. Che proprio per questo diviene linguaggio che raggiunge l'uomo. Essa infatti si mostra capace di plasmare un'umanità rinnovata, di ricreare il cuore dell'uomo: «Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio», diceva Teofilo di Antiochia, e l'icona perfetta del Dio-uomo è il Cristo crocifisso che può essere fatto conoscere, reso visibile all'umanità dalla compassione senza limiti per l'uomo sofferente, dalla misericordia a piene mani per l'uomo peccatore nella piena solidarietà di chi si sa altrettanto peccatore. Contemplato l'evento della crocifissione, le folle «se ne tornavano percuotendosi il petto», annota Luca (23,48).
    La conoscenza e la contemplazione di Dio divengono così anche conoscenza e visione di sé a partire dal Crocifisso. Ma divengono anche capacità di giudizio e di sguardo critico sulla storia: non a caso Giovanni, il testimone della crocifissione (Gv 19,35-37), è divenuto nella tradizione «il veggente», «il teologo» e a lui è attribuita la composizione dell'Apocalisse; un testo che sa volgere uno sguardo critico penetrante e severo al totalitarismo dell'impero romano e leggere la storia con gli occhi di Dio. Cioè con uno spirito imbevuto dell'evangelo. È da lì che può nascere uno sguardo sulla storia che sappia discernervi il peccato dell'uomo e la presenza di Dio. È infatti dall'ascolto della Parola che nascono la contemplazione e la conoscenza cristiane: si fondano sul primato della Parola di Dio nella vita del credente e sulla fede che la Scrittura è mediazione privilegiata di questa Parola, è sacramento della presenza di Cristo. Nella fede cristiana - è stato detto - «si vede attraverso le orecchie», cioè attraverso l'ascolto. E questo svela come la contemplazione cristiana avvenga in uno spazio relazionale in cui l'iniziativa spetta a Dio, il quale «ci ha amati per primo» (1Gv 4,19), ci ha parlato per primo fino a manifestare nel Figlio la Parola fatta carne, Parola che ci raggiunge e si rivolge al credente nell'oggi grazie al suo essersi fatta libro. Un'esperienza cristiana che si rifaccia al Cristo ma pretenda di prescindere dal «piccolo libro» (Ap 10,9-10), dal vangelo, rischia di finire nel soggettivismo e di eludere la croce facendo del Cristo il garante dei propri ideali e progetti. La centralità che la Parola di Dio ha riacquistato nella vita della Chiesa grazie al concilio Vaticano II è elemento essenziale perché la contemplazione cristiana sia sempre ancorata al suo fondamento perenne.


    NOTE

    1 Ed. it. La rivincita di Dio, Rizzoli, Milano 1991.
    2 La novità del Cristo e la post-modemità, in Communio, 110 (1990), p. 87.
    3 Ibid., p. 81.
    4 Ibid., p. 87.
    5 D. Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, Ed. du Cerf, Paris 1993, p. 252.
    6 F. Roustang, Le troisième homme, in Christus, 52 (1966), pp. 566-567.
    7 J. M. Gonzgez Ruiz, La Chiesa nelle intemperie. Riflessioni post-moderne sulla Chiesa, Borla, Roma 1989, pp. 13-15.
    8 T. Anatrella, Psychologie des religions de la mère, in Christus, 154 (1992), p. 243.
    9 Cfr. D. Hervieu-Léger, Verso un nuovo cristianesimo?, Queriniana, Brescia 1989 (ed. orig. francese 1986), pp. 293-298.
    10 Ibid., p. 296.
    li M. Bellet, L'Eglise morte ou vive, Desclée de Brouwer, Paris 1991, pp. 116-117.
    12 Cfr. B. Lobet, Nouvel Age, nouvel espoir? Eléments d'une évalutation théologique, in La Foi et le Temps, XXIII/1 (1993), p. 52.
    13 M. Bellet, L'immense, Nouvelle Cité, Paris 1987, pp. 142-144.
    14 A. Gesché, Le croyant et l'énigme, in La Foi et le Temps, XXI/4 (1991), pp. 293-306 (divenuto il primo capitolo del libro dello stesso Gesché L'homme, Ed. du Cerf, Paris 1993, pp. 15-30.
    35 B. Lobet, art. cit., p. 53.
    16 D. Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, cit., p. 241
    17 Definizione di P. Berger - T. Luckmann, Aspects sociologiques du pluralisme, in Archives de sociologie des religions, 23 (1967).
    18 D. Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, cit., pp. 239-243.
    19 P. Michel, Pour une sociologie des itinéraires du sens: une letture politique du rapport entre croire et institution. Hommage à Michel de Certeau, in Archives de sciences sociales des religions, 81 (1993).
    20 D. Hervieu-Léger, La Religion pour mémoire, cit., p. 245.
    21 A. N. Terrin, Risveglio religioso. Nuove forme dialoganti di religiosità, in Credere oggi, 61 (1991), pp. 20-23.
    22 P. Valadier, La Chiesa chiamata in giudizio, Queriniana, Brescia 1989, p. 75.
    23 T. Anatrella, Psychologie des religions de la mère, cit., pp. 241-253.
    24 Cfr. A. Gesché, L'homme, cit., pp. 15-30.
    25 G. Dossetti, L'esperienza religiosa. Testimonianza di un monaco, in Aa.vv., L'esperienza religiosa oggi, Vita e Pensiero, Milano 1986, p. 223.


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