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    La chiamata alla santità,

    misura alta della

    vita cristiana ordinaria

    Paola Bignardi


    1. Credo che molti di noi ricordano l'emozione provata nei primi anni del dopo Concilio nel leggere quei passaggi della LG in cui si parla dell'universale chiamata alla santità: la gioia di veder riconosciuto un desiderio che dentro di noi avvertivamo come naturalmente legato al nostro essere battezzati e a quell'anelito del cuore che ci dice che siamo fatti per Dio.
    Il Concilio ci ha detto che la santità è possibilità e chiamata per tutti.
    Oggi la Novo Millennio Ineunte ci dice che non solo la santità è chiamata e possibilità per tutti, ma che essa è l'unico modo di essere cristiani; e che rispetto a questa chiamata non esistono sconti, se non tradendo nella sua radice la possibilità stessa di essere cristiani.
    Tra questi due testi ci sono 35 anni di vita; un tempo in cui abbiamo sperimentato la verità, la bellezza e la fatica a vivere ordinariamente secondo la prospettiva della santità.

    2. Siamo stati abituati a riconoscere la santità anche accanto a noi… nelle tante persone semplici che hanno vissuto e vivono con intensità, con amore, con disinteresse; che sanno voler bene anche in situazioni difficili, e affrontano con pazienza -non con rassegnazione, ma con pazienza- le durezze della vita; persone che hanno accolto la vita con riconoscenza, comunque essa sia; persone che hanno saputo stare accanto agli altri non solo in maniera generosa, ma soprattutto umile e semplice; persone che hanno saputo cogliere con spontaneità la relazione tra il mistero della loro vita e quella del Signore…
    Queste persone ci hanno aiutato a pensare che la santità è possibile; è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali e politica…: che anzi è un modo di affrontare e di vivere ciò che è comune ad ogni persona del nostro tempo… Persone il cui esempio ha contestato dentro di noi il pensiero che essere santi è un'esperienza per pochi eroi, o per pers
    onalità eccezionali.
    In questo momento forse ci viene alla memoria qualche figura che è uscita dall'anonimato, ma abbiamo presenti molti altri che nulla ha tolto dall'anonimato, ma il cui spirito era da santo.

    3. Abbiamo conosciuto anche le molte tentazioni di un cammino di vita cristiana: tentazioni che non sono solo nella stanchezza, nell'offuscarsi dell'ideale, ma anche in alcuni aspetti, forse specifici, di questo nostro tempo.
    Vorrei elencarne alcune, che vedo dentro di me o nel contesto in cui vivo:
    - la tentazione di identificare la vita cristiana con la somma delle cose che si fanno in nome della fede, spesso con molta generosità, ma quasi con un'oggettivazione della fede, fuori di noi;
    - oppure il ritenere che una vita cristiana di qualità abbia bisogno di quel raccoglimento, di quel silenzio, di quella calma e solitudine… che la nostra vita non può avere, dispersa com'è tra lavoro e famiglia, tra il rumore della città e la fretta di arrivare; tra la responsabilità degli impegni e il desiderio di goderci qualche momento con gli amici …
    - la tentazione di lasciarsi intorpidire dal modo di pensare comune, per cui anche il nostro modo di pensare la vita, prima ancora che di vivere, si mondanizza, assume le categorie di valutazione che sono quelle di tutti e smettono di essere quelle delle beatitudini, che sono ancora quelle della Pasqua d Cristo; l'insinuarsi dunque di un modo mondano di pensare la vita e poi di viverla;
    - e poi c'è il torpore dell'abitudine, dei comportamenti in cui sembra possa esaurirsi la nostra esistenza di cristiani…
    - ….

    4. A partire dalla consapevolezza di queste tentazioni e da questi esempi, dentro di me si sono evidenziati alcuni modi di pensare e di sentire la vita cristiana, cercando di corrispondere ad essi nella vita:
    - la consapevolezza che corrispondere alla vocazione alla santità è credere alla possibilità della comunione piena con Dio e pertanto non smettere di cercarla, di attenderla, di affidarsi alla promes
    sa di essa;
    - santità è accogliere l'inquietudine del cuore, che ci fa desiderare di continuo un "oltre" di pienezza e di eternità mai raggiunto, se non nell'orizzonte di Dio;
    - santità è vivere con gratitudine, riconoscendo nella nostra esistenza quotidiana i segni attraverso cui il Signore si accompagna a noi e conduce la nostra vita;
    - santità è vivere senza calcolo, con gratuità e disinteresse perché il cuore ha riconosciuto altrove la propria ricchezza, in un tesoro che è amore e che è la relazione con la persona del Signore;
    - santità è consentire che Dio ci rigeneri di continuo nella sua misericordia; è rendersi conto che la comunione con Lui è dono del suo amore: questo libera la nostra vita da quella dimensione affaticante dell'impegno cristiano che sembra talvolta dare l'idea che la vita cristiana è una nostra impresa e che la santità è frutto del nostro impegno; certo il nostro impegno c'entra, ma nell'affidarsi interiore all'amore e alla misericordia; nell'esercizio di una fede che riconosce il primato di Dio ed ad esso di affida, anche quando non comprende, anche quando tutto è oscurità…
    - santità è vivere legando la propria vita al Signore Gesù e al suo mistero. Questo aspetto riassume e racchiude tutti gli altri: credo che oggi sia importante che riscopriamo che alla radice della nostra vita di impegno, di servizio, forse di coinvolgimento corresponsabile nella vita pastorale della comunità c'è la fede e che essa è amore, che ci lega al Signore e che in esso trova il senso della vita. Questa dimensione contemplativa fa sì che la vita di ogni giorno ci appaia in tutta la sua dignità e il suo significato quando semplicemente essa ci riporta a tratti della vita di Gesù; quando ci fa rivivere nella nostra vita ciò che è stato nella sua; semplicemente, quando ci consente nell'amore di continuare in noi il mistero della vita di Gesù e della sua Pasqua.

    5. Vorrei citare qualche testo o situazione della Scrittura che mi hanno aiutato e mi aiutano personalmente a vivere queste dimensioni.
    Tra le pagine della Scrittura mi fa sempre vibrare interiormente quella che racconta di Mosè davanti a Dio sul Sinai e la richiesta: "Mostrami il tuo volto";
    E' l'invocazione che percorre tanti salmi: "il tuo volto Signore io cerco. Non nascondermi il tuo volto" (Sal 27, 8-9); "quando vedrò il volto di Dio?" (Sal 42, 3). E' la domanda della domande della vita di ogni uomo; e dice il bisogno di pienezza che c'è in ogni cuore.
    Ho ascoltato tante volte dentro di me la risposta di Dio: Tu mi vedrai di spalle…. Tu non puoi vedere il mio volto. Non ci sarebbe più spazio per la libertà dell'amore davanti alla rivelazione sconvolgente ed evidente di un Dio che smette di essere mistero e si manifesta nella sua luce. Segno di amore, anche la discrezione di Dio, ma segno che lascia nel cuore il desiderio bruciante di un incontro che ora può solo essere atteso, cercato, preparato nella sua pienezza.
    E accanto a questo testo, infinite volte mi sono detta e ridetta la frase di Agostino: "Signore ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" a prendere familiarità con quell'inquietudine del cuore che non contrasta con la fede ma che è segno del desiderio, che della fede è il risvolto umano.
    Il Papa, nella Novo Millennio Ineunte, ci invita a fare i conti con questo desiderio… e lo orienta alla contemplazione del Volto del Signore.
    Contemplare questo Volto significa percorrere quella via della fede di cui parla il Papa; non la via della comprensione, ma del guardare che riconosce solo nella fede il volto del Figlio; che si affida.
    La contemplazione cui il Papa ci invita è amore e suppone l'amore.
    Guardare il volto non significa comprenderne il mistero; stare a guardarlo significa continuare a interrogarlo.
    Il Risorto ci ha dato appuntamento in Galilea: "andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno" (Mt 28, 10): è questo il messaggio del mattino della risurrezione. C'è una terra, un luogo… in cui il Signore ha promesso di lasciarsi vedere risorto: è la Galilea delle genti, cioè dei pagani; la terra di quelli che vivono esposti alla tentazione; una terra oscura e da poveri…
    La terra della missione, quella in cui vedere il Signore.
    La Galilea è il nostro mondo di oggi; è la nostra vita quotidiana. Il Signore ci dice che nella nostra vita quotidiana lo vedremo. Solo che sappiamo desiderarlo, che vogliamo cercarlo. La terra in cui lo vedremo risorto non è Gerusalemme, la capitale illustre, famosa, che vive al centro dell'attenzione; ma la terra dove scorre anonima la vita ordinaria, di ogni giorno.
    Per me ci sono tre situazioni del mio incontro con Dio, che in maniera diversa nelle diverse fasi della mia vita hanno costituito i sacramenti del mio incontro con Lui. Il sacramento -ci insegna il catechismo- è segno e strumento di qualcosa. Segno che allude ad una realtà più grande contenuta nel segno e significata da esso; strumento, perché quella realtà anche la comunica.

    La preghiera

    La preghiera è uno di questi sacramenti. La preghiera come dialogo, come incontro, come esperienza dello stare alla presenza di Dio, ora nella gioia del sentirsi davanti ad un mistero di amore, ora nell'oscurità, ora nella fatica della fedeltà dell'amore. Il tempo che dedico alla preghiera, in Chiesa o in casa mia, mi hanno aiutato a vivere quella preghiera che è costituita dalla vita: la vera lode è quella che ogni giorno riesco a dare a Dio attraverso una vita che cerca di svolgersi secondo il Vangelo. Ma se questo avviene, è perché la Chiesa mi suggerisce e mi insegna atteggiamenti e parole: quelle della lode, ad esempio; mi ha educata ad essa, perché ogni giorno -a volte con le parole della liturgia a volte con un'altra forma- mi fermo a pregare; sospendo quello che sto facendo e rivolgo a Dio il mio pensiero, il mio cuore, la mia vita. Sento che da laica contribuisco alla preghiera della Chiesa, a questa liturgia del tempo che la Chies
    a eleva con le parole, cui il monaco dà vita con il canto, cui io partecipo soprattutto con l'intensità della mia esistenza, con la gioia degli incontri, con le relazioni con le persone, con la pace della mia coscienza, con la grazia di riconoscere la presenza del Signore anche attraverso le situazioni dure della vita.

    La Parola

    Credo che la preghiera mi abbia educato a poco a poco a fare posto alla Parola, che è il mistero di Dio che ci viene incontro; la Parola sta, nella sua oggettività, nella sua luce o nella sua oscurità: è una porta alla quale continuare a bussare per capire il senso concreto della nostra vita concreta; per lasciarci guidare da Dio. Per capire il cuore di Dio. Se Dio ha scelto di parlarci, la Parola per quanto misteriosa è una forma della presenza di Dio.
    Il desiderio della comunione con Dio, accolta senza paura; l'esperienza dell'ascolto e del silenzio davanti a Dio mi aiutano a vivere cercando nell'esistenza di ogni giorno i segni della presenza di Dio; sono convinta che la vita concreta sia una delle parole attraverso cui si comunica la Parola.
    Soprattutto per chi ha fatto la scelta della vita laicale, interrogare la vita è un modo privilegiato per incontrare la Parola che viene incontro: non solo nei fatti straordinari, ma in quelli umili, ordinari, semplici dell'esistenza quotidiana: quella che più di altre rischia di apparirci muta.
    Luca ci dice che Maria "conservava nel suo cuore tutte queste cose"(LC *); ciò che essa conserva nel proprio cuore è un fatto; qualcosa che è accaduto a lei e alla sua famiglia. Di questo avvenimento essa non capisce il senso: potrebbe considerarlo un episodio banale, oppure porsi di fronte ad esso con la pensosità di chi ritiene che nulla accade per caso e dunque nulla è senza significato.
    Il senso dei fatti quasi mai si rivela immediatamente.
    Essi rivelano il loro significato se "sappiamo conservarli nel cuore", se sappiamo continuare a interrogarli; se sappiamo attendere che essi svelino a
    poco a poco il loro messaggio più vero. E possiamo interrogarli interrogando la parola. Così quanto accade nella vita, dalla Parola può essere illuminato; quanto è scritto nella Bibbia, può venire illuminato -ricreato, rivissuto, reso contemporaneo- dai fatti.
    Quanto avrà potuto meglio capire la Scrittura Maria alla luce di quanto le accadeva? e quanto la conoscenza della Scrittura le avrà facilitato la comprensione dei fatti?
    L'attenzione a Dio che si esercita nell'ascolto della Parola allena a poco a poco all'ascolto del suo mistero che si rivela anche nella vita; e a percepire che la vita è comunque un sacramento di Dio, anche quando è oscura, anche quando è opaca. La Parola ci educa a sentire che l'opacità della vita racchiude un mistero che oggi non ci si manifesta ancora, ma che è comunque mistero di amore.

    Il povero

    Il terzo sacramento per me decisivo per il mio incontro con Dio è il povero, chi è senza voce e senza possibilità di farsi valere, un fratello in difficoltà nel quale so che si nasconde il Signore Gesù. E' uno dei misteri più grandi questo; un sacramento che io ho scoperto a poco a poco. Nelle persone in difficoltà cui ho scelto di dedicarmi credo che continui misteriosamente la pasqua di Cristo, così come continua nell'impegno con cui io cerco di essere per loro il segno implicito dell'amore di Dio e lo stimolo per il loro riscatto. Sono sicura che a chi è stato chiamato a comprendere questa dimensione della vita sarà chiesto l'ultimo giorno quanto e come ha vissuto la grazia dell'incontro con il Signore nell'affamato, nel bambino che ti ha messo alla prova, nella donna che ti ha insultato perché le chiedevi di vivere all'altezza della sua dignità, o dell'uomo che ti ha minacciato perché gli chiedevi di rispettare la sua donna… L'incontro con il Signore è mistero: esso si cela anche in un'umanità umiliata e che si umilia; Lui che ha scelto lo scherno della croce ci chiede di riconoscerlo e di amarlo in ogni forma di umanità sfigurata.

    Conclusione

    Vorrei concludere questa riflessione citando ancora una situazione e un personaggio del Vangelo che personalmente sento molto vicino: è la donna che, secondo il vangelo di Marco, in casa di Simone il lebbroso spezza un vaso di alabastro pieno di unguento prezioso e lo versa sul capo di Gesù…
    E' una donna che dice senza parole il suo amore al Signore e Maestro di cui nella sua vita sente il fascino prepotente; il suo gesto dice un amore che non ha bisogno di parole per dirsi; un amore al quale le parole non bastano.
    E' un amore che spreca, il suo: e che compie un gesto inutile…
    Il suo amore per il Signore è per lei più prezioso di ogni cosa;
    l'amore non si dice solo compiendo gesti coerenti, ma anche compiendo gesti inutili secondo una logica umana….
    Credo che la nostra esperienza cristiana, per recuperare una misura alta, debba recuperare il senso di questo amore che ci lega al Signore, che è il cuore e il segreto della nostra esistenza.
    Allora anche la nostra vita porta un profumo nel mondo: quello dell'amore che abbiamo dato in risposta ad un amore che ci ha conquistato; quello di amore che contagia le nostre relazioni con gli altri.
    La santità dà visibilità alla fede, consente anche ai nostri fratelli di incontrare il Signore attraverso le nostre persone.
    E la santità oggi deve saper dire anche la bellezza della vita: nell'amore di Dio, nella luce della Pasqua, se cerchiamo di rispondere alla chiamata alla santità, possiamo dire la bellezza della vita.

     


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