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    Iniziare alla preghiera oggi


     

    Iniziare alla preghiera

    oggi 

    Luciano Manicardi


    DIMENSIONI COSTITUTIVE E PROBLEMATICHE DELLA PREGHIERA

    “La preghiera non si riduce allo spontaneo manifestarsi di un impulso interiore: per pregare, bisogna volerlo. Non basta neppure sapere quel che le Scritture rivelano sulla preghiera: è necessario anche imparare a pregare. È attraverso una trasmissione vivente (la sacra Tradizione) che lo Spirito Santo insegna a pregare ai figli di Dio, nella Chiesa ‘che crede e che prega’ (Dei Verbum 8)”.
    Così il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2650) ci introduce al cuore del problema concernente l’educazione alla preghiera cristiana ricordando il dato elementare che, come la fede viene suscitata dallo Spirito nell’alveo di una traditio, di un processo di trasmissione (“Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto”: 1Cor 15,3) [1], così è anche per la preghiera, che è l’espressione della fede, la sua eloquenza (il NT parla di oratio fidei: Gc 5,15).
    È esattamente questa parádosis, questa traditio, che rispetta e onora ciò che fede e preghiera sono: un dono che viene da Dio, o meglio, la risposta al dono di Dio che è il Figlio Gesù Cristo [2]. Del resto, già i vangeli attestano la comprensione della preghiera come elemento che può essere trasmesso e insegnato: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e, quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Lc 11,1).
    Prendendo dunque spunto dalle parole del Catechismo iniziamo la nostra riflessione sull’educazione alla preghiera cogliendo alcune dimensioni costitutive della preghiera che rappresentano anche delle difficoltà in ordine all’educazione alla preghiera. Parlando degli ostacoli che rendono tortuoso il cammino di iniziazione alla preghiera si paleseranno di conseguenza anche le priorità da accordare in questa operazione.

    1) La preghiera cristiana come sforzo e fatica

    Una prima grande difficoltà della preghiera è costituita dal fatto che essa non è uno spontaneo moto dell’animo, ma è opera che chiede sforzo e costa fatica. L’introduzione alla preghiera si deve dunque scontrare con l’ostacolo costituito dall’assunzione della fatica come elemento necessario per una pratica di preghiera. Iniziare alla fatica in tempi in cui imperversano i demoni della facilità e dell’immediatezza è certamente problematico. Al tempo stesso questo è un punto ineliminabile del programma di iniziazione alla preghiera.
    Da sempre infatti la tradizione cristiana ha affermato che la preghiera è ascesi, fatica, lavoro, sforzo. Un detto dei padri del deserto è significativo: “I fratelli chiesero al padre Agatone: ‘Padre, nella vita spirituale quale virtù richiede maggiore fatica?’ Dice loro: ‘Perdonatemi, ma penso che non vi sia fatica così grande come pregare Dio. Infatti, quando l’uomo vuole pregare, i nemici cercano di impedirlo, ben sapendo che da nulla sono così ostacolati come dalla preghiera. Qualsiasi opera l’uomo intraprenda, se persevera in essa, possederà la quiete. La preghiera, invece, richiede lotta fino all’ultimo respiro’” [3].
    Questo aspetto “ascetico” della preghiera cristiana (e sottolineo: cristiana; non mi riferisco qui all’esperienza di preghiera in altre religioni) si radica nel fatto che essa non coincide con una preghiera naturale o con l’innato senso di autotrascendimento dell’uomo o con un vago senso religioso.
    Il pregare cristiano, che si innesta, per mezzo della fede e per l’azione dello Spirito santo, nel pregare di Gesù Cristo, il Figlio unigenito che ha rivelato il volto del Padre (cf. Gv 1,18), non è riducibile allo spontaneismo. Proprio perché relazionale e dialogica, proprio perché apertura all’Altro divino, la preghiera cristiana non può essere semplicemente slancio spontaneo del cuore o espressione del sentimento che abita nell’uomo.
    La voce di due grandi teologi e uomini di preghiera del secolo scorso ci viene in aiuto. Ha scritto Dietrich Bonhoeffer: “‘Imparare a pregare’: è un’espressione che ci sembra contraddittoria. Noi diremmo piuttosto: o il nostro cuore sovrabbonda al punto tale che da se stesso comincia a pregare, o diversamente non imparerà mai a pregare. Ma è un errore pericoloso, in verità oggi molto diffuso tra i cristiani, il pensare che l’uomo possa naturalmente pregare” [4].
    E Romano Guardini: “La preghiera che sgorga da un impulso interiore sembra, tutto sommato, costituire soltanto un’eccezione. Chi volesse soltanto su di essa edificare la propria vita religiosa finirebbe probabilmente col non pregare più, farebbe come chi volesse regolarsi in tutto secondo l’ispirazione e l’esperienza vissuta e fare a meno dell’ordine, della disciplina e del lavoro. Una vita simile sarebbe affidata al caso. Sarebbe governata soltanto dal piacere, diverrebbe arbitraria a fantastica e tutto ciò che chiamiamo serietà, responsabilità, sicurezza scomparirebbe.
    Altrettanto accadrebbe di una preghiera che volesse affidarsi soltanto alla spontaneità interiore. Chi medita onestamente e sinceramente sui propri rapporti con Dio si accorgerà presto che la preghiera non è soltanto un’espressione spontanea del nostro intimo, ma che essa è anche e anzitutto un servizio compiuto nella fedeltà e nell’obbedienza. Così bisogna volerla e praticarla” [5].
    La preghiera cristiana è “seconda” rispetto alla parola che Dio ha rivolto all’uomo per primo, è risposta al Dio che gli ha parlato rivelandosi, e dunque comporta un lavoro di apertura relazionale, di ascolto, di conoscenza. Senza questo lavoro, la preghiera resta esposta all’individualismo esasperato di oggi e rischia le derive del soggettivismo, dell’emozionale, dello psicologismo.

    2) L’arte dell’ascolto

    L’iniziazione alla preghiera implica l’educazione all’ascolto. Se il Dio biblico è il Dio che parla, il credente è colui che ascolta. Ascoltare significa fare spazio alla presenza di un Altro ed entrare nella relazione di filialità con il Padre nel Figlio Gesù Cristo per mezzo dello Spirito. E questo significa che un’adeguata educazione alla preghiera dovrà far spazio al silenzio.
    E proprio per questo il silenzio dovrebbe abitare, nei tempi opportuni, la liturgia (“Per promuovere la partecipazione attiva … si osservi, a tempo debito, il sacro silenzio”: Sacrosanctum Concilium 30), dove appare chiaramente che il silenzio non è una pura passività, ma un’attività, un’azione interiore e comune (assembleare) al tempo stesso, è anch’esso “liturgia”. Il silenzio, che spesso è al cuore della ricerca spirituale di molte persone che si volgono ad esperienze religiose orientali o esoteriche, ha tutto il suo spazio nella preghiera cristiana.
    Esso non è ricerca di tranquillità psicologica, ma abbandono radicale dell’orante alla Parola che non cessa di chiamarlo al dono di sé. Esso dunque esige un lavoro, una fatica, così come l’accoglienza della Parola. Solo grazie al silenzio il credente può essere educato a cercare e trovare il Signore non solo fuori di lui, ma in lui, a dare corpo all’esperienza dell’inabitazione della vita divina in lui (Gv 14,23) e a praticare la liturgia interiore, la santificazione della presenza di Cristo nel suo cuore (1Pt 3,15), a cogliere il proprio corpo come tempio di Dio (1Cor 3,16-17; 2Cor 6,16).
    L’ascolto dev’essere considerato un caposaldo dell’educazione alla preghiera cristiana che non è un monologo autocentrato, ma ricerca di una relazione e di un dialogo con Colui che ha parlato per primo e che solo attraverso l’ascolto è possibile conoscere e amare.

    3) L’interiorità

    La preghiera ha bisogno di una vita interiore. Occorre pertanto, nel lavoro di educazione alla preghiera, favorire l’instaurarsi nella persona di una dialogicità interiore, della capacità di pensare e riflettere, di attenzione e concentrazione, di porsi domande, di creare ponti tra esteriorità e interiorità. Se la preghiera è “giudicare e decidere con Dio” (come suggerisce il termine ebraico per “preghiera”, tefillah), essa chiede all’uomo di sviluppare i movimenti umanissimi di riflessione, di conoscenza di sé, di lucidità e vigilanza per giungere anche al discernimento di sé e della realtà.
    Nessuna fretta di insegnare forme o metodi di preghiera: più urgente e importante è educare l’umanità della persona a conoscersi e pensarsi davanti a Dio. Del resto, questo è l’insegnamento che ancora una volta ci proviene dai Salmi: in essi, l’orante pensa la propria vita, in situazioni determinate, davanti a Dio, per arrivare a vivere in obbedienza alla volontà di Dio, per integrare nella fede situazioni drammatiche ed esperienze dolorose.
    In tempi segnati dal primato dell’esteriorità e dell’apparire, di colonizzazione dell’interiorità, di esibizione della sfera interiore e di pornografia dell’anima, è importante accordare spazio e peso alla vita interiore, all’“uomo nascosto del cuore” di cui parla la prima lettera di Pietro (3,4), alle umanissime dimensioni che consentono alla preghiera di svilupparsi come manifestazione di una persona unita e integrata [6].

    4) La dimensione comunitaria e storica

    Un ultimo aspetto che va posto chiaramente in luce, soprattutto in questi tempi di individualismo esasperato, di narcisismo e di ricerche spirituali che nient’altro sono se non celebrazioni del sé, è che la preghiera cristiana chiama ad uscire da sé per vivere nella giustizia e nell’amore nella storia e nella compagnia degli uomini. Nessun ripiegamento intimistico, nessuna evasione dalle responsabilità storiche ed esistenziali: la preghiera non è nido, tana, rifugio, luogo di benessere personale.
    L’uomo che prega è anche l’uomo che sceglie e che paga in prima persona il prezzo delle sue scelte fatte in conformità alla parola di Dio ascoltata, meditata e divenuta luce per il suo cammino. La preghiera anche personale avviene sempre nell’alveo dell’alleanza, dunque nella grande compagnia della chiesa tutta, così come nella preghiera la persona, portando tutta se stessa, vi porta anche le sue relazioni, le condizioni storiche in cui vive, vi porta il suo mondo. E al mondo e alla vita la preghiera rimanda il credente con il compito di illuminarli con la luce della volontà di Dio.

    PRIORITÀ NELL'INIZIAZIONE ALLA PREGHIERA

    Le quattro dimensioni costitutive della preghiera cristiana sopra ricordate rappresentano oggi altrettanti aspetti problematici in ordine alla loro trasmissione. Ma la priorità delle priorità in ordine dell’iniziazione alla preghiera riguarda la sfera dell’interiorità, riguarda l’attivazione di uno spazio interiore.
    Riguarda cioè una dimensione umana, che potrebbe sembrare un preliminare alla preghiera e alla vita secondo lo Spirito, ma senza cui la preghiera non può avvenire. Credo che si debba prestare la massima attenzione a tre movimenti prettamente umani oggi ostacolati dal clima culturale in cui viviamo. Questi i tre obiettivi da perseguire nell’iniziazione alla preghiera: la capacità di ascoltare, la vita interiore, il pensare.

    1) La capacità di ascoltare

    La preghiera cristiana inizia con l’ascolto. E l’ascolto è un movimento umano, umanissimo [7], il cui apprendimento richiede un percorso. Si tratta di imparare a distinguere tra ascoltare e sentire. Ascoltare è atto intenzionale, voluto, deciso. Se sentire è meccanico, ascoltare è una decisione che impegna tutto l’essere umano e ha come obiettivo di comprendere l’altro. Così ascoltare implica concentrazione, attenzione, preparazione, non improvvisazione.
    Richiede profondità, in quanto l’ascolto non si limita alle parole ma al linguaggio del corpo, alla sofferenza profonda dell’altro, all’invisibile che agisce l’altro e si manifesta nelle parole e nei gesti, nei tic linguistici e corporei. Ascoltare esige che si rompa con i pregiudizi, con le etichette e le precomprensioni. Ascoltare è atto di purificazione delle idee che abbiamo sull’altro. L’altro non è una categoria, ma un volto preciso e unico. La sua unicità è rinvio al mistero che lo preserva dall’essere totalmente compreso e definito.
    Riconoscere le paure e le aspettative, i pregiudizi e le precomprensioni che inficiano il nostro ascolto è essenziale per poter contemplare la terra vergine che è l’altro. L’ascolto poi, che è anche e sempre ascolto di sé, di ciò che l’altro suscita in noi, dei movimenti del nostro cuore e delle emozioni che ci abitano, richiede tempo. Occorre prendersi tempo per ascoltare. La fretta è nemica dell’ascolto. L’ascolto chiede pazienza, il rimettersi ai tempi dell’altro: dare ascolto è dare tempo all’altro, è dare parola all’altro, è, infine, dare vita all’altro perdendo un po’ della propria vita, del proprio tempo e delle proprie energie.
    L’ascolto esige tempo perché anche la comprensione lo esige e i tempi dell’espressione e della comprensione spesso non coincidono. Ed esige tempo perché anche la risposta lo esige. Ascoltare è un’arte perché diviene atto di ospitalità verso l’altro. Occorre avere un’interiorità sgombra per potervi far entrare l’altro, per scavare in sé uno spazio di accoglienza dell’altro. E ascoltare implica anche che noi ridimensioniamo e sgonfiamo il nostro ego.
    L’ascolto esige pudore, la discrezione di chi accoglie le parole dell’altro che ci sta facendo fiducia consegnandoci le sue confidenze. L’ascolto è un’ascesi che chiede di sapersi decentrare dal proprio ego per non essere distratti e occupati dalle proprie sofferenze e dai propri pensieri e divenire così grembo accogliente per l’altro che può trovare rigenerazione dal nostro ascolto.
    L’ascolto esige dunque il fare silenzio, non semplicemente il tacere, ma il silenzio come azione interiore che rimuove le interferenze profonde all’accoglienza genuina dell’altro. Ascoltare significa inoltre discernere, vagliare, operare una scelta fra gli elementi che accompagnano il messaggio dell’altro. L’ascolto diviene ermeneutica. Quanto detto sull’ascolto indica che essenziale per l’educazione alla preghiera è l’introduzione alla vita interiore.

    2) La vita interiore

    Educare alla preghiera implica il lavoro di mettersi a servizio dell’attivazione di uno spazio interiore affinché la persona possa compiere quel cammino di conoscenza di sé che sempre si accompagna, nella tradizione cristiana, al parallelo itinerario di conoscenza di Dio. La vita interiore è un’esigenza umana che non può essere messa a tacere. La vita interiore è un appello, una chiamata. La storia della fede e della salvezza inizia con quel cammino di Abramo che è sì di uscita da una terra ma è soprattutto cammino interiore.
    Le parole di Gen 12,1 lek lekà sono invito a uscire dalla terra, ma anche e soprattutto ad andare verso se stesso: “va’ verso te stesso”, significa letteralmente l’espressione ebraica. Questo appello, chiamato a divenire desiderio della persona [8], dà inizio a un vero e proprio pellegrinaggio interiore, al viaggio più lungo e difficile, quello del conoscere se stessi. Viaggio che esige coraggio, il coraggio di chi si apre alle novità che possono nascere inoltrandosi in sé, accettando di mettere a nudo il proprio cuore, di vedere gli enigmi del proprio cuore.
    Interiorità significa capacità di interrogarsi, ben sapendo che proprio della vita umana è l’interrogazione su di sé, la domanda che già orienta il cammino e già veglia sulla risposta, significa attenzione e vigilanza, capacità di volere e reggere silenzio e solitudine. Tutto questo è un preliminare umano assolutamente indispensabile per una vita spirituale e di preghiera.

    3) La capacità di pensare

    In particolare risulta decisivo aiutare una persona (penso soprattutto a dei giovani) ad apprendere l’arte di pensare. Spesso il giovane, quando afferma di pensare si riferisce inconsciamente non ad un’attività (qual è quella del pensare), ma a una passività, all’essere attraversato, come un cavo vuoto, da sentimenti, idee, immagini, rumori, pensieri che si rincorrono e si succedono disordinatamente e non producono dunque nulla di positivo. Il lavoro educativo oggi dovrebbe prendere sul serio il compito di iniziare al pensiero come attività, come lavoro [9].
    Pensare è attività che richiede anzitutto attenzione, la tensione interiore verso un fine, concentrazione per imprimere in noi le tracce della realtà, quindi esige capacità di memoria, per elaborare le esperienze vissute e non lasciarsene agire. Ma esige anche capacità di immaginazione, che è la facoltà umana più adatta per rapportarci al futuro [10], quindi la capacità di giudizio, di valutare situazioni e realtà per poter arrivare ad agire in modo non sconsiderato, ma cosciente e ponderato. Questi elementi mi sembrano oggi particolarmente precari e, al tempo stesso, mi pare che rappresentino delle urgenze nel lavoro educativo.

    CONTENUTI E FORME DELL'EDUCAZIONE ALLA PREGHIERA

    In vista dell’educazione alla preghiera occorrerà poi sviluppare degli elementi che stanno nello spazio di una formazione segnata dalla riflessività. La riflessività indica che l’uomo è chiamato a pensare ciò che vive mentre lo vive, a leggere criticamente tutto ciò che fa sapendovi vedere e leggere se stesso, quasi sviluppando un terzo occhio capace di vedere se stesso, quasi guardando se stesso dall’esterno e così conoscersi e migliorarsi.
    Per usare un’immagine ampiamente usata dai Padri, possiamo ricorrere all’immagine dello specchio. Nel gioco di riflesso che lo specchio attua, l’umano si vede così come è e nell’immagine che gli viene rimandata si innesta non solo la possibilità per l’uomo della riflessione su di sé, ma anche l’illuminazione dello Spirito santo che orienta l’immagine che l’uomo vuol far emergere, immagine somigliante a Cristo.
    L’espressione migliore di questo gioco in cui umano e spirituale convergono nell’indicare una via di cambiamento, anzi, di conversione, alla persona, si trova nel passo di Paolo in Rm 8,16: “Lo Spirito stesso testimonia insieme (symmartyreî) al nostro spirito che siamo figli di Dio”. Vi è specularità tra Spirito (maiuscolo, in senso teologico) e spirito (minuscolo; in senso antropologico).
    Ora non ci resta che accennare brevemente e sommariamente ad alcuni di questi “specchi spirituali” che ci mostrano quali siamo umanamente e che ci invitano ad accogliere lo Spirito santo nel nostro spirito umano e a lasciarcene guidare. Ben sapendo che “coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14) e che la preghiera cristiana avviene grazie allo Spirito santo: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26).

    1) La conoscenza della Bibbia

    Alla radice della preghiera cristiana vi è la Parola di Dio contenuta nelle Scritture. Pertanto è essenziale trasmettere la conoscenza delle Scritture: infatti, “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (Dei Verbum 25, citando Gerolamo). Occorre introdurre nell’arte della lettura spirituale delle Scritture per dare consistenza alla ritrovata centralità della Bibbia nella vita dei cattolici dopo il Concilio Vaticano II.
    “La grande tradizione della chiesa parla sovente di iniziazione ai sacramenti e l’attua in varie forme. Dell’iniziazione alla fede fa parte però anche l’iniziazione alla parola di Dio. Il cristiano deve essere reso capace di leggere e capire la parola della Scrittura sacra” [11]. La lectio divina è la forma tradizionale di approccio alla Scrittura che cerca di fare della lettura del testo biblico l’ascolto di una parola vivente, dell’atto di lettura l’ingresso in una relazione con il Signore che parla attraverso la pagina biblica.
    Aperta dalla preghiera con l’invocazione allo Spirito, la lettura del testo (lectio) si prolunga nell’approfondimento del senso teologico-spirituale dello stesso (meditatio) per giungere alla risposta orante alla Parola (oratio) e sfociare nella contemplazione (contemplatio). La dinamica della lectio divina è il movimento di sistole e diastole della preghiera: con la lectio e la meditatio l’orante fa emergere il messaggio del testo, mentre con l’oratio e la contemplatio risponde alla Parola coinvolgendosi in prima persona e leggendo la propria vita personale ed ecclesiale alla luce della Parola di Dio [12].
    La lectio divina è “esperienza spirituale teologicamente solida e sicura, pedagogicamente accessibile a tutti e quanto mai efficace nella maturazione della fede” [13]: essa consente al credente di avere quell’assiduità con la Parola di Dio che lo plasma quale orante facendo di lui un uomo capace di ascolto.
    Porre la Scrittura al cuore della vita di preghiera aiuterà il passaggio dalle spiritualità (al plurale), spesso impastate di devozionalismi, all’unica spiritualità cristiana che nel battesimo ha la sua figura necessaria e sufficiente e nella Scrittura il suo fondamento genuino [14]. Aiuterà il formarsi di un retto sensus fidei che sosterrà in modo robusto la pratica della preghiera cristiana.
    Il Card. Ratzinger, nel discorso tenuto al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee nel 1995 affermò: “Come è possibile ascoltare la voce di Dio? La risposta è semplice: noi ascoltiamo Dio ascoltando la sua parola dataci nella Sacra Scrittura … La ‘lectio divina’ è l’elemento fondamentale nella formazione del senso della fede … la lectio divina è ascolto di Dio che parla con noi, con me. Questo atto dell’udire esige una profonda attenzione del cuore, una disponibilità non solo intellettuale, ma integrale dell’uomo intero”. Dunque, la lectio divina come maestra di sensus fidei.
    Questa formazione si fonda sul fatto che la Bibbia va intesa come uno specchio, uno specchio dell’umano, uno specchio in cui noi possiamo rifletterci e grazie a cui possiamo veder riflessa su di noi la parola di Dio che ha la capacità di cambiarci. Ha scritto Gergorio Magno: “La Sacra Scrittura si presenta agli occhi della nostra anima come uno specchio, in cui possiamo conoscere ciò che in noi c’è di bello e di brutto, possiamo verificare il nostro progresso e quanto siamo lontani dalla meta. La sacra Scrittura racconta le imprese dei santi e stimola i cuori fiacchi e deboli ad imitarli.
    E, mentre richiama alla memoria le loro azioni vittoriose, rafforza le nostre deboli membra per affrontare la lotta contro il male. Le sue parole rendono meno trepidante nel combattimento il nostro spirito, che si vede posti di fronte i trionfi di tanti valorosi. Qualche volta, poi, non solo ci descrive le loro vittorie, ma ci rende note anche le loro sconfitte, affinché possiamo ricavare dalla vittoria dei forti l’esempio da imitare e vedere nella sconfitta ciò che dobbiamo temere” [15]. Il lavoro di riflessività nella lettura della Bibbia è ben espresso dal testo di Eb 4,12-13.
    La Parola di Dio non solo parla a noi, ma di noi. Mentre la leggiamo essa ci legge; mentre la comprendiamo, comprendiamo noi stessi; mentre la interpretiamo, essa ci interpreta. Dice Eb 4,12-13: “La parola (ho lógos; maschile) di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
    Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a essa (enópion autoû; pronome maschile riferito a lógos), ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi (cioè, della parola) e ad essa noi dobbiamo rendere conto”. Secondo questo passo la parola di Dio ha occhi che scrutano il credente che la scruta; la parola di Dio ri-guarda il credente.

    2) I Salmi

    L’iniziazione alla preghiera non può non passare attraverso l’assunzione di familiarità con i Salmi, che costituiscono l’ossatura dell’officiatura quotidiana della chiesa. Anche i Salmi, secondo la tradizione cristiana, agiscono come uno specchio. Scrive Atanasio di Alessandria: “Mi sembra che i Salmi diventino per chi li canta come uno specchio perché possa osservare se stesso e i moti della propria anima, e recitare i Salmi con tali sentimenti” [16].
    E ancora: “Il Salterio porta scritti e impressi in sé i moti di ciascuna anima e il modo con il quale essa cambia e si corregge affinché chi è inesperto, se vuole, possa trovare e vedere come un’immagine di tutto questo nel Salterio e plasmare se stesso come là è scritto … Nel libro dei Salmi … chi ascolta impara a conoscere i moti della propria anima e, dopo aver conosciuto le passioni che lo fanno soffrire e lo tengono prigioniero, può ancora ricevere da questo libro un modello di ciò che deve dire. E così non si accontenta di ascoltare distrattamente, ma impara che cosa deve dire e fare per curare la propria passione”[17].
    La liturgia quotidiana della chiesa è intessuta della preghiera dei Salmi. Per quanto (come vedremo) siano stati spesso sentiti nella tradizione cristiana come una preghiera difficile, tuttavia i Salmi sono sentiti anche come irrinunciabili da parte della chiesa. Essi non sono solo un libro di preghiere, ma una vera e propria scuola di preghiera attraverso la quale può avvenire una iniziazione al mistero della preghiera. Mi limito ad indicare alcuni nodi che emergono dalla preghiera liturgica dei Salmi e che costituiscono anche i punti essenziali dell’educazione alla preghiera attuata dalla liturgia.

    2.1. L’ascolto della parola di Dio
    I Salmi esprimono al meglio la realtà del Dio che insegna all’uomo a pregare: al cuore del Canone del Primo Testamento, i Salmi contengono la parola di Dio, sono parola di Dio rivolta all’uomo, ma essi, in quanto preghiera, sono anche, più che mai, parola dell’uomo rivolta a Dio. Il Salterio evidenzia l’aspetto teandrico di tutta la Scrittura e ricorda che la preghiera è prima di tutto ascolto della parola di Dio. La parola uscita dalla bocca di Dio dispiega la sua costituiva dialogicità grazie alla sua accoglienza nel cuore di un singolo o in seno ad una comunità e alla risposta che da lì sale a Dio. Risposta che è preghiera liturgica e personale.
    Insomma, i Salmi rivelano che la preghiera cristiana nasce dalla parola di Dio contenuta nelle Scritture: “Se la liturgia parla la lingua delle Scritture, con il tempo il credente, attraverso la preghiera liturgica, potrà nutrirsi della Parola, memorizzarla, fino a creare in lui una mens biblica, un cuore biblico e dunque anche una preghiera segnata dal primato della Parola” [18].

    2.2. L’interiorizzazione
    La liturgia educa alla preghiera favorendo l’interiorizzazione della parola di Dio ascoltata, il farla propria, il comprenderla, nel senso etimologico di cum-prehendere, interiorizzare, fare spazio in sé, proprio come i Salmi, preghiera di altri, esterna, vengono assunti e pregati sempre più in prima persona. Questo significa che la liturgia deve saper alternare con sapienza momenti di parola e momenti di silenzio.
    Parlando del canto dei Salmi presso gli antichi monaci egiziani, Giovanni Cassiano rileva che il canto dei Salmi era intervallato da una pausa di preghiera silenziosa e che il numero non elevato di Salmi pregati era dovuto al fatto che di essi si cercava l’intelligenza spirituale, la comprensione del senso profondo di ciò che si diceva, in obbedienza alle parole di Paolo: “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza” (1Cor 14,15; Gerolamo: Psallam spiritu, psallam et mente) [19].

    2.3. L’interpretazione
    La liturgia tende anche ad educare alla preghiera come atto ermeneutico, come interpretazione del testo, come creazione di legame tra la parola di Dio e la vita, tra parola di Dio e soggettività dell’orante. Per questo la preghiera liturgica dei Salmi (sempre sentita, dicevamo già sopra, come difficile) si è dotata di strumenti per aiutare l’interpretazione cristiana dei Salmi: i tituli psalmorum, le antifone e le collette salmiche [20].
    Circa queste ultime dicono i Principi e norme per la Liturgia delle Ore: “Le orazioni sui Salmi hanno il fine di aiutare coloro che li recitano a interpretarli in senso soprattutto cristiano … Così, terminato il Salmo, e fatta una pausa di silenzio, l’orazione raccoglie e conclude i sentimenti di coloro che hanno recitato il Salmo” (n. 112).
    Dal Salmo, che è già preghiera, nasce una nuova preghiera: nella liturgia la preghiera si trasmette non in modo passivo, ma creativo, dinamico. La preghiera genera preghiera. “Attraverso l’esercizio dell’ascolto, dell’interiorizzazione e dell’interpretazione, la liturgia educa a una preghiera che crea nel credente uno spazio di accoglienza per il Signore e per la comunione con lui. In questo modo, la liturgia educa il cristiano ad andare oltre la liturgia per raggiungere nella preghiera la comunione con Dio” [21].

    2.4. L’unità fra preghiera e vita
    In particolare i Salmi insegnano l’unità fra preghiera e vita. Essi non sono altro che vita e storia messe in preghiera, cioè davanti a Dio: dire che i salmi insegnano a pregare significa che insegnano a vivere le situazioni quotidiane davanti a Dio. Forse è questa la loro valenza più significativa. Essa implica infatti l’unità della persona umana: lungi da scissioni fra spirituale e materiale, fra piano intellettuale e piano della prassi, il vero soggetto della preghiera salmica è il corpo.
    Non solo nel senso che il corpo si impegna nella preghiera con diverse posizioni di preghiera (stare in ginocchio, prostrarsi faccia a terra, battere le mani, alzare gli occhi al cielo, danzare, ecc.), ma nel senso che tutto l’uomo (con tutto il suo essere e tutto il suo mondo) è implicato nella preghiera. La lode può essere designata così: «Tutte le mie ossa diranno: “Chi è come te, Signore?”» (Sal 35,10).
    L’unità tra preghiera e vita comprende anche l’intrinseco rapporto fra piano personale e piano comunitario: l’orante dei salmi non dice «io» senza dire al tempo stesso «noi», senza cioè sapere che il ringraziamento per il beneficio da lui ottenuto è dovuto al suo inserimento nel popolo dell’alleanza, che il peccato da lui commesso e per cui innalza una supplica a Dio, ha ripercussioni sull’insieme del corpo comunitario in cui è inserito (cf. Sal 51, 20-21), ecc.
    Comprende poi il rapporto organico dell’orante con la natura, con il creato, che a sua volta loda Dio con il suo linguaggio non verbale (Sal 8; 19; ecc.) e al cui cuore l’uomo si situa come cocreatura e, infine, il pieno inserimento nella storia, nel problematico rapporto di Israele con le genti, con gli altri popoli.
    La valenza storica ed esistenziale dei Salmi trova espressione in una preghiera che si snoda all’interno di un dinamismo fondamentale costituito dalla bipolarità di lode e di supplica. Non solo la lode e la supplica sono i due polmoni fondamentali della preghiera, ma l’intero Salterio è strutturato in modo tale che in esso, nella sua organizzazione finale, presenta un cammino dalla supplica alla lode, dalla tenebra alla luce, dunque un cammino pasquale dalla morte alla vita.
    I Salmi insegnano che nella preghiera la lode è sempre l’orizzonte inglobante di ogni supplica, perché questa suppone sempre la confessione di fede nel nome di Dio, e che la supplica tende sempre alla lode, cioè al ristabilimento della piena relazione con Dio: l’espressione «ancora lo loderò!» del levita esiliato (Sal 42-43) può essere estesa a tutta la preghiera che è cammino verso la pienezza della comunione con Dio.
    Insomma, i Salmi sono non solo un magistero inesauribile per la preghiera cristiana, ma anche un costante appello alla sua conversione da forme anchilosate, edulcorate, atrofizzate. Con l’infinita gamma di linguaggi che essi presentano (silenzio, lacrime, gemito, grido, sussurro, dialogo interiore, risa, stupore, confidenza, …) essi ricordano che la preghiera è relazione con Dio, ma relazione vissuta, concreta, quotidiana, esistenziale, storica. Ricordano che la preghiera è vita davanti a Dio.

    3) Il silenzio e la solitudine

    La preghiera abbisogna di un tempo e di uno spazio. Abbiamo già ricordato l’essenzialità dell’apprendimento della pratica del silenzio e della solitudine. La tradizione monastica afferma che “la cella è specchio del monaco” e che la cella esteriore, la cella in muratura è rinvio alla cella interiore, alla cella del cuore. Lo spazio esterno rinvia allo spazio corporeo e all’interiorità del monaco.
    Custodire la cella è in realtà custodire il cuore, vegliare, conoscere le proprie tentazioni, combatterle, entrare nella lotta spirituale. La cella è il vero luogo della lotta: per il monaco, fuggire questo moltiplicando letture, ascoltando musica, lavorando al computer, è anestetizzare e bloccare la valenza rivelativa e maieutica che la cella potrebbe svolgere nei suoi confronti.
    La cella, ovvero, uno spazio di solitudine e un tempo di silenzio, consentono di imparare i fantasmi che ci abitano, i demoni che ci agitano, le tentazioni che ci assalgono. Guglielmo di S. Thierry pone in relazione la cella esteriore e quella interiore. “La cella esteriore è quella in cui abita la tua anima con il tuo corpo, quella interiore è la tua coscienza, dove deve abitare, più intimo di ogni tua profondità, Dio con il suo Spirito. La cella esteriore poi non ti nasconda, ma ti protegga” [22].

    4) L’esame di coscienza

    “In che consiste la storia di ogni tua giornata? Prendi in esame le tue abitudini di cui è fatta: sono il risultato di innumerevoli piccole vigliaccherie e pigrizie o invece del tuo coraggio e del tuo ingegnoso raziocinio?” [23]. Nietzsche sembra qui riecheggiare l’antica tradizione filosofica dell’esame di coscienza che dallo stoicismo passò al cristianesimo e al monachesimo. L’esame di coscienza aiuta l’uomo a rendersi conto della sua debolezza, dei suoi errori e lo immette nella via della correzione. Si legga questo testo di Seneca: “‘Aver coscienza delle proprie colpe è il primo passo verso la salvezza’.
    Mi sembra che Epicuro abbia parlato molto bene; infatti, chi non sa di peccare non vuole correggersi; bisogna che tu ti riconosca in errore prima di correggerti” [24]. Non ci vuol molto, anche se ci vuole qualcosa di decisivo, per fare il passaggio e la trasposizione cristiana di questo passo. Seneca scrive: “Io mi metto sotto processo ogni giorno” [25].
    Alla sera, prima di andare a letto, “scruto l’intera mia giornata e controllo tutte le mie parole e azioni, senza nascondermi nulla, senza passar sopra a nulla” [26]. Si tratta di interrogarsi su ciò che si è vissuto, sulle reazioni avute nei rapporti con gli altri, e porre tutto questo davanti alla parola di Dio e allo sguardo del Signore, per non cadere nei perfezionismi moralistici. Qui potremmo dire che il quotidiano, la quotidianità è lo specchio che riflette per noi la nostra immagine e ci permette di esporci alla parola del Signore. Anche qui, si tratta di una pratica trasformativa, tesa a un cambiamento, alla conversione.
    Un aiuto per questo lavoro può essere un diario, ovvero, la narrazione di sé mediante l’esercizio della memoria e della scrittura. Antonio, nella Vita scritta da Atanasio consiglia di fare l’esame di coscienza per iscritto: “Che ciascuno annoti per iscritto le azioni e i movimenti della sua anima, come se dovesse farli conoscere agli altri” [27].

    NOTE

    1 Cf. L. Manicardi, «Punti fermi della trasmissione della fede», in Evangelizzare 9 (2008), pp. 539-544.
    2 Per una problematizzazione dell’idea della fede come dono cf. L.Manicardi, «La fede: dono e scelta», in Servizio della Parola 408 (2009), pp. 111-116.
    3 Agatone 9; in Vita e detti dei padri del deserto, 1, a cura di Luciana Mortari, Città Nuova, Roma 1975, p. 117.
    4 D. Bonhoeffer, Pregare i Salmi con Cristo, Queriniana, Brescia 1969, p. 63.
    5 R. Guardini, Introduzione alla preghiera, Morcelliana, Brescia 19948, p. 10.
    6 L. Manicardi, La vita interiore oggi. Emergenza di un tema e sue ambiguità, Qiqajon, Bose 1999.
    7 Cf. D. Novara, L’ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell’ascolto, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1997; F. Torralba Rossello, L’art de savoir écouter, Éd. Privat, Toulouse 2008.
    8 “Voglio ardentemente conoscere Dio e la mia anima” (Agostino, Soliloqui I,2,7); “O Dio, ch’io mi conosca, ch’io conosca te” (Soliloqui II,1).
    9 Cf. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001; H. Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987.
    10 Cf. L. Manicardi, L’immaginazione: potenza di Dio, potenzialità dell’uomo, Qiqajon, Bose 2010.
    11 CEI – Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi, La Bibbia nella vita della chiesa, n. 27.
    12 E. Bianchi, Pregare la Parola. Introduzione alla “lectio divina”, Gribaudi, Torino 199011.
    13 La Bibbia nella vita della chiesa, n. 31.
    14 L. Manicardi, «Dalle spiritualità alla vita nello Spirito santo», in Qol 100 (2002), pp. 16-17.
    15 Gregorio Magno, Commento a Giobbe, 2,1,1.
    16 Atanasio di Alessandria, L’interpretazione dei Salmi 12.
    17 Ibidem, 10.
    18 G. Boselli, «La formazione alla preghiera», in La formazione liturgica (a cura di Andrea Grillo), Atti della XXXIII Settimana di Studio dell’Associazione Professori di Liturgia, Camposanpiero (Padova), 28 agosto – 2 settembre 2005, Edizioni liturgiche, Roma 2006, p. 176.
    19 Cassiano, Institutiones II,5.11.
    20 P. Salmon, Les “tituli psalmorum” des manuscrits latins, Cerf, Paris 1959 ; P. Verbraken, Oraisons sur les 150 Psaumes, Cerf, Paris 1967; A. Rose, Les psaumes voix du Christ et de l’Eglise, Lethielleux, Paris 1981.
    21 Boselli, art. cit., p. 182.
    22 Guglielmo di Saint-Thierry, Lettera d’oro 105-106.
    23 F. Nietzsche, La gaia scienza, 4/308, in Idem, La gaia scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882, (Opere di Friedrich Nietzsche V,II), Adelphi, Milano 19912, p. 211.
    24 Seneca, Lettere a Lucilio 28,9.
    25 Seneca, L’ira, III,36,3.
    26 Ivi.
    27 Atanasio, Vita di Antonio 55,9.

    (articolo tratto da www.parrocchia-zerfaliu.it)


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