Il regno di Dio è tra voi...
Facciamo un ragionamento un po' provocatorio e quasi cinico: se il paradiso - di là - è costituito da Cristo risorto, Cristo è già risorto, dunque il paradiso è già iniziato: è tra noi. Lo assicura il Vangelo: «Il regno di Dio è tra voi».
Parola strana se ce n'è una. Sembra una beffa. Basta guardarsi attorno per rendersi conto che non è vera. Facciamo l'inventario delle vite sbagliate, dei dolori innocenti, delle tragiche fatalità, delle cattiverie lucide... Per non parlare di guerra, di fame, di forni crematori e cose simili. Non ci vuol molto ad accorgersi che la terra, nonostante i nostri canti e le nostre borie, rimane la valle di lacrime di sempre; forse neppure un inferno dalle alte grida e dalle rivolte titaniche; qualcosa di dimesso e di nascosto, piuttosto: appunto com'è il pianto o la lacerazione interiore o la rabbia o il senso di inutilità che uno si porta dentro e non ha neppure il coraggio d'ammettere.
Non bisogna scherzare col dolore. Se ne può discutere freddamente o perfino sorriderne quando non lo si prova. Poi, basta un raffreddore o un'emicrania per mandare all'aria tutta la festa dei bei ragionamenti. La canna pensante di Pascal. O, senza scomodare Pascal, me lo diceva il mio vecchio parroco qualche giorno prima della Messa: vedrai, nella vita troverai più dolori che peccati. Allora me ne scandalizzai. Oggi, quasi gli do ragione... Bene. La valle di lacrime. Eppure non si può ignorare che il regno di Dio è tra noi: il regno non ancora concluso; ancora celato sotto i veli dei nostri sforzi, dei nostri tradimenti, delle nostre deludenti pigrizie; ma il regno: cioè il Cristo vittorioso sulla morte e sul peccato; e tutto ciò che in Lui ci verrà donato: la gioiosa parola del corpo, la consolazione e lo stimolo dell'amicizia, l'allegria di una giornata di sole, la benedizione d'un lavoro riuscito...
Il regno dei cieli - il ritorno del Salvatore - avverrà come un lampo, improvviso e inaspettato come un ladro di notte; ma ha pure le sue anticipazioni. La vita terrena non è una sorta di anticamera del dentista: è un apprendistato - lungo quanto è necessario e talvolta fallito - della beatitudine futura. Non sto colorando di rosa gli sfondi e le quinte della grande scena tragica del mondo. Sto dicendo che occorre educarsi alla gioia; che occorre superare i mugugni e le tetraggini per rendersi capaci di qualche momento di ebbrezza; che occorre riuscire a scorgere lietamente le cose «che vanno» e non solo dolersi delle cose «che non vanno»...
Dubito che entri in paradiso uno che non voglia sorridere: e il sorriso - il sorriso, non le sganasciate scomposte e le vuote melensaggini - è una conquista oltre che un dono. Il Cristianesimo non è una scuola di lamenti. Non è neppure una congregazione di arcigni asceti professionisti. Esige il sacrificio, ma in vista d'una esistenza più compiuta e attuata, che fiorisca nella gratitudine e nel canto - o almeno in una serenità pudica che non si preoccupa neppure di manifestarsi. Ma si manifesta perché nasce dall'amore, e l'amore - lo si sa - è un poco come il mal di denti: non lo si nasconde a lungo.
Mi torna alla mente il vecchio Filippo Neri che lanciava all'aria, per le strade di Roma, il suo cappello da prete, gridando: paradiso, paradiso. E il paradiso lo aspettava, ma già lo possedeva. Lo possediamo anche noi in anticipo; basta saperlo scorgere tra le pieghe di una vita qualsiasi: in un libro letto, in un incontro cordiale, in una musica ascoltata, in un bambino che inizia a camminare, in un fiore che fa capolino nel vaso nella finestra, nel silenzio di una chiesa, nel semplice fatto d'esistere. Giurerei che, a questo punto, qualcuno mi sta accusando di sentimentalismo... Già. Per sentire la poesia delle cose è necessaria la conversione. Ed è una poesia tutt'altro che inconcludente.
(Alessandro Maggiolini)