Il mistero, un fascino
La Trinità: un dogma che appare spesso arido, ininteressante, e che mette talvolta noi preti in imbarazzo per la predica.
Dunque, sono tre Persone e una Natura divina: il Padre ab aeterno genera il Figlio, e il Padre e il Figlio ab aeterno spirano lo Spirito Santo. La dottrina è tutta qui. Sembra non dir molto al cuore e alla vita. La speculazione teologica tenta una qualche comprensione: ci deve pur essere un motivo per cui sono tre, come i tre moschettieri, i tre uomini in barca, i tre magi - come si usa pensare -; ma alla fine la speculazione s'arresta, incapace di penetrare il fondo di questo abisso di luce. È un mistero, diciamo noi. E magari - se proprio siamo a corto di documentazione e di fantasia - ricorriamo al solito esempio di sant'Agostino che sulla spiaggia voleva versare tutta l'acqua del mare in una piccola buca scavata; e l'Angelo che gli appare e gli fa notare l'assurdità della pretesa. Conclusione: così non ci può stare la realtà di Dio nella nostra piccola mente.
La cosa ci irrita un po'.
Facciamoci una domanda un po' brusca: che ci importa di un mistero come quello della Trinità? e perché Dio si diverte ad umiliarci rivelandoci verità che non possiamo capire? Se le tenga per sé. Non ci scomodi per nulla...
Il mistero. Devo essere onesto: durante gli anni di studio della teologia, al termine del trattato sulla Trinità, ho provato un'espressione penosa e deludente. Mi son trovato tra le mani un mucchio di definizioni astratte - astruse stavo per dire - e di ragionamenti al limite di una logica da funambuli o da trapezisti. Mi tornavano alla mente certe formule di chimica organica - una materia che non ho mai capita - dove gli atomi si disponevano secondo le valenze in disegni che mi sembravano geroglifici e mi mortificavano e mi intimorivano... Non vorrei snobbare l'indagine teologica. M'ha sempre messo rispetto e soggezione; ha un senso: è il tentativo umano di carpire il segreto di Dio, una sorta di lotta che si sa già terminerà con una nostra sconfitta e con la richiesta della benedizione, poiché il mistero rimane sempre il mistero. Va colto più col cuore che con la mente. Lo si intuisce più in ginocchio che a tavolino, con i pugni serrati alle tempia. E si avverte che non è una sorta di sfida beffarda che Dio ci lancia per tenerci in soggezione, ma un gesto di dilezione con cui Dio offre se stesso. II mistero è la realtà stessa di Dio che ci viene donata; non una sorta di rompicapo come certi indovinelli particolarmente difficili della nonna o certe sciarade da professionisti dell'enigmistica. Lo si ama più di quanto non lo si comprenda. Un poco come in ogni rapporto interpersonale. Un innamorato richiesto di descrivere la ragazza, non parla come un certificato d'anagrafe. Si trova impacciato nel tentativo, ma gli brillano gli occhi, lo si vede... Così è - e ancor più - per Dio.
Il suo mistero non è da temere: è da desiderare; diversamente, avremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza, non l'orizzonte infinito in cui ci perdiamo gioiosamente. Se si colgono bene le cose, non si dice: ahimè, un mistero; ma si dice: che bello, un mistero! Come da bambini di fronte alle fiabe, che sono più vere della realtà.
Sant'Agostino, commenterebbe: se pensi d'aver compreso Dio, bada che non è Dio ciò che hai compreso. E qui nasce lo stupore, la gioia, la lode... Tanto più che questo mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito non è cosa lontana, una sorta di formula matematica chiusa in se stessa, ma l'aprirsi di Dio che ci introduce nel suo segreto. La Trinità ci ha raggiunti; o meglio: ci ha immessi nella sua vita. Lo Spirito è in noi, ci conforma a Cristo e ci porta al Padre. Siamo dentro questo mistero con tutta la storia e con tutte le nostre vicende più comuni. La vita intera ci è segnata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dalla culla alla tomba. La vita intera muta.
(Alessandro Maggiolini(