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    Il mistero

    della fratellanza

    disinteressata

    Karl Rahner

    Noi abbiamo indicato molte concrete occasioni in cui si possono esercitare la fratellanza e l'amore fraterno cristiano e abbiamo dato, al riguardo, dei concreti consigli, che spesso possono apparire molto banali e ovvi ma risultano opportuni anche a un sano buonsenso che riesce a risolvere i problemi del quotidiano. Tuttavia, in conclusione, si deve nuovamente rievocare il mistero di questa fratellanza, che è insondabile, perché esso, anche se sotto un determinato aspetto, s'identifica praticamente con la totalità dell'esistenza umana.

    Solo nella fratellanza l'uomo incontra veramente l'uomo come tale, poiché un cattivo incontro sottrae sempre a un uomo l'altro uomo in alcune dimensioni essenziali e lo rende cieco per queste. L'uomo, però, è in definitiva un, o meglio, il mistero. Infatti, egli è se stesso solo quando e laddove, in un'illimitata apertura, come domanda infinita si abbandona in libertà all'incomprensibile mistero che noi chiamiamo Dio. E così, il mistero dell'uomo, condizionato e fondato nel mistero di Dio, è in definitiva sperimentabile non mediante una conoscenza che voglia impossessarsene teoreticamente, ma solo nel miracolo dell'amore. Quest'uomo ha a che fare con quest'altro uomo nell'amore del prossimo. Quest'amore del prossimo trasferisce l'uomo che ama all'altro non solo in questa o quella particolarità o caratteristica controllabile e manipolabile (dell'utilità, della prestazione materiale, del vitalmente piacevole, dell'esteticamente incantevole, ecc.), ma come un tutto, come un «soggetto» con l'incalcolabile e illimitata vastità della sua coscienza e libertà, con il suo autoperdersi in Dio. E questo amore del prossimo assume ugualmente l'altro come questo soggetto imprevedibilmente misterioso. L'amore del prossimo è l'entrare uno nell'altro o il compenetrarsi di questi due soggetti, in cui il mistero per antonomasia - Dio - è presente e con la sua presenza, in definitiva, rende indistinti i confini di questi due soggetti, in quanto per lo meno ciò che noi cristianamente definiamo grazia fa di Dio come tale la determinazione (die Bestimmung) interiore del soggetto finito, e così Dio stesso diviene una determinazione interiore nello scambio dei due soggetti attraverso l'amore del prossimo, la fratellanza.

    Ora, però, a questo valore quasi patetico ed esagerato dell'amore del prossimo si deve subito aggiungere qualcosa di protocristiano e di singolare. Esistono già - o è perlomeno ipotizzabile che vengano sviluppate - delle antropologie sublimi che si concepiscono anche come cammini o vie al completamento dell'uomo, in cui tali incontri di due misteriose infinità o immensità si verificano nel mistero infinito per eccellenza - chiamato Dio - e si possono definire amore del prossimo o raggiungono tale amore del prossimo nella sua vera natura sublime. Ma tali antropologie come cammini vita corrono sempre il pericolo di concepire il verificarsi di tale piena intercomunicazione di due infiniti misteri, questo bacio di due eternità, come un qualcosa che avviene solo di rado, per cui la vita normale degli uomini ordinari può solo intendersi come misero e debole esercizio preparatorio, che come tale deve essere messo da parte dal signore della storia. Una tale antropologia, assunta di propria iniziativa, oserà pensare comprensibilmente che ciò a cui mira e che magnifica enfaticamente si sia verificato in un paio di santi, eroi, saggi sublimi, guru, mistici, mentre invece la gente ordinaria - molti, troppi - rimane irrimediabilmente al di fuori. Sembra che un'antropologia sublime sia inevitabilmente condannata a essere elitaria. Sembra che, in luogo di questa sublime fratellanza di soggetti infiniti, per gli uomini normali rimanga solo una fratellanza depotenziata basata su una rispettabile convivenza, in cui gli individui comunicano solo in questo o quel particolare utile e in un certo qual modo dilettevole, non però nella loro infinita natura di soggetti. Ciò è comprensibile, perché tale antropologia autonoma di una fratellanza sublime può contare soltanto sulle possibilità dell'uomo limitato, non però sulla potenza della grazia di Dio e della sua autocomunicazione che può veramente trasformare le potenzialità infinite in effettive realtà.

     

    L'antropologia della fratellanza cristiana concepisce la cosa in modo diverso. Essa ha l'incredibile coraggio di affermare e asserire il sublime più inverosimile dell'uomo e di pretendere da esso quanto possibile, senza divenire elitaria. La teologia cristiana della fratellanza è persuasa del fatto che questa fratellanza di un'infinita comunicazione di due soggettività illimitate, avvolta e sostenuta dall'assoluto mistero di Dio infinito, sia possibile per tutti coloro che sono uomini, sia possibile per tutti e sia perfino un dovere sacro e inesorabilmente richiesto, quindi anche per la normale media degli uomini, per coloro che si arrabattano faticosamente nella vita, che hanno orizzonti all'apparenza terribilmente ristretti, e che sembrano essere soltanto trascinati dalla cura della loro esistenza miseramente limitata. L'antropologia cristiana non dimentica neppure costoro e ha l'incredibile ottimismo di credere che anche in loro si possa verificare, si debba verificare e di fatto si verifichi quell'amore che l'antropologia più sublime esalta e non può mai scandagliare.

     

    Se si considera la massa di uomini così terribilmente primitiva quanto a sensibilità umana, la cui corrente si trascina faticosamente e pesantemente attraverso la storia, si potrebbe pensare realmente con rassegnazione e scetticismo che in essa, se mai, in questa melma di primitività ed egoismo, si verifichi solo di rado il miracolo di quest'amore sublime. Ma il cristianesimo (qui prescindiamo dalla questione dei bambini che muoiono senza aver raggiunto l'uso della ragione e altri casi assimilabili, perché in definitiva su di loro non sappiamo nulla e non occorre si sappia), è convinto che in ognuno di questi uomini mediocri, di cui facciamo parte anche noi, si verifichi l'evento insondabile di tale amore oppure che quest'uomo sia semplicemente perduto per propria colpa.

    Questo ottimismo cristiano, antagonista di ogni superbia elitaria, forse finora non ha riflettuto abbastanza su come questo miracolo possa verificarsi in noi uomini normali, perché si è pensato troppo alla questione della salvezza dell'uomo rifacendosi a modelli interpretativi di tipo legale, e si è immaginata la salvezza o la dannazione mediante l'osservanza di un paio di comandamenti singoli, cosa che in realtà ha poco a che fare con il conseguimento dell'amore più elevato tra noi e verso Dio. Ma questo ottimismo cristiano può e deve essere antielitario per la coscienza religiosa del cristianesimo, anche se non sapesse esattamente in che modo concepire come possibile ciò che esso afferma con certezza come reale. Si può, inoltre, pensare anche a un qualcosa che, perlomeno da lungi, possa far presagire e comprendere che nel nostro quotidiano, apparentemente solo misero e insulso, fra noi poveri e piccoli borghesi avvenga il miracolo di questo amore immenso. Tale miracolo deve certo essere opera di una libertà consapevole; per questo, però, non occorre che esso si verifichi nell'uomo in modo esplicito e venga da lui documentato con quei concetti inevitabilmente patetici che noi utilizziamo qui, senza avere raggiunto con ciò la realtà che è sempre maggiore e più profonda di quanto si possa esprimere con tali parole empatiche.

    Inoltre, si può ben capire che anche nella vita più ordinaria di un uomo capitano dei momenti che danno spazio a tale amore irriflesso, ma reale, d'infinita ampiezza. In qualche parte, anche il corso più normale di una vita da piccolo borghese con i suoi problemi quotidiani (di cui fa parte anche tutta la nostra attività culturale) ha momenti in cui tale attività si arresta e si aprono degli spazi e dei varchi che permettono degli sguardi nell'apparentemente vuoto, ma in realtà nell'infinito, e ciò che apparentemente è solo il reale diviene il punto di partenza e la cornice per lo sguardo della coscienza e della libertà che si perde nell'immensità e non rimane più ciò di cui ci si occupa «in modo oggettivo e realistico». E, cosa ancor più importante, di tanto in tanto si verificano presumibilmente in ogni vita umana dei momenti in cui l'amore quotidiano concreto e razionale, che a malapena si può distinguere dall'egoismo ragionevole, viene improvvisamente posto di fronte all'alternativa di amare senza ricompensa, di fidarsi senza contropartita, di osare laddove da una persona ci si aspetta solo un'avventura senza senso che non può rendere nulla.

    In tali momenti, allora, la libertà dell'uomo si trova di fronte all'alternativa di essere prudentemente codarda e di venir meno a se stessa, di non osare; oppure essa e il soggetto libero, con coraggiosa fiducia, che è apparentemente assurda ma, miracolo dei miracoli, esiste, sanno amare realmente nel vero senso della parola e senza contropartita. Allora, non esiste più un terreno di cui prima si sia potuta provare la solidità, allora la libertà osa più di quanto gli venga concesso da una razionalità calcolatrice, allora la libertà e lo stesso soggetto osano e s'immettono nell'insondabile, nell'illimitato, in cui dimora Dio, che in definitiva si può sperimentare soltanto in questa caduta abissale. Certo, questa libertà nel suo cadere o inabissarsi nell'inaudito mistero di Dio non riflette più su se stessa; certo, questa caduta in definitiva è indotta, resa possibile e assorbita da ciò che noi chiamiamo la grazia di Dio, che è la sola a poter donare la libertà per questa caduta o salto incondizionato. Ma ciò non muta per nulla il fatto che tale miracolo d'amore e libertà infiniti, e quindi di fratellanza, possa verificarsi nel nostro quotidiano. Per questo, la rampa di caduta (se possiamo definire così quel che s'intende dire) può essere molto ristretta ed emergere in modo quasi impercettibile dalla piattezza del quotidiano. Ma queste piccolezze (biblicamente: il bicchiere d'acqua dato agli assetati), la parola buona al capezzale dell'ammalato, la rinuncia a un misero, meschino vantaggio nei confronti di una persona il cui egoismo ci fa arrabbiare, e altre mille inezie della vita quotidiana, possono costituire l'umile prestazione mediante la quale si realizza il vero ideale della fratellanza disinteressata, che è l'opera vera e propria della vita.

    La fede cristiana ha la convinzione che solo l'amore per Dio e per l'uomo, che è più di un comandamento e la pratica di un dovere, conduce l'uomo alla salvezza; che esso costituisce la totalità della legge e dei profeti; che esso si verifica e realizza, però, anche nell'umiltà della vita quotidiana normale e che in questo quotidiano possono già compiersi e verificarsi, anche se in modo non appariscente, quella rinuncia definitiva e quella resa finale a Dio, che ci permettono di partecipare all'ultimo atto di Gesù sulla croce. La fratellanza, che è sostenuta dall'amore per Dio e in esso si avvera e si realizza, è il massimo. E questo massimo è la possibilità che viene offerta a ogni uomo.

    (Epilogo del libro CHI E' TUO FRATELLO?, Messaggero 2006, pp.67-73)


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