Il mio incontro
con Cristo
Carlo M. Martini
(NPG 1997-6-47)
Considero come una sfida questo invito a parlare sulla figura di Gesù, come uno stimolo a ripensare, alla soglia dei miei settant’anni, a che cosa è stata per me la figura del Signore a partire dagli inizi, a come si è svolta l’avventura del mio cammino con Gesù Cristo, con quali tappe, con quali oscurità e con quali luci. Ritengo infatti assai difficile parlare della figura di Gesù in astratto, in maniera distaccata. È tipico della figura di Gesù di coinvolgere chiunque le si avvicini. Se restassi sul piano puramente teorico, avrei l’impressione di dire ciò che non sento e di non esprimere ciò che sento. Mi pare più consono allo stile di questi incontri il mettermi sul piano personale, descrivendo un cammino concreto di conoscenza della figura di Gesù attraverso alcune tappe e alcuni momenti successivi. Lo farò narrando una sorta di autobiografia, quasi raccontando un viaggio, mescolando – ma senza confonderli – elementi soggettivi e oggettivi. Quelli oggettivi sono i dati storici, fattuali riguardanti la vita di Gesù; quelli soggettivi sono i miei cammini, spesso faticosi, mediante i quali sono venuto a conoscere e a valutare questi dati, a scontrarmi con essi e ad integrarli nella mia intelligenza e nelle scelte di vita.
Parlo dunque in terza e in prima persona, singolare e plurale («io» e «noi»), esprimo qualcosa di mio che può essere di ciascuno, racconto un’avventura che potrebbe essere emblematica e, lo spero, far pensare, o «aiutare a rispondere». Un’avventura che si può ritmare secondo dei tempi. Parafrasando un romanzo uscito recentemente e già molto discusso – Anima mundi di Susanna Tamaro – che parla di tre fasi della vita umana: Fuoco, Terra, Vento – il tempo della crescita, il tempo del discernere, il tempo del riapprodare a sé – e richiamandomi liberamente anche alla teofania presso il Monte Oreb al profeta Elia (cf 1 Re 19,11-13) cui la presenza di Dio si manifesta misteriosamente nel fuoco, nel terremoto e poi nel mormorio di un’aura leggera, distinguerò il mio racconto in cinque fasi.
Tempo del fuoco o della fascinazione
Il viaggio ha avuto inizio per me molto presto, nella fanciullezza, nella prima adolescenza. È la storia di un ragazzo che ha conosciuto Gesù – nell’educazione familiare, scolastica, negli ambienti di vita – e ne è stato grandemente affascinato, se ne è innamorato. Ha avvertito subito che con una figura così non è possibile scherzare: o si prende tutto o si rifiuta tutto. È un tempo di conoscenza crescente ed entusiasta. Il tempo del fuoco. Uno impara a prendere in mano i vangeli, a stupirsi della incisività delle parole, della ricchezza dei contenuti, della forza delle decisioni, della intrepidezza delle scelte, della coerenza della testimonianza di Gesù. Tutto appare originale, sorgivo, nuovo, imprevisto, lucido, esigente, semplice e a portata di mano e insieme ricco di promesse ulteriori.
Tempo dei dubbi o della terra
Questo primo tempo felice non dura molto però. Segue un secondo momento, che potremmo chiamare la tappa delle domande o dei dubbi. La tappa della terra. Incominciano gli interrogativi, prima appena accennati, poi più insistenti: ma sarà proprio così? Come facciamo a sapere che i vangeli ci dicono il vero? Che le cose sono andate in questo modo?
Qual è il fondamento storico di ciò che questi libri narrano di Gesù? Perché queste pagine sono credibili? Non rischiamo forse di costruire una figura a partire dalla fantasia di alcuni fanatici del passato? Tutto quello che si dice su Gesù è molto bello, ma avrà un fondamento?
Il ragazzo decide allora di leggere quanto può trovare sui fondamenti storici della figura di Gesù. Fruga nelle biblioteche, ascolta chi sembra saperne di più. Tuttavia c’è sempre una qualche insoddisfazione, una qualche delusione. Dalle risposte nascono interrogativi nuovi. Si ha come l’impressione che coloro che rispondono alle domande sul fondamento storico della figura di Gesù lo facciamo con una certa faciloneria, con una certa supponenza, come per sottrarsi alle domande importune di un ragazzino o che vogliano difendere una causa già decisa, per partito preso. E le soluzioni un po’ scontate non soddisfano fino in fondo.
Tempo del vento o dell’accanimento
Giunge allora – ed è stato il caso fortunato della mia vita verso i 25 anni – il tempo dell’accanimento, il tempo del vento gagliardo di cui parla il Libro dei Re: «Un vento fortissimo che spaccava la montagna e fracassava la roccia» (1 Re 19,11). La volontà di scoprire fino in fondo la verità su Gesù si incontra, per provvidenziali circostanze di tempo e di luogo, con la possibilità di dedicarsi per intero allo studio scientifico delle origini cristiane: lo studio delle lingue in cui furono scritti i libri della Bibbia (ebraico, aramaico, greco), la frequentazione dei papiri e dei codici antichi, la conoscenza dell’archeologia e delle culture dove si sono inseriti i fatti narrati dai vangeli, eccetera. È un lavoro senza sosta, una esplorazione che pare non finire mai; ci vuole una forte volontà, quella appunto di un vento gagliardo, per non arrendersi di fronte alla moltitudine dei dati. Ma il lavoro paga. Perché dal tempo che chiamiamo dell’accanimento, del vento insistente, uno ricava molte nozioni, ricava la capacità di orientarsi su tante cose, di darsi numerose risposte. Tuttavia l’avventura non si chiude qui.
Tempo della prova o del terremoto
Il terzo tempo mi aveva messo in contatto con una moltitudine di testi, di memorie antiche che permettono di fondare più attentamente e scientificamente quanto si può dire di Gesù. E tali ricerche continuano, pur se io non ho più il tempo di seguirle da vicino. Oggi ci si orienta meglio che nel passato a riconoscere la grande autenticità dei vangeli. Il tempo dell’accanimento doveva essere accompagnato da quello della prova, della messa in questione. Viene alla mente la parola di Gesù a Pietro: «Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano» (Lc 22,32). Il vaglio non è un incidente di percorso, è un momento provvidenziale, il momento del terremoto, secondo l’evocazione del Libro dei Re sempre a proposito di Elia (1 Re 19,11), è il tempo in cui la fede è scossa e messa alla prova. Tale vaglio è avvenuto per me nel modo seguente. Lo studio delle fonti e delle testimonianze antiche su Gesù comportava anche lo studio delle interpretazioni antiche e moderne su di lui, soprattutto su quelle dal 1700 ad oggi, dal sorgere della critica storica, dell’illuminismo e del positivismo storico fino ai nostri giorni. Mi misi a leggere tutti i libri e le interpretazioni, le divoravo, le scrutavo, le soppesavo. Volevo vedere chi aveva ragione. Più volte, in questa fatica, si entra nella notte dello spirito, anche nell’ansia, si passano giorni, settimane e mesi in forte tensione interiore, e sorge il sospetto: ci sarà una via di uscita dal tunnel del dubbio critico, della messa in questione sistematica di tutti i dati?
Desidero tuttavia esprimere un grazie, esprimere la mia riconoscenza a tutti i più illustri ed esigenti fautori del razionalismo critico, a tutti i «maestri del sospetto» del secolo scorso e di questo secolo, per avermi posto direttamente a contatto con tutte le possibili obiezioni sulla figura di Gesù, fino alle più estreme: l’ipotesi sulla non esistenza storica di Gesù, le negazioni riguardanti i diversi punti della narrazione degli evangelisti, la proclamazione dell’impossibilità di scrivere oggi una vita di Gesù, la critica alle pretese ricostruzioni delle sue parole e delle sue azioni, i dubbi sui punti fondamentali della sua vita, eccetera. È stato per me l’esercizio più fruttuoso e più stimolante: quello di non sfuggire a nessuna contestazione critica e di lasciarmi interrogare e mettere in questione da tutti i tentativi di ridurre ad evanescenza o a creazione mitica o fantastica la figura di Gesù, oppure di ridurla a evocazioni successive e tardive.
La mia è stata una sistematica, crocifiggente e insieme salutare esposizione al dubbio, nella inermità di una coscienza alla ricerca del vero. Era come ricercare continuamente l’equilibrio su una superficie esposta al terremoto. Fuori di metafora, la domanda fondamentale a cui rispondere era: questa parola, questo fatto della vita di Gesù, questi atteggiamenti, sono originari, suoi, o sono frutto di una elaborazione posteriore dell’entusiasmo o del fanatismo di ammiratori, di seguaci, o della forza creativa delle prime comunità? E se si deve ammettere, e non si può non ammettere, un’attività prima orale e poi scritta delle comunità primitive nel tramandare detti e fatti di Gesù, fino a quale punto è ancora possibile sapere ciò che Gesù ha veramente voluto, detto e fatto?
A poco a poco facevo una sorprendente esperienza: il senso di incertezza, di perplessità e di disagio che mi lasciavano le difese d’ufficio sulla storicità di Gesù e le risposte facili di tanti apologeti, svaniva di fronte alle chiarezze che via via emergevano in me davanti alle argomentazioni serrate della critica. Cercando di valutare uno per uno gli argomenti contrari e confrontandoli con i testi e i reperti antichi, si rafforzava in me, in maniera sempre più chiara, la coscienza che non si può eludere la fondatezza sostanziale di quanto possiamo sapere di Gesù, che non si può ridurne la figura a contorni evanescenti o irraggiungibili senza smentirsi, senza entrare in una qualche contraddizione con i presupposti di una ricerca seria.
Venivo sperimentando, in altre parole, come un approccio esaustivo alle fonti antiche su Gesù non possa – senza contraddirsi nelle sue premesse scientifiche – non riconoscere che vi sono detti ed eventi significativi e decisivi della sua vita ineliminabili di qualunque critica, per quanto corrosiva, inspiegabili dalla creatività delle comunità successive. O rinunciare a spiegare i dati così come sono e chiudere la ricerca, o ammettere che da essi emerge la fondatezza di un numero rilevante di fatti, parole e gesti di Gesù che son più che sufficienti per fare di lui una figura che ci interpella nei profondo della coscienza. Per me l’avere scoperto tutto questo nella fatica quotidiana, nello sforzo di prendere sul serio ogni possibile obiezione, è stato di grandissimo aiuto.
Tempo della lotta o dell’aura leggera
Al tempo dell’innamoramento, al tempo dei dubbi e delle domande, al tempo dell’accanimento e al tempo della prova si accompagna e segue il tempo della lotta mai conclusa col personaggio Gesù.
È qualcosa di simile alla lotta di Giacobbe nella notte presso il torrente Yabbok, quando «un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’aurora» (Gen 32,25). Si lotta contro qualcuno che è più forte, che non lascia la presa, e l’aurora della conoscenza piena e svelata non giunge ancora. Malgrado la certezza di stringere una realtà solida – perché si è afferrati e si afferra –, si resta nella notte.
È un po’ come l’ultima esperienza di Elia che, dopo il vento, il terremoto e il fuoco, ode come un lieve sussurro, un mormorio impercettibile e si copre la faccia col mantello perché capisce che sta accadendo ciò che attendeva (cf 1 Re 19,13). Esce allora dalla grotta e sente la voce del Signore.
Fuor di metafora, voglio dire che la conoscenza storica di Gesù non si chiude in se stessa, ma termina con una domanda: sei disposto a dar fede alle mie parole come parole provenienti da Dio? sei disposto a riconoscere la mia missione come missione dal Padre che è nei cieli? sei disposto a darmi fiducia fino in fondo, come Pietro che dice: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16)?
È la quinta tappa, la tappa della conoscenza di fede, del mormorio di un’aura leggera che si percepisce appena. C’è qui un salto che nessuna indagine storica può far fare, un passo di cui ciascuno risponde dentro di sé e di fronte alla propria coscienza.
Un passo che ci porta di fronte non alla figura bensì al mistero di Gesù, al suo rapporto unico con il Padre, alla sua trascendenza, al suo significato per la storia di ogni uomo e dell’umanità intera, alla sua capacità di rivelare il volto di Dio. Cominciano allora a sorgere molte nuove e ancora più ardue domande: perché colui che si ritiene tanto vicino a Dio e da Lui amato sottosta nella sua vita ad una sorte così crudele? Perché appare umanamente sconfitto? Perché si mostra debole e inerme?
C’è dunque un ultimo gradino della conoscenza di Gesù, per cui il nome solo di Gesù non basta, ed è il tempo della conoscenza di fede, anch’esso fonte di domande e di ricerca nel tentativo, sempre da ricominciare, di collegare la sconfitta umana di Gesù di Nazaret con la sua intimità con Dio, la croce e la morte con la divinità. Si comprende come il raggio delle domande si allarga a tutta l’esperienza umana del dolore e della morte, al senso di ciò che sembra non avere senso, al perché Dio si sia rivelato non nella potenza e nella gloria, ma – come si esprimeva incisivamente Lutero – «sub contraria specie», proprio nel contrario di quanto si poteva pensare di Dio.
E succede ancora un fatto nuovo, un’altra sorpresa: quando ci si mette di fronte al mistero di Dio crocifisso, della debolezza di Dio, leggendole in Gesù crocifisso e risorto, allora le parole e i gesti di Gesù, le parabole, le beatitudini, i miracoli di guarigione, gli insegnamenti di perdono, la sua tortura a morte assumono un’evidenza nuova. Si rileggono i vangeli cogliendo in essi (e tra essi e il resto della Scrittura) una coerenza profonda, una ricchezza inedita di senso.
Tutto si riconnette in una conoscenza nuova di Gesù, che lo fa entrare nel vivo della nostra esperienza di uomini fragili alla ricerca di una speranza che non delude. È questo viaggio, misterioso e affascinante, che vorremmo augurare a ogni uomo e donna della terra.