Il futuro intravisto
dal credente
Carlo Molari
In questi anni si diffonde sempre di più la preoccupazione per il futuro: l'attenzione al dopo morte, oggetto di riflessioni e di studi crescenti, le apprensioni per la sopravvivenza fisica dell’umanità, messa in dubbio dalla violenza sempre più estesa e dalle malattie insorgenti, le incertezze per l'ambiente e i possibili disastri imminenti.
Vorrei esaminare all'inizio del nuovo anno come il credente potrebbe vivere nella fede queste situazioni ed alimentare la speranza per mettere in moto tutte le forze che possono consentire il superamento delle attuali difficoltà.
Qualche anno fa un professore inglese di geofisica concludeva un suo volume sui pericoli che gravano sulla sopravvivenza dell'umanità con queste riflessioni: "Valutando separatamente le conseguenze del riscaldamento globale, l'imminenza della prossima Era Glaciale, oppure la collocazione temporale di una futura supereruzione o di un impatto da asteroide, si possono generare preoccupazioni passeggere. Considerazioni complessive sulle future minacce per il nostro pianeta e la nostra specie sono in grado di condurci, invece, ad attacchi di profonda depressione» (McGuire B., Guida alla fine del mondo. Tutto quello che non avreste mai voluto sapere, Cortina Editore, Milano 2003, p. 143). Dopo avere descritto le possibili catastrofi Bill McGuire continua: "Per milioni di specie, considerando il tempo geologico, la fine del mondo è già avvenuta, e le nostre attività stanno garantendo lo stesso destino a molte altre forme di vita con le quali condividiamo il pianeta» (Id., ib. p. 145). Conclude poi il libro: "La nostra specie e quelle che seguiranno avranno a disposizione ancora molto tempo, ma anche tenendo conto della possibilità che imparassimo a curare, piuttosto che a sfruttare, il mondo che ci circonda, sia adesso sulla Terra, prima dell'eventualità che il sole la distrugga, sia in futuro nel sistema solare, nella Galassia e oltre, noi non avremo più il tempo per fare o essere qualcosa. Forse, il momento giusto per iniziare è adesso» (Id., ib., pp. 146 s).
Visioni pessimistiche
La ricerca di un Istituto inglese per prevenire e riparare le conseguenze del probabile cambiamento del clima (apparsa nel sito Internet "Opendemocracy» l'11 novembre scorso) ha concluso che esiste un'enorme distanza tra ciò che è necessario fare e ciò che di fatto è ora realizzabile. Il 30 ottobre scorso il governo britannico ha pubblicato un dettagliato rapporto sui costi e sui rischi economici connessi al riscaldamento del nostro pianeta. Il rapporto redatto sotto la guida del Prof. Nicholas Stern è giunto a conclusioni allarmanti. Le stesse apprensioni hanno attraversato la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento del clima tenutasi a Nairobi dal 6 al 17 novembre scorso. James Lovelok, il biochimico britannico inventore di Gaia e uno dei padri della sensibilità ambientalistica moderna, nell'ultimo suo libro "La vendetta di Gaia» (Penguin 2006) ha rinnovato l'allarme già precedentemente lanciato con accenti ancora più drammatici. Se non cambieranno gli stili di vita e i responsabili non prenderanno decisioni drastiche lo sconvolgimento dei fenomeni atmosferici condurrà i popoli a lottare in modo feroce per strapparsi le ultime risorse disponibili. L’apocalisse climatica, come egli la descrive, sarebbe ormai prossima e costringerebbe gli ultimi superstiti della nostra specie a concentrarsi intorno ai poli per contestarsi i residui terreni fertili.
La soluzione che egli propone, la creazione di numerose centrali atomiche, è però osteggiata proprio da coloro che hanno accolto la sua idea di considerare la terra come organismo vivente e che si sono impegnati a rispettarne le delicate armonie. Questi, come è noto, insistono sulla necessità di ricorrere a fonti energetiche non inquinanti e a risorse rinnovabili come le energie solare ed eolica che egli al contrario giudica insufficienti ed inefficaci per le tecnologie ancora troppo rudimentali.
interrogativi sospesi
Anche se queste visioni pessimistiche sono ancora minoritarie non pochi cominciano a interrogarsi se non vi siano fondati sospetti sulla loro verità e se l'umanità non si illuda di poter superare con facilità i nuovi problemi. Un recensore del libro di Lovelock conclude le sue note con questo interrogativo: «Proprio nei mesi scorsi a sorpresa, si è scoperto che le calotte polari si stanno sciogliendo prima e più velocemente del previsto. Molte nostre ipotesi sulle dinamiche climatiche del pianeta potrebbero dover essere rivedute. E se Lovelock, il pessimista, avesse ragione?» (Saragosa A., L'Apocalisse secondo Lovelock, le Scienze, n. 455, luglio 2006, p. 122).
Previsioni ugualmente preoccupanti derivano dalla proliferazione delle armi nucleari e dal clima di violenza montante tra i popoli, con espressioni di tale ampiezza ed efficacia che potrebbero ben presto sfuggire ad ogni controllo e dilagare sulla terra come catastrofe. Con prospettive molto più ampie, i cosmologi ricordano che la nostra terra tra pochi miliardi di anni sarà ridotta in polvere nella grande fornace del sole morente e prospettano la fine dell'attuale universo o come un raffreddamento progressivo fino alla inerzia totale di tutte le sue componenti o come l'avvio di un nuovo processo di agglomerazione che condurrebbe allo scontro di tutte le galassie esistenti in una nuova concentrazione che alla fine potrebbe dare inizio a un nuovo universo. Ma esiti così remoti ci lasciano indifferenti o al più suscitano le immaginazioni fervide di qualche scienziato creativo come Frank TIpler nella Fisica dell'immortalità (Mondadori, 2000).
Quale via di salvezza?
Tornando ai problemi più immediati, la maggioranza di coloro che li esaminano nei loro processi e nei loro prevedibili esiti per proporne soluzioni prospettano cambiamenti relativi alle tecniche, alla diversa utilizzazione delle materie prime, alla costruzione di industrie meno inquinanti ecc. Puntano cioè sulle cose da fare e non considerano i cambiamenti dell'uomo stesso, necessari per rendere possibili ed efficaci le innovazioni strutturali. Limitare i progetti all'aspetto tecnico e organizzativo significa dimenticare la tensione profonda espressa nei processi cosmici verso una dimensione nuova di vita, che con termini abusati ma ancora forse significativi possiamo chiamare dimensione spirituale. Teilhard de Chardin ancora all'inizio degli anni 1930 recriminava la conclusione di un astronomo inglese che «crede di offrirci una speranza, un gusto di vivere annunciando che, con qualche circostanza favorevole, noi umani abbiamo ancora un milione di milioni di anni di storia, prima della definitiva e totale scomparsa (...su una terra gelata e senza problemi!)” (Lettera 4 maggio 1931, Lettere di viaggio 1923-1955, Feltrinelli, Milano 1962).
Per il credente in Dio il futuro non è pensabile solo come risultato di ciò che la creazione già contiene, e la buona volontà può realizzare, bensì anche come espressione della potenza di vita che la forza creatrice non ha potuto ancora far fiorire nella storia umana. Le ragioni di questo fatto sono molteplici: prima di tutto i lunghi tempi necessari per la formazione degli elementi nelle grandi stelle, per la loro diffusione nello spazio cosmico, per la concentrazione in ammassi abbastanza estesi per la creazione dell'ambiente necessario per lo sviluppo della vita. I 13 o 14 miliardi di anni del nostro universo sono appena sufficienti perché compaia una forma di vita complessa come quella umana che è ancora ai suoi primi stadi. Occorre poi tenere conto a livello umano delle molte resistenze e degli ostinati rifiuti opposte dall'umanità in questi primi tornanti della sua storia alle dinamiche della vita. TI credente perciò considera i rischi del futuro prima di tutto in rapporto alla ricchezza spirituale, che appare molto carente rispetto alle esigenze dell'attuale condizione storica.
Marco Guzzi nel presentare una raccolta di saggi su ciò che muore e ciò che nasce in occidente insiste sulla necessità di «elaborare un pensiero nuovo che sappia interpretare il senso evolutivo di ciò che (ci) sta accadendo, per facilitarne il corso. Dobbiamo in altri termini immaginare una rivoluzione possibile, perché un enorme rivolgimento è già in corso e non possiamo far finta di niente, o subirne passivamente gli scossoni» (Lo spartiacque, Paoline, Milano 2006, p. 6).
Emblematici per tutti coloro che si richiamano al Vangelo di Gesù Cristo il suo pianto di fronte alla città di Gerusalemme e il suo lamento: «se avessi compreso anche tu, in questo giorno la via della pace... ma ormai tutto è stato nascosto ai tuoi occhi perché non hai saputo riconoscere il tempo in cui sei stata visitata» (Lc. 19,42,44). Gesù ha saputo immettere in quella società una forza che non ha impedito, nel momento, le conseguenze negative del decadimento spirituale, ma vi ha fatto poi fiorire uno spirito straordinariamente fecondo di cui ancora oggi viviamo.
Spetta a noi, credenti nel Dio che egli ha rivelato, assumere ora la responsabilità di accogliere e diffondere una forza nuova nel mondo perché sulla terra la storia umana possa continuare.