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    N
    on mi basta, non so che farmene di un Dio lontano, chiuso in se stesso, disinteressato dai miei problemi, incapace di commozione... Il «Dio dei filosofi» di cui parlava Pascal: la Causa incausata, il Motore immobile, l'Atto puro e indiveniente... Che me ne faccio di questo Dio che ha paura di contaminarsi?

    Non lo contamino a mia volta. Lo imparo, al più; ma non mi sento di pregarlo e di amarlo. Non mi interessa, non mi attrae. Non mi mette neppure a disagio, tanto è astratto: faccia il suo mestiere se ne ha uno da fare; esista come gli va di esistere: un ossequio formale, e mi lasci in pace...

    Voglio un Dio che mi sia prossimo; un Dio che si introduca e viva nella storia e nella mia vita; un Dio che sappia comprendermi non dalla finestra della sua aseità, ma dal di dentro della mia esperienza; un Dio che sappia sorridere e piangere e lavorare e riposarsi, la sera; un Dio che abbia mani, occhi, mente e cuore: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; il Dio di Gesù Cristo. Questo è un Dio che mi atterrisce e mi affascina: un Dio che rimane l'Assoluto, il Trascendente, il Tutt'altro; eppure è uno come me, consostanziale alla mia vita; uno che posso incontrare per strada e salutare o urtare col gomito o evitare perché mi scomoda, o corrergli incontro perché finalmente l'ho trovato...

    La realtà dell'Incarnazione che altro è?

    Strana situazione, la nostra di uomini. Viviamo legati a meschinità deludenti, e tuttavia celiamo nell'intimo una inesprimibile aspirazione all'Infinito: ma ad un Infinito che ci raggiunga, che ci si metta al fianco, che diventi come noi, per renderci sopportabile l'esistenza e consentirci di superarla in una comunione che leghi il desiderio e il compimento, la domanda e la risposta, il Tutto e il nulla. L'attrazione degli opposti che si toccano e fanno unità.

    Non finiremo mai di stupirci di fronte al mistero del Verbo che si fa carne.

    Le prime generazioni cristiane han faticato ad accoglierlo e a comprenderlo un poco. Si son perfino ritratte incredule talvolta, indispettite quasi.

    A noi l'annuncio appare meno ostico. Ci sembra, tutto sommato, normale, banale, che Dio si sia fatto uomo... Forse immaginiamo Gesù come una parvenza; un personaggio etereo; un bambino che piangeva, ma in fondo fingeva di piangere, che imparava a camminare, ma in fondo sapeva già camminare; una sorta di fantasma che si manifestava con l'aureola intorno al capo anche quando sedeva a tavola o discorreva con gli amici. No. E un censito alla nostra anagrafe. E se fosse vissuto al nostro tempo, tra noi, vestirebbe probabilmente con un abito normale comprato al supermercato, e di giorno indosserebbe la tuta...

    Il motivo di stupore sta proprio qui: nel «come noi». Eppure è Dio. Dio che ci si è fatto collega d'ufficio, compagno di stabilimento, vicino di corsia, il signore dell'appartamento accanto, o dentro la nostra casa...

    Ecco un Dio così mi urta, mi scandalizza; ma al tempo stesso mi attrae.

    Ha compreso le tendenze più recondite che porto nel cuore: le tendenze che neppure riesco a chiarire a me stesso, ma che sento come insopprimibili. E viene a salvarmi dalle mie grettezze, dai miei tradimenti.

    Dio diviene uomo perché l'uomo possa diventare Dio. Una vocazione stupenda.

    (Alessandro Maggiolini)


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