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    Educare

    alla preghiera

    Guido Novella


    1. Preghiera, preghiere, pregare

    Nel mondo, ovunque, gli uomini pregano. La storia dei popoli e delle civiltà testimonia questa attività dell'uomo. Le grandi religioni dell'umanità ci hanno lasciato riti, testi, tecniche e modelli di preghiere. Dal punto di vista letterario le preghiere costituiscono un patrimonio ricchissimo e incomparabile della storia della cultura umana.
    Ma... le preghiere non sono la preghiera dell'uomo. Pregare indica un'azione o un atteggiamento di qualcuno. Le formule sono solo un elemento utile a tale attività dell'uomo. Il pregare richiama l'incontro, il dialogo, il riferimento a qualcuno. Pregare è un po' come parlare: non si parla con se stessi, ma sempre con una persona. Anche se spesso pregare comporta dire preghiere, queste non sono la realtà più importante, ma solo un mezzo per poter svolgere questa attività tipicamente umana, poiché il «qualcuno» a cui ci si rivolge è percepito come l'interlocutore che riveste un'importanza fondamentale per noi.
    Perché si prega? Preghiamo perché il mondo in cui conduciamo la nostra esistenza ci appare limitato, perché non risponde al nostro desiderio assetato d'infinito, perché i problemi che viviamo non trovano risposta adeguata alla domanda che ci portiamo dentro
    Pregare è vivere un'esperienza. Non si tratta di sperimentare, cioè di manipolare. usare, trasformare, riprodurre, agire su di un oggetto L'esperienza di cui parliamo non è la sperimentazione scientifica. «L'esperienza comporta... l'idea di rapporto, di relazione si tratta del nostro rapporto con noi stessi, con gli altri, con il mondo, con Dio... L'esperienza è sempre una "rifrazione", in un soggetto capace di percepirla... Essa esige una partecipazione reale all'avvenimento; è la capacità di coglierlo riflessamente nel profondo dello spirito. Come tale è sempre un'interpretazione di ciò che viene colto, una decifrazione... La preghiera cristiana è, anzitutto, esperienza. Essa implica, dunque, un coinvolgimento radicale dell'uomo, di tutto l'uomo: corpo e spirito, persona e comunità, tempo ed eternità. È una conoscenza essenziale-totale, che coinvolge la ragione, il cuore, i sensi, l'essere integrale dell'uomo. È fare esperienza di Dio; essere posseduti da lui, abitati da lui... La preghiera è l'incontro appagante con l'eterno sempre presente: è un'esperienza di solidità fondamentale. È partecipazione al potente ritmo di una trascendenza che unifica e raduna l'atomismo di una esistenza frammentata e polverizzata. È un incontro nel silenzio con il Dio-che-parla e che, tuttavia, sembra così dolorosamente tacere; con quel Dio che ci rivela il mistero della nostra esistenza. Essa non è perciò una serie di atti, ma prima di tutto uno stato, un abito, un'attitudine profonda, un atteggiamento esistenziale, una vita. È un modo-di-essere-al-mondo» (G. Piana, Preghiera come impegno, in «Servitium» 13 [1981], p. 21).

    2. Incontrare il Dio che viene

    Se il pregare è l'esperienza di un incontro, perché questa azione dell'uomo sia autentica è necessario che venga rispettata l'alterità delle due persone che si incontrano. Pregare è essere in relazione. Implica accettare colui che mi sta davanti come radicalmente altro e, dunque, non pretendere di averlo in mio potere. Pregare richiede che io sia me stesso, con la mia vita, la mia storia, le attese, le deficienze che porto in me. Presentarmi in verità. Rispettare la dinamica dell'incontro con l'«altra» persona è accettare l'imprevisto, i ritardi, gli anticipi, la novità che ogni incontro comporta.
    Lo specifico della preghiera cristiana non sta nelle formule o nei gesti che usa, nei sentimenti che esprime, ma sta piuttosto in questo: è Dio che, liberamente, vuole incontrare l'uomo per salvarlo. La preghiera non dipende dall'impegno dell'uomo, ma dall'iniziativa gratuita di Dio. E soprattutto un dono di Dio.
    Pregare significa attendere il Dio che viene. La sua venuta e la sua presenza non sono il risultato della nostra attesa, ma decisione del suo amore. L'impegno primo di chi vuol pregare è quello di disporsi ad attendere la visita del Signore. «Finché l'uomo rumina pensieri o ripete parole, non sente la sua impotenza a squarciare e sondare il mistero di Dio. Ma appena accetta di rimanere davanti a Dio in un silenzio che è appello di fede tutto cambia. Egli non può allora che supplicare Dio di posare su dí lui íl suo sguardo e rispondere alla sua chiamata... In ogni preghiera dunque è necessario che cerchiamo di comprendere supplicando Dio di illuminarci» (Y. Raguin, Pregare oggi, EDB, 1974, p. 19).
    La preghiera autentica si nutre e cresce in un terreno di gratuità e di fede. La preghiera non «serve», come non serve l'arte, la fantasia, il gioco, la festa. La preghiera non è commerciabile. Possiamo dire che la preghiera è inutile. Dobbiamo liberare questo gesto dall'efficienza. L'incontro con le persone non deve essere finalizzato alla produttività, pena lo scadimento in una negoziabilità che inquina il rapporto umano.
    Non entro nella preghiera per «catturare» Dio, costringere Dio, ma per attenderlo, incontrarlo, rispondere al suo invito. L'attenzione prima da avere è un atto di fede. È mettersi alla sua presenza senza tanti programmi, fare spazio dentro di sé per cogliere i segni della sua venuta. È disporsi ad affrontare anche la fatica di decifrare il proprio mondo per vedervi dentro la sua presenza, senza voler costruire il luogo dove incontrarlo.

    3. La riposta all'incontro

    Pregare è «vivere al vocativo»: sentirsi chiamati e chiamare. È entrare in rapporto vitale con Dio. Il libro dí Giobbe ci apre la strada per vivere il momento della preghiera. «Giobbe lascia perdere i discorsi di teologia e invece di parlare di Dio "parla a Dio". In
    questo atteggiamento spirituale di Giobbe... si comprende che cos'è la preghiera: non è parlare di Dio, facendo ricorso alla letteratura teologica, ai simboli, alle tecniche psicologiche, ma "parlare a Dio". È un'avventura pericolosa, perché Dio ci prende sul serio
    quando siamo in ascolto o in atteggiamento di apertura davanti a Dio» (R. Fabrís, La preghiera nella Bibbia, Borla, Roma 1985, p. 5).
    L'uomo che prega ritrova la verità di se stesso, appare a se stesso per quello che egli è, nella sua nudità, nella sua autenticità, senza coperture. «Allora inizia un silenzio grave... Un po' di terra nuda in cui nulla ha veramente germogliato tanto da essere raccolto, ma nella quale ogni semente gettata appare improvvisamente realizzabile... Un po' di terra nuda raccolta nella mano di Dio: ecco quello che siamo. Sentirsi così, nudo e precario nell'eterna ed amorosa mano di Dio: è questo il fondamento dell'orazione» (A.-M. Besnard, La preghiera come rischio, Milano 1973, p. 19).
    L'incontro con Dio nella preghiera diventa autentico solo se si realizza nel terreno della vita. Noi sappiamo oggi che Dio non è da cercare altrove, perché egli »è dappertutto presente. Non si tratta nemmeno di immaginare il suo volto perché egli ha il volto dei fratelli. La preghiera assumerà quasi inavvertitamente lo sforzo incessante di riconoscere Dio là dove egli è, di scoprire il suo volto autentico lasciando che vi si sovrappongano tutti i volti da noi incontrati.
    Pregare significa voler riconoscere, per giungere infine a conoscere. Da quando Dio si è manifestato ed ha aperto una via perché l'uomo lo possa incontrare, l'uomo può rivolgersi a lui solo attraverso la mediazione della realtà umana. E la vita, la propria storia personale, la quotidianità popolata di cose, incontri, attese, speranze, delusioni il terreno che ospita il suo incontro. Da quando la parola di Dio s'è fatta carne e Dio ha scelto di comunicare con l'uomo in Cristo, tutto quanto fa parte dell'esistenza diviene mezzo utile e necessario per incontrarlo. Il mondo dell'uomo diviene il grande sacramento dell'incontro Dio-uomo. Ogni fuga dalla storia renderebbe vana e illusoria la preghiera. Cristo, modello dell'orante autentico, ha indicato questa strada. La preghiera diviene la presa di coscienza e la «celebrazione» della storia salvata dall'intervento di Dio creatore, redentore, che avvolge ogni cosa del suo Spirito d'amore.

    4. Educare alla preghiera

    La storia della preghiera è legata alla storia della fede. Nella nostra epoca abbiamo assistito ad una alternanza di crisi e di rinascita per quanto riguarda il nostro argomento. Sembra oggi emergere una nuova domanda religiosa legata al desiderio di una «rigenerazione globale», di un bisogno di ricuperare fiducia nell'esistenza umana che si percepisce inserita in un ordine che la trascende. Un'esistenza umana concreta che, anche se non realizza tutte le sue potenzialità, apre alla prospettiva di speranza, di compimento, di riuscita finale. La fede cristiana trova in Cristo risorto la risposta appagante di quanto l'uomo attende.
    L'educazione alla preghiera, come l'educazione alla fede, dovrà integrarsi e prendere radici nel tessuto dell'esistenza concreta. Ogni fuga dal quotidiano comporterebbe il fallimento dell'opera educativa, perché non rispetterebbe la duplice fedeltà ai partner dell'incontro – Dio e uomo –, i quali si incontrano solamente sul terreno dell'umano, sia pure salvato da Dio. Se educare significa «rendere l'uomo autore del proprio bene» (A. Rosmini), promuovere la formazione della persona umana in modo che essa realizzi se stessa secondo il progetto di Dio, ogni azione educativa dovrà predisporre una serie di interventi che permettano l'incontro autentico con il Dio che sempre si propone all'uomo.
    Senza prendere in esame i modelli di educazione esistenti, suggeriamo alcune linee di educazione conseguenti alle riflessioni fatte sopra, indicando innanzitutto ciò che non è educare alla preghiera.

    5. Proposte educative insufficienti

    L'intervento educativo è conseguente all'idea che si ha di preghiera. Per maggiore chiarezza semplifichiamo al massimo (e forse in maniera inadeguata) le posizioni che riteniamo insufficienti.
    a) Nel passato (ma spesso anche oggi) si tendeva a ridurre l'educazione alla preghiera all'iniziazione ad essa. C'erano delle pratiche di preghiera in uso, e a tali pratiche si facevano accedere le nuove generazioni. Era piuttosto un'abilitazione alla preghiera.
    b) Assistiamo poi ad una spiritualità degli intervalli, che concepisce il Dio creatore come colui che ha diritto al culto dell'uomo. L'uomo vive nel tempo che si presenta effimero: la cosa più importante è Dio e la vita eterna. Dio e l'uomo sono separati in due mondi distinti. Quando preghiamo ritagliamo degli spazi per Dio. A lui si ricorre nei momenti di crisi e lo si ringrazia per quello che egli ha elargito. L'attività educatrice si presenta come una sollecitazione moralistica e «utilitaristica»: la preghiera diventa funzionale all'azíone, alla sicurezza e non è principalmente un incontro gratuito con Dio. Dio rischia di essere visto come «tappabuchi» alle deficienze umane.
    c) Un altro tipo di intervento educativo sottolinea ancora maggiormente il distacco tra Dio e mondo dell'uomo. Di fronte alle difficoltà di dare soluzione ai gravi problemi che vive la società e l'uomo di oggi, molti si rifugiano nelle zone franche della fede, del gruppo, della preghiera. La proposta, per sé ricca di fede in Dio, di valide modalità espressive, rischia di inquinarsi se il gruppo diventa luogo alternativo di salvezza e fonte di rassegnazione nei riguardi della crisi culturale e sociale. Nella difficoltà di integrare problemi e fede si ricorre all'oasi di pace, dove sí riceve gratificazione e rassegnazione e la sfera emozionale è esaltata. Il pericolo è di staccare Dio dalle vicende umane e dai problemi più gravi del mondo d'oggi ed evitare lo sforzo e la fatica di trovare soluzioni adeguate.
    d) Il pericolo opposto si profila per coloro che, convinti che Dio è dentro la storia dell'uomo, tendono a collocare la sua presenza interamente nella realtà umana, rendendolo totalmente immanente, fino a confonderlo con essa. Allora la preghiera si riduce a pensare e riflettere sugli avvenimenti. L'impegno nella storia è così assorbente che la preghiera non è dialogare con Dio, ma riflettere, denunciare e assumere responsabilità. Tutto è preghiera e si rischia così di dimenticare l'interlocutore, il Tu a cui la preghiera è rivolta, e di confonderlo con i problemi umani.

    6. L'incontro con Dio nel quotidiano

    Se preghiera è anzitutto dono di Dio che si incontra nella fede, l'educazione mirerà a preparare il terreno perché il soggetto colga i segni della presenza di Dio. Dio si manifesta come vuole, superando ogni schema da noi precostituito.
    a) È necessario educarsi ed educare ad un atteggiamento di ascolto, aprendosi alla novità e all'imprevedibilità della visita di Dio. Cogliere la gratuità presente nelle persone ed essere disponibili a superare la mentalità «commerciale» che attribuisce valore solo a ciò che può essere barattato.
    b) L'incarnazione non mette tra parentesi l'umano per fare spazio al divino, ma fa sì che l'umano sia assunto nel divino, come è avvenuto in modo esemplare ed unico in Cristo. L'incarnazione fonda un'educazione che diviene manifestazione dello Spirito del Risorto che redime ogni cosa con la sua pasqua. La preghiera diviene allora atteggiamento di dialogo nella vita di ogni giorno, nella storia che si vive. Dio non lo si trova solo in chiesa. Tutta la vita, anche nei suoi aspetti profani, si trasforma in luogo di incontro con Dio.
    c) È necessaria la mistagogia dell'esperienza (K. Rahner), cioè l'educare a passare dal superficiale al profondo, dal visibile all'esperienza del mistero che vi è racchiuso. L'esistenza si compenetra con la preghiera. Il quotidiano è già la soglia dell'incontro con Dio. La preghiera ha inizio quando si accetta di aprire orecchi e cuore a Dio che comunica tramite avvenimenti e incontri, quando si lascia germinare in se stessi la sua parola, trasformandosi al punto di poterla ridonare a Dio imbevuta della propria vita. È necessario riscoprire la sacramentalità della vita per cogliervi dentro Dio che interpella l'uomo. Il quotidiano e-voca e pro-voca. È vocazione all'ascolto e alla risposta al Dio che si fa incontro all'uomo. Non solo, ma anche con-voca, è appello all'incontro con lui che non lascia indifferenti, ma è sempre salvezza. Anche la precarietà, i limiti dovuti all'essere uomo, i drammi dell'umanità, pur non voluti dal Creatore, divengono, per la potenza di Dio, occasioni di speranza e sua parola. Educarsi ed educare a vedere in trasparenza il quotidiano per cogliere Dio che parla è il grande impegno che il cristiano si assume. Il «sacramento» del povero sarà l'appello che Dio lancia per cogliere i bisogni e invocare soluzioni anche all'interno della preghiera. «Pregare è il sottofondo esistenziale su cui, in modi diversissimi, si ricama la vita... È un lago silenzioso su cui soffia, inesausto, lo Spirito» (A. Zarri). Si tratterà di acquisire quello sguardo capace di vedere «dentro» la realtà.
    d) L'ascolto della parola di Dio, se preparato dall'ascolto della sua parola totale nelle tante parole che lui pronuncia nella vita dell'uomo, diverrà illuminante. L'incontro con il Dio vivo che parla oggi dona senso all'esistenza.
    e) La preghiera - atteggiamento dovrà sfociare naturalmente nell'impegno. Una preghiera che lasciasse neutri non sarebbe autentica.
    f) Anche se non si deve confondere la preghiera con le sue emergenze espressive, non si deve dimenticare l'importanza di trovare tempo, luogo, modalità per «verbalizzare» in modo esplicito l'attesa e la risposta al Dio che visita l'uomo. Per questo è importante educare ad esprimersi con il Signore secondo le varie modalità del comunicare umano. Se l'uomo vive situazioni di sofferenza, peccato, stupore, contemplazione, la sua preghiera si colorerà in modo adeguato alle situazioni e troverà il modo per esprimerle in forma orante: supplica, richiesta di perdono, lode, rendimento di grazie, intercessione. L'incontro con comunità che pregano e con uomini di preghiera sarà stimolante dal punto di vista educativo, a patto che non sia isolato, ma inserito in un itinerario che comprende un prima e un poi. Utili sono pure le scuole di preghiera che uniscono l'esperienza concreta di preghiera con la riflessione e l'informazione.
    g) Finora si è parlato del pregare dell'uomo, sottolineando l'aspetto personale. Non sarebbe un rapportarsi autentico con Dio se la preghiera non trovasse la complementarietà nella celebrazione con la comunità. Come l'uomo non vive isolato, così il suo incontro con il Dio della vita e della storia dovrà conoscere momenti culmine in cui incontrarsi con i fratelli e divenire chiesa, corpo di Cristo risorto che continua la sua missione nel mondo che attende salvezza. La comunità riunita diviene voce della sposa allo sposo, anticipo dell'incontro finale nella gloria, quando la preghiera sarà solo lode gioiosa nella comunione perfetta.

    7. S'impara a pregare... pregando

    La preghiera, come la fede, abbraccia tutta l'esistenza. Poiché è nella totalità del nostro essere che Dío ci propone il suo incontro. La nostra vita si evolve continuamente, portando con sé sempre nuove attese, problemi, gioie e sofferenze. Anche il nostro incontro orante col Signore della vita deve continuamente modificarsi se vuole essere autentico. È necessaria allora un'educazione permanente per riscoprire continuamente il Dio che interpella e rispondere con l'esistenza al suo invito. Non è un compito facile. Richiede disponibilità, attenzione, creatività. S'impara a pregare pregando. Solo l'esercizio costante, a volte faticoso, a volte sterile, a volte lotta con l'«assenza» dell'interlocutore, educa a pregare.
    Solo chi è uomo di preghiera è in grado di educare alla preghiera. La preghiera assidua trasforma gradualmente la vita del credente, poiché si accorge con gioia e stupore che colui che egli va cercando, come salvatore della sua esistenza, cammina con lui da sempre.

    (da Credere, n. 43, pp. 102-110)


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