Commozione
non è conversione
Thomas Merton
In ogni grado della vita spirituale, ed anche quando non vi è affatto vita spirituale, può accadere che un uomo si senta invadere da un fermento religioso emotivo, in cui egli trabocchi di impulsi sensibili, ed anche sentimentali, di amore per Dio e per il prossimo. Se manca completamente di esperienza, egli penserà di essere molto santo, a motivo dei santi sentimenti che gli pervadono il cuore. Tutto ciò ha poco o nessun significato. Una specie di intossicazione sensibile prodotta da questo o da quel piacere, e vi è soltanto una differenza accidentale fra ciò e le lacrime che i bimbi spargono qualche volta quando vanno al cinema. In sé questi movimenti di passione sono indifferenti. Essi possono essere usati in bene e in male, e per i principianti nella vita spirituale sono in genere necessari. Ma anche un principiante sarebbe sciocco se contasse su di essi, perché presto o tardi si troverà costretto a farne a meno. Infatti la sua vita spirituale comincerà realmente solo quando egli avrà imparato in una certa misura a proseguire solo senza lo stimolo dell'emozione.
Anche quando entriamo nella vita contemplativa, portiamo ancora con noi le nostre passioni e la nostra natura sensibile come una riserva di benzina che non abbia protezione. E qualche volta le scintille che volano nella pura tenebra della contemplazione cadono per sbaglio sul combustibile e appiccano fuoco alle emozioni e ai sensi. Tutto lo spirito è scosso e vacilla in una esplosione di gioia ebbra o in un uragano di compunzione, che possono essere buoni e salutari, ma che sono più o meno animali, anche se la scintilla che ha scatenato l'incendio può aver avuto un'origine soprannaturale. Questo rogo arde e si spegne in pochi momenti o al più in mezz'ora. Mentre esso dura, tu provi un intenso piacere che è a volte ingannevolmente nobile, ma che occasionalmente si tradisce per una certa pesantezza propria del livello umano e lo rivela per quello che è: un'emozione. Qualche volta può anche produrre un buon effetto naturale. Uno scoppio di esuberanza spirituale può procurarti un giorno di festa dopo settimane di lotta e di fatica. Ma in genere l'effetto di questa commozione non è altro che naturale. Quando tutto è finito, tu non ne ricavi profitto maggiore di quello che avresti potuto ricavare da un paio di bicchieri di champagne o da una buona nuotata. Così, fino a quel limite, esso è una buona cosa.
Ma il pericolo sta nel fatto che tu attribuisca un'importanza erronea a queste manifestazioni di emozione religiosa. In realtà esse non sono affatto importanti, e sebbene qualche volta siano inevitabili, non sembra prudente desiderarle. E in realtà chiunque abbia ricevuto qualche nozione di vita interiore sa che non si considera cosa sensata perseguire con troppa ansietà queste consolazioni. Pure molti di coloro che sembrano così superiori all'elemento sensibile nella religione mostrano, con le loro devozioni, con il loro gusto per i quadri sentimentali, per la musica attaccaticcia e per la lettura spirituale tenera, che tutta la loro vita interiore è una campagna serrata per ottenere «luci», “consolazioni», «lacrime di compunzione», se non addirittura «voci interiori», con la malcelata speranza, forse, di un paio di visioni e, se del caso, di stigmate.
La reazione più sana a queste esaltazioni è una istintiva ripugnanza per i piaceri e le emozioni che esse destano. Tu sai che cose simili non danno né frutto reale né soddisfazione durevole. Non ti dicono nulla di sicuro su Dio o su te stesso. Non ti danno una vera forza, ma solo una momentanea illusione di santità. E quando diventi più esperto comprendi quanto esse ti accechino e quanto ti possano ingannare e condurre fuori strada.
La passione e l'emozione hanno certamente il loro posto nella vita di preghiera ma esse devono essere purificate, ordinate e sottomesse al più alto amore: allora anch'esse potranno prender parte alla allegrezza dello spirito e contribuirvi, pur nella loro limitata maniera. Ma finché non sono spiritualmente mature, le passioni devono essere trattate con fermezza e con riserbo, anche nelle «consolazioni» della preghiera. Quando saranno spiritualmente mature? Quando saranno pure, limpide, miti, tranquille, non violente, dimentiche di sé, distaccate e, soprattutto, quando saranno umili e obbedienti alla ragione e alla grazia.
(da Semi di contemplazione, pp. 184-186)