Attesi dal suo amore
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    Affascinati

    dal suo splendore

    Segundo Galilea


    IL FASCINO DELLA BELLEZZA

    Conobbi Giovanni, un orfano adolescente che lavorava in un piccolo negozio di alimentari di fronte alla casa parrocchiale, dove andavo a fare qualche acquisto quando ero preso alle strette.
    Non gli interessavano né la parrocchia né la religione. Conduceva una vita come tanti altri adolescenti dei quartieri poveri: la ragazza di turno per passarsela bene, il calcio, la compagnia di amici, più tardi anche un po' di droga... Si trasferì e per lungo tempo lo persi di vista.
    Un giorno ritornò e venne a visitarmi. Avrà avuto circa vent'anni. Lo riconobbi a fatica: era ben vestito; aveva migliorato il suo modo di parlare e di fare. Mi raccontò che aveva studiato informatica e che si era messo a lavorare in proprio; che si era fidanzato e che pensava di sposarsi «in chiesa»; e che voleva avere molti figli e ampliare il suo lavoro; ma che per far tutto questo necessitava di un prestito, che avrebbe restituito alla parrocchia entro sei mesi. Tutto molto convincente. Non credetti per nulla ad alcuna delle sue parole, né gli concessi il prestito, ma lo lasciai parlare per un po'. Decisi poi di accomiatarmi da lui, sforzandomi di mostrargli segni di affetto, anche se mi ero sentito fortemente depresso man mano che avanzava la conversazione. Rimasi in silenzio per alcuni istanti, pensando come il suo caso fosse la copia esatta della condizione di molte persone.
    Giovanni non aveva interesse per la verità: né di dirla, né di trovarla. Per lui la verità era ciò che gli poteva procurare dei vantaggi, ciò che era utile che l'altra persona sentisse. Mi chiesi se quanto affermato da molti filosofi, che l'essere umano è fatto per cercare la verità, perché è attratto da essa, fosse una realtà o piuttosto un enunciato ideale. L'attrazione della verità non sarà rimasta talmente oscurata dall'egoismo umano e dagli «idoli» della società, da far perdere a moltissime persone l'interesse di trovarla e di farsi guidare da essa?
    Mentre stavamo parlando, Giovanni mi svelò, senza volerlo, che anche gli altri suoi valori morali erano ugualmente effimeri. Mi resi conto della sua visione amorale della vita, della sua mancanza di scrupoli per ottenere denaro e del suo modo di relazionarsi con le donne. La bontà e il bene non avevano per lui alcun valore o attrattiva. Era arrivato al punto in cui ad attrarlo era piuttosto il male e provava addirittura piacere per le cose disoneste.
    Passò del tempo e non seppi più niente di lui, finché una vecchia conoscenza comune venne a farmi visita e mi portò i suoi saluti e anche notizie.
    Giovanni era cambiato. Era sì andato a vivere con la ragazza di turno in un lussuoso appartamento, che si era procurato con denaro di origine dubbia. Questa giovane amica però amava la bella musica ed era solita ascoltare per ore i suoi dischi favoriti. Per la prima volta Giovanni aveva incominciato a scoprire il fascino di un'espressioneartistica e ad assaporare la bellezza di qualcosa che non fosse il corpo di una donna.
    Poco a poco ciò lo portò ad alcuni cambiamenti importanti. Scoprì che esiste «un mondo spirituale», certo intangibile, ma capace di offrire piacere e gioia. Cominciò a vedere nella sua giovane compagna qualità e «bellezze interiori» insospettate, assorbito com'era stato finora esclusivamente dal suo fascino sensuale. Qualcosa di simile gli stava succedendo anche con gli altri: aveva incominciato ad apprezzare la bontà, la veracità e a rispettare gli altri. Per la prima volta in vita sua stava esperimentando un vero amore non egoistico per la sua ragazza. La bellezza dell'arte e della sua amica lo avevano aiutato a scoprire la bellezza del proprio spirito. Adesso sì davvero voleva cambiare vita e sposarsi con lei per sempre.
    Scrivere, parlare, trattare del tema della bellezza è un segno dei tempi. Dopo epoche in cui l'arte e l'architettura sono state strumentalizzate al servizio del pragmatismo, dell'efficientismo, di qualche ideologia o ragion di stato, la bellezza ritorna a essere cercata come componente essenziale delle cose, della natura, delle persone e dell'esperienza umana, qualcosa che ha valore in sé e che non ha bisogno di trovare una giustificazione all'infuori di sé. Il movimento ecologistico, ormai accettato universalmente, anzi promosso da governi, organizzazioni e gruppi umani, è una voce di allerta per salvare la bellezza. La bellezza della natura e la necessità di apprezzarla e conservarla sono un elemento centrale nell'ecologia, che però s'impoverirebbe troppo se si dovesse ridurre alla sola difesa delle risorse naturali e dell'ambiente.
    La chiesa ha sempre coltivato e promosso la bellezza quale strumento di elevazione dell'essere umano e come cammino verso Dio: oggi più che mai la propone con enfasi. Incalzata dalla sua stessa missione e sospinta dalla necessità di svelare la ricchezza del suo messaggio agli uomini sommersi dal secolarismo, cerca il modo, come dicono molti, di «rendersi attraente», dischiudendo la bellezza della sua liturgia, del suo linguaggio, della sua testimonianza, e di tutto ciò che il cristianesimo dovrebbe far trasparire dell'amore e della bellezza di Dio. È significativo al rispetto il documento di papa Giovanni Paolo II sulla vita consacrata (Vita consacrata 1996): una delle sue chiavi di lettura è la bellezza. È ugualmente interessante notare nella chiesa latina (e il documento citato lo conferma), il processo di avvicinamento alla mistica della bellezza, d'altra parte così ben sviluppato nelle chiese orientali. Ci riferiamo alla filocalia (l'amore per la bellezza) come cammino di fede; alla «gloria di ciò che è sensibile» e alla «poetica della fede»... Ci interessano le icone e la loro teologia spirituale.
    In questa fase di «recupero teologico della bellezza» è diventata d'uso comune l'espressione del grande scrittore cristiano Dostojevski: «la bellezza salverà il mondo», pronunciata dal suo «principe idiota».
    Nel tentativo di spiegare questo straordinario interesse per tutto ciò che si riferisce alla bellezza, i filosofi affermeranno che esso è radicato nella natura di ogni essere umano; e che l'attrazionedella bellezza è una proprietà esclusiva dell'uomo. Solo un essere intelligente e capace di amare – un essere spirituale – è in grado di apprezzare la bellezza in tutte le sue forme. Più ancora, è proprio dell'uomo sentirsi attratto dalla bellezza e a sua volta creare bellezza, così come è specifico della razza umana ricercare la verità e il bene, e fare ciò che è vero e ciò che è buono. Gli stessi filosofi ricorderanno che ciò avviene perché la bontà e la bellezza sono – in un certo senso – qualità che fanno parte dell'essenza di ogni essere. Diranno quindi che solo lo spirito umano, tra tutte le creature della terra, è atto a conoscere l'essenza di ciò che esiste ed è attratto da ciò che ha in sé verità, bontà e splendore di bellezza e, nell'appagamento di questa attrazione, trova pienezza e felicità.
    Queste considerazioni, di tipo filosofico, si fondano in ultima analisi sull'esperienza semplice e quotidiana del nostro modo di parlare. Infatti usiamo con frequenza espressioni che si riferiscono alla bellezza come a una categoria mentale riconosciuta da tutti. Diciamo infatti: «Che bel quadro; che bella bambina; che bello spettacolo!»; oppure: «Ho fatto una bella passeggiata; ho visto un bel film; ho letto un bel libro, ecc...». L'aggettivo «bello» è usato per specificare una qualità piacevole riferita a persone, oggetti, creazioni artistiche o alla natura. Ma questo aggettivo, che evidentemente è riferito all'apparenza esterna delle cose, racchiude in sé una forza interiore. Un bel libro, un bel film, una bella gita, provocano in noi sensazioni e sentimenti che permangono e ci spingono a comportamenti e inclinazioni che, spesso, caratterizzano il nostro stile di vita.
    La vita quindi è segnata dal modo di rapportarsi con la categoria del «bello» che, in generale, nel linguaggio comune, coincide con il «buono», con ciò che gratifica, piace e soddisfa.
    L'essere umano però è libero e anche di fronte a questa attrazione conserva la sua piena libertà. Può realizzare questa vocazione o non realizzarla. Vediamo infatti che tante volte gli uomini non cercano la verità e nemmeno cercano il bene, a tal punto che la verità e il bene, per una errata interpretazione e un cattivo uso della libertà, non suscitano alcun interesse. Si arriva a cercare una falsa felicità nella cattiveria, nell'inganno e perfino nelle cose più turpi.
    Nonostante tutto ciò, l'attrazione della bellezza è straordinariamente persistente. Potremmo dire che il cammino per raggiungere il bene e la verità comporta una certa fatica, quasi fosse un dovere, mentre è relativamente più facile rispondere al fascino della bellezza. Tra gli uomini quest'ultimo tipo di attrazione è più universale del fascino della verità e del bene. Ne deriva che esso è una delle realtà capaci di unire il genere umano. L'attrazione della bellezza è fondamentale anche per questa sua dimensione unitiva nel dramma di un'umanità divisa e in conflitto per tante e differenti «verità» ed «etiche». In questo sta il suo contributo «alla salvezza del mondo», poiché il suo fascino raggiunge ogni essere umano, forse grazie anche al fatto che la bellezza è la qualità che più colpisce i sensi.
    Come ci si spiega inoltre che vi siano persone che non hanno alcun interesse per la bellezzadella pittura o della musica o della poesia, mentre invece sanno apprezzare con entusiasmo un paesaggio, un volto o una cattedrale gotica? Si dà il caso che, assieme all'universalità del fascino per ciò che è il bello, esiste pure il fatto che la bellezza è selettiva: non tutti percepiscono allo stesso modo le sue innumerevoli e svariate espressioni. L'attrazione per le differenti «bellezze» dipende da fattori di inclinazione personale.
    Tutti sono attratti dalla bellezza della natura, ma non tutti alla stessa maniera e con la stessa intensità. Ad alcuni piace il mare, altri provano piacere ammirando le montagne, la neve, i boschi, un tramonto o un cielo stellato. Alcuni amano le belle costruzioni e hanno le loro città o i loro quartieri favoriti. Altri sono attratti piuttosto dalle decorazioni. Anche l'arte sembra esercitare un'attrazione universale, ma ad alcuni piace più la musica, ad altri invece la pittura o la poesia. È da notare tuttavia, che non tutti, all'interno di una categoria, prediligono le stesse espressioni, poiché la pittura moderna non è la rinascimentale e la musica classica non è la folclorica. Vi sono anche di quelli che non hanno buon gusto e infine notiamo che non tutti sanno apprezzare le manifestazioni della bellezza meno legate ai sensi, come ad esempio la bontà interiore delle persone e la loro trasparenza.
    Come ogni altra qualità umana, anche l'attrazione verso la bellezza deve essere educata. Chi ha saputo coltivarla, saprà essere più universale e capace di scoprirla ovunque si manifesti: in una festa, in una gara sportiva, in un film o in un'opera teatrale, in un corso d'acqua o in un giardino.
    Ma soprattutto nell'essere umano, che porta sempre in sé un tocco eterno di bellezza radicato sostanzialmente nel suo spirito.
    La dedicazione a una forma o espressione di bellezza può dare tale pienezza, da essere capace di riempire e di dare un senso profondo, parziale o perfino totale, alla vita di una persona. Può diventare anche un modo con cui servire gli altri, creando e condividendo bellezza. Ecco allora i musicisti, i cantanti, gli attori, i pittori, gli scrittori, gli architetti, ecc... e, come no, i fioristi, i decoratori, i giardinieri e i fotografi. Su che basi s'appoggia allora la forza d'attrazione dei molteplici volti della bellezza? Se si basasse solo sull'attrazione dei sensi, sarebbe fragile ed effimera.
    Sappiamo che questo tipo di attrazione, che comincia con la passione, si usura presto; il piacere dei sensi ha un limite di saturazione e non può riempire una vita. Mentre la bellezza autentica, e piena, che va oltre il piacere sensuale, ha in sé la capacità di spiritualizzarci. Cioè, da una parte ci umanizza e risveglia in noi ciò che vi è di meglio e dall'altra ci fa trascendere verso una specie di «mistica profana», che invita ad andare oltre, fino a raggiungere l'esperienza religiosa.
    L'essere umano, spesso materialista e pragmatico (a tal punto da diventare poco a poco refrattario alla verità), spesso egoista e corrotto (da essere alieno alla ricerca della bontà) conserva pur sempre in sé la fiammella del fascino della bellezza. Anche se una certa bellezza, verso la quale è attratto, sarà carica di sensualità, vi sarà sempre in quell'attrazione qualcosa che, richiamandosi alla parte migliore della persona, sarà capace di accendere qualche forma di amore, che al momento opportuno renderà possibile il ricupero della vita dello spirito.
    Lo stesso si può dire per quegli uomini che, immersi in situazioni di violenza, di miseria, di frustrazioni e di disperazione, potranno ancora sperare, se sapranno scoprire qualche forma di bellezza che li conquisti e ridia loro il senso della vita. Perché il bello che ci attrae – una persona che ci sta accanto nei momenti di disperazione, un bel libro o un paesaggio esotico – finisce per essere amato, ma nel momento in cui amiamo riscopriamo la vita. Ecco perché la bellezza può salvare il mondo, salvando l'uomo.
    Quando infine alla bellezza si aggiungono altri valori fondamentali quali: l'amore, il rispetto per gli altri, l'onestà, allora la persona sensibile alla bellezza rivela pure una certa armonia interiore. Se invece vi è disinteresse assoluto per ogni senso estetico, per l'ordine, per la pulizia, potrebbe trattarsi di un sintomo di tristezza, di depressione o di mancanza del senso profondo della vita.
    Vi è uno stretto rapporto tra la bellezza e la vita, anche se talvolta le sofferenze, i conflitti, le incomprensioni vorrebbero offuscare la nostra voglia di vivere; però è certo che il superamento maturo di momenti difficili porta a una sintesi superiore nella capacità di gustare ciò che è autenticamente bello.


    CHE COS'È LA BELLEZZA?

    La Verità, la Bontà e la Bellezza se ne andavano a spasso per il paradiso, discutendo animatamente tra loro quale delle tre fosse la più importante e la preferita da Dio.
    La Verità diceva:
    Senza di me tutto è falso e vano, pura illusione, e gli inganni e le falsità finiscono sempre per essere scoperti, lasciando dietro di sé disillusioni e mali. Senza di me, la bontà non è bontà: è ipocrisia e opportunismo. Senza di me la bellezza è puro artificio e cattivo gusto, o peggio, strumento di vuota pubblicità. Voi due avete bisogno di me, se volete durare nel tempo ed essere autentiche.
    La Bontà diceva:
    Io metto amore in tutte le cose. Paolo che, da quando ha cambiato vita sul cammino di Damasco, è diventato amico del Signore, ha scritto che senza amore e senza bontà, poco serve ciò che facciamo. La verità senza bontà è, infatti, intollerante e orgogliosa, e talvolta perfino crudele. La bellezza senza bontà finisce presto per stancare, quando non crea dipendenza e perfino schiavitù tra le persone. Voi avete bisogno di me se non volete corrompervi e corrompere gli altri.
    La Bellezza diceva:
    Senza di me, nessuno sarebbe interessato a voi. Manchereste di fascino. Sono io che metto in risalto, di fronte agli altri, quello che voi siete. Se la gente cerca ciò che è vero e ciò che è buono, è perché è attratta dalla bellezza che vi è in essi. D'altra parte, sono io che metto pace e armonia tra di voi, altrimenti eccedereste da una parte o dall'altra. Io sono l'integrazione nell'armonia.
    A questo punto della conversazione si unì alla compagnia Dio Padre e fece loro questo discorsetto:
    Ho sentito cosa stavate dicendo. È giusto quello che ciascuna di voi affermava sulla propria importanza. Ognuna è indispensabile nel creato, ma ancor di più nella vita d'ogni uomo. La cosa assolutamente necessaria però è che voi tre coesistiate, perché solo così potrete sussistere: il mondo allora e gli uomini saranno ciò che devono essere. Ricordatevi inoltre che se una di voi dovesse fallire o avesse perso la capacità di attrarre gli uomini, le altre potranno sempre essere d'aiuto e di stimolo agli esseri umani, perché possano nuovamente essere attratti e ritrovare la verità, la bontà o la bellezza smarrite. Ognuna di voi racchiude in sé il seme e il segreto delle altre due per il bene dell'umanità: davvero senza di voi non c'è vita, né libertà, né felicità.
    Non è facile dare una definizione della bellezza, né esprimerne l'esperienza, come avviene d'altra parte per le grandi qualità dello spirito (l'amore, la felicità...). Osservavamo inoltre che il fascino della bellezza è abbastanza universale tra gli uomini; allo stesso modo le descrizioni o «definizioni» di ciò che è bello hanno spesso un denominatore comune. Tra i pensatori e i filosofi non troviamo infatti grande discordanza di idee rispetto a ciò che si considera bello.
    Partendo dai filosofi greci, la bellezza è «ciò che piace alla vista». L'essenza di questa definizione è rimasta invariata, anche se va estesa oltre il «senso» della vista. Vi è ciò che piace all'udito e, in forma più generale, alla sensibilità; vi è ciò che soddisfa l'intelligenza, il desiderio, cioè in fondo lo spirito. Il pensiero medievale invece amava definire così la bellezza: «splendore dell'armonia in una realtà», fondendo molto spesso «bellezza» e «gloria», identificando entrambe con il fulgore della bellezza.
    Così la pensavano alcuni teologi e mistici del medioevo (ad esempio san Bernardo), per i quali in molti casi la gloria di Dio equivaleva alla bellezza di Dio.
    Arrivando poi all'epoca moderna, per il filosofo Kant (che differiva in molti punti dal pensiero cristiano, ma che invece convergeva sul tema della bellezza), bello è «ciò che piace a tutti, ma senza la mediazione di un concetto». Questo famoso filosofo mette in evidenza l'universalità e la gratuità della bellezza. Grazie alla sua universalità, ciò che è realmente bello lo è per tutti, con eccezione di coloro il cui senso della bellezza non sia mai stato educato o che si sia degenerato. Per la sua gratuità, ciò che è bello suscita un piacere disinteressato; racchiude in sé il suo valore e la sua finalità.
    La bellezza diventa in tal modo partecipe della gratuità dei grandi valori dello spirito, quali l'amore, la felicità e la contemplazione. Il bello si contempla senza secondi fini né ha bisogno di giustificazioni in altre cose. Manipolarlo a scopo di sfruttamento commerciale, sessuale o per ottenere prestigio, distrugge la sua purezza e ricchezza contemplativa. Sempre è esistita questa minaccia contro la bellezza, ma ai nostri giorni raggiunge dimensioni allarmanti. Se una cultura, infatti, rinuncia alla contemplazione della bellezza, rinuncia al suo umanesimo e perde in qualità di vita.
    Vi sono altri pensatori che hanno rilevato ulteriori aspetti del bello, come il piacere, la gioia che produce, soprattutto l'emozione che provoca. Vi sono pure definizioni che mirano all'impatto causato dalla bellezza sullo spirito (non solo quindi sui sensi), quale aspetto più profondo e più importante della sua attrazione, esaltando così l'affinità che esiste tra la bellezza e la spiritualità.
    Arriviamo così alla dimensione più importante della bellezza: essa è colta dallo spirito umano (sempre attraverso i sensi), che a sua volta scorge nel bello ciò che vi è di più profondo. Nella bellezza, considerata in relazione all'uomo, vi è sempre una dimensione spirituale, accessibile solo all'essere umano, com'è accessibile esclusivamente all'essere umano quella parte di verità e di bene presente in tutte le cose. Ne deriva che, per lamaggioranza dei pensatori greci e cristiani, è essenziale che la bellezza sia unita alla verità e alla bontà, dal momento che queste tre qualità fanno parte, in un certo senso, della natura di tutti gli esseri. Ogni «essere» ha in sé verità e bontà (essendo ciò che deve essere e facendo ciò che deve fare) ed è bello per l'irradiazione della loro armonia.
    Platone descrive il bello come «lo splendore del vero»; ma ugualmente si potrebbe affermare che il bello è «lo splendore del buono», oppure «lo splendore dell'armonia di un essere».
    Il «brutto» è l'assenza di bontà o di verità in un essere o la mancanza d'armonia tra queste qualità. Per cogliere la ricchezza del bello e comprendere il suo fascino, è necessario quindi andare oltre i sensi e ammettere che la bellezza è una realtà metafisica, spirituale (come lo sono la verità e la bontà), che invita all'esperienza religiosa o almeno a una «mistica profana». La bellezza è la verità e la bontà nella loro migliore armonia e pienezza, offerte alla contemplazione dell'umanità. Per questo la filocalia, per i monaci d'Oriente, è la contemplazione e l'amore per la bellezza come strada per raggiungere la fede (verità) e la carità (bontà).
    Tutto quanto fin qui affermato è nuovamente confermato dall'esperienza. La bontà che vediamo negli altri attrae sempre, eleva lo spirito, nani-ma la nostra stessa bontà assopita.
    Quest'attrazione della bontà proviene dall'irradiazione della sua bellezza, dalla quale è inseparabile. Con la verità succede qualcosa di analogo, anche se più difficile da discernere, poiché la bellezza irradiata dalla verità è meno attrattiva a prima vista: gli uomini sembrano essere meno interessati alla verità che alla bontà. Ma è innegabile che le pur piccole particelle di verità che alle volte scopriamo con tanta fatica, producono in noi una soddisfazione interiore, spirituale, indescrivibile. E come contemplare una luce – lo splendore del vero – che è bellezza. Questa esperienza è particolarmente affascinante e gioiosa quando si tratta della scoperta e del raggiungimento della fede, la più bella e la più lieta di tutte le verità.
    E naturale quindi che il tema della bellezza abbia impegnato molti teologi, poiché la bellezza è strettamente collegata a Dio stesso. A partire dagli attributi essenziali dell'essere – verità, bontà e bellezza – la cui qualità e grado di espressione dipendono dal genere di ciascun essere (è diverso il tipo di bellezza di un fiore, di una donna, di una sinfonia o della tenerezza umana) si arriva a concludere che l'uomo e la donna sono coloro che, tra tutti gli esseri creati, sono chiamati a possedere la bellezza al grado massimo: solo essi sono stati creati, infatti, a immagine e somiglianza di Dio.
    Possiamo quindi parlare di un'antropologia cristiana della bellezza. Essa, in primo luogo, si riferisce a ciò che rende l'uomo immagine di Dio: non il suo corpo (la bellezza corporale, ai nostri giorni così decantata e ricercata, è pur sempre effimera e proclive all'ambiguità), ma il suo spirito. Lo spirito umano è l'immagine di Dio. In lui risiedono: la verità, nel suo aspetto di chiamata e ricerca della verità; la bontà, come chiamata e ricerca dell'amore; la bellezza, sotto la forma di tendenza e attrazione irresistibile al bello. È questo quanto si vuole dire con l'espressione «bellezza interiore» riferita alle persone.
    L'uomo, creato originalmente con una bellezza piena, perse questa pienezza quando accettò che il peccato e il male entrassero in lui e nella creazione. Il peccato e l'immoralità distruggono la bellezza interiore dell'uomo e della donna; annientando l'armonia tra il loro corpo e la loro anima, tra la loro ragione e la loro sensibilità, la distruggono anche nel loro rapporto con gli altri e con tutta la creazione. Ciò che è immorale è cattivo perché privo di armonia e di bellezza.
    Cristo è venuto proprio per restaurare nel nostro spirito la bellezza originale dell'uomo, rivelandoci la verità e il bene, stabilendo un nuovo rapporto tra la bellezza di Dio, la bellezza umana e quella di tutto il creato. Da allora siamo quindi liberi e responsabili nei confronti della nostra bellezza personale. Possiamo crescere in bellezza e recuperarne la pienezza (il paradiso perduto), che in fondo è il destino ultimo dell'uomo. La bellezza dell'essere umano tuttavia, finché viviamo sulla terra, è sempre un'opera incompiuta. Come pure è un compito costante e necessario quello di crescere nell'armonia tra la bellezza, la bontà e la verità. Purtroppo l'essere umano invece non sempre cerca la verità e il bene e attenta continuamente contro la sua stessa bellezza interiore.
    A questo punto i teologi invitano a fare un passo avanti verso Dio. Infatti, poiché Dio è l'essere pieno, perfetto e assoluto, deve racchiudere in sé gli attributi dell'essere al massimo livello di perfezione. Anzi, Dio si identifica con la pienezza di questi attributi. Dio «è» verità suprema, bontà suprema, bellezza suprema. Dio è bontà perché è verità e bellezza, ma è anche verità perché è bellezza e bontà; ed è bellezza pura e inesauribile, perché è verità e bontà.
    Con la venuta di Cristo e la novità del Nuovo Testamento, l'essere di Dio si manifesta a noi definitivamente, realizzando in Cristo la sintesi dei suoi attributi: l'amore. Dio è amore (cf. 1Gv 4,8). D'ora in poi, per coloro che credono nell'amore che Gesù ha rivelato, la bellezza di Dio è lo splendore del suo amore.
    Tutto quanto abbiamo detto, a prima vista potrebbe sembrare un'elucubrazione teologica, ma in realtà corrisponde alla migliore esperienza della spiritualità cristiana. Molti mistici e mistiche hanno fatto l'esperienza della indivisibilità e della intercambiabilità dell'amore e della bellezza di Dio. Caso classico è quello di santa Caterina da Siena, che era arrivata ad avere l'esperienza della bellezza di Dio a un grado così elevato, da considerarla come l'amore stesso di Dio nel suo splendore tra gli uomini. E non senza ragione. Quando sul monte Tabor Gesù si trasfigurò di fronte ai suoi discepoli (cf. Mt 17,1-8), essi che pur avevano conosciuto la sua verità e il suo amore, rimasero per la prima volta affascinati e rapiti dinanzi a lui, di fronte al fulgore della sua bellezza, fino a quel momento velata nella sua umanità.
    Dio ha sparso nella creazione le tracce della sua infinita bellezza, specialmente nell'anima dell'uomo e della donna, fatti a sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1,26) e in tutto ciò che da lìin poi l'uomo avrebbe creato. «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31), sono le parole con cui terminano i racconti biblici del processo della creazione («buono» in ebraico equivale a «bello»): Dio rimase soddisfatto della bontà e della bellezza della creazione.
    Da allora tutto il creato ci parla della bellezza e della bontà di Dio, così come canta il salmista:
    I cieli narrano la gloria di Dio,
    e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio
    e la notte alla notte ne trasmette notizia.
    Non è linguaggio e non sono parole,
    di cui non si oda il suono.
    Per tutta la terra si diffonde la loro voce
    e ai confini del mondo la loro parola (Sal 18,1-5).
    La vocazione della creazione, di cui parte integrante è il lavoro umano, con la sua missione di prolungarla e realizzarla nel tempo (Gn 1,28), è quella di lasciar intravedere la bellezza di Dio e invitarci a cercarne la sua stessa origine.
    Ma, sappiamo anche che se al principio nell'uomo e nella creazione tutto era bellezza, quando nel mondo sono entrati il male e il peccato, quei semi di bontà e di bellezza seminati da Dio, si sono mescolati con quelli del peccato e della menzogna. Proprio a questo si riferisce Gesù nella sua parabola del frumento e della zizzania (Mt 13,24-30). Da allora anche la bruttezza è entrata nel mondo; la bellezza ha perso la sua purezza ed è rimasta vittima dell'ambiguità.
    La bellezza conosce gradi, a partire dal principio della sua «somiglianza» con la bellezza di Dio, fonte di ogni bellezza. La bellezza più alta è quella dello spirito, perché Dio è spirito. Nell'uomo, che è spirito incarnato, la sua bellezza spirituale o interiore si manifesta nella bellezza delle sue creazioni artistiche e, in un certo senso, nella bellezza del suo corpo. In quanto alle creazioni artistiche esse non sarebbero possibili se non fluissero da quel nucleo di bellezza interiore che vi è nelle persone. Potrà darsi che un vero artista, un creatore di bellezza, non conduca una vita molto santa, ma necessariamente nella sua anima ci dovrà essere una bellezza che lo renda capace di comunicare qualcosa di bello agli altri.
    Riferendoci al corpo umano: non è esatto dire che come corpo, in quanto tale, ha la capacità di esprimere l'interiorità della persona umana; ma si può affermare che è dotato di «finestre dell'anima», che possono manifestare bontà e bellezza interiori, come i gesti e le parole, il volto, ma soprattutto lo sguardo, giacché negli occhi si può vedere il miglior riflesso dell'anima. Quando il corpo manifesta la bellezza interiore dell'essere umano, si potrà parlare di lui nell'ambito di una «teologia del corpo», quale complemento e specchio della bellezza spirituale dell'uomo. Tema questo affrontato da Giovanni Paolo II, nel giorno in cui avvenne la presentazione degli affreschi restaurati della Cappella Sistina.
    Oltre alla bellezza spirituale, abbiamo già accennato che vi è una bellezza del mondo sensibile, presente nella natura e nelle opere create dall'uomo. Proprio quest'ultima gli uomini, di solito, cercano per saziare la loro sete di bellezza.
    Anche se di per sé essa è un bene, rivela allo stesso tempo i condizionamenti cui è esposto l'uomo nella sua ricerca di bellezze superiori. Infatti, molto spesso l'essere umano è incapace di apprezzare la bellezza spirituale e interiore dei suoi simili, travolto da una vita esteriore puramente sensibile e molto spesso sensuale. Appare così incapace di risalire dalle bellezze visibili a quelle invisibili, dalle bellezze create alla bellezza di Dio, la cui contemplazione gioiosa e sempre nuova costituisce il suo ultimo orizzonte. «Tardi ti conobbi, bellezza sempre antica e sempre nuova», scrive nelle sue Confessioni sant'Agostino, ormai purificato nella sua sensualità.

    AMBIGUITÀ DELLA BELLEZZA

    Un angelo scese sulla terra fingendosi donna. Non era mai stato tra gli esseri umani e aveva voglia di mescolarsi tra loro. Gli avevano assicurato che gli uomini e le donne – soprattutto le donne – erano le creature più belle create da Dio nel mondo visibile. Si mise a lavorare in una grande agenzia di pubblicità. Gli avevano anche promesso che lì si sarebbe incontrato con il fior fiore della bellezza: le donne e gli uomini che lì si facevano fotografare e riprendere, con la loro sola presenza aumentavàno le vendite di idee e di prodotti. Ma, ben presto il nostro angelo si disilluse, perché la bellezza che aveva visto gli sembrava artificiale, sensuale e manipolata. Essi ed esse non manifestavano quello che erano realmente, ma con le loro astuzie e artifici volevano far colpo sui sensi e sull'attrazione sensuale, con lo scopo di attirare la gente a favore di un candidato, di una campagna pubblicitaria, di una crema o di certi vestiti... Si trattava di una bellezza superficiale ad alto costo, che veniva usata e venduta.
    Poi l'angelo assistette a varie sfilate di moda. Senza dubbio lì vi era un concentrato dei più bei volti e delle più raffinate silhouettes di tutte le razze. Ma il nostro angelo non si sentiva affatto soddisfatto dallo spettacolo di quella bellezza corporale, perché gli risultava effimera; si mise a cercare allora la bellezza dello spirito, di cui tanto gli avevano parlato, ma ancora una volta rimase frustrato. Durante le sfilate aveva potuto scambiare opinioni con le modelle, ma aveva trovato in loro solo enorme vanità, frivolezza e freddezza interiore. Allora si convinse di aver condotto male, fino a questo punto, la sua ricerca e, deciso a trovare la bellezza interiore degli uomini, si mise a esplorare altri ambienti. La scoprì nei posti più comuni e impensati. La trovò nell'innocenza dei bambini, nello sguardo delle persone anziane, nella tenerezza di tante suorine... E ritornò in cielo persuaso che molti esseri umani, per la loro bellezza, assomigliavano davvero a Dio.
    Abbiamo osservato che la bellezza può perdere la sua purezza, diventare ambigua e perfino corrompersi. Abbiamo ricordato, d'altra parte, che ciò avviene perché all'inizio della storia umana il peccato, e con esso la bruttezza, sono penetrati nel cuore dell'uomo. Per questo quando parliamo dell'ambiguità della bellezza, ci riferiamo da una parte a certe produzioni di bellezza, creata dagli uomini e dall'altra alla loro simultanea capacità di contemplare ed entrare in comunione con la bellezza autentica, specialmente con quelle espressioni di bellezza che possono alimentare il loro spirito, fino al punto da condurli a Dio.
    Questa constatazione è per tutti un invito al compito permanente di redimere la bellezza, di liberarla dalle distorsioni e dalle ambiguità a cui può essere esposta, così come avviene con il dovere e la necessità di riscattare tutti gli ambiti della condizione umana. La bellezza può essere redenta, nella misura in cui tanto nella bellezza creata
    dagli uomini, come nella ricerca di ulteriori bellezze da parte loro, il bello risplenda, poco a poco, in armonia con la bontà e la verità. Insomma, la ragione principale delle sue ambiguità risiede nel fatto che gli uomini, quando creano bellezza o vogliono impadronirsi del suo fascino, la svincolano dalla verità o dalla bontà. Allora, come si suole dire, ne deriva un'estetica disgiunta dall'etica. L'essere umano può purtroppo fare abuso della sua libertà ed optare per ciò che disumanizza e inganna, arrivando a manipolare la bellezza fino a corromperla.
    Tutti i tempi hanno conosciuto veri e propri attentati contro la bellezza, e non solo per mancanza di formazione o per cattivo gusto. Anche i nostri tempi non fanno eccezione. E. sbagliato fare del bello qualcosa di puramente strumentale, senza valore di per se stesso, ma piuttosto «ornamento» di un'offerta commerciale o pubblicitaria, con l'obiettivo che tale «ornamento» diventi stimolo della sensualità del pubblico, più che risveglio della sua attrazione per la bellezza. Ciò che potrebbe e dovrebbe essere bello perde invece la sua forza ispiratrice e la sua capacità di elevare lo spirito: perde il suo carattere gratuito e contemplativo; in poche parole, perde la sua vocazione a rendere migliore la gente. Il bello separato dal vero e dal buono diventa incapace di innalzare le persone al godimento spirituale e alla bellezza di Dio.
    Il bello cade inoltre nell'ambiguità quando è usato come strumento di propaganda ideologica o di potere (collettivo o personale), o per imporre una certa cultura o una certa politica: la verità si trasforma in demagogia e il bene in opportunismo. Sono tanti gli esempi concreti che ci sono stati nel corso della storia, come pure quelli che si possono osservare nelle vicende degli stati totalitari e tirannici di epoca recente. Tutti abbiamo visto monumenti, edifici, mausolei tanto più grandi, quanto più brutti. Siamo ben consapevoli che gli stati in cui le arti, la letteratura e l'estetica, sono orientati e manipolati, ogni espressione di bellezza cade nella mediocrità o, in poche parole, è rimpiazzata dalla bruttezza. Il diritto alla bellezza è uno dei diritti umani. Non molto tempo prima del suo crollo, un visitatore dell'ex Unione Sovietica faceva questa osservazione: «Il comunismo sovietico è destinato a fallire, perché è esteticamente brutto».
    Il problema dell'ambiguità a cui è esposta la bellezza, non ha mai smesso di suscitare un grande interesse nella storia del cristianesimo. È indubbio l'amore della chiesa per la bellezza. Ha saputo preservarla in mezzo a tutti i mutamenti della storia, l'ha sostenuta e protetta (la chiesa è stata il più grande «mecenate» d'Occidente), e l'ha coltivata nelle espressioni della sua liturgia, della sua architettura e del suo insegnamento. Tutto questo è risaputo, sia che ci riferiamo alle chiese orientali, sia che ci riferiamo alla chiesa latina. D'altra parte non è estranea alla chiesa una certa diffidenza di fronte ad alcune forme di bellezza, specialmente quelle che vogliono assorbire tutta la sensibilità e puntare quasi esclusivamente sulla sensualità. Da lì le reticenze cristiane versoalcune produzioni dei mezzi di comunicazione visiva (cinema, televisione...) o alcune espressioni musicali (rock, pop...).
    La dimensione sensibile-sensuale del bello, specialmente quella del corpo umano o delle espressioni artistiche visive, è una delle principali cause di ambiguità nell'ambito della bellezza. Per colui che è attratto fortemente da queste forme di bellezza, ciò che dovrebbe essere godimento dello spirito può trasformarsi in tentazione. «Il tentatore – afferma un vecchio esperto in cose dello spirito – può usare quella bellezza per schiavizzare e non per elevare». Infatti, quella bellezza che colpisce i sensi in modo esclusivo e assorbente, rende opaca la sua stessa verità e bontà e indebolisce l'attrazione per le bellezze spirituali. Parafrasando san Paolo, potremmo dire che esiste ciò che è bello «secondo la carne» e ciò che è bello «secondo lo spirito». Scrive sant'Agostino nelle sue Confessioni: «Allora io non capivo queste cose; invece amavo le cose belle di quaggiù e camminavo così verso l'abisso, dicendo ai miei amici: "Amiamo forse ciò che non è bello?"».
    Non si riferisce forse la Bibbia a questa ambiguità della bellezza sensuale per farci capire l'origine della caduta dell'uomo? Il racconto biblico dell'albero del frutto proibito, nel paradiso terrestre, narra che «la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi, e desiderabile...» (Gn 3,6). In altre parole, bello per i sensi al grado massimo. Attraverso questo piacere sensuale passerà la tentazione che, una volta accettata, non permetterà di distinguere il bene dal male.
    Il simbolismo biblico mostra che la bellezza, una volta deterioratasi nel cuore umano, esercita da lì il suo incantesimo; lo porta a un vero culto idolatrico, usurpa il posto di Dio, rende indifferente al bene e alla verità. In questo simbolismo è racchiuso il vecchio detto latino: «La corruzione del più buono è la peggiore». Vuol dire che quanto più una cosa o una persona sono belle, maggiore sarà il fascino egoista e passionale che scatenano quando si separano dalla verità e dal bene.
    Tutto ciò che è stato esposto sull'ambiguità della bellezza, invita quindi a un discernimento etico (in quanto tutto ciò che è ambiguo ha bisogno di discernimento). Ciò deve essere considerato ed è importante nella formazione spirituale, a volte eccessivamente diffidente e critica nei confronti delle bellezze sensibili, con pregiudizi che portano talvolta a considerare ogni godimento sano della sensibilità, come tentazione o pericolo pet la libertà dello spirito. (Secondo questi preconcetti si dovrebbe sempre considerare con sospetto la bellezza del corpo umano; così come si dovrebbe sempre preferire la musica, piuttosto che l'estetica visiva). A priori, invece, senza discernimento non possiamo parlare di bellezze totalmente cattive o completamente buone.
    Trascrivo il brano di una lettera di una religiosa, amante di Dio e della bellezza:
    Nella formazione che in quel tempo si riceveva, non si educava alle cose belle. Mi sembra piuttosto che in quell'epoca esistesse l'idea (implicita), che il bello distraeva e che si dovesse considerare con sospetto, come se il brutto avesse maggior affinità con la consacrazione a Dio e con la santità.
    In un'altra lettera, di una novizia, questa volta:
    Oggi pomeriggio, all'imbrunire, sono andata a camminare vicino al mare e sono rimasta impressionata dalla bellezza del tramonto. Ho provato un'enorme gioia e sono ritornata al noviziato con il cuore gonfio di allegria. Ma un po' più tardi, sola nella mia cella, ne ho sentito rimorso e mi sono chiesta se una religiosa avesse mai diritto a provare tanto godimento per le bellezze del mondo.
    Data la condizione umana, saranno sempre possibili l'ambiguità della bellezza e le sue forme di idolatria. Bisognerà sempre fare i conti con il peccato contro la bellezza, che consiste nella sua manipolazione, con il risultato di umiliare, svilire l'uomo invece di innalzarlo. Separando il bello dal buono si finirà sempre col trasformare la bellezza in bruttezza. Non ci riferiamo al cattivo gusto o alla mancanza di educazione estetica. Ci riferiamo alla bruttezza generata dalla menzogna e dall'assenza di spirito che disumanizza e cancella ogni ricordo e impronta di Dio. In questo senso brutto è il peccato, allo stesso modo in cui immorale, è ciò che è intrinsecamente brutto.
    La bellezza creata dall'uomo – ogni forma d'arte o di estetica – può essere contrassegnata dall'ambiguità fin dalla sua origine. Infatti, l'artista o il creatore d'opere d'arte, chiunque egli sia, trasmette alla sua opera non solo la propria tecnica e il proprio stile artistico, ma contemporaneamente anche la propria ricchezza (bellezza) interiore, come pure le sue zone d'ombra o bruttezze, fonti di ambiguità.
    Quanta più bellezza vi è nell'anima dell'artista o di colui che crea, tanto più bella sarà la sua opera d'arte, tanto più umana e atta a suggerire la bellezza di Dio.
    L'ambiguità della bellezza, in ultima analisi, risiede nel cuore di colui che entra in contatto con essa. La redenzione della bellezza va di pari passo con la purificazione del cuore umano, come ce lo ricordano le beatitudini: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8), vedranno la bellezza di Dio. La bellezza salverà il mondo attraverso il cuore di quelle persone che hanno fatto del fascino per il bello l'oggetto del loro amore.
    Ma su questo rifletteremo più avanti.

    DALLE BELLEZZE ALLA BELLEZZA

    Quando Dio creò gli uomini, sapeva che molti di loro, in ogni tempo e in ogni luogo, avrebbero faticato a riconoscere in lui l'autore dell'universo. Sapeva inoltre che molti avrebbero avuto ancor più difficoltà a credere nel suo amore, dopo la comparsa nella creazione, proprio per colpa dell'uomo stesso, dell'egoismo, dell'odio, dell'ingiustizia e della miseria. Egli sapeva infine che molti avrebbero ignorato le sue parole, rivolte loro per mezzo di persone e di libri santi, per mostrare il vero cammino della liberazione.
    Allora, in previsione di tutto ciò, Dio aprì il granaio della sua bellezza e seminò il suo contenuto nella creazione. Allo stesso tempo, donò agli uomini la capacità di saper apprezzare almeno alcune delle bellezze seminate da lui. Sapeva, il buon Dio, che in questo modo stava dando loro una traccia per poterlo scoprire e incontrare. Inoltre, da buon Padre, Iddio concesse a molti la capacità – fino allora prerogativa sua – di creare diverse forme di bellezza, ispirate in lui. Così, infatti, la bellezza del mondo avrebbe potuto continuamente arricchirsi e rinnovarsi, con espressioni sempre nuove, nelle diverse epoche e culture. E i segni e le impronte dell'amore di Dio per gli uomini si sarebbero mantenuti sempre freschi e attuali.
    Dio ha seminato nel mondo, nella natura e nell'umanità frammenti della sua verità, della sua bellezza e della sua bontà. La bellezza della natura – per la cui preservazione oggi tanto lottiamo –e la bellezza dell'arte e dell'estetica – che allo stesso modo ci sforziamo di difendere dal cattivo gusto, dalla commercializzazione e dall'arbitrarietà – sono manifestazioni della bellezza di Dio.
    Scrive Massimo il Confessore:
    Il fuoco ineffabile e prodigioso nascosto nell'essenza delle cose, come nel roveto (di Mosè), è il fuoco dell'amore divino e lo splendore fulgido della sua bellezza presente in tutte le cose.
    E suor Elisabetta della Trinità:
    Questo è il sogno del creatore: potersi riflettere nelle sue creature e scorgere in esse tutte la sua perfezione, tutta la sua bellezza, come attraverso di un cristallo puro e senza macchia.
    C'è pertanto una grande somiglianza e affinità tra l'esperienza estetica e l'esperienza mistica; una unità arcana tra arte e religione. Ambedue queste esperienze invitano a un atteggiamento contemplativo: un andare oltre l'attrazione sensibile di «quella» bellezza concreta. In molti la bellezza estetica rinforza e risveglia lo spirito, produce crescita interiore, voglia di essere migliori; per un credente, oltre tutto ciò, è un modo di fare esperienza della presenza di Dio, in quanto l'esperienza estetica diventa per lui esperienza mistica. Possiamo menzionare le icone, «ombra di Dio»,secondo la spiritualità ortodossa, oppure i simboli sensibili della liturgia (si parla di «arte liturgica») o la capacità di elevazione religiosa della musica e del canto. La musica sembra essere l'espressione artistica più vicina all'esperienza religiosa, probabilmente per la sua maggior distanza da ciò che è sensuale e ambiguo.
    Il vero artista, che è al servizio della bellezza, crea esseri «purificati»; ci aiuta a scoprire e a contemplare la loro dimensione ideale, la loro verità e bontà altrimenti nascoste. Il vero artista (pittore, poeta, scultore, ecc.) ci aiuta a scoprire l'aspetto meraviglioso del mondo e la sua bellezza segreta; quel fuoco presente nel roveto ardente di Mosè che arde senza consumarlo (cf. Es 3,1-6).
    La natura e l'arte racchiudono in sé un mistero, come la religione. Ci rivelano per intuizione e contemplazione, senza raziocinio, la loro connaturalità con le grandi aspirazioni e ideali dello spirito. Per questo «familiarizziamo» con certe poesie, certi quadri, certe canzoni, certe opere musicali, certi libri... come pure con certi luoghi o certi paesaggi. Tutte queste «amicizie» sono un riflesso del mistero attraente della bellezza e dell'amicizia di Dio stesso.
    È compito della spiritualità cristiana saper unire l'esperienza estetica con l'esperienza mistica. Tale unione passa attraverso un'ascetica educativa dell'esperienza estetica, che mentre si purifica dalle sue possibili ambiguità, si rende capace di riflettere la bellezza e l'amore di Dio che viene incontro agli uomini. Una persona spirituale è quella che sa che la realtà ha due livelli e ne ha fatto l'esperienza. Da una parte l'esperienza propria umana dell'amore e della bellezza (estetica); dall'altra, l'esperienza di fede di un Dio che è la fonte di ogni amore e di ogni bellezza (mistica), senza mai esaurirsi in essi. La spiritualità cristiana è l'arte di saper passare dal visibile all'Invisibile con naturalezza; dalle verità alla Verità; dagli amori all'Amore e dalle bellezze alla Bellezza.
    È la capacità di parlare della Bellezza invisibile e farla amare (filocalia), utilizzando la bellezza visibile dei simboli e del linguaggio poetico. Elementi questi che ci portano a contemplare la bellezza divina per intuizione amorosa, perché i simboli e la poesia portano oltre le parole e si dirigono al cuore.
    La poesia di un mistico, quale fu san Giovanni della Croce, assolutamente preso e affascinato dalla bellezza di Dio, è chiaramente una stupenda espressione estetica della natura e dell'amore umano. Ci fa capire, in realtà, che ci sta parlando simbolicamente di una realtà ben superiore, mentre ci trasmette in questo modo la sua esperienza di una bellezza e di un amore talmente ineffabili, che si possono esprimere molto meglio con simboli – artistici ed estetici – più che con parole. Nel suo Cantico Spirituale, la sua opera più famosa, ispirata al Cantico dei Cantici, ci parla dell'amore di una sposa in cerca dello sposo, sedotta dalla sua bellezza:
    Scopri la tua presenza
    e mi uccida la visione di te e la tua bellezza;
    guarda che il mal d'amore, non si cura
    se non con la presenza e la figura.
    E mentre è alla ricerca di quella bellezza, l'anima innamorata non si sofferma sulle bellezze precarie:
    In cerca dei miei amori
    andrò per fiumi e monti,
    non coglierò più fiori
    né temerò le fiere
    e andrò oltre a forti e frontiere.
    La strada della sua ricerca è segnata dalle bellezze della creazione, che lo sposo «ha rivestito con il suo stesso splendore».
    Dopo averlo trovato, tutto è contemplato attraverso la bellezza dello sposo:
    Rallegriamoci Amato,
    e andiamo a specchiarci nella tua bellezza sul monte e sul colle
    dove sgorga l'acqua pura;
    [...] il respiro del vento,
    il canto del soave usignolo,
    il bosco e le sue grazie
    nella notte serena
    con fiamma che consuma e non dà pena.
    Per il mistico carmelitano la bellezza di Dio è lì, a portata di mano, pe/ essere goduta, ma avvolta nella fede, «nella notte», che nella nostra condizione umana è la chiave per poter accedere alla bellezza di Dio.

    LA BELLEZZA COME ESPERIENZA MISTICA

    Cecilia era una giovane che voleva diventare una mistica. Non era attratta da una professione, né da un fidanzato, né dal matrimonio e neppure dalla famiglia. Nemmeno la sua passione per la pittura – sapeva dipingere molto bene – la soddisfaceva pienamente. Lei voleva essere «una mistica», come quelle donne sante, le cui vite aveva letto nei libri della biblioteca parrocchiale. Aveva concluso che per diventare una mistica la cosa migliore da farsi fosse quella di diventare monaca: così entrò nel noviziato di un monastero.
    Lì apprese in fretta molte cose. Imparò che essere mistica voleva dire saper trasformare ciò che si fa, ma soprattutto il rapporto con le persone e le cose, in un'esperienza della presenza amorevole di Dio e che ciò non era il risultato di sforzi personali, ma un cammino di grazia. Scoprì inoltre che nel monastero c'era tanta bontà e spiritualità, ma poche monache veramente mistiche. Cecilia perciò, decisa a essere una vera mistica poiché ne sentiva fortemente la vocazione, cominciò con fermezza il lungo cammino dell'esperienza mistica.
    Dedicava molto tempo alla preghiera, ma ben presto cominciò a sentire aridità invece che fervore; non sapeva se stesse pregando bene, né se la quantità di preghiere la stesse aiutando a trovare
    Conosco bene la fonte zampillante e viva:
    anche se è notte.
    So che esservi non può cosa più bella
    e che i cieli e la terra bevon d'ella,
    anche se è notte.
    La sua chiarità mai si oscura
    e so che ogni luce da lei proviene,
    anche se è notte.
    A essa son chiamate le creature
    e di quest'acqua si saziano, anche nel buio, perché è notte.
    Terminiamo citando santa Teresa d'Avila, un'altra grande mistica:
    Trovandomi una volta in preghiera, mi si presentò in un baleno, senza che io potessi vedere una cosa formata, ma fu una rappresentazione assolutamente chiara, come si vedono tutte le cose in Dio e come in lui son racchiuse; saper descrivere questo io non so, ma tutto ciò rimase assai impresso nella mia anima, ed è uno dei grandi favori che il Signore mi ha fatto (Vida 40,9).
    Dio nel prossimo. Offriva dei sacrifici al Signore e si mortificava in tutto ciò che le era possibile, ma si rendeva conto che ciò la faceva sentire migliore delle altre. Alla fine aveva preso la decisione di sacrificare ciò che più amava, dopo Dio, in altre parole la sua arte di dipingere, in cui chiaramente stava progredendo e che per lei ormai era anche l'unico svago.
    La madre superiora del monastero, però, che apprezzava molto Cecilia ed era al corrente della sua sincera ricerca, come pure dei suoi dubbi e delle sue perplessità, non le consentì tale decisione, anzi l'incoraggiò ad andare avanti, con queste parole:
    Non perderti d'animo. Dio ti farà diventare una mistica, ma certamente non a modo tuo e per le strade che tu ti immagini; la maggior parte delle persone mistiche non sa di esserlo. Succede che ognuno ha il proprio percorso mistico, secondo le proprie qualità e i propri talenti, sia naturali che spirituali. Ci sono persone che arrivano all'esperienza mistica attraverso l'esercizio delle opere di carità o facendosi missionarie, altre avendo ed educando figli. Per quanto posso capire, il talento che Dio ha messo in te è quello dell'arte; il tuo cammino mistico passerà attraverso la pittura. L'arte è meravigliosa, così preziosa come la preghiera o il servizio ai poveri. Infatti, in ogni bellezza possiamo sperimentare l'amore di Dio per gli uomini.
    Cecilia continuò a dedicarsi alla pittura, benché adesso in maniera nuova. Non lo faceva più per distrarsi o per hobby, ma come parte della suapreghiera e del dono di sé a Dio, come cammino che l'abituava ad andare dalla bellezza visibile della sua arte, alla bellezza invisibile di Dio. Poco a poco, il perfezionamento della sua arte divenne in lei esperienza religiosa. Poteva applicare analogamente questo tipo di scoperta a tutte le altre forme di bellezza che trovava e ammirava, sia nella natura, che nelle persone o nelle piccole, e apparentemente insignificanti, cose di tutti i giorni.
    Con il trascorrere del tempo, suor Cecilia perse la sua ansia di diventare una mistica. Aveva imparato a dimenticare se stessa, a non preoccuparsi della sua bellezza interiore, a rendere grazie invece continuamente al Signore per tutte le bellezze che la circondavano. La sua pittura serviva perché altri potessero fare un po' di esperienza di Dio presente nell'arte, così come lei faticosamente aveva imparato. La sua arte era diventata un'opera di amore e di apostolato. Cecilia ormai era una delle tante mistiche che lo sono senza sapere di esserlo.
    Per tutto quanto si è detto fin qui, non c'è da meravigliarsi che la bellezza sia una componente – in molte persone essenziale – della spiritualità cristiana. Su questo punto, la tradizione spirituale delle chiese d'Oriente sembra essere più ricca ed espressiva di quella delle chiese d'Occidente. La tradizione spirituale occidentale è più razionale e orientata all'azione, mentre quella orientale è più carica di simboli e orientata alla contemplazione, tendente alla bellezza. Il monachesimo orientale, la sua produzione iconografica, il modo in cui i padri della chiesa d'Oriente esprimono la loro teologia e spiritualità – facendo uso della poetica e dell'allegoria – ma soprattutto la liturgia bizantina, costituiscono un arricchimento, tramite la via della bellezza, di tutta la spiritualità cristiana e una autentica ispirazione per l'Occidente. La tradizione d'Oriente e quella d'Occidente sono i «due polmoni» di cui ha assoluto bisogno la chiesa per respirare equilibratamente. La loro separazione storica dall'unità è un fatto che ferisce il nucleo della vita di entrambe, quindi la strada dell'amore per la bellezza, la filocalia, che è sempre un percorso d'incontro con la Luce, illuminerà la verità e l'amore che sanno unire.
    Nella vita di san Giovanni della Croce si legge che, una volta, chiese a una monaca carmelitana come fosse la sua preghiera («su che cosa si basasse la sua preghiera»). La religiosa gli rispose: «passo il tempo della preghiera contemplando la bellezza di Dio». Possiamo essere certi che la monaca in questione era una mistica, poiché se l'essenziale e lo specifico della preghiera cristiana è l'esperienza dell'amore e della bontà di Dio, sarebbe corretto immaginare che avrebbe potuto benissimo rispondere che nella preghiera contemplava la bontà di Dio. Lei invece era arrivata al punto in cui il Signore le aveva fatto sperimentare lo splendore del suo amore e del suo irresistibile fascino, che noi chiamiamo bellezza.
    La contemplazione della bellezza di Dio è un momento di sintesi della spiritualità cristiana; ma è anche culmine di una vita. Nell'esperienza dell'amore di Dio, contempliamo il mistero centrale di Dio, perché capire un amore infinitamente gratuito, inesauribile e costante ci trascende totalmente. Contemplarne la bellezza invece è quasi portare a pienezza la contemplazione di quello stesso mistero che riempie di stupore e diventa profonda gioia, mentre s'illumina e si fa nostra esperienza di fede.
    Contemplare la bellezza di Dio è entrare per grazia, e grazie alla connaturalità della fede, nella realtà più intima di Dio, il quale ci trascende e ci affascina, perché non può essere spiegato, né contenuto in idee o immagini e nemmeno in sentimenti o affetti. Se fosse possibile, infatti, qui sulla terra, contemplare direttamente la bellezza di Dio, resteremmo accecati dal suo splendore e il nostro spirito ne sarebbe estasiato fino a morire. Iddio, che è «Altro», ineffabile, indescrivibile e misterioso, può essere avvicinato da noi solo attraverso una fede viva, unita all'amore. Contempliamo l'amore e la bellezza di Dio attraverso questa fede che ci fa sentire Dio vicino e ci permette di farne l'esperienza, grazie allo splendore della sua bellezza. «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio», dice Gesù a Maria prima di risuscitare suo fratello Lazzaro (Gv 11,40).
    Dio ci libera, ci umanizza e ci salva quando ci invita a «gustare» la sua bellezza, in un'esperienza spirituale. Questa è la bellezza che in definitiva «salva il mondò». «La bellezza cercata da ogni uomo colpito dall'amore e dalla voglia di Dio –scrive il monaco Simeone – la bellezza che insegna l'atteggiamento concreto ai teologi, quasi una trasfigurazione, ben altra cosa che speculazione». Infatti, l'esperienza della bellezza, come l'esperienza dell'amore, sua gemella, è la forma più elevata della mistica o contemplazione cristiana; è inspiegabile e misteriosa (non ha del mistero ogni bellezza?); rimane oscura per l'intelligenza, l'immaginazione e i sensi, perché frutto di un'intuizione d'amore.
    Alla nostra civiltà, altamente tecnologica, efficientista e consumistica, la contemplazione, la spiritualità, la bellezza, perfino lo stesso Dio, possono sembrare inutili o per lo meno superflui. In questo contesto, il fatto che ci siano delle persone che hanno saputo integrare la contemplazione della bellezza come elemento importante nella qualità della loro vita, è una profezia che ricorda al mondo intero che l'essere umano è programmato per l'amore e per la bellezza già in questa vita, per contemplarla in pienezza in quell'amore e bellezza che è Dio. Questa istanza non può essere disattesa, né tanto peggio sacrificata, senza dover poi pagare l'alto prezzo di una progressiva disumanizzazione.
    Lo splendore della verità, della bontà e della bellezza di Dio, offerto e dato agli uomini, non è un'astrazione teologico-mistica; è diventato per noi «storia» nell'incarnazione del Figlio di Dio. Gesù Cristo è la manifestazione della bellezza di Dio per l'umanità. Colui che disse: «Io sono [...] la verità» (Gv 14,6), ha pure detto: «Io sono la luce» (Gv 8,12). Il simbolo della luce, quale attributo essenziale di Dio, appare già al principio della rivelazione biblica, fino a raggiungere tutta la sua ricchezza, quale simbolo di Cristo, nel Vangelo di Giovanni. La luce è splendore e quindi, riferito a Dio, è splendore della sua verità e del suo amore, vale a dire della sua bellezza. Dio è la luce che è fonte di ogni luce, di ogni bellezza.
    In principio era il Verbo [...] In lui era la vita [...]
    Veniva nel mondo
    la luce vera [...].
    [...] e noi vedemmo
    la sua gloria (Gv 1,1; 4; 9; 14).
    La luce, la gloria e la bellezza di Cristo rivelano la bellezza della Trinità (cf. Col 1,15). Gesù è il sacramento, è l'icona della Trinità che vuole condividere il suo amore e la sua bellezza con gli uomini. In lui si realizza alla perfezione la via (Gv 14,6) che ci conduce all'invisibile. Al farsi parte della creazione, l'umanità del figlio di Dio diventa specchio della divinità; e poiché lui è il capo della creazione, riconduce le bellezze create alla loro vocazione originale: essere un riflesso della bellezza increata.
    La bellezza di Cristo ha origine nella sua divinità, che si unisce alla sua umanità e la pervade totalmente. In Gesù si trova la pienezza d'ogni bellezza spirituale: lui è «il più bello dei figli di Adamo» (Sal 44,3). Il suo splendore interiore e la bellezza della sua anima tuttavia erano partecipi della condizione umana; erano avvolti nel velo del suo corpo. Come ogni altra bellezza interiore, anche la sua si rifletteva – in lui certo in maniera straordinaria – nel suo modo di fare, nel suo stile di vita, nella sua bontà e santità; ma la pienezza di tale bellezza interiore era accessibile solo alla luce della fede e nella dimensione della fede. Rimaneva abitualmente occulta. Ci fu un momento però in cui Gesù la rivelò ai suoi discepoli, un istante in cui tutto il suo splendore trascese la sua umanità. Ci riferiamo all'episodio della trasfigurazione sul monte Tabor:
    Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».
    Egli stava ancora parlando quando una nube luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate con nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,1-9).
    Fino a ora, i discepoli erano stati testimoni della verità e soprattutto dell'infinita bontà di Gesù. Ne erano rimasti conquistati, ma non avevano ancora fatto l'esperienza dello splendore della sua bellezza. L'evento del Tabor li rende testimoni della grandiosità della sua bellezza e ne rimangono affascinati. Adesso, che possono penetrare nella sua bellezza, sembra loro di conoscere il Maestro per la prima volta. Ora la contemplazione di Cristo li rapisce, a tal punto da far loro dimenticare ciò che stavano facendo in quel momento: «È bello per noi restare qui [.. .] rimaniamo qui e facciamo tre tende». Affascinati dal suo fulgore hanno capito che la contemplazione della bellezza riempie le loro vite e che «essere con Gesù» è gioia piena.
    La contemplazione cristiana, e l'esperienza di Dio che ne consegue, consiste nel partecipare, in certo modo, alla visione «seduttrice» del Tabor. proprio quello che è successo ad alcuni mistici e mistiche, nei quali una simile esperienza ha lasciato un segno indelebile.
    Nella sua autobiografia, santa Teresa d'Avila scrive:
    È notevole che da ogni grazia, visione o rivelazione che il Signore mi faceva, la mia anima traeva sempre gran vantaggio. In alcune visioni, questi benefici erano innumerevoli. Quando vidi Gesù Cristo, la sua incomparabile bellezza si impresse così profondamente nella mia anima che ancora oggi vi è scolpita [...]. Al vedere l'affascinante bellezza del Signore, mi sono resa conto che nessun altro, paragonato a lui, sarebbe potuto apparire più bello e capace di conquistare il mio spirito [...]. Poiché di fronte alla bellezza e alle meraviglie che scopro nel mio Signore, tutte le cose della terra mi risultano insipide [...]. Così, tranne il caso in cui Dio lo voglia permettere, in castigo dei miei peccati, che io perda il ricordo della sua bellezza, credo che nessuno, d'ora in poi, potrà occupare il mio cuore da farmi dimenticare, anche solo per pochi istanti, questo dolce Signore (Vida 37,4).
    Santa Caterina da Siena, riferendosi alla sua esperienza, scrive in modo analogo:
    Tutto quanto (Gesù) ci dà o permette nei nostri confronti ha solamente uno scopo: renderci partecipi della sua somma ed eterna bellezza (Lettera 81).
    È lui lo sposo eterno che non muore più; è lui la somma sapienza, il sommo potere, la somma clemenza e la somma bellezza, tanto che lo stesso sole si stupisce per la sua bellezza (Lettera 122).
    C'è un aspetto tuttavia, della bellezza di Cristo, che è stato sempre predominante nella mistica cristiana: è l'irradiazione della sua misericordia, quando prende su di sé le miserie morali e materiali di ogni essere umano. La misericordia di Gesù fa risplendere ciò che vi è di più profondo nel suo essere e nella sua identità: incarnare la misericordia inesauribile di Dio. Per questo motivo in essa lo splendore e il fascino della sua bontà arrivano al punto massimo e raggiungibile dallo spirito umano. Potremmo usare le parole di santa Teresa d'Avila: «Solo vi chiedo che lo guardiate».
    È un guardare che, se realizzato nella fede, trova nello sguardo di Gesù la bellezza del suo amore e della sua misericordia senza limiti.
    Nel nostro incontro quotidiano con Gesù, nell'amicizia con lui e nella preghiera che ci unisce alui, dobbiamo imparare a lasciarci penetrare poco a poco dalla bellezza del Signore in questo rapporto d'amore. Allora si farà più intensa la nostra attrazione verso di lui, come quella dei discepoli sul monte Tabor. Poiché il fascino esercitato da Gesù è come quello del tesoro nascosto o della perla preziosa del vangelo (cf. Mt 13,44-46), veramente bellissimi e incomparabilmente più preziosi di ogni altra cosa. Le persone che già possedevano altri tesori e altre perle e a cui erano tenacemente aggrappate, continua il vangelo, adesso li vendevano, perché di fronte alla opportunità di entrare in possesso del nuovo tesoro e della perla straordinaria volevano con tutti i loro mezzi raggiungere la gioia di possederli. Così, anche noi, saremo portati a relativizzare e a liberarci da tutto ciò che annebbia lo splendore di Cristo in noi.
    Al contemplare la bellezza di Gesù – sempre avvolta nella fede –, luce e grazia per gli uomini, saremo sempre più assorbiti da essa, perché essa attua e trasforma come grazia splendente. E così che, di luce in luce e di grazia in grazia, Gesù comunica ai suoi amici la sovrabbondanza della sua bellezza interiore.
    La bellezza è trinitaria. Nella Trinità, lo Spirito Santo, amore eterno tra il Padre e il Figlio, è l'amore fatto persona. Amore inviato al mondo, che risplende nel mondo come luce e bellezza. Lo Spirito Santo è lo SOito della bellezza.
    Secondo i padri della chiesa d'Oriente, lo Spirito Santo è la fonte immediata della bellezza giacché la sua missione è quella di comunicare allo spirito umano l'amore di carità (cf. Rm 5,5) che costituisce la bellezza interiore dell'uomo.
    Grazie allo Spirito Santo, l'essere umano partecipa della bellezza divina.
    Allo stesso modo lo Spirito Santo è l'artefice di ogni bellezza che si trova nella creazione: «Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu» (Gn 1,2-3). «Sia fatta la luce», vorrebbe dire: «Venga lo Spirito Santo a illuminare e a trasformare in bellezza il vuoto, il caos e l'oscurità. Venga lo Spirito Santo a rivelare e a seminare nella creazione la bellezza della Trinità». Il Padre «dice» eternamente la bellezza del Figlio e lo Spirito Santo la manifesta. L'amore e la bellezza della Trinità, ineffabili e inaccessibili, in quanto costituiscono la vita stessa della divinità, si «esteriorizzano» attraverso l'azione dello Spirito Santo: amore e bellezza dei quali gli uomini possono godere e partecipare.
    Lo Spirito è il principale artefice della bellezza spirituale o interiore delle persone. Si sa bene, infatti, che tra «le missioni» delle tre persone della Trinità, relative agli uomini, lo Spirito Santo ha quella di santificare. Lui è «la fiamma viva d'amore» (nel simbolismo di san Giovanni della Croce), che dimora nel centro più profondo dell'anima di coloro che cercano Dio, con la finalità di trasformarla progressivamente, come un fuoco divoratore che arde lentamente (cf. Eb 12,29), abbellendola con la santità.
    Lo Spirito abita la «cella intima» dell'anima umana (nelle parole di santa Caterina da Siena), laddove lui solo è presente, dove sempre possiamo rivolgerci e trovare carità e pace.
    Lì, dove l'anima si sottomette all'arte dello Spirito e si lascia rivestire dalla forza del suo amore creativo per vivere l'avventura dello Spirito in tutta la sua ampiezza [...], lo Spirito di Cristo prende possesso della persona, come fonte di forza e di bellezza (Suor Elisabetta della Trinità).
    Lo Spirito ci abbellisce interiormente e, nel farlo, ci porta ad apprezzare e a gustare le bellezze create, senza ambiguità: «Alla tua luce, vediamo la luce» (Sal 35,10). Suscita in noi la voglia di comunicare questa luce agli altri: condividere con gli altri la nostra esperienza del bello è una necessità della bellezza interiore. Il poeta, l'artista, il critico d'arte, come l'apostolo e il santo, hanno bisogno di trasmettere senza cercare compensazione. Dare gratuitamente, quanto hanno ricevuto (cf. Mt 10,8). Perché la loro arte e ispirazione sono anch'esse un dono dello Spirito, ispiratore del bello, concesse in maniera diversificata agli uni e agli altri, con un amore che non discrimina, «perché il Padre vostro celeste, fa sorgere il suo sole sopra ai malvagi e sopra ai buoni e fa piovere sopra ai giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45).

    ICONE DELLA BELLEZZA

    In un corso per operatori sociali, la relatrice faceva delle considerazioni con i partecipanti sul modo con cui generalmente si giudica la gente e faceva la seguente raccomandazione: «Non fatevi guidare né ingannare dall'apparenza delle persone che si rivolgono a voi. È infatti comune il pregiudizio secondo il quale una persona, per il solo fatto di essere di bell'aspetto e attraente, sia buona e degna di fiducia, mentre una persona piuttosto brutta e un po' sgradevole sia cattiva e non ci si possa fidare di lei».
    I partecipanti si trovarono d'accordo con lei, affermando che anche a loro succedeva la stessa cosa. L'insegnante, a questo punto, sottopose loro due domande: «Perché questo pregiudizio è praticamente universale?» e «Perché è necessario avere un contatto più personale e prolungato con le persone, prima di potersene fare un'opinione certa riguardo alla loro affidabilità?».
    Dopo una lunga discussione, su una delle due domande, arrivarono a una conclusione condivisa pressoché da tutti: per conoscere l'affidabilità di una persona ci vuole molto tempo e una frequentazione personale, perché a un primo contatto con le persone, se ne afferra solo il fascino esteriore, che non è di molto aiuto per una loro valutazione; mentre la capacità attrattiva delle qualità del loro spirito (la bellezza interiore delle persone), che è quella che realmente lascia intravedere la bontà e l'affidabilità delle persone, per essere colta, richiede sempre un contatto prolungato, in quanto non può essere captata a prima vista.
    Nel rispondere all'altra domanda, invece, fu molto più difficile mettersi d'accordo. Arrivarono alla conclusione che il pregiudizio radicato in maniera quasi universale a favore delle apparenze (la bellezza esteriore) è dovuto alla cattiva applicazione di una verità. Questa verità consiste nel fatto che negli esseri umani, in quanto sono immagine di Dio, l'attrazione per la bontà e l'attrazione per la bellezza vanno di pari passo. Quindi, nell'ordine dei valori umani, ciò che è autentico, ma anche ciò che è buono e degno di fiducia, è allo stesso tempo bello e attraente: poiché ciò che è bello è sempre il riflesso di qualcosa di buono, invece ciò che è falso e immorale, è brutto e ripugnante.
    Tutto questo però si può applicare unicamente ai valori morali e spirituali della persona umana, mentre succede che vi è sempre la tendenza, quasi naturale, di applicarlo anche alle apparenze esterne. Invece, non tutto ciò che è esternamente bello e attraente è buono, né ciò che è apparentemente brutto deve essere considerato con sospetto.
    Quel dibattito fu utile per mostrare a quegli operatori sociali come lo spirito umano sia incline a identificare il bello con il buono e il brutto con il cattivo.
    L'icona, nella tradizione spirituale delle chiese d'Oriente, è più che un dipinto religioso, di fronte al quale una persona si mette in venerazione e accoglie con fede ciò che viene in essa rappresentato, lo contempla e prega. Nella tradizione d'Oriente si stabilisce una relazione, anzi una interazione assai profonda tra l'icona e chi la venera; si accoglie una grazia che ispira a trasformarsi interiormente nell'ideale rappresentato dall'icona.
    Ma se ben consideriamo, in realtà, ogni bellezza, qualsiasi sia la sua espressione e qualità, è un'icona della bellezza di Dio; ogni bellezza ci conduce alla Bellezza.
    Vogliamo ora riferirci ad alcune icone privilegiate, in cui si specchia in modo straordinario la bellezza di Dio, incarnata in Gesù Cristo e comunicata dallo Spirito Santo. Sono «icone privilegiate» per il loro rapporto unico con Cristo e per la loro relazione eccezionale con la grazia che lui è venuto a donarci. Il loro vero scopo è quello di operare profondamente sulla nostra spiritualità.
    La prima, fra tutte queste icone, è la Vergine Maria, madre di Gesù e sua discepola perfetta, piena di grazia e di Spirito Santo (cf. Lc 1,28.35). Ella partecipa in grado massimo alla bellezza di Cristo, grazie all'opera compiuta in lei dallo Spirito Santo, artefice della sua bellezza interiore. Allo stesso tempo, esente da ogni peccato e macchia morale, la sua bellezza spirituale non conosce ambiguità. Santa, tra i santi di Dio, il suo spirito è un cristallo purissimo, che riflette senza alcuna distorsione la bellezza di Dio che dimora in lei. Maria è la creatura che anticipa, per tutto il genere umano, la restaurazione di quella bellezza e di quell'armonia originali che gli uomini hanno perso a causa del peccato.
    La liturgia cristiana d'Oriente e d'Occidente, la proclama «tutta bella», come attributo necessario per colei che ha dato alla luce la bellezza incarnata.
    L'iconografia mariana  d'Oriente e d'Occidente  ha saputo esprimere così bene la purezza e la bellezza interiori di Maria, integrandole nell'arte con tale perfezione, che la sua pace e la sua bontà  materne e fraterne allo stesso tempo  appaiono come il miglior riflesso della sua bellezza.
    Nell'arte cristiana, Maria è raffigurata sempre splendidamente, senza esagerazioni né artificialità, in tutte le epoche e in tutti i luoghi, con una bellezza incarnata nelle differenti culture, stili e ideali di bellezza: è differente la bellezza delle icone slave, delle Madonne latine, delle Marie africane od orientali... Però tutti gli artisti hanno saputo trasmettere qualcosa della sua bellezza interiore, straordinariamente pura e semplice.
    La bellezza di Maria è la migliore espressione e il modello più completo della bellezza del regno di Dio, che è la bellezza a cui aspira la chiesa. Maria è il modello ideale e futuro della bellezza della chiesa, che pellegrina sulla terra, sarà sempre avvolta nel mistero. Maria è la pienezza della bellezza futura dell'umanità redenta. È il modello di quella bellezza interiore a cui è chiamato ogni essere umano. È profezia della santità e della bellezza dell'uomo e della donna, poiché in realtà anche la bellezza dello spirito umano è un'icona privilegiata della bellezza di Dio.
    Per Dionigi l'Aeropagita:
    L'uomo è creato secondo il modello eterno, l'archetipo della bellezza [...]. Dio ci concede di partecipare della sua propria bellezza.
    Per san Basilio:
    Per natura gli uomini anelano a ciò che è bello, perché sono immagine di Dio e, nella loro somiglianza con lui, manifestano la bellezza divina.
    Secondo san Gregorio Nazianzeno:
    Dio ha fatto l'uomo cantore del suo fulgore.
    La bellezza di Maria tuttavia non appare lontana dall'esperienza dell'umanità che soffre, che cerca, che cammina nell'oscurità della fede e che sente le difficoltà di tutti i giorni. Come donna, Maria è madre ed è vicina a tutta l'umanità; ella rivela la bellezza di una femminilità matura e feconda. La sua esperienza di Dio, quale persona piena di grazia e discepola specialissima del Salvatore, propone in maniera semplice e perfetta l'itinerario attraverso il quale ogni creatura può raggiungere gradualmente l'unione con Dio. La sua disponibilità ad accogliere la parola di Dio e a lasciarla fecondare nel suo cuore (cf. Lc 1,38), di intuire le necessità degli altri (cf. Gv 2,3), di confondersi con il popolo al seguito di Gesù (cf. Lc 8,19), la sua forza e la sua solidarietà nel tragico dramma finale del Figlio (cf. Gv 19,25), la sua materna presenza alle origini della chiesa (cf. At 1,14), la sua forza di attrazione, che continua a esercitare sul popolo povero e sofferente, nei numerosi santuari a lei dedicati, dimostrano che la sua bellezza trasfigurata dalla grazia, trascina e affascina, suscitando nei suoi devoti un'esperienza straordinaria, tradotta poi sempre in espressioni di bellezza e di arte.
    L'impegno per la bellezza interiore degli uomini, minacciata costantemente dal peccato e dalla miseria umana, è un compito costante, che deve essere sempre rinnovato e perfezionato. La sua espressione più completa è ovviamente la bontà interiore. La bontà è il capolavoro dello Spirito che crea bellezza santificando: la bellezza interiore di una persona è il luccichio della sua bontà. Con la bontà e la santità, lo Spirito ci riveste interiormente di Cristo e trasforma progressivamente la nostra anima secondo il suo modello, preparandola alla sua totale trasfigurazione nella risurrezione. Il destino dell'uomo è diventare partecipe della trasfigurazione di Gesù nel Tabor eterno.
    Così, questa bellezza interiore dell'essere umano, diventa in se stessa come un incenso vivo, un sacrificio che si offre a Dio, a sua lode e per il bene del prossimo. Scrive san Paolo: «Vi esorto dunque fratelli per la misericordia di Dio a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Vi è perciò continuità e muto arricchimento tra la bellezza del culto liturgico e la bellezza del dono o sacrificio della vita.
    La bontà, quindi, non è solo bellezza interiore, ma anche irradiazione esteriore, attraverso latestimonianza evangelica. La testimonianza della bontà e della carità, molte volte, è l'unica via attraverso la quale gli uomini possono essere attratti dalla bellezza della fede e intravedere così la luce dell'amore e della bellezza di Dio. Scrive Giovanni Paolo II a proposito della testimonianza della vita consacrata:
    La vita consacrata a Dio è una delle impronte concrete lasciate dalla Trinità nella storia, perché gli uomini possano scoprire il fascino e la nostalgia della bellezza divina (Vita Consacrata 20).
    La vita consacrata mette in risalto uno degli aspetti più belli dello spirito umano: la libertà interiore. Questa libertà è allo stesso tempo causa e conseguenza della consacrazione nella castità (che rende liberi dall'amore egoista), nella povertà (che libera da falsi valori) e nell'obbedienza alla volontà del Padre (che identifica con la libertà di Cristo). La libertà interiore è la forma più bella tra le libertà umane.
    Il regno di Dio, di cui specchio imperfetto è la chiesa, è anch'esso, a sua volta, per i padri un'icona privilegiata della bellezza di Dio. Per Massimo il Confessore, è la bellezza perfetta, perché la chiesa è il corpo di Cristo (1Cor 12,12); è partecipe della santità e della bellezza di Gesù glorioso: «Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25-27).
    È abitata dallo Spirito Santo (cf. Gv 15,26); è il capolavoro dello Spirito che crea bellezza e santità, cui modello e profezia è la Vergine Maria. Al di la della condizione umana e peccatrice delle sue membra, vive in essa il potere di Dio (cf. At 1,8), grazie al quale è in grado di comunicare santità e abbellire l'intimo degli uomini.
    Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino (Ap 21,2.11).
    I cristiani devono cercare che la chiesa rifletta nel miglior modo possibile la bellezza della santità del regno di Dio che dimora in essa, nonostante il peccato dei suoi membri. Quanto più rifletterà la bellezza del regno, tanto più saprà attrarre quelli che cercano Dio. Dobbiamo non solo cercare la bellezza della liturgia, che certamente è un momento culminante della bellezza del regno che è già tra noi, ma cercare pure di trasmettere nelle comunità cristiane la bella ed enorme ricchezza mistica che possiede la chiesa, per offrirla agli uomini, rendendola attraente e accessibile a tutti, così come Gesù l'offrì alla semplice donna samaritana:
    Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva [...]. Ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,10.14).
    Dobbiamo fare in modo che gli uomini recepiscano il messaggio, spesso incompreso, della chiesa su Dio, sul destino dell'uomo e sulla morale evangelica e ne siano attratti, anche grazie a un modo di esprimerlo da parte della chiesa più accessibile e gradevole, in cui risplenda la bellezza della verità e la gioia di una vera liberazione. Dobbiamo cercare, per ultimo, che il rapporto della chiesa (a tutti i suoi livelli) con gli uomini (chiunque essi siano) sia contraddistinto dalla misericordia. Perché l'amore che si riveste di misericordia è la miglior bellezza che l'uomo possa produrre sulla terra, un modo privilegiato di riflettere la bellezza di Dio, dal momento che la misericordia non è nient'altro che lo straordinario splendore dell'amore di Dio trasmesso al cuore umano.
    La liturgia è l'espressione più completa della chiesa, come regno di Dio in pellegrinaggio sulla terra e anticipato già nella storia. Ma è anche la più bella. In essa si unisce il culto offerto a Dio dal corpo di Cristo, stretto intorno al suo capo, con il dono fatto agli uomini della grazia salvatrice che sgorga da questa offerta. Grazie alla liturgia, la bellezza di Cristo, racchiusa nei suoi misteri, si svela a noi giorno dopo giorno e illumina, con la sua grazia e con la sua luce, il mistero (chiaramente indecifrabile) della condizione dell'esistenza umana e della storia. È la bellezza dell'amore liberatore di Gesù che ogni giorno viene incontro alla miseria umana.
    Per questo la chiesa s'impegna al massimo per abbellire la sua liturgia, con splendore e sobrietà, attraendo i sensi così da poterli condurre all'invisibile, offrendo bellezza artistica per condurre a una esperienza spirituale. Tutta la ricchissima simbologia cristiana si concentra nella liturgia, armonicamente: la luce, la poeticità della parola, la musica, l'iconografia, l'architettura, il canto... Come affermò Vladimir di Kiev, quando prese parte, per la prima volta, alla liturgia bizantina: «Nella liturgia non sapevamo se eravamo in cielo o in terra, perché sulla terra non si trova tale bellezza».
    D'altro canto, attraverso i tempi, la liturgia esprime i differenti modi con cui la gente si mette in rapporto con il mistero di Dio. Molte espressioni liturgiche rivelano la ricchezza con cui il cuore umano manifesta la sua ricerca di Dio, il proprio amore e la sua speranza fiduciosa. Le espressioni artistiche, i canti, i gesti e le danze, molto spesso parlano di Dio – e a Dio – con grande eloquenza, e si può affermare che la loro bellezza si sposa con l'ineffabile bellezza di Dio.
    La bellezza della liturgia, tuttavia, non deve cercare in primo luogo l'estetica, ma la manifestazione del mistero di Dio, attraverso la forza dei simboli e delle parole. Il mistero di un Dio «che abita tra gli uomini» e che è capace di affascinarli:
    Quanto sono amabili le tue dimore [...]. L'anima mia languisce e brama gli atri del Signore (Sal 83,2-3).
    Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario (Sal 26,4).
    La liturgia ricorda e ripropone l'esperienza dei discepoli nella trasfigurazione sul Monte Tabor: «Che bello è stare qui». Nella liturgia:
    La vita futura si è così dilatata da mescolarsi con la vita presente; il sole della gloria ci è apparso con immensa benevolenza... Il pane degli angeli è stato dato agli uomini (Nicolàs Cabasilas).
    L'esperienza della liturgia – la parola, il simbolo, l'immagine visibile che ci conduce all'invisibile – richiama in noi pure l'esperienza originaria dei primi discepoli:
    Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato (1Gv 1,1).
    La liturgia infatti, attraverso l'esperienza, simultaneamente oscura e luminosa della fede, ci fa: «udire, vedere, parlare di Dio». «Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42,5), esclama Giobbe, una volta che la sua fede e il suo amore sono stati ormai purificati dalla sofferenza.

    ASCESA ALLA BELLEZZA

    Maria Luisa e Alessandro sono due fidanzati. Non conosco bene lui; mentre lei sì, perché frequenta sempre la chiesa. È attraente, aperta alla dimensione spirituale e molto sensibile; si emoziona profondamente con la musica e la poesia. Qualche giorno fa è venuta a farmi visita e ha voluto parlarmi del suo fidanzato. Mi ha detto che è un ragazzo buono e affettuoso, lavoratore e con una buona posizione. Tutti elementi che le fanno credere che il loro matrimonio sarà molto felice. È un po' preoccupata invece per il fatto che Alessandro ha, secondo lei, un certo «spirito rozzo», per cui sotto questo punto di vista non vi è affinità tra di loro. Cioè, a lui non interessa la buona musica, nemmeno l'arte, la letteratura o la poesia. In poche parole, non ha una formazione che gli permetta di apprezzare la bellezza. A lui piacciono solo il calcio, i film d'azione e la musica assordante.
    Maria Luisa si chiedeva come potesse aiutare il fidanzato, perché anche lui arrivasse ad apprezzare l'arte e le cose belle, anche se non necessariamente quelle che piacevano a lei. Da parte mia, mi sentivo preparato a dare consigli sull'educazione alla fede e non sul come arrivare a stimare l'arte, però mi azzardai lo stesso a suggerirle qualcosa, convinto che il senso della bellezza è un fatto globale, una crescita dello spirito umano nella sua totalità, per cui se si arriva ad apprezzare una espressione particolare di bellezza autentica, si è fatto un passo decisivo, per poter seguire apprezzando molte altre forme di bellezza.
    Questo fu allora il suggerimento che diedi a Maria Luisa: «Come ogni essere umano, Alessandro ha dentro di sé una scintilla di attrazione per la bellezza, così come vi è stata in lui una scintilla di bontà, che ha saputo coltivare ed è diventata fiamma d'amore. Ora Alessandro ha in sé molte altre cose buone. Proprio come siamo responsabili di crescere in bontà, siamo pure responsabili di fare in modo che la scintilla per il bello che c'è in noi cresca fino a diventare fiamma. Quando una persona è colpita da una certa manifestazione di bellezza, quello stimolo alla crescita entrerà in un processo di sviluppo e quella persona potrà diventare amante di molte altre forme di bellezza. Ciò che tu puoi fare per Alessandro allora è cercare di attirarlo ad apprezzare alcune delle espressioni artistiche autentiche che attraggono te. All'inizio lo farà per stare assieme a te, per affetto, ma con il tuo aiuto tutto ciò gli servirà come formazione. Imparerà a soffermarsi di fronte a qualcosa di bello, ad ammirarlo e a goderlo. Il tuo compito sarà quello di aiutarlo ad ascendere dal piacere primario, per ciò che appaga la sensibilità immediata, al godimento che è capace di soddisfare lo spirito. Ci riuscirai, perché l'amore per le cose belle è contagioso, come si contagiano mutuamente e si influenzano fra di loro le persone che si vogliono bene. Sarai per il tuo fidanzato un apostolo della bellezza, come lo è, anche senza saperlo, ogni persona che ama il bello».
    L'attrazione naturale per la bellezza, la sua ricerca, il suo apprezzamento estetico, in una parola, la sua rilevante importanza per lo spirito umano, hanno bisogno di formazione. Ciò esige, fra l'altro, la messa in opera di una certa forma di disciplina o ascesi. Ciò, in primo luogo, è necessario per la natura ambigua del fascino del bello (ambiguità, commentavamo, che può risiedere nelle espressioni di bellezza prodotta dagli uomini, quando le loro creazioni sono aliene dal bene e dalla verità oppure nel cuore delle persone che le contemplano); in secondo luogo, per la necessità di congiungere l'esperienza estetica con l'esperienza religiosa, mentre le due tenderebbero a separarsi. In questo caso, l'ascesi della bellezza si integra con la spiritualità cristiana.
    Cosa significa però questa «ascesi della bellezza»? Ogni forma di ascesi (disciplina) è un metodo di formazione in vista di una crescita personale o del raggiungimento di un obiettivo. Se si applica un'ascesi o una disciplina al campo dello sport, della vita militare, della ricerca, della produzione letteraria ed artistica – ma soprattutto nel campo del perfezionamento morale – è plausibile che vi sia anche un'ascesi della bellezza (come espressione di una disciplina dello spirito), con l'obiettivo di arrivare ad apprezzare la vera bellezza e godere di essa.
    In sintesi, se prendiamo in considerazione le definizioni più accettate e comuni della bellezza «ciò che piace ai sensi» e «ciò che illumina e nutre lo spirito», ci rendiamo conto che essa ha due livelli: il primo è quello in cui attrae e soddisfa la sensibilità; il secondo, più elevato, è quello in cui attrae, illumina ed eleva lo spirito.
    Gli uomini, a causa delle ambiguità con cui si pongono di fronte al bello, tendono a privilegiare la bellezza sensibile e sensuale e a rendersi refrattari di fronte alla bellezza interiore e a quella che nutre lo spirito. Ciò distorce e impoverisce la nostra vocazione alla bellezza. S'impone quindi la necessità di dare maggior spazio all'attrazione e di crescere nella contemplazione di quel bello che eleva lo spirito, (riservandogli il posto che gli corrisponde), disciplinando, allo stesso tempo, quella nostra tendenza che ci porterebbe ad apprezzare e a godere prevalentemente delle bellezze sensuali o sensibili. In questo consiste basicamente «l'ascesi della bellezza». In altre parole, si tratta di saper essere equilibrati nella ricerca e nel godimento della bellezza; di adottare una «dieta bilanciata» nel nostro «consumo» di bellezze «spirituali» e «sensibili», se così ci è acconsentito di chiamarle.
    L'ascesi, riferita alla bellezza, implica pertanto un «digiuno dei sensi» (come è stato chiamato nel passato), che moderi e purifichi quegli aspetti della sensibilità estetica che tendono a oscurare la capacità dello spirito umano di scoprire e godere della bellezza interiore (estetica o spirituale) di tutti gli esseri. Ogni bellezza offre un messaggio allo spirito, che deve essere penetrato e contemplato oltre il suo aspetto puramente sensibile. Così si avanza per il cammino della bellezza e, poco a poco, s'impara l'arte di penetrare nella bellezza profonda di ciò che esiste, il «roveto ardente» delle bellezze create.
    In questo modo, la scoperta e il godimento della bellezza creano lentamente un incontro, una comunione tra ciò che è bello e colui che lo gode, tale da permettere una crescita spirituale. Non è forse ciò che proviamo, ad esempio, quando ascoltiamo un brano della musica da noi preferita, con cui possiamo identificarci, capace di ridarci pace e di elevare il nostro spirito? La contemplazione della bellezza crea un'armonia vitale in uno stesso individuo e tra lui e le altre persone e cose. Scrive suor Elisabetta della Trinità:
    Mi piaceva tanto quel bel paesaggio: la natura porta a Dio. Amavo tanto le montagne che mi parlavano di lui [...]. Ma nel Carmelo, nel buon Dio, trovo tutte le vallate, tutti i laghi, tutti i paesaggi.
    L'ascesi della bellezza consiste, in sintesi, in una buona formazione che ci permetta di scoprire la «miglior bellezza» che vi è in ogni cosa, specialmente negli esseri umani. Il «digiuno dei sensi» consiste nella loro «purificazione» perché possano cogliere appunto la «bellezza migliore» in tutto ciò che esiste. Tale ascesi, nella prospettiva cristiana, prepara i sensi alla loro trasfigurazione definitiva nella risurrezione della carne: diverranno capaci di contemplare la bellezza di Cristo, di Maria e di tutti i risorti nella bellezza della Trinità. L'ascesi che purifica la sensibilità nei confronti della bellezza, segue la legge fondamentale della vita cristiana: morire con Cristo per risorgere con lui, rinunciare a una bellezza puramente «carnale» per godere di una «bellezza spirituale». Proprio come Gesù, che alla sua morte, di fronte agli occhi carnali degli uomini, appare sfigurato e privo d'ogni bellezza, come uno davanti al quale ci si copre il volto (cf. Is 53,2-3), ma che precisamente sulla croce manifesta con pienezza il suo fulgore più profondo e ineguagliabile: lo splendore dell'amore di Dio, offerto agli uomini. «Che la debolezza della sua carne non allontani i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza» (sant'Agostino).
    Gesù morì evidentemente privo di bellezza, per risuscitare con la pienezza della bellezza. Gesù ha fatto risorgere la bellezza. È lui che ci rende capaci di liberarci dalle bellezze apparenti, per incominciare l'ascesa verso la vera bellezza.
    Uno dei luoghi più comuni di ambiguità nella bellezza è l'arte che raffigura il corpo umano senza veli di pudore. Tuttavia, anche tali opere d'arte, quando siano espressioni di una vera ricerca di bellezza, senza erotismi o sensualità aggressivi – nella pittura, nella danza, nella scultura, nella poesia, ecc. – possono essere riscattate e svelare una bellezza interiore, che oserei dire perfino spirituale. Tutto ciò esige che l'artista sia davvero un artista, in altre parole capace di trasmettere un ideale di bellezza in cui lui creda e che d'altra parte colui che contempla l'opera d'arte abbia fatto già un buon tratto di strada sul cammino della purificazione dei sensi. «Per i puri, tutte le cose sono pure», scrive san Paolo.
    Sono ben note certe opere d'arte che contengono dei nudi, in cui autentici artisti presentano una bellezza priva di aggressività sensuale; la sensualità è come «spiritualizzata» in qualcosa di armonico, almeno per coloro che sanno contemplare il bello. In questi casi, l'arte parla più allo spirito che alla sensibilità. È evidente il riferimento ai nudi di Michelangelo della Cappella Sistina, cosa già paradossale, e l'accenno di Giovanni Paolo II a una teologia del corpo. Ma l'esempio più chiaro e direi persino spinto, di questa teologia del corpo, lo presenta la stessa Bibbia, nel Cantico dei Cantici. Una storia d'amore in cui la bellezza corporea di lei e di lui, e il loro rapporto d'amore, sono descritti con tale finezza e genialità poetica, che la lettura di quest'opera costituisce un diletto spirituale, niente affatto sensuale. Il Cantico dei Cantici è un libro mistico che riscatta la bellezza dell'amore fisico.
    L'ascesi nell'ascesa al bello è uno dei cardini della formazione umana e cristiana. Vuol dire prepararsi a contemplare il bello, di cui condizione primaria è «sapersi soffermare». Ogni forma di contemplazione suppone il fatto di trattenersi di fronte alla bellezza che ci attrae, senza utilitarismi, né fretta, né ricerca di secondi fini. È questa capacità di soffermarsi e di godere della gratuità che umanizza la vita, dal momento che i grandi valori dello spirito, quali l'amicizia, la preghiera, la carità, la solidarietà, la contemplazione della bellezza, sono gratuiti.
    Una delle minacce alla bellezza, ai giorni d'oggi, viene dallo stile di vita dominante nella nostra civiltà contemporanea, sempre più aliena dal godimento dei valori autentici, sempre più tesa a idolatrare l'azione e il lavoro redditizio, ansiosa di non «perdere tempo», costantemente sotto pressione, limitando la contemplazione di Dio ai monasteri e riservando la contemplazione della bellezza agli artisti. In quest'ambito la chiesa e le religioni possono esercitare un enorme influsso culturale, tramite la loro opera di promozione, sostegno e mantenimento del senso di ciò che è gratuito, di ciò che è degno di essere contemplato e quindi del bello: con la loro liturgia, la loro spiritualità, il loro senso di adorazione e di azione di grazie, stanno ricordando agli uomini «che non di solo pane vive l'uomo».
    Formare alla bellezza e incoraggiare una spiritualità della bellezza, non vuole dire esigere da tutti un'educazione artistica e culturale raffinata. Significa soprattutto insegnare a scoprire il bello nella vita ordinaria, nelle cose di tutti i giorni, nell'anima di molte persone che troviamo sul nostro cammino; insomma, in tutto ciò che Dio ha creato e mette a nostra disposizione, perché ne godiamo.
    Un'ascesi nei riguardi del godimento della bellezza, può peccare per eccesso, in persone con particolari motivazioni spirituali e con tendenza all'austerità. In alcuni e in alcune soggiace l'idea –forse come conseguenza di un tipo formazione abbastanza comune nel passato – che è proprio dell'abnegazione cristiana rinunciare al piacere e al godimento della bellezza e dell'arte. Ma una genuina ascetica evangelica, se da una parte esige rinuncia, quando è necessaria per mantenere la libertà interiore e la purezza della sensibilità, dall'altra richiede d'imparare a ringraziare Dio per i legittimi piaceri della bellezza, che vanno sempre accolti come un regalo personale della sua tenerezza. Il cammino mistico molto spesso poggia sulla contemplazione della bellezza e non si vede quale virtù possa esserci nel rinunciare a ciò che è bello, solo perché è bello e produce gioia.

    BELLEZZA ED EVANGELIZZAZIONE

    Nel secolo X, agli albori della sua storia, la Russia, grazie al principe Vladimir di Kiev, (l'allora capitale) si convertì al cristianesimo. Vladimir voleva per il suo popolo, che fino ad allora ne era stato privo o che al massimo credeva in alcuni miti, una religione solida e credibile, ben conosciuta ed estesa nelle terre più civilizzate di quell'epoca e capace di migliorare tutti i livelli di vita della sua gente.
    Racconta la tradizione che Vladimir prese quindi contatto con le grandi religioni del suo tempo. Arrivò a conoscere il buddismo e meglio ancora l'islam, più vicino geograficamente al suo regno. Alla fine però si orientò particolarmente verso il cristianesimo, in quanto tra Kiev e Bisanzio c'era un gran movimento di genti e mercanti. Per questo, Vladimir, decise di conoscere personalmente il centro di questa religione che, secondo quanto gli risultava, doveva essere Roma o Bisanzio. Visitò Bisanzio, per la semplice ragione che gli era più vicina. Fu colpito moltissimo dall'arte bizantina e dalle bellissime chiese e assistette più volte alla «Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo»; ne rimase talmente impressionato che ben presto fece la sua scelta: «Una religione con un culto così pieno di bellezza e misticismo – dichiarò – non può che essere vera».
    Di ritorno a Kiev, chiese che assieme a lui fossero battezzate la sua famiglia e la nobiltà. Ben presto anche tutto il popolo divenne cristiano.
    Se la bellezza «salva il mondo» e gli uomini, è perché umanizza e apre al mistero, al cui centro c'è Dio. Pertanto, la bellezza evangelizza e, come tutto ciò che umanizza e spiritualizza la vita, è una delle strade che conducono alla fede. Mette le basi umane per la conversione cristiana. Ciò è quasi una norma nell'attività missionaria, specialmente quando essa è rivolta a uomini e donne particolarmente sensibili alla dimensione estetica.
    È interessante conoscere l'itinerario seguito da tanti convertiti alla fede. Alcuni sono celebri (e per questo vi è una documentazione abbondante), ma senz'ombra di dubbio ve ne sono tanti altri, sconosciuti e anonimi. L'inizio del loro cammino religioso non è dovuto alla lettura di libri, a conferenze o a buoni esempi – ciò verrà in un secondo tempo – ma piuttosto alla bellezza del culto cristiano, dell'arte che l'accompagna, ma anche al clima estetico-mistico che vi si respira. Attraverso la bellezza delle celebrazioni religiose, «ombra» della bellezza divina, hanno scoperto la bontà del religioso e più avanti la sua verità. Nell'intuizione umana, il bello si relaziona spontaneamente con il buono (proprio come il brutto con il cattivo), allo stesso modo che il buono tende a rapportarsi con il vero e il cattivo con il falso. Anche in questo l'uomo è immagine di Dio: gli risulta difficile separare la bellezza dalla bontà e dalla verità. Il percorso di una conversione dalla bellezza alla bontà, per poi arrivare alla verità, è connaturato allo spirito umano.
    Paul Claudel trovò la fede «istantaneamente» al contemplare le vetrate della cattedrale di Parigi in un giorno di sole splendido. Peter Van der Meer vi arrivò, poco a poco, assistendo come semplice spettatore, ogni fine settimana, alla liturgia delle monache benedettine del suo quartiere, attratto dalla bellezza del canto, dai simboli e dal clima di misticismo. Qualcosa di così bello e puro doveva essere vero. Thomas Merton, quando era ancora agnostico, ebbe per la prima volta l'inattesa idea di diventare trappista, visitando una stupenda e antica abbazia di Roma.
    Ai nostri giorni è ben noto che nelle terre di missione d'Asia e d'Africa, i motivi per i quali la gente è attratta e vuole convertirsi al cristianesimo sono soprattutto due: la carità e la solidarietà della chiesa con i più poveri tra i poveri e il fascino delle sue celebrazioni religiose, tanto liturgiche che devozionali, poiché non dobbiamo dimenticarci che anche le devozioni popolari hanno il loro fascino.
    Ma non c'è bisogno di andare tanto lontano. Gli stessi cristiani del nostro continente, a qualsiasi ceto sociale appartengano, valutano la loro esperienza religiosa nella liturgia, nell'eucaristia, negli incontri di preghiera, di formazione o di pastorale, con il parametro della bellezza. «Come è stata bella la messa!»; «bella anche l'omelia!»; «davvero un bel battesimo!». A dire il vero le parole e i simboli sono quasi sempre gli stessi e molti non ricordano nemmeno quello che si è detto. Ma quello che il popolo ha provato, e ne è rimasto affascinato, è il suo «coinvolgimento» nella bellezza dei simboli, nella sincerità e autenticità delle parole, nel clima profondamente religioso. La bellezza, anche se colta in modo generico, ha ravvivato in loro la fede e li ha ispirati a essere migliori.
    Per questo, nella pastorale e nella sua migliore tradizione, la chiesa ha sempre protetto e promosso la bellezza di per se stessa e nelle sue molteplici espressioni. Una bellezza sempre minacciata da vandalismi, ignoranza e negligenza, o chissà- forse, peggio ancora, dal pessimo gusto e dalla scarsa formazione di pastori e annunciatori del vangelo.
    In epoche di oscurità e violenza, le cattedrali e i monasteri furono oasi di bellezza, che la chiesa moltiplicava mentre diffondeva il bene e la verità. Oggi, essa continua il suo servizio al bello, ben consapevole di altre minacce che esulano dal suo controllo: la commercializzazione di oggetti religiosi di pessimo gusto; la trasformazione, e conseguente degradazione, dell'arte (particolarmente nel suo aspetto musicale e vocale) in un oggetto di mercato e di attrazione sensuale; la distruzione delle bellezze e delle risorse naturali. Anche ai nostri giorni, come in altri tempi, incoraggiare la bellezza in tutti i campi, non può essere considerato estraneo all'evangelizzazione.
    Promuovere la bellezza e la creatività estetica è uno dei modi per evangelizzare la cultura, così come aiutare gli artisti e i creatori di bellezza, anche ai livelli più modesti, a prendere coscienza che la loro attività e la loro professione sono al servizio della gioia degli altri. Presa di coscienza che nei credenti è inscindibile dalla convinzione di trasmettere al mondo qualcosa della bellezza di Dio. Tale gioia, prodotta dalla bellezza, sarà per molti come un fiore nel deserto della loro vita,una luce nella notte dei loro dubbi, un preambolo all'annuncio evangelico.
    Nella coscienza di alcuni cristiani è presente un atteggiamento critico nei confronti di questo tema. Considerano che vi sia incompatibilità tra la ricerca della bellezza delle cose (suppellettili, paramenti, decorazioni, edifici...) della chiesa e lo spirito di povertà. Secondo loro, le opere e le cose belle sono costose e proprie della gente ricca e raffinata. Danno per scontato che gli edifici religiosi (i templi) belli, come pure l'arte religiosa, sono cari; che spesso vi sono articoli di lusso. E che dire delle comunità bisognose? E della necessità di testimoniare la povertà di Cristo? Convinti così della sua necessità, credono che per essere evangelicamente poveri bisogna rinunciare alla bellezza.
    Questa problematica è reale, per lo meno in molti casi, anche se si basa su di un presupposto in parte falso: non c'è, infatti, nessuna ragione per la quale la bellezza debba essere lussuosa o cara. Il bello non si identifica con ciò che è raffinato, né con l'arte d'alto livello, dal momento che la ricerca della bellezza da parte dell'essere umano esisteva già prima che prendesse forma qualsiasi produzione artistica. Da sempre è stata innanzi tutto una ricerca della bellezza nella quotidianità, in ciò che è naturale e semplice, nell'anima delle persone, nell'ordine e nell'armonia.
    Anche lì si trova l'impronta della bellezza di Dio, talvolta al suo stato più puro, e questa è la maniera giusta in cui bisogna cercarla nella semplicità dei segni religiosi.
    Ciò che è bello non è necessariamente caro, né raffinato o complicato. Nell'evangelizzazione bisogna cercare la bellezza di ciò che è semplice e non di ciò che è costoso. Una bellezza realizzabile con poca spesa. Un'altra forma di bellezza potrebbe essere irritante, perfino diventare una controtestimonianza, soprattutto in ambienti meno agiati economicamente o persino poveri.
    Esiste la bellezza di ciò che è austero. Esiste la bellezza di una chiesetta semplice, pulita e fatta con buon gusto, come esiste la bellezza affascinante del deserto, simbolo della povertà di spirito che accoglie l'infinità di Dio. Non dimentichiamo che uno dei segreti della bellezza è la semplicità, forse perché suggerisce la semplicità della bellezza di Dio e dello spirito umano.
    Una delle ragioni per cui la bellezza può portare alla fede o la può rianimare, è che ambedue hanno in sé un aspetto di gratuità e di contemplazione, quando raggiungono un grado di maturità. Tutte e due – come abbiamo già detto – portano l'uomo a fare un'esperienza di pienezza e di trascendenza. La fede e la bellezza hanno vocazione di sorelle e sono chiamate a prolungarsi una nell'altra. La fede coltivata purifica e accresce l'attrazione per la bellezza: questa, a sua volta, è l'anticamera della fede. Vi saranno sempre delle persone, non necessariamente degli artisti, che nel loro amore per la bellezza troveranno la fede. Scrive un convertito:
    Anche prima di avere fede, grazie alla bellezza e all'arte, sono sempre stato una persona spirituale e ho sempre creduto in valori eterni. Grazie alla bellezza ho considerato questo mondo enigmatico
    come un mistero, piuttosto che un assurdo; ciò mi ha permesso di adottare nei suoi confronti un atteggiamento di umanesimo quasi religioso. Una volta convertito, ho scoperto che la produzione artistica è un modo per tradurre la nostra aspirazione al divino e che Dio è in noi ed è proprio la sua presenza dentro di noi che ci fa ammirare ciò che è bello.
    Ecco quindi che la formazione alla fede include, ancora una volta, un'educazione alla bellezza. Nell'esperienza pastorale con i bambini, i giovani, e gli adulti, ma anche nella formazione dei seminaristi e dei candidati alla vita religiosa, molto spesso si avverte che parecchie problematiche e difficoltà personali – siano esse intellettuali, affettive, psicologiche o culturali – coincidono con l'incapacità di scoprire ciò che vi è di bello e di gradevole nelle persone, nella natura, negli avvenimenti e nelle più svariate manifestazioni artistiche.
    Allo stesso modo, una visione troppo ristretta della vita, della storia, della cultura impedisce di apprezzare e gioire, non solo per quello che Dio ha creato, ma anche per quello che gli uomini e le donne hanno realizzato, usando i loro talenti e il loro genio creativo. Quando il processo di maturazione delle persone raggiunge nuove sintesi psicologiche e intellettuali, anche la fede trova più spazio, perché spalanca a un amore più universale e maturo. Infatti, è nella pedagogia di Dio far conoscere gradualmente se stesso e le creature, portandoci per questa strada alla contemplazione e all'unione. L'evangelizzazione suppone la crescita umana delle persone, rendendole atte ad apprezzare i doni di Dio, per difendere la natura, per rispettare la creazione e per sviluppare i talenti ricevuti. La stessa opzione per i poveri non è nient'altro che l'impegno di rendere partecipi, al gran banchetto della bellezza di Dio, disseminata nella creazione, tutti i suoi figli e le sue figlie, ancora esclusi da tale gioia.
    Da un altro punto di vista, evangelizzare è aiutare i nostri fratelli e sorelle a crescere nella bellezza interiore. L'anima, l'interiorità umana, è stata creata per ricevere da Dio la vita e la santità, che generano nell'uomo la bellezza di spirito. Per questo è un'icona privilegiata della bellezza di Dio. Tramite la sua opera evangelizzatrice la chiesa –con la parola, i sacramenti, con la sua spiritualità che esorta sempre all'amore – è la collaboratrice dello Spirito Santo, artefice della bellezza dell'essere umano.
    Obiettivo finale di ogni azione missionaria è la gloria di Dio. Ma la gloria di Dio risplende nella sua bellezza. Potremmo dire, parafrasando sant'Ireneo, che la gloria e la bellezza di Dio consistono nella gloria e nella bellezza dell'uomo e che la gloria dell'uomo consiste nella contemplazione della bellezza di Dio.

    (Fonte: Affascinati dal suo splendore. Contributo a una spiritualiltà della bellezza, Messaggero 2005, pp. 11-88)


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