Che cos'è la spiritualità
Nel linguaggio della teologia contemporanea con il termine «spiritualità» si intende uno stile di vita, originato e derivato dall’esperienza religiosa personale, vissuto nel concreto della propria esistenza, in una prospettiva soprannaturale a lungo termine.
I contenuti oggettivi della spiritualità sono quelli della rivelazione cristiana, dei dogmi, della liturgia e dei documenti del magistero della Chiesa Cattolica; mentre le modalità soggettive con cui quei contenuti sono vissuti nel concreto dell’esistenza provengono dalla vita interiore del credente, di colui che prega e cerca continuamente la volontà di Dio su di lui.
La spiritualità intesa come stile di vita diventa progressivamente una cultura, in altre parole una interpretazione globale del proprio mondo. Infatti, l’esperienza dello Spirito Santo è sempre accompagnata da una qualche riflessione, più o meno attrezzata e sistematica. L’esperienza dello Spirito plasma così non solo il comportamento individuale e comunitario ma anche tutte le espressioni del credente, come l’arte, la politica, l’ambiente, l’impegno sociale, ecc. Ogni opera umana manifesta infatti la spiritualità, il pensiero e le intenzioni di chi l’ha realizzata.
Alcune parole di Stefano De Fiores e di Karl Rahner ci aiutano a comprendere meglio cosa sia la spiritualità:
“Per il credente è un imperativo rendere conto della sua esperienza religiosa, intesa come presenza vissuta e incontro di comunione con Dio; [il credente] deve cioè dimostrare che la sua fede non è un’arida astrazione, ma costituisce un tessuto connettivo di vita; deve in qualche modo ripetere con A. Frossard: “Dio esiste io l’ho incontrato”, pena la privazione di ogni forza convincente nella sua testimonianza.
[Inoltre] Più sentito attualmente è l’itinerario che muove dall’uomo, dal suo vissuto e dalle sue esperienze, per giungere a Dio. Si è convinti che Dio si può sperimentare sempre e in qualsiasi situazione, ogni volta che scendiamo nelle profondità della vita, là dove essa rivela la sua spaccatura, orientata ad accogliere il trascendente.
Ma se si può arrivare a Dio da qualsiasi strada, esistono esperienze privilegiate in cui l’uomo coglie la sua apertura a una dimensione superiore, a una realtà che dà consistenza a tali dati esperienziali e ne orienta il dinamismo.
Quantunque gli autori non coincidano nell’individuare queste esperienze privilegiate, ci sembrano significative quelle indicate da K. Rahner: «In una forma non ancora tematica l’uomo fa esperienza di Dio e accetta Dio come condizione di possibilità di alcuni atteggiamenti umani fondamentali, ad esempio là dove l’uomo spera incondizionatamente nonostante il fatto che dal punto di vista empirico la situazione sia disperata; là dove una singola esperienza di gioia è vissuta come promessa di una gioia illimitata; là dove l’uomo ama con una fedeltà e un abbandono incondizionati, nonostante il fatto che la fragilità dei partners non garantisce in alcun modo un amore radicalmente incondizionato; là dove l’obbligo etico è vissuto come radicale responsabilità, nonostante il fatto che apparentemente porta alla rovina; là dove l’uomo sperimenta e coglie incondizionatamente il carattere inesorabile della verità; là dove l’uomo nella pluralità dei destini umani riesce a sopportare l’invincibile discrepanza tra individualità e socialità, sperando fermamente - anche se tale speranza è apparentemente priva di fondamento e non si lascia oggettivare - in un senso finale o in una beatitudine che riconcilierà tutto. Tale esperienza di Dio è anche presente là dove l’uomo non ha nemmeno sentito la parola ‘dio’ e non l’ha visto usare come etichetta per indicare la realtà verso la quale la trascendentalità è orientata» (K. Rahner, “Kirchlische und außerkirchliche Religiositatät, in Stimmen der Zeit, 98 (1973), p. 9).
In genere si sperimenta Dio partendo sia dalla pienezza dei valori, sia dal vuoto e dai limiti della vita: l’uno e l’altro aspetto spesso si includono mutualmente”.
(da STEFANO DE FIORES, “Spiritualità contemporanea”, Nuovo dizionario di spiritualità, a cura di Stefano De Fiores e Tullio Goffi, Edizioni Paoline, Roma 1979, pp. 1516-1543. La citazione riportata è alle pp. 1528-1530).