L'obiettivo della
pastorale giovanile /3
cf Appunti per un corso di "PASTORALE GIOVANILE"
19. Terzo livello: la qualità della vita
La ricerca sull’obiettivo della pastorale giovanile ha raggiunto finalmente la sua conclusione. Il problema da cui sono partito (quale risposta dobbiamo dare al dono della salvezza?), ha infatti progressivamente maturato elementi importanti di soluzione. Li ricordo:
– prendiamo atto che la qualità della nostra vita esprime, in modo radicale, la qualità della nostra risposta: si tratta quindi di abilitare i giovani ad una vita secondo il progetto normativo di esistenza che Gesù ci propone;
– questa risposta vitale deve progressivamente crescere in una consapevolezza, tematica e riflessa, capace di esprimere fattivamente la nostra decisione di fare di Gesù Cristo il «determinante» della nostra vita;
– l’ambito di lavoro è costituito dall’abilitazione ad atteggiamenti «corrispondenti» a quelli fondamentali della fede, speranza e carità.
Questo modo di vedere le cose dà un preciso contenuto alla formula «integrazione tra la fede e la vita», che ho ripreso da Il rinnovamento della catechesi: la assume pienamente e la rilancia in una prospettiva più concreta.
19.1. Fare unità attorno alla qualità della vita
Qualcuno pensa che compito della pastorale giovanile sia aggiungere alla vita quotidiana qualche cosa di cui siamo privi. Misura così il raggiungimento dell’obiettivo sulla quantità di elementi nuovi che la persona accetta di integrare nella sua struttura di personalità. Sono convinto che l’ipotesi dualista stia all’origine dei disturbi che attraversano oggi la comunicazione tra giovani e comunità ecclesiale, come ho mostrato nella seconda parte del mio libro. Per questo, ho proposto l’obiettivo in una prospettiva molto diversa. Essa fa unità interiore là dove nascono i maggiori problemi.
La meditazione sull’evento dell’Incarnazione ha confortato e orientato la mia ricerca.
Chi accoglie la propria vita, con l’incredibile coraggio di immergersi nel suo mistero impegnativo e interpellante, si decide, almeno in modo germinale, per l’evento di Gesù Cristo. La decisione per Gesù il Cristo (per la sua persona e il suo messaggio espresso nella confessione ecclesiale attuale) non è l’accoglienza di qualcosa che si aggiunge dall’esterno all’accoglienza della propria vita e all’impegno di assicurarla piena per tutti. Questa decisione va invece considerata come il raggiungimento concreto e pieno di quella stessa realtà, già vissuta in modo germinale e originale quando è stato pronunciato il primo timido sì alla vita, accolta come evento misterioso e interpellante.
Il sì alla vita cresce irruente verso l’accoglienza del Signore della vita stessa: si fa tematico ed esplicito quel sì che era solo implicito, anche perché si scopre nel Signore Gesù la radice e il fondamento di quella pienezza di vita, che cerchiamo intensamente, per noi e per gli altri. Si realizza così un doppio movimento: un processo di progressiva consapevolezza su quella realtà (eventi e parole) prima conosciuti senza essere verbalizzati, e un progressivo adeguamento della decisione personale con i contenuti teologici affermati come normativi dalla comunità ecclesiale, attorno alla vita stessa, alla sua qualità, al suo fondamento e al suo esito.
La questione è una sola: riguarda la vita e la sua qualità. Nella fede riconosciamo che la maturazione completa dell’esistenza esige il riconoscimento della presenza di Dio. Questo riconoscimento è, prima di tutto, nell’ordine dei fatti, anche se ha bisogno di crescere, di verificarsi e di rendersi concreto sul piano consapevole e tematico. Da questo dato, di natura teologica, scaturiscono i compiti educativi e pastorali affidati alla comunità ecclesiale: aiutare a far passare dal riconoscimento della «cosa» in sé (la vita come evento teologale) al riconoscimento del fondamento di questa realtà (la persona di Gesù il Cristo). Solo in questa progressione di riconoscimento, il cristiano si fa adulto e l’uomo è restituito alla pienezza di libertà e responsabilità.
La vita quotidiana sta così al centro della pastorale giovanile, a partire da quella passione per la sua pienezza, che la meditazione del Vangelo ci ha rivelato e la cui prospettiva ho scelto come orizzonte complessivo di tutta la mia proposta.
19.2. Qualità della decisione
Questo modo di comprendere l’obiettivo della pastorale giovanile affronta alla radice un grave problema educativo.
La decisione per Gesù Cristo e per il suo messaggio, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale, deve essere consapevolmente definitiva e irrevocabile oppure si può immaginare una decisione su un progetto che abbia in sé tutta la carica di decisionalità oggettiva espressa nella formula «integrazione tra la fede e la vita» e che, nello stesso tempo, possegga la dinamicità, la progressività, la forza soggettiva che oggi sono avvertite come esigenze irrinunciabili di ogni decisione pienamente umana?
Come si nota, nell’interrogativo non si contrappone provvisorietà a definitività, ma ci si chiede se esiste un modello di decisione che salvi contemporaneamente le due esigenze, assicurando un processo decisionale progressivo e oggettivamente orientato.
L’accoglienza della «vita» assicura queste esigenze. Infatti, pur essendo la vita l’espressione più soggettiva, è un fatto dotato di una sua consistenza oggettiva, che ci misura, che è nostro ma non ci appartiene e non possiamo manipolare a piacimento. Il «sì alla vita» esprime una decisione su un oggetto che giudica e supera ogni soggettività, proprio nel momento in cui la riconosce come centrale e sono riaffermati nella dinamicità e progressività i caratteri specifici di un processo decisionale autentico. Decidersi per la vita significa infatti, nello stesso tempo e con lo stesso gesto, giocarsi in piena autonomia e confrontare la propria libertà e responsabilità con un evento che inesorabilmente la supera.
19.3. Un processo nella logica del seme
La decisione attorno alla vita assicura così la capacità di superare esigenze che troppo spesso sono state sperimentate come contraddittorie. Penso, per esempio, alla contrapposizione tra soggettività e oggettività, al tentativo di contrapporre l’attenzione rispettosa al frammento alle esigenze di globalità... Invece di porre alternative, si apre la strada ad un processo di progressiva maturazione da una dimensione verso la sua autenticità (e, di conseguenza, verso quell’altra, che è indicata come alternativa).
Ma non c’è solo questo.
La centralità della vita quotidiana introduce nel processo una logica molto evangelica: quella del seme. La vita è come un seme: si porta dentro tutta la pianta in quel minuscolo frammento di vita in cui si esprime. Per una forza intrinseca e in presenza di condizioni favorevoli, progressivamente esplode in qualcosa di continuamente nuovo. Le foglie, il tronco, i rami non si aggiungono dall’esterno. Non sono materiali da mettere insieme. Sono già presenti, in germe: il seme è già la grande pianta, anche se lo diventa giorno dopo giorno.
La decisione per la vita, scoperta come dono impegnativo e interpellante, cresce come il piccolo seme: il primo incerto sì diventa, poco alla volta, un coraggioso e definitivo sì al Signore della vita.