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     Educare alla fede

    di fronte alle sfide

    e alle attese di oggi

    Jerome Vallabaraj


    «C’
    è un antico racconto che si tramanda circa una cavalletta che aveva deciso di consultare il grande vecchio canuto del regno degli animali, il gufo, circa un problema personale. La cavalletta, infatti, soffriva ogni inverno gravi dolori a causa della temperatura molto bassa, spesso sotto i dieci gradi. Dopo avere resistito per alcuni inverni, nei quali tutti i rimedi conosciuti dalla cavalletta non avevano portato alcun giovamento, essa presentò il suo caso al venerabile e saggio gufo. Il gufo, dopo avere ascoltato pazientemente la triste vicenda della cavalletta, prosegue il racconto, prescrisse una soluzione semplice: "Trasformare semplicemente se stessa come un grillo ed ibernarsi durante l'inverno". La cavalletta saltò con gioia immensa, ringraziando calorosamente il gufo per il suo saggio consiglio. Più tardi, tuttavia, dopo avere scoperto che quel consiglio pregevole del gufo non poteva essere messo in pratica, la cavalletta ritornò e chiesse al gufo come avrebbe potuto realizzare quella metamorfosi. Il gufo, piuttosto seccamente, rispose, “Guarda, io ti ho dato il principio. Spetta a te a trovare i particolari!'”».[1]

    Tutti i racconti propongono alcuni principi e quello fornito da questo racconto indica una delle pietre angolari della relazione: come può una persona di cultura utilizzare la sua conoscenza, assimilata durante la vita, per promuovere l’educazione alla fede? E come i catechisti, coinvolti attivamente nell’animazione catechistica, possono fornire le informazioni e la comprensione che faciliteranno l’ulteriore riflessione su tale ministero?

    «Ogni tipo di catechesi è fondamentalmente situazionale». Nonostante tutto quello che esperti, studiosi, documenti e libri offrono, propongono, promuovono o dichiarano, la catechesi diviene feconda ed efficace soltanto quando diventa una risposta idonea ai bisogni dei credenti locali, guidata dalle convinzioni che da loro provengono e promossa dalle persone del posto. Di conseguenza, come il gufo nel racconto, queste riflessioni su san Paolo, l’educatore alla fede, presentano alcuni principi pastorali e pedagogici non-negoziabili o le componenti che devono guidare oggi l’educazione catechetica, in modo che, nelle situazioni locali, si possa decidere che cosa da fare, come farlo e quando farlo e, infine, comprendere il perché farlo così.

    «La visione senza azione è un sogno vuoto. L'azione senza una visione è uno svago. Invece, l'azione con la visione diventa feconda». La visione nell’educatore alla fede è formata e diventa acuta per i principi, valori e convinzioni fondamentali e non-negoziabili che emergono dalle prospettive proprie della fede cristiana, dalla riflessione sui contributi offerti dalle scienze umane riguardo all’educazione alla fede e dalle pratiche quotidiane proposte durante la formazione dei catechisti.

    Questa relazione si articolata in tre parti principali: Paolo, l'apprendista (cfr. DGC 56 C) della fede cristiana; Paolo, l’educatore catechetico; e Paolo, il modello per l’educatore catechetico d’oggi.

    Introduzione

    Anche se il sottotitolo della relazione recita «educare alla fede», preferisco adoperare l’espressione «educazione catechetica»[2] per i seguenti motivi: in primo luogo, per segnalare il simbiotico impegno duale della catechesi nei valori insiti nella teologia e nella pedagogia, nonché per evitare l’innaturale ripetizione di parafrasi secondo quanto afferma Thomas Groome[3], anche noi preferiamo il termine «educazione catechetica»; in secondo posto, per evidenziare il fatto che la fede cristiana è sempre un dono – una grazia di Dio. Perciò parliamo di educazione soltanto in senso secondario e strumentale, cioè «di quelle mediazioni umane che possono facilitare, aiutare, togliere ostacoli, ecc., nel processo di risveglio e crescita dell’atteggiamento di fede, ma sempre al di fuori di ogni possibile intervento diretto sulla fede stessa, che dipende sempre dall’azione gratuita di Dio e dalla libera risposta dell’uomo»;[4] in terzo luogo, per mettere in risalto il fatto che l’educazione catechetica è l’educazione continua della fede o l’educazione permanente che «si rivolge ai cristiani iniziati negli elementi di base, che hanno bisogno di alimentare e maturare costantemente la loro fede durante tutta la vita. È una funzione che si realizza attraverso forme molto varie: sistematiche e occasionali, individuali e comunitarie, organizzate e spontanee, ecc.» (DGC 51); in fine, per indicare che tale educazione catechetica è un processo all’interno dell’evangelizzazione che, tuttavia, è diverso dal “Primo Annuncio” e/o “Catechesi di iniziazione”.

    L’educazione catechetica diventa apprendimento[5] trasformativo quanto i discepoli a livello personale e la comunità dei discepoli nel loro insieme riconoscono che la promozione del Regno di Dio come la prospettiva di significato, Gesù Cristo come lo schema di riferimento, il discepolato come il paradigma e la diakonia, la koinonia, il martyria e la leitourgia come abitudini mentali, arricchiscono la loro fede sia personale sia comunitaria divenendo comunità di pratica attraverso gli stili di risvegliare, liberare, sostenere e progettare la vita cristiana; tale processo di scoprire, verificare e costruire il significato cristiano attraverso l’impegno reciproco, l’impresa comune e il repertorio comune può essere caratterizzato come un paradigma olistico dell’animazione, che deriva la sua ispirazione dal catecumenato battesimale.[6]

    Qualunque tipo di apprendimento inizia, in primo luogo, dall’accettazione delle cose consegnate e funzionali all’interno degli orizzonti governati dal vedere e comprendere che l’individuo ha acquistato sia dall’apprendimento precedente, sia da quelli proposti da altri in situazioni particolari. Tale apprendimento avviene durante l’infanzia sia con il processo della socializzazione sia con l’istruzione scolastica primaria. Modi approvati di comprendere e di fare, plasmati dal linguaggio, cultura e esperienze danno inizio all’acquisizione di uno schema di riferimento attraverso il quale viene costruito il significato o il senso. Nella maggior parte delle società, l’apprendimento fornito da una cultura particolare e dai requisiti distintivi di coloro che generalmente offrono la formazione, vengono riconosciute e ricompensate. Questo è vero anche nel nostro caso di San Paolo. L’annuncio di Gesù Cristo da parte del Paolo è sempre associato al suo essere un ebreo ellenistico con la cittadinanza romana.

    Comunque, nel processo dello sviluppo umano, le contraddizioni causate dai cambiamenti rapidi e drammatici e le diversità delle credenze, dei valori e delle pratiche culturali destabilizzano le strutture di riferimento acquisite o imposte nel periodo precedente e mettono in dubbio le strutture assimilate sia criticamente sia acriticamente. L’incontro di Paolo con Gesù di Nazareth sulla via di Damasco cambia radicalmente la sua struttura di riferimento e le sue prospettive e la aiuta a divenire il discepolo, l’apostolo e il missionario di Gesù Cristo.

    1. Paolo, l’apprendista della fede cristiana

    Abbastanza spesso, quando si fa riferimento a Paolo, si evidenzia esclusivamente il suo incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco. Mentre questo è comprensibile considerando la rilevanza di quell’esperienza, è importante anche accennare al fatto che l’esperienza sulla via di Damasco lanciava Paolo su una traiettoria di una conversione continua e permanente, che può essere confermata abbondantemente dalle sue lettere (cf. 2 Cor 12: 8-9; 1 Cor 2: 3; 2 Cor11: 30, ecc.). Tale conversione continua e permanente mette in evidenza anche il nesso continuo con le sue radici.

    1. 1. Paolo, il Giudeo, il Greco e il cittadino romano

    «Io sono un giudeo, nato a Tarso in Cilicia, ma educato in questa città (Gerusalemme), formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri» (At 22: 3).[7]

    Paolo era davvero fiero della sua eredità ed appartenenza ebraica, si sentiva a casa con le sue scritture ed era veramente riconoscente per le promesse e l’alleanza fatti ai suoi padri da Yahweh, Dio d’Israele. Per Paolo ebreo, la Torà, la Legge, comprendeva quattro aspetti fondamentali collegati tra di loro: «Primo, comprende i comandamenti ai quali si deve obbedienza […]; secondo, racchiude molte cose che non sono nell’ambito giuridico nel senso del comandamento […]; cioè, include la storia del popolo di Israele, che come viene interpretata diversamente nelle sue diverse fasi […]; terzo, la Torà viene intesa come saggezza che indica il modello e il mezzo attraverso il quale Dio ha creato il mondo […]; quarto, il termine Torà significa il tutto della rivelazione della volontà di Dio per l’universo, per la natura e per la società umana».[8] Quindi, la Torà rappresenta l’intera tradizione culturale del popolo di Dio. Accettare o rifiutare la Torà o la Legge diventa l’indicatore dell’accettazione o rifiuto della cultura ebraica con tutte le relative ramificazioni connesse con essa. «L’istanza del rapporto di Paolo con la Legge, è, quindi, l’esigenza di  relazionarsi all’intera tradizione, in pratica, alla cultura stessa del popolo ebraico tra cui è nato».[9] Dal punto di vista teologico, la Torà simboleggia la grazia, poiché rappresenta l’intera storia del popolo Israele come la nazione scelta attraverso le alleanze e le promesse.[10]

    Le esperienze di Paolo l’ebreo non erano identiche a quelle dei suoi connazionali che vivevano a Gerusalemme. L’ebraismo di Paolo ha sperimentato lunghi contatti con il mondo greco; lui stesso ha affermato che era un giudeo, «nato a Tarso in Cilicia» (At 22: 3), una città ellenistica dell’Asia Minore. D’altra parte, Paolo era più che uno scolaretto che si conformava rigorosamente ed esclusivamente all’insegnamento dei suoi maestri. Paolo, in effetti, assorbiva l’aria culturale del suo tempo e della città di nascita che, a sua volta, viveva un’atmosfera complessa, poiché l’importanza di Tarso derivava dalla sua posizione tra le rotte commerciali fra le varie regioni del Mediterraneo ed era la capitale della Cilicia. Questa civilizzazione greca si caratterizzava per gli svaghi letterari di saggezza. «I Greci cercano la sapienza» (1Cor 1: 22). La saggezza greca consisteva nella ricerca della conoscenza delle cose che riguardano Dio e l’uomo con i valori relativi. L’assimilazione e lo sviluppo del pensiero greco e della retorica greca di Paolo «non devono essere attribuiti all’influenza esterna o di transito. Il rapporto è più profondo e più sottile, radicato a fondo a livello della cultura condivisa e delle preoccupazioni comuni».[11] L’interscambio con questa condizione sociale risulta in un determinato modo di essere in rapporto con l’umanità e con l’universo. Permearsi con la prospettiva greca seriamente implica anche assumere una posizione al riguardo del comportamento personale, della vita familiare, delle questioni sociali e politiche e proporre un’etica adeguata.[12]

    Perciò l’ellenismo giudaico di Paolo era l’esito di un dialogo con il pensiero greco, specialmente con lo stoicismo, che risulta nell’accettazione della rubrica delle virtù e dei vizi e dell’elenco delle funzioni domestiche o “codice della vita famigliare” che successivamente compariranno in molte sue lettere.[13]

    Paolo di Tarso era anche un cittadino romano dal punto di vista politico ed amministrativo. È un fatto che Paolo invoca esplicitamente quando venne interrogato dal tribuno romano. «Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei romano?”. Rispose: “Si”. Replicò il comandante: “Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse “Io, invece, lo sono di nascita!”» (At 23: 27-28).

    «Paolo è stato definito da A. Deissmann “un cosmopolita”; in realtà si incrociano nella sua persona e nella sua opera tre mondi e tre culture: ebreo per nascita e per religione, si esprime nella lingua e nelle forme dell’ellenismo, ed è un cittadino romano che si inquadra lealmente nel quadro politico-amministrativo dell’impero».[14]

    1. 2. La Cristofania sulla via di Damasco[15]

    Paolo vantava ed attestava con vigore il fervore con cui viveva la sua cultura e la sua religione: «circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile» (Fil 3: 5-6). Affermava della sua condotta di un tempo nel giudaismo che superava «nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri» (Gal 1: 14). Paolo, quando in segno di sfida, diceva di sé «Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io!» (2 Cor 11: 22).

    Questo zelo per la sua religione e per il giudaismo si manifestava anche nel suo odio verso la nascente comunità cristiana, nell’approvazione della lapidazione di Stefano e nel suo essere testimone dei testimoni di quel fatto «I testimoni deposero i loro mantelli ai piedi un giovane, chiamato Saulo» (At 7: 58); «Quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano» (At 22: 20). La ferocia del suo odio per la comunità cristiana viene evidenziata dalle sue stesse parole: «Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti» (At 22: 4-5).

    Zeisler afferma che Paolo perseguitava i seguaci della nuova setta o “Via”, «non perché erano cristiani, ma perché erano giudei malvagi».[16] Lo zelo per le tradizioni dei suoi padri, l’impegno e la dedizione per la Torà e l’auto-rettitudine, intesa come essere più virtuoso degli altri giudei, si manifestavano nell’odio e nella violenza che Paolo infliggeva ai seguaci di Gesù. Paolo, probabilmente, considerava la Via di Gesù come una setta religiosa deviante ed errante. Zelo ed impegno sono energie potenti e motivanti nella vita delle persone.

    È abbastanza difficile cambiare la persona zelante; forse ancor più arduo cambiare uno che considera se stesso come giusto e retto; e praticamente impossibile cambiare un appassionato come Paolo. Tuttavia, Paolo è stato cambiato.

    L’esperienza di Paolo dell’incontro con Gesù risorto viene narrata negli Atti degli Apostoli in tre capitoli diversi. Il nono capitolo presenta quest’esperienza dalla prospettiva della terza persona. Nel capitolo 22, invece, tale narrazione dell’esperienza prende il carattere di autobiografia e in fine, nel capitolo 26 Paolo presenta la sua esperienza di Gesù Cristo risorto come una difesa davanti al re Agrippa e al governatore Berenice. Nonostante alcune determinate varianti fra queste tre narrazioni, gli elementi centrali di quest’esperienza sulla via di Damasco rimangono identici. «“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Io riposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse “Io sono Gesù, che tu perseguiti”» (At 22: 7-8).

    La descrizione di Luca sullo scopo del ruolo di Anania, «devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei» (At 22: 12) non era quella di mettere in risalto la sua mediazione nella chiamata di Paolo, ma semplicemente quella di presentare Anania come strumento di Dio e certo non per sostituirlo.[17]

    L’esperienza di Gesù risorto sulla via di Damasco da parte di Paolo, indubbiamente, porta il bollo dell’autenticità ed viene considerata come il paradigma dell’esperienza religiosa. Partendo da quest’esperienza, la teologia spirituale contemporanea propone alcuni criteri per discernere l’autenticità delle esperienze religiose. Tra questi criteri sottolineiamo i seguenti:

    • Per Paolo, le conseguenze dell’esperienza religiosa hanno prodotto effettivi positivi nel senso di condurre o produrre una vita nuova o rinnovata marcata dalle virtù come saggezza, umiltà, bontà, ecc.;
    • Gli effetti dell’esperienza religiosa spingono verso lo sviluppo della comunità piuttosto che verso la sua distruzione; dopo l’esperienza, Paolo desidera entrare in contatti con gli apostoli;
    • L’autenticità dell’esperienza religiosa viene manifestata e confermata attraverso la profondità e la mitezza delle parole e dello stile di vita che Paolo dimostra nei suoi discorsi e nelle lettere;
    • Quello che viene detto sulla base dell’esperienza è in accordo con gli insegnamenti autentici degli apostoli;
    • L’esperienza dovrebbe entrare nel paradigma della tradizione religiosa per stabilire la sua validità;
    • Il giudizio della comunità apostolica sull’esperienza di Paolo viene accettato e viene riconosciuto come autentico e genuino.[18]

    L’esperienza di Gesù risorto sulla via di Damasco conduce Paolo a scoprire Dio in una maniera nuova. Il Dio che Paolo ha conosciuto è lo stesso Dio dei suoi padri, ma l’esperienza di Gesù Cristo promuove una prospettiva nuova sul modo di intendere Dio e la vita personale. Tale esperienza di Gesù fa nascere in Paolo «interessi, interrogativi, speranze e ansietà, riflessioni e giudizi che confluiscono in un certo desiderio di trasformare l’esistenza» (DGC 152, a); tale esperienza di Gesù diventa anche «mediazione necessaria per esplorare e assimilare le verità che costituiscono il contenuto oggettivo della rivelazione» (DGC 152, b); ancora, tale esperienza di Gesù risorto «diventa in certo modo ambito di manifestazione e realizzazione della salvezza, dove Dio, coerentemente alla pedagogia dell’incarnazione, raggiunge l’uomo con la sua grazia e lo salva» (DGC 152, c).

    L’esperienza di Gesù risorto da parte del Paolo, vista dalla prospettiva dell’apprendimento trasformativo coinvolgeva quattro movimenti fondamentali che sono correlati tra di loro:

    • Un movimento che interroga la prospettiva attuale sul significato di essere un giudeo ellenistico con la cittadinanza romana;
    • Un movimento che esplora l’alternativa di essere seguaci di Gesù Cristo;
    • Un movimento che cerca di applicare le prospettive trasformanti nella sua vita personale e nella missione affidata a lui;
    • un movimento che integra e fonda la nuova prospettiva di significato, cioè la consapevolezza di essere discepolo, apostolo e missionario di Gesù Cristo risorto.[19]

    In sintesi, possiamo affermare che l’esperienza di Gesù risorto sulla via di Damasco offriva a Paolo:

    • Una prospettiva nuova di significato, cioè la Legge giudaica non è più al centro della sua vita ma «il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10: 4) e così Gesù inaugura l’alleanza universale nella quale tutti possono, attraverso la fede, partecipare nel Regno di Dio (cf. Rm 14: 17; Ef 2: 19; Col 1:13ff.);
    • Uno schema nuovo di riferimento, vale a dire che Gesù di Nazareth «morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15: 3-4); e la Buona Novella proclamata da Gesù non è una teoria ma un modo nuovo di vivere e nessuno può «sovvertire il Vangelo di Cristo. Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema!» (Gal 1:7-8);
    • Un paradigma nuovo, diventare tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero […]. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1 Cor 9: 19, 20); questo nuovo paradigma di essere tutto per tutti richiede anche l’edificazione della comunità (cf. 1 Cor 14: 6ff);
    • Un’abitudine mentale nuova, che richiedeva uno stile nuovo di vita per diventare una nuova creatura che con speranza e amore che sono frutti dello Spirito, mirava verso la trasformazione autentica in Cristo. «Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (2Cor 5: 16-18); «Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5: 24-25); «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5: 5) e «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge» (Gal 5: 22).

    Paolo, prima dell’incontro con Gesù risorto, era un uomo orgoglioso della sua eredità ebraica, della sua vita come fariseo, del suo servizio zelante per la religione dei suoi padri (cf. Fil 3: 5-6). Ma dopo la grazia ricevuta sulla via di Damasco, lo stesso Paolo afferma «Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo» (Fil 3: 7). La conoscenza di Gesù ha capovolto tutto il suo mondo. Scoprendo la salvezza che viene dalla fede in Cristo, Paolo percepisce il vuoto che deriva dall’osservanza della Legge. Riconoscendo nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo il significato vero della sua vita, Paolo comprende che quello che fino a quel periodo considerava come vita era in realtà la morte; l’orgoglio di appartenere al popolo dell’alleanza era, veramente, solo una fiducia nella carne che è spazzatura (cf. Fil 3: 1-11).

    1. 3. Le conseguenze dell’esperienza di Gesù Cristo per Paolo

    L’esperienza di Gesù risorto sulla via di Damasco diventa per Paolo il centro e il punto di riferimento per tutta sua vita. Gli esiti di quell’esperienza possono essere raggruppati attorno a due nuclei: le convinzioni personali e le implicazioni per la missione.

    Un aspetto fondamentale della sua esperienza di Gesù si manifesta nel suo modo di presentarsi alla comunità che viene messo in evidenza nelle sue lettere alle comunità cristiane. «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1: 1), che viene ripresa con variazioni esterne e secondarie (cf. 1 Cor 1: 1; 2 Cor 1: 1; Gal 1: 1; ecc.). La sua auto-presentazione evidenzia il fatto che Dio lo ha scelto e li ha dato la grazia di essere apostolo. «Ma quando Dio, chi mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli…» (Gal 1: 15). Paolo era profondamente convinto che l’esperienza di Gesù risorto, che spingeva e irrobustiva la trasformazione della sua vita, continuava a sostenere la sua missione come apostolo del Vangelo di Gesù. «Per grazia di Dio, però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1Cor 15: 10). «Infatti, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo» (1Cor 9: 16).

    Inoltre, l’impatto dell’esperienza di Gesù Cristo sulla via di Damasco nella vita di Paolo si delinea anche nel suo modo di essere apostolo del Vangelo.

    • Il carattere “cosmopolita” di Paolo «era l’aspetto provvidenziale e lo strumento efficace che lo facilitavano a colmare il divario fra la matrice giudaica della fede cristiana e la portata universale del Vangelo»[20]. Paolo è stato sfidato dall’impegno arduo della cultura nella sua chiamata di essere apostolo dei pagani. «Non ha affrontato tale situazione attraverso gli sforzi di “inculturazione” o “enculturation”, ma semplicemente sfruttando la sua situazione dell’appartenenza alla “cultura trasversale”».[21]
    • Paolo parlava e scriveva come “denizen” cioè “abitante del mondo”. Usava le risorse retoriche ed intellettuali ricavate da culture diverse e lo ha fatto spontaneamente senza razionalizzare le conseguenze, poiché era convinto di essere chiamato dallo Spirito Santo per essere l’apostolo di Gesù. Il caso di Paolo «presenta un caso spontaneo di fecondazione incrociata delle culture e dei valori spirituali di quelle culture. Dimostra gli aspetti impressionanti linguistici, antropologici, teologici e missiologici».[22]
    • Quando Paolo scopre la nuova vita in Gesù Cristo, la sua missione lo chiama a impegnarsi nel proclamare il Gesù Cristo risorto; a consolidare lo sviluppo spirituale attraverso il Vangelo; a partecipare nella conversazione confessionale all’interno delle comunità cristiane di molteplici culture e allo stesso tempo a mantenere un dialogo con le culture che non riescono ad entrare nella conversazione confessionale, come è evidente nel discorso nell’Areopago di Atene. Nella sua multiculturalità Paolo «conosceva il linguaggio all’interno del muro e il linguaggio al muro»,[23] ossia il linguaggio da usare all’interno della comunità dei credenti o quello da rivolgere all’esterno.
    • La filosofia, in un certo senso, era rivelata ai Greci come la Legge agli Ebrei. La filosofia è, infatti, un dono di Dio come lo è la rivelazione per i Giudei. Questo è in consonanza e ha i suoi fondamenti nella Scrittura, cioè, tutte le conoscenze vengono da Dio. Gli aspetti profetici e le scienze umane, secondo Paolo, sono, in fondo, dipendenti dal nous o pneuma divina che esplicitano la convergenza. [24] «Considerate, infatti, la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. […] perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù […], perché come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore» (1Cor 1: 26-31).
    • La teologia di Paolo presenta una visione del mondo in bianco e nero ricavata dalla sua esperienza della novità assoluta portata da Gesù Cristo. La prospettiva teologica di Paolo, prescritta da un contrasto apocalittico fra il bene e il male, la lotta escatologica fra il potere di Dio e del demonio, fra grazia e peccato, fra l’ira e la grazia della salvezza, trova la sua tregua nella fede in Gesù Cristo e nel ricorso alla grazia che sovrabbonda «dove abbondò il peccato» (Rm 5: 20). Tale contrasto apocalittico fa risaltare l’atteggiamento di Paolo verso Israele e le nazioni e facilita la comprensione della distinzione che Paolo fa fra la teoria e la prassi.[25] «Era Saulo di Tarso, di fatto, formato alla scuola di Gamaliele ma immerso nelle culture mediterranee che si confrontava con il mondo ellenistico».[26]
    • Le lettere di Paolo non dimostrano una preoccupazione eccessiva per le cose apologetiche ma intendono avvalorare la sua esperienza di essere scelto, chiamato e mandato a proclamare il Signore Gesù risorto. Perciò non esitava a condannare il peccato, ma allo stesso tempo aveva la consapevolezza del messaggio del Vangelo che chiama tutti alla conversione radicale, per cui la missione di Paolo manifestava entrambi gli aspetti di “contrasto e continuità”, “immanenza e trascendenza”. Non si accetta uno al costo dell’altro. «Entrambi corrispondono alla doppia faccia della Bibbia: trascendenza e immanenza. L’immanenza di Dio che è vicino al suo popolo, anima la vita e la storia e dà valori a tutte le attività di pensiero e d’azione. La trascendenza di Dio che è il Santo, e totalmente Altro, è in forte contrasto e in giudizio costante con la mediocrità, vanità e meschinità umana».[27] «Mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei […]. Mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge» (1Cor 9: 20-21).
    • Le lettere di Paolo fanno riferimento anche alle metodologie che possono servire alle comunità cristiane nel divenire discepoli di Gesù Cristo. Alcune lettere partano dall’annuncio del messaggio e fanno l’applicazione alla vita cristiana cioè l’approccio «kerigmatico (o discendente» (DGC 151). In altre occasioni muovano da problemi e situazioni della comunità e delle persone e li illuminano con la luce dell’esperienza di Gesù Cristo e della comunità dei credenti, questo viene identificato con l’approccio «esistenziale (o ascendente)» (DGC 151).

    2. Paolo, l’educatore catechetico

    La missione catechetica di Paolo prende lo spunto dalla sua esperienza personale di trasformazione realizzata dall’incontro personale con Gesù Cristo risorto sulla via di Damasco. È la stessa esperienza che conduce a credere che tale esperienza di Gesù sia possibile non solo ai Giudei ma anche ai pagani di altra cultura.

    2. 1. Paolo, l’apostolo scelto e mandato

    Paolo, narrando la sua esperienza sulla via di Damasco al re Agrippa, afferma che egli era stato mandato «per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede» (At 26: 18). Di nuovo nella lettera ai cristiani di Efeso dichiara «A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo» (Ef 3; 8-9). La missione catechetica di Paolo viene anche pubblicamente confermata e ratificata dallo Spirito Santo e dalla comunità apostolica: «C’erano nella Chiesa di Antiochia profeti e maestri […]. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati”. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (At 13: 1-3).

    I contenuti e le caratteristiche delle lettere di Paolo presentano alcuni elementi e problemi su cui le prime comunità cristiane e i primi credenti si confrontavano nel progredire nella fede e nella vita cristiana e che aiutano a far emergere e comprendere la qualità dell’educazione catechetica che Paolo offriva a queste comunità ed ai credenti. Presentiamo brevemente alcuni di questi aspetti[28] per far emergere alcuni aspetti della qualità dell’educazione catechetica e nello stesso tempo di Paolo come educatore catechetico.

    La lettera ai cristiani di Roma «è un documento fondamentale per la fede di tutti i tempi. Vi si sente l’eco di dolorose polemiche, che hanno fortemente turbato, in precedenza, il clima dell’attività apostolica di Paolo (vedi la lettera ai Gàlati); ma l’esposizione dell’apostolo raggiunge in questo scritto una grande serenità e armonia nella capacità di comporre gli estremi, quasi contrapposti».[29] Paolo concentra il suo insegnamento sulla situazione degli Ebrei e pagani che erano immersi nell’incredulità e nel peccato. «La giustizia, cioè l’essere riabilitati e messi in una giusta relazione con Dio è per l’uomo un dono di Dio: l’uomo, infatti, può soltanto accoglierla con gesto di fede. Su questa via della fede Paolo ricorda che l’esempio più antico e solenne rimane quello di Abramo. […]. I credenti non si rendano schiavi della mentalità di questo mondo; pur vivendo in tanti modi diversi, rimangono sempre nell’unità e nell’amore vicendevole».[30]

    Le due lettere indirizzate ai cristiani di Corinto da Paolo evidenziano lo stile più appassionato e polemico. La prima lettera di Paolo ai cristiani di Corinto «rappresenta un intervento rigoroso dell’apostolo Paolo […]. Si tratta di una comunità assai numerosa, in quel tempo agitata da contrasti, alla ricerca di come applicare l’insegnamento cristiano a diversi problemi concreti. L’apostolo critica severamente l’esistenza di gruppi tanto diversi tra loro e riafferma il ruolo unico e fondamentale di Cristo e quello diverso e secondario del predicatore, di chiunque si tratti, lui compreso […]. Paolo affronta pure questioni relative alla morale sessuale e familiare […]. Istruisce anche i corinzi sui comportamenti da tenere riguardo alle consuetudini pagane del loro ambiente […]; raccomanda la disciplina e la vera unità di tutti i credenti […]. Si capisce che l’apostolo si preoccupa di mettere ordine tra questi credenti da lui condotti alla fede e di favorirne la maturità».[31]

    Quando l’autorità di Paolo viene messa in discussione e quando il suo lavoro passato e le sue intenzioni sono poste in cattiva luce da certi predicatori attivi a Corinto, Paolo manda le sue lettere che vengono fuse nella Bibbia nella seconda lettera ai cristiani di Corinto. Nella lettera Paolo difende e spiega quali veramente sono stati il suo ruolo e la sua attività. Questa lettera «rende al vivo la personalità eccezionale dell’apostolo, la forza, la ricchezza e la varietà del suo linguaggio mentre esorta, insegna, si difende, rimprovera, accusa, richiama, supplica».[32]

    Paolo scrivendo ai cristiani della Galazia mette in evidenza le notizie sconcertanti che gli sono pervenute. Alcuni cristiani cercavano di imporre la circoncisione e l’osservanza della legge  mosaica e delle tradizioni giudaiche. Paolo insorge fortemente contro queste deformazioni del messaggio di Gesù che si manifesta nella mancanza delle tradizionali frasi di ringraziamento a Dio e di lode ai lettori. Paolo parla della sua missione avuta da Dio, dei suoi rapporti con gli apostoli di Gerusalemme e «ripresenta poi i temi più centrali del vangelo cristiano, l’assoluta superiorità della fede sull’antica legge e sulle opere […]. Infine, Paolo descrive la condizione dei credenti come situazione di profonda libertà e quindi esorta i cristiani della Galazia a vivere secondo lo stile dello Spirito, che non è quello dell’egoismo o quello della legge giudaica».[33] Questa lettera offre ai lettori una comprensione della fede di Paolo in Gesù Cristo, della giustificazione e del rapporto tra giudaismo e cristianità.

    La lettera di Paolo ai cristiani di Efeso «risponde alle esigenze dei suoi lettori: presentare un discorso cristiano più ampio del solito, che abbracci le dimensioni del cosmo. Il misterioso progetto di Dio è iniziato prima della creazione del mondo. Esso coinvolge e raduna tutte le cose del cielo e della terra sotto il potere di Cristo unico capo e abolisce la distinzione tra Ebrei e non Ebrei per creare un unico popolo. La Chiesa è una realtà profondamente unitaria: un corpo dove Cristo è il capo, un edificio dove Cristo è la pietra principale; ed è paragonata ad una donna amata e resa santa da Cristo, che l’ha fatta sua sposa».[34] La seconda parte della lettera, offrendo varie esortazioni, invita i cristiani a rendere testimonianza della loro fede vivendo la nuova vita in Cristo soprattutto nei rapporti familiari e sociali.

    La lettera di Paolo ai cristiani di Filippi manifesta il grande affetto e l’attaccamento verso i cristiani di Filippi. «La familiarità, l’amicizia, il desiderio di un prossimo incontro sono sentimenti che prendono molto spazio. Il tono generale è ottimista: viene richiamato un passato felice; il presente è descritto come fruttuoso nonostante le difficoltà; il futuro rappresenta una prospettiva entusiasmante. Il tutto è giudicato dal punto di vista della fede e del Vangelo. Paolo dà notizie di sé e della propria situazione, ma al tempo stesso esprime due importanti gruppi di idee: a) la certezza che, in ogni caso, egli può rimanere unito a Cristo, e ciò conta più di ogni altra condizione; b) l’invito insistente a vivere nella gioia, nel coraggio, nell’unità e nello sforzo di imitare sempre più il Signore. Evocando la figura di Gesù Cristo, l’apostolo cita un inno forse già noto alle comunità cristiane: Cristo appare come modello di una povertà radicale (perché da Dio si fece uomo) e di un’ubbidienza estrema (fino alla morte in croce). Condanna poi chiaramente l’azione di falsi missionari che minacciano la fede, cioè dei giudaizzanti più o meno fanatici. Di fronte a loro egli non teme di elencare i propri titoli di Ebreo genuino e zelante, ma per affermare subito di avere rinunziato a tutti quei privilegi per credere in Cristo».[35] Il testo cristologico proclamato da Paolo (2: 6-11) è tra i più profondi e belli del Nuovo Testamento.

    Ai quei cristiani di Colosse che mettevano in discussione il primato di Cristo, Paolo, nella sua lettera, ribadisce con grande decisione il nucleo centrale della sua predicazione attraverso alcuni temi: «Cristo è al di sopra di tutto e di tutti; per mezzo di lui, Dio ha creato l’universo; per mezzo di lui, ha liberato i credenti da una condizione di schiavitù e li ha radunati nel corpo della Chiesa. I cristiani sono invitati a vivere la radicale libertà che hanno ricevuto, a non temere nulla di questo mondo, a non sopravvalutare idee e regole puramente umane. Rinnovati dall’azione di Dio, devono manifestare concretamente la loro nuova esistenza: con gesti di sincerità, di pace, di sottomissione reciproca».[36]

    La prima lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica manifesta un apprezzamento per i cristiani che manifestavano una fede attiva, un amore impegnato e una speranza ferma in mezzo a molte difficoltà. Ciò nonostante, «sembra, non avevano le idee ben chiare almeno su un punto: si era diffuso il timore che i cristiani già morti dovessero rimanere esclusi dal festoso incontro con il Signore, atteso come un evento vicino nel tempo».[37] Paolo precisa: «essi non risulteranno svantaggiati, poiché risorgeranno per primi. Sia i vivi che i morti, tutti siamo in attesa del ritorno del Signore; e tutti abbiamo la speranza di rimanere con lui per sempre. Paolo inoltre invita a una condotta santa e insiste sull’impegno nel lavoro. Bisogna essere sempre “svegli”, pronti a incontrare il Signore, il quale verrà improvvisamente».[38] Così Paolo ridimensiona quest’elemento della loro fede.

    La seconda lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica precisa e corregge posizioni errate circa il ritorno del Signore. La lettera invita i cristiani di non agitarsi come se quel giorno fosse imminente perché esso deve essere preceduto da due eventi: la ribellione finale e la manifestazione dell’uomo malvagio che tenterà di opporsi a Dio e a Cristo. «In tanto i credenti devono continuare a progredire nella fede e nell’amore con forza e con fiducia nel Signore che li ha scelti e certamente li protegge, perché egli è fedele».[39]

    Le due lettere a Timòteo e la lettera a Tito, dette “lettere pastorali”, raccolgono istruzioni e norme per la vita della comunità, per le varie situazioni e categorie di persone; si aggiungano le motivazioni di carattere dottrinale nella forma di catechesi, inni, professioni di fede e dossologie; essi sono incatenati tra loro per la terminologia, lo stile e il genere letterario; e, infine, fanno convergere gli interessi teologici e il clima spirituale. Sono indirizzate a responsabili di comunità cristiane e richiamano i doveri del ministero pastorale. [40]

    La prima lettera a Timòteo «si presenta come un piccolo manuale per il pastore […]. Timòteo dovrà difendere la verità del Vangelo di fronte ai falsi maestri, in quanto pastore educherà i cristiani alla preghiera e alle opere buone e sceglierà con prudenza i capi delle Chiesa. La lettera contiene il testo più decisivo circa la vocazione universale alla salvezza (2: 4)».[41] Invece, la seconda lettera a Timòteo «si presenta come il testamento spirituale di Paolo […]. Contiene l’affermazione biblica più importante circa l’ispirazione della Bibbia».[42]

    Nella lettera a Tito, Paolo, in modo simile alle due lettere a Timòteo, mette in guardia dai falsi maestri, dà direttive per la scelta dei responsabili delle Chiese, presbiteri e vescovi e detta norme per le varie categorie di persone. Inoltre Paolo «invita i credenti alla riconoscenza verso il Padre e verso Gesù che “ha dato se stesso per noi” nell’attesa della sua manifestazione gloriosa. Essi sono anche esortati a tenere un atteggiamento esemplare, a essere i primi nelle opere buone, per non vivere una vita inutile. Tutto questo ha una motivazione: è apparsa la salvezza di Dio e i credenti vivono nella speranza della sua manifestazione definitiva».[43]

    La lettera di Paolo a Filèmone è sostanzialmente una lettera di raccomandazione. È un appello a Filèmone di perdonare Onèsimo, lo schiavo fuggito, e di accoglierlo come fratello nel Signore e quindi di non punirlo per la sua fuga. Tale «episodio di carattere domestico offre all’apostolo, che si trova in carcere, l’occasione di riflettere sul rapporto tra Vangelo e libertà cristiana».[44]

    2. 2. Rilevare le caratteristiche della metodologia catechetica di Paolo

    Da questa breve descrizione delle lettere di Paolo, è possibile raccogliere aspetti fondamentali della catechesi di Paolo.

    1. Molte lettere di Paolo sono indirizzate a comunità cristiane.
    2. Nel contesto della comunità cristiana, Paolo scrive agli adulti per incoraggiarli a vivere coerentemente la loro scelta di fede.
    3. Gli obiettivi delle lettere sono: risvegliare, purificare, sostenere e progettare la vita cristiana in Gesù Cristo risorto a livello individuale e comunitario.
    4. Molte lettere, tranne alcune, affrontano le preoccupazioni o le situazioni problematiche o gli interessi della comunità.
    5. Queste preoccupazioni, interessi o situazioni sono percepiti all’interno del quadro generale della società e della cultura.
    6. Tali preoccupazioni, interessi o situazioni vengono spiegati o analizzati tenendo conto delle esperienze della comunità cristiana.
    7. Tali preoccupazioni, interessi o situazioni vengono interpretati sempre in riferimento al Vangelo proclamato da Gesù Cristo.
    8. Analisi ed interpretazioni delle preoccupazioni, interessi o situazioni invitano la comunità e i credenti a cambiare lo stile di vita e di comportamento e spingono verso la pienezza di vita in Gesù Cristo.
    9. Paolo presenta se stesso sempre come un servo e apostolo di Gesù Cristo e scrive ai cristiani di queste comunità con umiltà, cura ed attenzione, imitando Gesù Cristo.
    10. Le preoccupazioni di Paolo per mantenere e promuovere l’unità nella fede e nel servizio sono evidenti nelle varie lettere.

    Inoltre da queste caratteristiche possiamo anche evidenziare i tipi di apprendimento catechetico che le varie lettere di Paolo hanno promosso.

    Anche se avessimo soltanto le lettere di Paolo, esse sarebbero sufficienti per conoscere la persona e gli insegnamenti di Gesù e dei primi apostoli. Colpiscono l’intelligenza e l’acutezza dei pensieri di Paolo e l’immediatezza esistenziale delle lettere attira subito l’attenzione dei lettori.  «Nelle singole lettere il patrimonio concettuale teologico è più presupposto che illustrato, onde non fa meraviglia che da oltre un secolo, storici ed esegeti vadano alla ricerca degli elementi costitutivi del “paolinismo”».[45] Paolo chiama questo patrimonio concettuale teologico come «il suo vangelo» (cf. Rm 2: 16; 16: 25; 2 Cor 4: 3). Tale processo induce i lettori ad un apprendimento che può essere nominato “apprendimento teologico”, che è associato con la capacità mentale in ricerca del significato o del senso della vita cristiana e conduce ad un processo dove le risorse della fede cristiana sono messi a disposizione dei credenti per decidere i dettagli pratici della vita cristiana. L’apprendimento teologico diventa l’esercizio della ragione sul significato della persona di Gesù, sul messaggio rivelato da Gesù Cristo e dalla comunità cristiana accolta dalla fede a livello personale e comunitario. Alla base c’è il rapporto tra fede e ragione.

    Il modulo espositivo delle lettere di Paolo «è ampiamente dialogico; spesso egli fa esporre obiezioni da un presunto interlocutore o gli rivolge domande retoriche per avere modo di presentare la risposta (cf. Rm 2: 1, 21; 1Cor 15: 29-35)».[46] Tale processo può essere indicato come “apprendimento prassologico[47]”. Questo processo mette in modo particolare l’accento sul tema dell’elaborazione dell’esperienza come riappropriazione dei contenuti a livello personale. La dimensione principale sollecitata si concentra sul legame tra riflessione e azione, oltre che nei molteplici significati del riflettere in termini sia di pensiero sia di emozione. L’interpretazione diventa il momento fondamentale di tale apprendimento. L’apprendimento prassologico è più centrato sulla pratica teologica e meno preoccupato delle nozioni teologiche.

    Paolo era convinto del «disegno salvifico del Padre ispirato da un amore eterno e comunicativo, il quale chiama tutti gli uomini alla grazia e alla gloria. Spesso nelle lettere Paolo fa appello a questa iniziativa divina (2Ts 2: 13-14, 1Ts 5: 9-10, ecc.)».[48] Tale iniziativa divina e gratuita richiama l’attenzione sull’apprendimento sapienziale, che indica qualcosa di più rispetto alla scienza o conoscenza intellettuale. L’apprendimento sapienziale evidenzia il fatto che la comunità cristiana e i credenti sono invitati a discernere, cioè a fermarsi per ascoltare Gesù costantemente nella vita quotidiana. L’apprendimento sapienziale afferma che la fede cristiana né si acquisita puramente attraverso il ragionamento né si riceve passivamente. L’apprendimento sapienziale, inoltre, rinvia alle dimensioni di meraviglia, di reverenza e di sorpresa. Una lettura autentica delle esperienze implica la capacità di guardare al futuro e quindi la dimensione profetica, come pure la visione profetica deve far fronte anche ai problemi della vita quotidiana e quindi ha bisogno della dimensione sapienziale. L'esperienza cristiana non può prescindere da nessuno dei due momenti.

    Le lettere di Paolo, per la maggior parte indirizzate alle comunità, «parlano alla vita delle comunità cristiane, che esse intendono guidare e rendere più obbedienti al Vangelo, ma presuppongono anche una vita ecclesiale da cui traggono origine».[49] Da qui possiamo rilevare la necessità dell’apprendimento comunitario, che enfatizza il carattere comunitario dell’esperienza della fede cristiana nel quale viene radicata l’identità personale del cristiano. La fede cristiana non è qualcosa di privato, ma l’esperienza di una persona che appartiene ad una comunità che crede in Gesù Cristo. Anche l’apprendimento comunitario diventa l’occasione per comunicare i simboli della fede, per manifestare l’appartenenza alla comunità e per approfondire la fede personale. Tale esperienza di appartenere, condividere, sviluppare ed apprendere all’interno della comunità aumenta l’importanza dell’ambiente comunitario.

    Nelle lettere di Paolo «colpisce a prima vista l’uso frequente delle antitesi e delle contrapposizioni (luce-tenebre, morte-vita, schiavitù-libertà, peccato-giustizia, perdizione-salvezza, carne-spirito, debolezza-forza, vecchio-nuovo, ecc.)».[50] Tali temi hanno offerto a Paolo le occasioni per promuovere l’apprendimento emancipativo, che enfatizza l’importanza della salvezza in Gesù Cristo, la liberazione dal peccato e la promozione della pienezza di vita per tutti. Tale apprendimento emancipativo concentra l’attenzione sui temi di giustizia, liberazione e libertà e richiama anche l’impegno profetico della fede cristiana e spinge i credenti a coinvolgersi intensamente nelle realtà attuali del mondo per offrire a tutti la speranza di un mondo migliore.

    «L’etica di s. Paolo è tutta consequenziale alla nuova situazione ontologica del cristiano [...]. Per questo le indicazioni morali seguono la parte dottrinale espositiva. Il cristiano deve vivere in maniera degna e conforme alla vocazione a cui è stato chiamato (cf. Ef 4: 1; Col 1: 10; 1Ts 2: 12, ecc.)».[51] «Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne» (Gal 5: 16-17); L’apprendimento dall’esperienza pone anzitutto la questione del legame tra il fare e l’apprendere a livello personale e comunitario «mettendo in luce la dimensione più adattativa e confermandone l’immagine di processo prima che di risultato. Oltre a ciò mette l’accento sull’aspetto del conflitto sollecitato in ogni processo, soprattutto in termini di resistenze (reciproche) da parte di tutti coloro che ne risultano coinvolti».[52] Tale apprendimento non consiste solo nell’uso delle conoscenze ma obbliga anche la promozione delle esperienze interne e spirituali, che aumentano la coscienza di essere discepolo di Cristo nella comunità e vivere come comunità dei discepoli.

    Le lettere di Paolo invitano le comunità cristiane a comunicare a tutte le persone la «multiforme sapienza di Dio» (Ef 3, 10) e Paolo ha la coscienza di essere stato chiamato per contribuire a questa sapienza multiforme.

    3. Paolo, il modello per l’educatore catechetico d’oggi

    Oggi, lo stesso Gesù Cristo, che ha chiamato Paolo, continua a chiamare molte persone a dedicarsi alla promozione dell’educazione catechetica dei diversi gruppi nelle diverse situazioni. Perciò, in questa terza parte, cerchiamo di presentare alcuni elementi che dovremo tenere presenti oggi se vogliamo camminare sui sentieri di Paolo nell’educazione catechetica.

    3. 1. Contesto di postmodernismo e postmodernità

    Le lettere di Paolo, di solito, partono descrivendo le situazioni e il contesto dei cristiani (cf. 1Cor 1: 10ss - Divisioni nella comunità; 2Cor 1: 12ss - Gli incidenti accaduti a Paolo; Gal 1: 6ss – severo rimprovero; Fil 1: 12ss – invito alla concordia, ecc.) in cui essi vivono. Tale inizio obbliga noi a guardare al contesto in cui viviamo oggi. Inoltre, «il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane» (EN 20). La cultura serve come strumento necessario per descrivere la fede cristiana in un duplice senso: per interpretare le manifestazioni e le espressioni delle comunità cristiane precedenti, che erano condizionate culturalmente, e per re-esprimerli oggi in una terminologia corrente. Per promuovere tale dialogo tra l’educazione catechetica fatta da Paolo e la cultura di oggi, diviene fondamentale offrire almeno una visione panoramica della cultura di oggi, che molti sociologici e antropologici chiamano “la cultura della postmodernità” che spesso viene collegata e distinta dal “postmodernismo”.[53]

    Postmodernismo e postmodernità sono fenomeni complessi e non facili da definire. Allo stesso tempo, i due fenomeni non sono completamente separabili poiché mettono in discussione, in una certa misura, i risultati conseguiti dalla modernità. Il postmodernismo può significare differenti aspetti per persone diverse. Può riferirsi ad uno stile specifico per gli architetti e per gli artisti; per i filosofi può rilevare la lontananza dall’epistemologia cartesiana; per gli studiosi della scienza politica può indicare la fine delle ideologie utopistiche; per gli economisti può segnalare il cambiamento da un’economia industriale ad un’economia di informazioni. Invece, la postmodernità rappresenta un ambiente culturale più ampio che comprende sia modi di vivere che modi di pensare, per cui viene considerata più come una sensibilità. Il postmodernismo rappresenta la «reazione intellettuale contro gli eccessi delle rivendicazioni “moderne”, mentre la “postmodernità” uno stato d’animo culturale odierno potenzialmente più positivo».[54]

    Gallagher propone in modo molto provocatorio le principali tendenze postmoderniste senza pretendere di essere completo. Presenta queste tendenze attraverso «i dieci comandamenti del postmodernismo radicale».

    1. Non adorare la ragione;
    2. Non credere nella storia;
    3. Non sperare nel progresso;
    4. Non raccontare meta-storie;
    5. Non concentrarsi sull’io;
    6. Non tormentarti sui valori;
    7. Non confidare nelle istituzioni;
    8. Non perdere tempo a pensare a Dio;
    9. Non vivere solo per produrre;
    10. Non cercare l’uniformità.[55]

    Secondo Gallagher, il postmodernismo «tende a esprimersi in una serie di dubbi nichilistici a proposito delle rivendicazioni “moderne”, la postmodernità culturale può essere vista come un tentativo di purificare l’eredità moderna. Essa non ne minimizza i lati oscuri e non ne rigetta le grandi conquiste, ma cerca piuttosto di discernere il tono della nostra cultura, di riconoscere gli eccessi e gli squilibri della modernità e di guarirne le ferite, anziché respingerla in blocco».[56]

    «La rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura» (EN 20). Dal punto di vista della fede cristiana, cerchiamo di agganciare le sfide della sensibilità postmoderna con i diversi tipi di apprendimento, che abbiamo elencato sopra. La nostra proposta intende mostrare, in una forma deliberatamente semplificata, come alcuni tratti importanti della sensibilità postmoderna richiamino alla mente antiche dimensioni della fede cristiana e dell’apprendimento catechetico promosso da Paolo attraverso le sue lettere, che trovano così una nuova energia e rilevanza nella cultura odierna.

    3. 2. Sensibilità postmoderna e le lezioni dalle lettere di Paolo

    Paolo, come tutti, era un prodotto della sua cultura. Fino a un certo punto, aveva creduto che le influenze delle culture circostanti non facilitassero la salute spirituale delle comunità cristiane. Ma, in altri momenti, ha saputo utilizzare le immagini culturali, con buon esito, per comunicare il suo messaggio.

    In generale, possiamo evidenziare due caratteristiche specifiche in Paolo, l’educatore catechetico. Essendo e vivendo in una situazione di multi-culturalità, Paolo era molto pragmatico ed indirizzava i suoi discorsi ai destinatari specifici partendo dalle loro situazioni o dai loro problemi (cf. At 13: 16-41; 14: 15-17; 17: 22-31). In tal modo evidenziava il suo desiderio di adattarsi a tutti per essere tutto per tutti (cf. 1Cor 9: 19-23). Così dimostra la sua capacità creativa che si manifesta nella sua testimonianza di Gesù Cristo risorto.

    Inoltre, si può affermare che la sua catechesi era la sua stessa vita. La sua stessa vita era il suo vangelo.[57] Sanders delinea il quadro del pensiero di Paolo così: in un grande disegno «Dio ha inviato Cristo perché sia il salvatore di tutti, Ebrei e gentili […]; si partecipa alla salvezza divenendo una sola persona con Cristo, morendo con lui al peccato e condividendo la promessa della sua risurrezione; la trasformazione però non sarà completa finché il Signore non ritornerà; nel frattempo chi è in Cristo è stato liberato dal potere del peccato e dall’impurità della trasgressione e il suo comportamento dev’essere determinato dalla sua nuova situazione; poiché Cristo è morto per salvare tutti, tutti gli uomini devono esser stati sotto il dominio del peccato, “nella carne” in quanto opposta all’esser nello Spirito».[58] Tale sintesi mentale da parte di Paolo evidenzia anche la natura olistica della sua testimonianza e insegnamento.

    Paolo, cercando di comunicare Gesù Cristo risorto, inizia, di solito, con un discernimento contestuale e culturale che comporta due tappe principali: una d’interpretazione e di giudizio e l’altra di offerta e creazione di uno stile di vita che possono sostenere i credenti nella creazione delle strutture alternative. Insieme le due tappe fondano quell’azione culturale, mediante la quale una comunità o una persona decide di pronunciare un giudizio e di controllare i tipi di materiale culturale che vuole accettare e i tipi cui deve, invece, resistere. Tale azione comporterà non solo delle scelte ponderate circa i significati e i valori creati per la comunità o la persona, ma anche modi attivi di esame e di giudizio dei tipi di apprendimento attraverso cui significati e valori della fede cristiana vengono comunicati. [59]

    Delineiamo, brevemente, le lezioni che le lettere di Paolo possono offrire per l’educazione catechetica in una situazione di postmodernismo e sensibilità culturale di postmodernità e accenniamo il compito dell’educazione catechetica d’oggi.

    Quando la sensibilità postmoderna guarda con disincanto a un razionalismo arrogante e preferisce quello che, di solito, viene chiamato “pensiero debole” e quando la sensibilità postmoderna preferisce semplicemente non interessarsi più del problema della trascendenza[60], Paolo afferma la grazia di Dio «in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione» (1Cor 1: 30). O di nuovo, Paolo paragona la sapienza di questo mondo e la sapienza di Dio (cf. 1Cor 1: 20-25). Poi nella lettera ai cristiani di Efeso, Paolo prega «affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, Il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui» (Ef 1: 17). L’educazione catechetica, seguendo esempio di Paolo dovrebbe proporre un apprendimento sapienziale. Lungo i secoli la fede cristiana ha sempre dovuto ribadire che, pur essendo ragionevole, si spinge al di là della pura razionalità perché dipende dal dono di Dio. Perciò l’educazione catechetica dovrebbe promuovere nei discepoli la disposizione “ad assumere l’atteggiamento orante e contemplativo che ebbe il Maestro» (DGC 85) e a percepire il significato della preghiera “Padre Nostro per la vita della fede. «Imparare a pregare con Gesù è pregare con i medesimi sentimenti con i quali Egli si rivolgerà al Padre: l’adorazione, la lode, il ringraziamento, la confidenza filiale, la supplica, l’ammirazione per la sua gloria» (DGC 85). La sorgente ed il culmine di quest’apprendimento sapienziale si evidenzia e manifesta nell’ascolto della Parola di Dio e nello spezzare il Pane (cf. DGC 70).

    «Mentre la modernità diede vita, dal Rinascimento all’illuminismo, a un nuovo umanesimo, a un’esaltazione dell’uomo quale centro dell’universo, sottolineando l’identità psicologica o l’individuo contenuto nell’io come la misura di tutte le cose, il postmodernismo propone la “morte dell’uomo” nel senso di un radicale scetticismo sugli approcci soggettivi e sull’importanza data alla personalità e all’autocoscienza nella cultura».[61] Paolo, descrivendo la situazione degli uomini senza Cristo (cf. Rm 1: 18-32), proclama la potenza del messaggio che viene da Dio. Paolo afferma che la verità non si ottiene per via di sottili ricerche intellettuali, ma è rivelata nella Parola ed esige obbedienza. «Dio è veritiero, mentre ogni uomo è mentitore» (Rm 3: 4). «Ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità» (Rm 2: 8). «State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità» (Ef 6: 14). «Questo messaggio rivela come Dio mediante la fede, riabilita gli uomini davanti a sé» (Rm 1: 17). «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. L’educazione catechetica, infatti, dovrebbe proporre un apprendimento teologico che incoraggia la comunità dei discepoli a riconoscere la rivelazione del disegno provvidenziale di Dio (cf. DGC 36-37) e «favorire la conoscenza della fede» (DGC 85) e «la trasmissione vitale e significativa, di questi documenti di fede» (DGC 128).

    «Mentre la filosofia moderna pose in primo piano questioni attinenti la moralità e la libertà, e mentre la modernità viva ebbe la propensione a essere austera e anche puritana nel suo stile di vita, il postmodernismo coltiva lo spirito di Dioniso e Narciso: un edonismo spontaneo procede parallelamente a espressioni estetiche di autonomia. In quest’epoca privatizzata dell’immediatezza e delle immagini la responsabilità morale è vista come un’illusione ereditata da un’epoca diversa. In ultima analisi la vita è senza valore, le assolutezze morali sono illusorie e la libertà è solo un gioco. Non rimane alcun punto stabile di riferimento»[62]. Nella lettera ai cristiani di Efeso Paolo si lamenta dicendo «non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore» (Ef 4: 17-18). «Badate però che questa libertà non divenga occasione di caduta per i deboli» (1Cor 8: 9). «Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un preteso per la carne» (Gal 5: 13). Così, Paolo afferma la necessità della rigenerazione (cf. Ef 4: 22; Col 3: 9; ecc.) e del rinnovamento costante (Ef 4: 23; Col: 2: 20; ecc.) attraverso una vita nella libertà (cf. Ef 5). In tale circostanza, seguendo i passi di Paolo, l’educazione catechetica dovrebbe offrire un apprendimento prassologico che è fondato sul nuovo comandamento di Gesù Cristo che invita a «pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui» (DGC 80), che «attende a sviluppare quelle risorse umane che fanno da substrato antropologico alla vita di fede, quale il senso della fiducia, della gratuità, del dono di sé» (DGC 178). Tale apprendimento prassologico implica la formazione morale che è «il camminare al suo (Gesù) seguito» (DGC 85). La formazione morale fondata sul «discorso della Montagna, nel quale Gesù riprende il decalogo e gli imprime lo spirito delle beatitudini» (DGC 85), è possibile solo attraverso l’apprendimento prassologico.

    «Il postmodernismo parla di una “fine della storia”, mettendo in discussione tutte queste grandiose speranze e preferendo vivere senza grandi finalità, accontentandosi dell’utilità, della comunicabilità e di un’immediatezza in cui non esiste alcun passato o futuro reale»;[63] «il postmodernismo rigetta i “meta-racconti” come “logocentri, cioè ingannati dall’inevitabile bisogno umano di trovare un senso centrale per l’esistenza e di esprimerlo in qualche forma narrativa»;[64] «il postmodernismo diffida di tutte le istituzioni e vede in esse delle forme manipolatrici di oppressione in mano ai potenti»[65]. In alcune delle lettere, Paolo richiama la storia della salvezza (cf. Gal 2: 6ss - la promessa e la legge; Gal 8: 21ss – le due alleanze; Agar e Sara) e in alcuni occasioni insiste sull’importanza della comunità (Cf. Ef 2: 20, 23, 32 – Gesù il fondamento della comunità; 1Tim 1: 14; Ef 5: 22; Rom 10: 17 – stabilisce il legame tra Cristo e comunità). L’educazione catechetica dovrebbe sviluppare un apprendimento comunitario. Tale apprendimento richiama l’attenzione all’iniziazione ed educazione alla vita comunitaria (cf. DGC 86) intesa nelle sue diverse manifestazioni come nel matrimonio, nella famiglia, nella parrocchia, nelle comunità ecclesiali di base, nel ruolo dell’autorità e nelle sue strutture interne ed esterne. «La vita cristiana in comunità non s’improvvisa e bisogna educare ad essa con cura» (DGC 86). Tale apprendimento comunitario richiede alcuni atteggiamenti che l’educazione catechetica dovrà favorire: «lo spirito di semplicità e di umiltà; la sollecitudine per i più piccoli; l’attenzione speciale verso coloro che si sono allontanati; la correzione fraterna; la preghiera in comune; il mutuo perdono» (DGC 86). La promozione dell’apprendimento comunitario favorirà «anche la dimensione ecumenica e incoraggerà atteggiamenti fraterni verso i membri di altre Chiese e comunità ecclesiali» (DGC 86). L’apprendimento comunitario abilita gli adulti a discernere nelle altre religioni gli elementi contrastanti l’annuncio cristiano, ma li educa anche a cogliere i semi evangelici che si trovano (cf. DGC 200).

    «La modernità, per quanto diffidente nei confronti delle realtà assolute e delle autorità ripose la sua fiducia nelle utopie del progresso, chiamate da Francesco Bacone il regnum hominis, con le sue speranze evolutive di superare i mali e di creare situazioni di felicità. Il postmodernismo è nato in parte dai disastri di questo secolo; abbandona tali speranze come arroganti e pericolose, coltivando invece solo il parziale e il frammentario».[66] Paolo, davanti simili situazioni, afferma che Cristo risorto è la sorgente della speranza e indica le benedizioni della speranza (cf. Rom 12: 12; 2 Cor 3: 12; ecc.). Il compito dell’educazione catechetica, seguendo Paolo, consiste nella promozione dell’apprendimento emancipativo. Tale apprendimento evidenzia in prominenza la «chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture. Si tratta della penetrazione del Vangelo negli strati più reconditi delle persone e dei popoli, raggiungendoli in modo vitale, in profondità e fino alle radici delle loro culture» (DGC 109) per offrire loro la vera speranza in Cristo.

    Gli ultimi due comandamenti del postmodernismo radicale proposti da Gallagher sono aspetti positivi che l’educazione catechetica assorbe e propone nel suo apprendimento dall’esperienza. «Contro la priorità accordata a sistemi di efficienza economica, a uno sfruttamento meccanico della popolazione e della terra e alla logica dominante dell’emisfero sinistro del cervello, il postmodernismo protesta nel nome della casualità, del gioco estetico e di una serie di liberazioni associate all’emisfero destro del cervello».[67] Contro l’impostazione di uno stile uniforme di vita, in faccia alla credenza dei tratti universali o tipici del comportamento umano e di fronte a un accecamento nei confronti delle tradizioni locali o uniche, il postmodernismo insiste sul valore della diversità e della differenza e non si vede tale situazione come “anarchia”.[68] L’apprendimento dall’esperienza guida l’attenzione alla natura della testimonianza e della proclamazione attraverso lo stile di vita cristiana. L’educazione catechetica è il processo con il quale la comunità dei discepoli «dà testimonianza tra i popoli del nuovo modo di essere e di vivere che caratterizza i cristiani; proclama esplicitamente il Vangelo […]; suscita continuamente la missione» (DGC 48).

    Tutti i tipi di apprendimento sono necessari. Ogni apprendimento, a suo modo, realizza la finalità dell’educazione catechetica. I vari tipi di apprendimento si implicano mutuamente e si sviluppano insieme. Per realizzare i vari tipi di apprendimento, l’educazione catechetica si vale di tre grandi mezzi: l’esperienza dei credenti nella comunità dei discepoli, l’ascolto del messaggio evangelico e la trasformazione verso la pienezza di vita per tutti. I differenti tipi di apprendimento sono oggetto dell’educazione catechetica tanto nel loro aspetto di “dono” quanto nel loro aspetto di “impegno”. Tutti i tipi di apprendimento costituiscono la totalità e la ricchezza. Come per la vitalità di un organismo umano è necessario che funzionino tutti i suoi organi, così per la maturazione della vita cristiana occorre che siano coltivate tutti i tipi di apprendimento catechetico.

    Conclusione

    Alla fine di questa breve riflessione, può essere utile tentare di raccogliere, in forma schematica e riassuntiva, i tratti significativi dell’educazione catechetica di Paolo dalle sue lettere nel Nuovo Testamento:

    1. Paolo, il “cosmopolita” e “l’ultimo fra tutti i santi” (Ef 3: 8), aveva la coscienza di essere stato scelto e chiamato ad annunciare «le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sull’attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio creatore dell’universo» (Ef 3: 9).
    2. «Paolo era un teologo in quanto rifletteva sul suo evangelo, ma non era un teologo sistematico, neppure quando scriveva Romani. La sua teologia non è la sua religione, ma era il suo sforzo di esprimerla nelle circostanze riflesse dalle varie lettere».[69]
    3. La comunità cristiana era al centro e il primo destinatario delle lettere di Paolo e della sua educazione catechetica.
    4. Gli adulti diventano i destinatari principali e privilegiati.
    5. La domanda principale e fondamentale per Paolo non riguarda né il luogo dove fare l’educazione catechetica né il modo di fare ma le situazioni in cui si trovano gli adulti cristiani.
    6. Paolo prendeva seriamente in considerazione quelle realtà e quelle esperienze attraverso cui gli adulti tentavano di progredire nella vita cristiana. Senza quest’impegno le sue lettere sono prive di vero significato.
    7. La pluralità delle esperienze e le diversità delle situazioni obbligavano Paolo a proporre diversi tipi di educazione catechetica con scopi diversificati di apprendimento.
    8. Allo stesso tempo Paolo aveva la consapevolezza che ogni apprendimento catechetico, come la fede nel suo insieme, deve radicarsi nell’esperienza umana, per non restare nella persona come qualcosa di posticcio e di isolato.
    9. Il compimento di diversi tipi di apprendimento avviene con un processo continuo che richiede un cambio di prospettiva che tiene conto della centralità della persona di Gesù e del suo messaggio evangelico.
    10. Attraverso i diversi tipi di apprendimento Paolo cercava di “risvegliare o ridestare la fede”, “liberare o purificare la fede”, “rafforzare o sostenere la fede” e “progettare la vita della comunità e dei credenti”; ciascuno degli stili è un processo e un metodo per l’arricchimento della fede cristiana che contribuisce a un movimento di trasformazione della vita che Paolo comprende come un avanzare verso la pienezza di vita per tutti in una prospettiva Regno-centrica proclamata e testimoniata da Gesù Cristo.

    Sia che Saulo di Tarso fosse fondamentalmente un ebreo nell’ambito greco sia che fosse un ebreo disertore dalla sua cultura ancestrale per assimilare la cultura greca sia che avesse combinato la sua cittadinanza con il suo giudaismo ellenistico, è rimasto sempre “Paulus cristianus”  e “Paulus apostolus[70] ma, senza mai renderlo meno “cosmopolita”.

    Tutta la teologia è viandante o come San Tommaso Aquino giustamente designa è «Theologia in statu viae». Ciò viene verificato specialmente nel caso dell’educazione catechetica, che è l’articolazione permanente e continua della fede come discepolo che, mentre cerca auto-comprensione all’interno della comunità cristiana itinerante, cerca anche di comunicare in modo significativo in un contesto concreto di destinatari specifici. Perciò, occorre, da una parte, un confronto con la Parola di Dio che è rivolta alle persone umane e, dall’altra parte, tenta, confrontando costantemente le parole umane su Dio, di comprendere, seguire e realizzare le implicazioni dell’auto-comunicazione di Dio nel contesto della comunità e della società. Tale processo accompagna i cristiani credenti durante il loro pellegrinaggio nel mondo, assistendoli nel riconoscere e decifrare il significato della presenza di Dio nella loro vita. Allo stesso tempo, tale processo indica anche una dimensione dialogica, poiché coinvolge un’interazione continua che il credente impegnato ha con Dio, con le altre persone e con il mondo.

    L’incontro tra l’esperienza cristiana e la missione nel contesto è già avvenuto in modo metaforico. È iniziato all’origine del cristianesimo ed è stato realizzato in modo eminente nella vita e nella catechesi di Paolo. Ma tuttavia in un altro senso, le comunità cristiane sono ancora in pellegrinaggio nel loro incontro permanente con la psiche e l’ethos del nostro tempo. Ogni pellegrinaggio implica una determinata quantità di rischi; e, in ultima analisi, uno è sfidato, spesso, ad avventurarsi lungo un percorso sconosciuto e non esplorato. Ciò è precisamente quello che Paolo ha fatto, mantenendo una polarità creativa tra il radicamento in Gesù e la sua risposta alle sfide del contesto; ciò è quanto precisamente gli educatori catechetici sono invitati a fare. Perciò, radicato nell’esperienza fondamentale del Signore Risorto, sicuro nella presenza permanente dello Spirito di Dio, l’educatore catechetico è invitato a continuare il suo itinerario con un po’ di quella fiducia che è stata descritta così acutamente dal poeta spagnolo Antonio Machado nella sua poesia Caminos:  «Pellegrino! Non c’è la strada. La strada si fa camminando».

     

     

    NOTE

    [1] Bennis W.G., Benne K.D. and Chin R. (Eds.), The Planning of Change, Holt, Rinehart and Winston, New York, 41985, 3.

    [2] Tra i compiti della Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi) elencati nella Costituzione Apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II del 1988, l’articolo 115 utilizza l’espressione l’educazione catechetica. Cf. John Paul II, Costituzione apostolica Pastor Bonus sulla curia romana, 28 giugno 1988, in AAS LXXX (1988) 7, n.115.

    [3] Cf. Groome T., Total Catechesis/Religious Education: A Vision for Now and Always, in Groome T. – Horell H. (Eds.), Horizons & Hopes – The Future of Religious Education, Paulist Press, New Jersey, 2003, 1.

    [4] Alberich E., La catechesi oggi – Manuale di catechetica fondamentale, Elledici, Leumann (TO), 2001, 146.

    [5] «L’apprendimento è un cambiamento più o meno permanente nel comportamento o nella capacità di comportarsi in un certo modo, che deriva da pratica o da altre forme di esperienza. […]. Perciò il primo criterio per definire l’apprendimento è un cambio comportamentale o la capacità per il cambiamento […]. In secondo criterio inerente nella definizione evidenzia il cambiamento più o meno permanente […]. Il terzo criterio sottolinea che l’apprendimento è  l’esito di un’attività o di un’esperienza». Schunk D. H. Learning Theories – An Educational Perspective, Merrill Prentice Hall, Columbus Ohio, 42004, 2.

    [6] Cf. Vallabaraj J., Delving into the World of the Catechetical Education of Adults – A Multi-Perspective Elaboration, Kristu Jyoti Publications, Bangalore, 2008.

    [7] Tutte le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia, a cura dell’Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008.

    [8] Davies W. D., Jewish and Pauline Studies, SPCK, London, 1984, 92f.

    [9] Ibid., 93.

    [10] Cf. Legrand L., The Bible on Culture – Belonging or Dissenting?, Theological Publications in India, Bangalore, 2004, 115-126.

    [11] Ibid., 133.

    [12] Cf. Ibid., 126-137.

    [13] Cf. Ibid., 138-146.

    [14] Rossano R., Paolo, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, a cura di Rosanno P., Ravasi G., e Girlanda A., Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1989, 1065.

    [15] L’espressione presa dal Rossano R., Ibid.

    [16] Zeisler J., Pauline Christianity, Oxford University Press, New York, 1990, 25.

    [17] Cf. Wilson S. G., The Gentiles and the Gentile Mission in Luke-Acts, Cambridge University Press, Oxford, 2005, 161-164.

    [18] Cf. Wainwright W., Mysticism and Sense of Perception, in «Religious Studies», 9 (1973) 3, 261-262; Veliath D. Religious Experience – A Philosophico-Theological Reflection, relazione fatta durante il seminario annuale su “The God-Experience of Paul” at Kristu Jyoti College, Bangalore, 23-24 Sep 2008.

    [19] Cf. Cranton P., Understanding and Promoting Transformative Learning – A Guide for Educators of Adults, Jossey-Bass, San Francisco, 22006, 69-76; Vallabaraj J., Delving into the World of the Catechetical Education of Adults, 108.

    [20] Legrand L., The Bible on Culture – Belonging or Dissenting?, 139.

    [21] Ibid., 146.

    [22] Ibid.

    [23] Vogel L. J., Teaching and Learning in Communities of Faith. Empowering Adults through Religious Education, Jossey-Bass, San Francisco, 1991, 77.

    [24] Cf. Wolfson H. A., Philo: The Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity and Islam, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1968, 142-143.

    [25] Cf. Legrand L., The Bible on Culture – Belonging or Dissenting?, 142.

    [26] Ibid., 143.

    [27] Ibid., 166.

    [28] Poiché il nostro obiettivo è solo quello di presentare alcuni aspetti fondamentali che emergono dalle lettere di Paolo, utilizziamo abbondantemente le introduzioni che troviamo all’inizio di ogni lettera dell’Apostolo nelle diverse edizioni della Bibbia.

    [29] La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana – Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, Città del Vaticano, 2008, 1777.

    [30] La Bibbia in Lingua Corrente, Elledici-Alleanza Biblica Universale, Leumann (Torino), 1997, 233.

    [31] Ibid., 255.

    [32] La Sacra Bibbia, 1818.

    [33] La Bibbia in Lingua Corrente, 286.

    [34] Ibid., 294.

    [35] Ibid., 304.

    [36] Ibid., 311.

    [37] Ibid., 317.

    [38] La Sacra Bibbia, 1859.

    [39] La Bibbia in Lingua Corrente, 324.

    [40] Cf. Fabris R., Timoteo (Lettere a), in Nuovo Dizionario di teologia biblica, 1570.

    [41] La Sacra Bibbia, 1868.

    [42] Ibid., 1875.

    [43] Ibid., 1880.

    [44] Ibid., 1884.

    [45] Rossano R., Paolo, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, 1070.

    [46] Idid., 1069.

    [47] «La prassologia produce un discorso riflesso e critico (logos) sull’agire sensato (praxis) per migliorarlo, ovvero per renderlo pertinente, coerente ed efficace». Midali M., Teologia pratica – Cammino storico di una riflessione fondante e scientifica, Las, Roma, 32000, 357.

    [48] La Sacra Bibbia, 1071.

    [49] La Sacra Bibbia, 1776.

    [50] Ibid.

    [51] Rossano R., Paolo, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, 1076.

    [52] Quaglino G. P., Fare formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguardi, Raffaello Cortina, Milano, 2005, 184.

    [53] Gallagher M. P., Clashing Symbols. An Introduction to Faith-and-Culture, Darton, Longman and Todd, London, 1997. La traduzione Fede e cultura – Un rapporto cruciale e conflittuale, San Paolo, Milano, 1999.

    [54] Gallagher M. P., Fede e cultura, 128.

    [55] Gallagher M. P., Fede e cultura, 124-127.

    [56] Ibid., 128.

    [57] Cf. Roads C., The Fifth Gospel or The Gospel According to Paul, Eaton & Mains, New York, 1897.

    [58] Sanders P., Paul and Palestinian Judaism, SCM Press, London, 1977, 549; La traduzione Paolo e il giudaismo palestinese, Paideia, Brescia, 1986, 751.

    [59] Warren M., Communications and Cultural Analysis, Bergin & Garvey, Westport Conn., 1992, 8-9.

    [60] Cf. Gallagher M. P., Fede e cultura – Un rapporto cruciale e conflittuale, 124 e 127.

    [61] Gallagher M. P., Fede e cultura – Un rapporto cruciale e conflittuale, 126.

    [62] Ibid.

    [63] Gallagher M. P., Fede e cultura – Un rapporto cruciale e conflittuale, 125.

    [64] Ibid., 125-126.

    [65] Ibid., 126

    [66] Ibid., 125.

    [67] Ibid., 127.

    [68] Cf. Ibid.

    [69] Sanders P., Paolo e il giudaismo palestinese, 594.

    [70] Malherbe A. J., Paul and the Popular Philosophers, Fortress Press, Minneapolis, 1989, 8.


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