Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    1. Storia e compiti della teologia pratica



    cf "Teologia pratica e pastorale giovanile"

    Mario Midali

    LA «CITTADINANZA» TEOLOGICA DELLA TEOLOGIA PRATICA

    Domanda. In una recente intervista su PG e catechesi per NPG, il prof. Emilio Alberich sosteneva che «c’è poca stima e riconoscimento della teologia pratica come scienza e come competenza». Condivide questa opinione? C’è davvero all’interno delle discipline teologiche con maggior tradizione una certa altezzosità che tende a considerare catechesi e pastorale (ad esempio quella giovanile) come ambiti di specializzazione secondari e derivati?

    Risposta. Che in certi ambienti ecclesiastici e specialmente in alcuni cultori di altre discipline teologiche (ad esempio bibliche, storiche e sistematiche), sia tuttora rilevabile poca stima e riconoscimento della teologia pratica è una costatazione non certo esaltante ma purtroppo innegabile.
    Ciò è spiegabile tenuto conto di vari fattori strettamente collegati tra loro da un punto di vista storico e ideologico. Nel periodo del dopo Vaticano II è sopravissuta una secolare tradizione che riduceva la teologia pastorale a corollari di altre discipline teologiche o a un insieme di indicazioni pratiche, utili per il ministero del pastore d’anime (la catechesi, la celebrazione della messa e dei sacramenti, in particolare la confessione, l’organizzazione delle attività parrocchiali, ecc.). Ciò ha fatto sì che nel curricolo di studi teologici, sia nei seminari che nelle facoltà teologiche, alla teologia pastorale si continuasse a riservare spazi assai limitati. Di conseguenza si è avuta e purtroppo continua ad esserci una carente (per non dire assente) informazione circa i notevoli e apprezzabili sviluppi e traguardi raggiunti dalla teologia pratica negli ultimi decenni a raggio non solo internazionale ma anche italiano. Senza dire dell’abbondante pubblicazione di libri e libretti che vengono qualificati come espressione di una cosiddetta teologia pastorale, ma che di teologico hanno poco e ancor meno quanto ad attendibilità scientifica.
    Sicché la poca stima per questo ramo del sapere teologico va riferita a una comprensione della teologia pastorale ormai datata e decisamente superata e non già a un’aggiornata configurazione della teologia pratica operata di negli ultimi decenni da teologi riconosciuti in ambito internazionale per la loro competenza.
    Il fatto che la pastorale giovanile e la catechesi siano considerati settori di studio secondari e derivati rispetto, ad esempio, alla teologia biblica e sistematica o dogmatica, dipende in parte almeno dalla poca stima che riscuote la teologia pastorale com’essa è tuttora intesa da larghi stradi dell’opinione pubblica nella chiesa.
    Nell’ultimo periodo, però, la situazione sta cambiando ancorché molto lentamente. Alcune facoltà teologiche italiane hanno attivato dei bienni di specializzazione in teologia pratica (o pastorale), con standard scientifici progressivamente migliorati, potendo contare su un corpo docente preparato in centri accademici tanto italiani che stranieri (specialmente di lingua tedesca, francese e inglese). Nel curricolo di studio di vari seminari, alla teologia pratica generale e ad alcune sue articolazioni come la catechetica e la pastorale giovanile vengono riservati più ampi spazi, gestiti da professori che possono ormai disporre di un’ampia letteratura teologico pratica di buon livello scientifico. Sono alcuni fenomeni che fanno ben sperare a vantaggio non soltanto degli addetti ai lavori, ma soprattutto di coloro che sono impegnati nel vasto e complesso campo della pastorale giovanile, della catechesi e più in generale dell’evangelizzazione.

    L’attuale configurazione della teologia pratica

    D. Cos’è dunque la teologia pratica? Come si autocomprende oggi? A grandi linee, quali sono i passaggi che essa ha vissuto con particolare riferimento alla sua evoluzione nel dopo Vaticano II? Quali i punti fermi raggiunti? Quali le questioni ancora aperte?

    R. L’attuale configurazione della teologia pratica, attorno alla quale si è ormai realizzato un crescente e qualificato consenso, è il traguardo maturo di un plurisecolare commino (mai concluso), scandito da alcune tappe significative, ricostruite qui in termini estremamente sintetici e necessariamente semplificatori.
    In campo cattolico la disciplina denominata Teologia pastorale nasce in seguito alla riforma promossa dal concilio di Trento e viene compresa come ramo del sapere teologico diretto a descrivere il codice morale del pastore d’anime e l’organizzazione delle attività ecclesiastiche che a lui fanno capo (catechesi, amministrazione dei sacramenti e guida della comunità locale).
    Nel secolo XIX questa tematica viene approfondita attorno al ministero pastorale (profetico, cultuale e regale), considerato come esercizio di una potestà sacra, e la connessa sistemazione della capacità di iniziativa nella costruzione e conduzione della Chiesa, caratterizzata dal ruolo predominante della gerarchia ecclesiastica rispetto al laicato cristiano.
    Negli anni immediatamente precedenti il Vaticano II, specialmente per influsso della teologia pratica protestante, che poteva contare su una lunga e prestigiosa tradizione, l’accento viene spostato sulla problematica riguardante la configurazione storica dell’agire animato dalla fede in Gesù Cristo e, quindi, sull’azione della Chiesa nel suo divenire e modellarsi variamente cangiante e diversificato nella storia.
    Nel periodo del dopo Vaticano II si sono succedute tre distinte prospettive generali sull’argomento, le quali convergono nel riferirsi alla prassi della Chiesa, intesa come un agire pratico proteso all’ideale di una vita cristiana autentica, guidato da un’interiore capacità di decisione consapevole e prudente, ma divergono nel delimitarne la maggiore o minore ampiezza.

    1. La prospettiva clerocentrica, difesa da alcuni rappresentanti del mondo tanto cattolico quanto evangelico, ritiene che l’ambito della teologia pastorale è la prassi propria dei pastori, comprendente il triplice ministero pastorale e le quattro azioni (annuncio della parola, culto, comunione ecclesiale e servizio), considerate nell’ampia ottica riguardante il rapporto Chiesa-mondo. È una prospettiva chiaramente clerocentrica. In essa a ragione si continua a designare questa disciplina come «teologia pastorale» in quanto pone al centro la figura del pastore (il vescovo e il prete).

    2. La prospettiva ecclesiocentrica segue un orientamento generale del Vaticano II, il quale ha promosso una rinnovata coscienza ecclesiale e ha considerato la comunità cristiana locale, formata dalle sue guide autorevoli (il clero), dai fedeli laici, uomini e donne, dai consacrati e dalle consacrate come soggetto attivo e corresponsabile del multiforme e differenziato agire e operare della comunità stessa nei suoi rapporti con la società. In linea con questo orientamento, un consistente numero di autori cattolici e protestanti ritiene ormai che questa disciplina teologica debba prendere in considerazione la prassi dell’intera comunità ecclesiale, vista nel suo insopprimibile innesto nella società contemporanea e con particolare riferimento all’amplissima area dell’esperienza, intesa come realtà inglobante l’esistenza umana nel suo complesso. Per essi, il centro d’interesse è la Chiesa o il rapporto Chiesa-mondo, che peraltro viene interpretato in modi differenti dovuti alla diversa concezione di Chiesa e di mondo. Qui si passa ormai da una prospettiva clerocentrica a una prospettiva ecclesiocentrica. Coerentemente a tale impostazione si sostituisce ormai la formula teologia pastorale con quella di teologia pratica, e si considera la prima come parte integrante della seconda.

    3. La prospettiva antropocentrica o soteriologica o «regno-centrica» è quella difesa da una crescente schiera di qualificati pastoralisti protestanti e cattolici particolarmente attenti alle molte culture e alle varie forme di prassi religiosa extra-ecclesiale, al vasto e differenziato pianeta delle altre religioni, al moltiplicarsi di situazioni multietniche, plurireligiose e di differenti tipi di umanesimo contemporaneo (anche in ambienti dove il cristianesimo è tuttora la religione maggioritaria). Ciò li ha sollecitati ad allargare l’intervento della Chiesa e della riflessione teologico-pratica a questo variegato fenomeno culturale e religioso. Per questi pastoralisti, il centro d’interesse è la problematica riguardante i molteplici e dinamici rapporti della Chiesa con la religione, la società e la cultura. Si è in presenza di una prospettiva antropologica o soteriologica o regno-centrica, cioè centrata sui valori del «Regno di Dio» operante anche al di là dei confini verificabili del cristianesimo. In questa visuale si designa ormai questa disciplina teologica come teologia pratica, e la riflessione sui responsabili, ai vari livelli, dell’agire ecclesiale, qualificata solitamente come teologia pastorale, viene considerata come uno dei suoi numerosi campi di ricerca.
    Questa terza prospettiva è quella che oggi riscuote un crescente consenso perché è più aderente all’attuale realtà socioculturale e religioso-ecclesiale; perché è coerente con il messaggio biblico circa il primato e la maggiore estensione del Regno di Dio rispetto alla Chiesa, che di tale Regno è «germe e segno» o strumento (Lumen gentium n. 5); perché si colloca nella linea aperta dal magistero pastorale del Vaticano II riguardante la promozione del dialogo della Chiesa cattolica con le altre Chiese e comunità cristiane, con le altre religioni, con la società contemporanea e le varie culture; perché consente di superare una contrapposizione tra concentrazione su tematiche intra-ecclesiali e apertura alla più vasta realtà socio-religiosa.
    Ma sottolineo, a scanso di dannosi fraintendimenti, che all’interno di tale vasto orizzonte e in fedeltà a un’irrinunciabile ottica cattolica (è nota la minore attenzione del mondo protestante al tema attinente la Chiesa e il suo maggiore interesse alla realtà religione), soggetto attivo e protagonista dell’intera prassi cristiana è sicuramente la Chiesa, popolo di Dio, comprendente pastori e fedeli nel senso del capitolo II della Lumen gentium. Chiesa, intesa nella sua duplice realizzazione storica di Chiesa universale, considerata come comunione di Chiese particolari in cui vive e opera il popolo di Dio, secondo l’indicazione della stessa Lumen gentium (nn. 13 e 23).
    Questa triplice prospettiva generale tuttora presente evidenza una prima questione di fondo tuttora aperta, nel senso che le visuali clerocentrica ed ecclesiolocentrica tendono a lasciare in ombra quella regnocentrica, e quest’ultima si trova impegnata a integrare in modo profondamente rinnovato le due precedenti.

    D. In questa rinnovata comprensione della teologia pratica, il famoso trinomio del ministero (profetico, cultuale, regale) e le quattro azioni ecclesiali, ministero della parola o marturìa, culto o leiturgìa, comunione ecclesiale o koinonìa e servizio o diakonìa, ricorrenti nei documenti ecclesiali e nella stessa prima enciclica di Benedetto XVI (nn. 20-21), esprimono bene, secondo Lei, i compiti e le funzioni dell’azione ecclesiale anche oggi o evidenziano una sensibilità ormai superata?

    R. Come si è rilevato sopra, tali articolazioni del ministero e delle azioni ecclesiali sono state tematizzate nel corso degli ultimi due secoli e successivamente ridefinite e approfondite da vari teologi e poi largamente utilizzate dagli stessi documenti del Vaticano II.
    Non vi è dubbio che tali categorie bibliche e connessi schemi teologici rilevano aspetti significativi della prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale situata in un quadro generale. Come tali continuano ad essere imprescindibili punti di riferimento di ogni discorso teologico-pratico.
    Tuttavia, tale articolazione si dimostra insufficiente a cogliere l’agire ecclesiale e a definirlo nel suo insieme in modo adeguato. Lo hanno riconosciuto negli anni dell’immediato dopo Vaticano II gli stessi teologi, come Yves Congar e Karl Rahner, che pure l’avevano elaborata scientificamente negli anni 1940-1960 e avevano contribuito a farla entrare autorevolmente nei documenti conciliari.
    Tanto per fare degli esempi, torna difficile ed espone a criticabili forzature voler collocare in tali schemi la tematica attinente l’ampio e articolato processo di evangelizzazione, il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, come pure i complessi argomenti riguardanti la descrizione le varie forme di cristianesimo contemporaneo e il rinnovamento sia dell’attuale cristianesimo sacrale e popolare, sia di quello élitario promosso da tante forme antiche e nuove di associazionismo cattolico, l’uno e l’altro in vista della realizzazione del modello di nuova evangelizzazione dialogale e riconciliatrice, inculturata e liberatrice (centrato sul cuore del Vangelo), promosso da Giovanni Paolo II, ma purtroppo tuttora minoritario, se si guarda alla realtà di fatto e non già alla tanta retorica ecclesiastica degli ultimi anni.
    Atteso il divenire e il cambio storico della prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale studiata dalla teologia pratica, ogni catalogazione deve rimanere aperta, per essere in grado di assumere, in modo organico, problematiche variamente nuove e successivamente emergenti tanto nei campi tradizionali dell’agire della comunità ecclesiale, quanto in nuovi progetti umani.
    Ciò vale in modo particolare per il settore nevralgico della pastorale giovanile, che torna piuttosto difficile descrivere e approfondire in modo adeguato riferendosi unicamente ai tre ministeri e alle quattro azioni ecclesiali sopra elencate, come si indicherà più oltre.

    Teologia pratica e altre discipline teologiche

    D. La teologia pratica così intesa come si colloca all’interno del complesso delle varie discipline teologiche? Quali sono i suoi riferimenti fondanti, quali i suoi strumenti scientifici?

    R. L’azione o la prassi credente e religiosa della comunità cristiana rapportata al fenomeno religioso, alla cultura e alla società è oggetto di studio delle varie discipline teologiche che lo accostano da differenti punti di vista: ad esempio, la teologia biblica, storica e sistematica ne approfondiscono la natura o l’essenza teologale (la componente dottrinale); la teologia fondamentale ne stabilisce la previa giustificazione di tipo razionale e teologico; la teologia morale cerca di coglierne gli aspetti etici tipicamente cristiani; la storia delle religioni, del cristianesimo e della Chiesa tenta di descriverne e valutarne l’evoluzione storica nel passato; la teologia spirituale è impegnata a evidenziarne la qualità spirituale.
    Da parte sua la teologia pratica ne rileva determinate dimensioni. Tenendo nel dovuto conto le istanze emerse specialmente negli ultimi decenni si può affermare, in termini generali, che la teologia pratica si prefigge di rilevare o descrivere, di valutare o interpretare e di orientare o riprogettare, alla luce della fede e con l’ausilio di principi unificatori, di teorie, di modelli, di categorie interpretative e di un proprio itinerario metodologico, il divenire della religione, del cristianesimo e della Chiesa, considerato nell’oggi e nei differenti contesti umani, cristiani ed ecclesiali.

    1. I principi unificatori dell’intera riflessione teologico-pratica sulla prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale sono, ad esempio, quelli elaborati da vari pastoralisti prima e dopo il Vaticano II e ormai ampiamente recepiti: il principio cristologico dell’incarnazione e quello connesso dell’«evento Gesù», cioè della prassi religiosa (la vera immagine di Dio-Amore) liberante e salvifica di Gesù di Nazaret e della Chiesa delle origini, compreso come evento fondante l’esperienza ecclesiale di ieri, di oggi e di domani; il principio pneumatologico riguardante la nascosta ma efficace presenza nella Chiesa e nella storia dello Spirito del Risorto; il principio ecclesiologico centrato sulla Chiesa, mistero di comunione e servizio, modellato sulla vita del Dio trinitario rivelato dal Verbo incarnato; il principio di correlazione tra chiamata divina e risposta umana; il principio antropologico centrato sulla piena umanizzazione della persona fino a raggiungere la sua conformità a Cristo. Presi nel loro insieme questi principi unificatori costituiscono altrettanti riferimenti teologici fondanti.

    2. Le teorie invocate per cogliere, interpretare e trasformare la prassi cristiana ed ecclesiale sono, ad esempio, quelle proposte da numerosi cultori di teologia pratica che le hanno elaborate in dialogo con i sociologi: le teorie secondo le quali la Chiesa e la religione sono chiamate a svolgere una funzione positiva nella società, oppure ad esserne un’istanza critica rispetto agli attuali assetti di quest’ultima, nella misura in cui non sono al servizio della persona; la teoria secondo cui la prassi del Vangelo attraverso la Chiesa diventa operante nella società; la teoria della secolarizzazione recepita da numerosi pastoralisti e documenti del magistero, ecc.

    3. I modelli interpretativi e trasformativi di tale prassi sono, ad esempio, il modello diagnostico con cui si cerca di descrivere una prassi come essa è di fatto; il modello sperimentale con cui si cerca di conoscere come potrebbe essere una nuova prassi; il modello cibernetico che articola i vari passi con cui migliorare un determinato agire ecclesiale; i modelli di comunicazione prospettati dai cultori delle scienze della comunicazione.

    4. Quanto alle prospettive o categorie con cui vengono studiati tutti i fattori della prassi religiosa cristiana ed ecclesiale, si possono elencare ad esempio le seguenti: le categorie storiche come modernità e postmodernità; le categorie teologiche come evangelizzazione, vita, gioia, pace, fede, speranza, carità, liberazione, compagnia, solidarietà; le categorie sociologiche come socializzazione, secolarizzazione, autonomizzazione, individualizzazione, privatizzazione, globalizzazione; le categorie ideologiche come personalismo, socialismo, capitalismo, liberalismo; le categorie simbologiche come i simboli religiosi maschili e femminili con cui si indica Dio; le prospettive psicologica, ermeneutica, critica, didattica, retorica, linguistica, giuridica, pedagogica, comunicativa.

    D. Di fatto, la teologia pratica quale rapporto ha stabilito con le altre discipline teologiche specialmente nel periodo del dopo Vaticano II?

    R. È opportuno premettere che, sollecitati dagli orientamenti del Vaticano II, i cultori delle varie discipline teologiche le hanno variamente rinnovate nella seconda metà del secolo scorso, sicché la teologia pratica è stata coinvolta in un confronto rinnovato rispetto al precedente periodo storico.
    Ad ogni modo, essa ha trovato piuttosto difficile e a volte problematico confrontarsi con alcune teologie bibliche e sistematiche prodotte nella seconda metà del secolo scorso, peraltro degne di considerazione per la rilevanza che hanno assunto nelle comunità protestanti e cattoliche. Ciò nella misura in cui le sono apparse variamente distanti dal proprio ambito di riflessione.
    In concreto, sono alcune teologie bibliche interessate più a ricostruire e sistemare l’insieme dei temi teologici emergenti da aggiornate esegesi dei testi biblici e meno sensibili alla problematica sollevata da attuali situazioni della religione, della cultura, della società e della Chiesa.
    Si tratta poi della prestigiosa teologia cattolica francese (Chenu, Congar, Daniélou, de Lubac), comunemente denominata théologie du renouveau e da suoi oppositori nouvelle théologie. Con il suo programma di «ritorno alle fonti», essa ha contribuito efficacemente a far superare la neoscolastica, ha preparato per tanti aspetti i pronunciamenti dottrinali del Vaticano II, ma ha mantenuto un forte legame con l’orientamento reattivo della teologia tradizionale e non ha portato avanti il discorso teologico fino al confronto con la «situazione» del mondo attuale. Per cui, dal punto di vista della teologia pratica, il suo apporto è stato successivamente in certo modo ridimensionato.
    Si tratta ancora delle teologie dell’identità che hanno mirato a chiarire e ad affermare l’identità cristiana, presa come tale, e si sono dimostrate restie e persino contrarie a stabilirne una correlazione con le situazioni contemporanee dai contorni sempre mobili e pericolosi. Basti qui ricordare alcuni noti fautori. In ambito protestante, K. Barth, il quale afferma la assoluta trascendenza della Parola di Dio e E. Jüngel che elabora un discorso su Dio a partire esclusivamente dalla rivelazione. In ambito cattolico, H. Urs von Balthasar e J. Ratzinger che rimarcano la in-comparabilità della rivelazione cristiana nei confronti di ogni filosofia e sapienza cristiana peraltro tenute in considerazione.
    A differenza di questi movimenti di pensiero, altre teologie bibliche e sistematiche si sono interessate della situazione attuale e sono apparse più vicine all’ambito di ricerca della teologia pratica, la quale di fatto ha intessuto con esse un rapporto preferenziale.
    Sono innanzi tutto le teologie della correlazione che uniscono alla preoccupazione per l’identità quella per la rilevanza del discorso cristiano sulla realtà umana compresa nelle sue espressioni esistenziale (P. Tillich), antropologica (K. Rahner), esperienziale (E. Schillebeeckx), culturale (la teologia ermeneutica di C. Geffré e D. Tracy), ecumenica e interreligiosa (W. Kasper e H. Küng).
    Sono poi le nuove teologie politiche (J. B. Metz e J. Moltmann) che si prefiggono di sviluppare i contenuti sociali e politici del messaggio cristiano in modo che la fede dei cristiani si faccia ortoprassi evangelica nella storia e nella società, perché «non esiste identità cristiana che non abbia rilevanza pubblica, né rilevanza pubblica priva di identità cristiana della teologia, perché se vuole salvare Cristo la teologia deve essere teologia del Regno di Dio» (Moltmann).
    Sono ancora alcune teologie della liberazione e dell’inculturazione prodotte in America Latina, in Africa e in Asia negli ultimi tre decenni del secolo scorso che, debitamente purificate da noti aspetti inaccettabili o comunque criticabili, hanno ispirato e guidato altrettanti modelli di evangelizzazione liberatrice e inculturata in quei continenti, e hanno avuto positive ricadute anche in ambito europeo e in modo particolare nella pastorale giovanile.
    Occorre aggiungere che la teologia pratica ha numerosi punti di affinità e di vicendevole integrazione, pur nella diversità, sia con una teologia morale centrata sulle virtù, sia con una teologia spirituale concentrata sulla vita nello Spirito, tenuto conto di questa loro rinnovata configurazione delineata da vari autori nel periodo del dopo Vaticano II.

    La questione del metodo

    D. I documenti ecclesiali a volte utilizzano il «vecchio» metodo del «vedere-giudicare-agire» per impostare interventi di tipo pastorale. È ancora un’impostazione corretta o non pecca forse di sociologismo, col rischio di partire da analisi fatte con criteri non evangelici? E che dire del metodo applicativo o deduttivo a cui si cerca di ritornare per ovviare a tale rischio?

    R. Il metodo vedere-giudicare-agire ha trovato esemplare e autorevole attuazione in alcuni documenti del Vaticano II e specialmente nella Gaudium et spes, dove viene adottato un procedimento che parte dalla rilevazione e valutazione di una situazione, ad esempio, della persona, della società e dell’attività umana nel mondo contemporaneo, al fine di definire la missione della Chiesa nell’attuale epoca storica. Ciò è rilevabile in maniera particolare nello sforzo compiuto dal Concilio nel cogliere e valutare i «segni dei tempi». Tale modo di riflettere è stato ampiamente adottato da successivi documenti del magistero sia pontificio che episcopale.
    Questo metodo aiuta indubbiamente a cogliere alcuni aspetti importanti del divenire della prassi credente, cristiana ed ecclesiale, come sono: la descrizione (vedere) e la valutazione (giudicare) di una determinata situazione socio-religiosa e cristiano-ecclesiale in base a un quadro di riferimento (quadro dottrinale o criteri) e le indicazioni operative per il suo miglioramento (agire).
    Tuttavia, nel modo con cui viene impiegato specialmente da operatori e operatrici del Vangelo non di rado non vengono chiariti i criteri teologici con cui si valuta una situazione e se ne progetta il cambio, e sono lasciati variamente in ombra o non rilevati riflessamente altri aspetti irrinunciabili. Ad esempio, vengono presentate generalmente in modo globale la fase progettuale destinata a stabilire le mete generali e settoriali da raggiungere in tempi lungi, e la fase strategica volta a definire i numerosi fattori (operatori/trici, modalità d’intervento, itinerari o percorsi, priorità, punti nevralgici, verifica e periodica rettifica), necessari per pilotare il cammino che va da una situazione data a quella desiderata.
    Negli ultimi due decenni del secolo scorso, alcuni cultori di teologia pratica hanno cercato di ovviare a tale gravi lacune elaborando un itinerario metodologico teologico, empirico, critico, progettuale, nel quale i criteri teologici o i valori evangelici sono esplicitamente formulati in riferimento alle tre fasi dell’agire della comunità cristiana appena elencate.
    È vero, in vari ambienti ecclesiali, sia alcuni responsabili che alcuni operatori/trici pastorali, ad esempio catechisti/te e incaricati/te della pastorale giovanile, sono ritornati a utilizzare il vecchio metodo deduttivo o applicativo che dà grande risalto alla dottrina da applicare all’agire della comunità cristiana.
    Va detto che questo procedimento è pienamente legittimo. Il Vaticano II l’ha praticato nei suoi decreti, specialmente in quelli attinenti la vita intra-ecclesiale, e ha invitato i teologi a rielaborare i contenuti delle loro discipline in modo da evidenziarne la dimensione o qualità pastorale.
    Tale metodo si dimostra pertinente ed adeguato nel caso di una prassi cristiana omogenea, ben determinata e facilmente controllabile come quello di un regime di cristianità sacrale stabilita. Ma questo non è più il caso della situazione religiosa e cristiana contemporanea anche in Italia: il processo di secolarizzazione e la diversificazione del cristianesimo vissuto e delle comunità cristiane concrete l’hanno resa eterogenea, divergente, pluriforme, confusa e a volte caotica.
    Senza dire che tale metodo sottende una posizione acritica che propone una derivazione unilaterale della prassi dalla teoria, quando invece il grembo in cui nasce e si sviluppa una teoria è il vissuto concreto delle persone con i loro interrogativi e le loro attese, i loro errori e le loro conquiste. Inoltre tale posizione è incapace di cogliere il sapere o la teoria (spesso spontanea e irriflessa) presente in ogni prassi credente, cristiana ed ecclesiale, e di percepire la funzione di verifica empirica che tale prassi può svolgere nei confronti della teorizzazione.

    ATTUALI SFIDE E NUOVI SEGNI DEI TEMPI E DEI LUOGHI

    D. E oggi, quali sono i «problemi» e le sfide pastorali che la Chiesa e la comunità cristiana sono chiamate ad affrontare? Detto in altri termini, quali i «segni dei tempi» che siamo chiamati a discernere e cui occorre rispondere fattivamente?

    R. Siccome la formula «segni dei tempi» è divenuta d’uso corrente, sovente abusata e riempita di contenuti perfino contradditori, è opportuno precisarla e intenderla nel senso spiegato dai redattori della costituzione Gaudium et spes. Essi presentano un duplice significato, rispettivamente storico-sociologico e teologico-pratico.

    Il significato storico-sociologico de «i segni dei tempi»

    Sono segni dei tempi «quei fenomeni che per la loro generalizzazione e la loro frequenza caratterizzano un’epoca, ed attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità». I passi in cui ricorre la formula parlano di «avvenimenti» rivelativi di «interrogativi», «aspirazioni», «richieste», «attese» delle persone del nostro tempo (Gaudium et spes nn. 4 11). In altre parole, i segni dei tempi sono per così dire le linee di forza di un’epoca, sono quegli eventi che manifestano gli orientamenti di fondo che soggiacciono ai fatti contingenti e che mostrano, sia pure parzialmente, le prospettive caratteristiche di un’epoca, le sue sensibilità, i suoi punti di vista preferiti, le sue aspirazioni e attese. Di conseguenza, cogliere i segni dei tempi significa comprendere lo spirito di un’epoca.
    Questo fa capire che non tutti i cambiamenti né tutti i fenomeni che si verificano in un momento storico sono da considerarsi segni dei tempi. Sono tali solo quegli avvenimenti o movimenti in cui si rivela la sensibilità propria del tempo, e il complesso dei valori verso cui un’epoca è orientata o aspira. A questo proposito la Gaudium et spes annovera tra i segni del nostro tempo: i «profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono a tutta la terra», che vanno sotto il nome di accelerazione della storia con i connessi vantaggi e squilibri (n. 4.); «il crescente e irresistibile senso di solidarietà di tutti i popoli», denominato socializzazione (n. 6e); la presenza attiva della persona umana nel mondo e nella storia con la collegata autonomia delle realtà temporali e una loro bene intesa desacralizzazione e, cioè, il fenomeno della secolarizzazione (nn. 4-7 33 36); il fatto che oggi «cresce la coscienza della esimia dignità che compete alla persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili», fenomeno questo chiamato personalizzazione (nn. 6e 26b). Come si vede, sono eventi storici che rivelano un nuovo modo di concepire e di realizzare l’esistenza umana e cristiana.
    È necessario rilevare che questi fenomeni storici sono stati ritenuti come caratteristici della società contemporanea specialmente occidentale da esponenti delle Chiese e del mondo culturale e politico di ispirazione cristiana del Nord Europa della metà del secolo scorso. Tali segni hanno assunto connotazioni particolari in altri contesti sociali e culturali. Per prestare attenzione a tale più vasta localizzazione, negli ultimi anni si è incominciato ad aggiungere con ragione all’espressione «segni dei tempi» quella di «segni dei luoghi».
    In molti contesti europei (e in particolare in Italia), tali segni dei tempi continuano ad essere variamente presenti, anche se presentano espressioni in parte nuove, in positivo e purtroppo in negativo. Ad esempio, l’accelerazione della storia ha registrato un’ulteriore velocizzazione tramite il fenomeno della globalizzazione incentivato dalle nuove tecnologie informatiche; in alcuni ambienti si è notato il venir meno della solidarietà, accompagnata però da nuove forme e iniziative di concreta solidarietà; la secolarizzazione ha visto l’affermarsi di un progressivo secolarismo teso a oscurare completamente il riferimento a Dio nella coscienza degli europei, peraltro contrastato dal ritorno del sacro e dall’emergere di una più convinta vita di fede cristiana; c’è stata un’ulteriore esaltazione della soggettività che, da un lato, ha stimolato la ricerca dell’autenticità e della responsabilità ai vari livelli, dall’altro, però, ha favorito una cosiddetta «religione secolare dell’amore» post-cristiana e caratteristica della post-modernità: critico di fronte alla normativa tradizionale, il singolo individuo, uomo o donna, cerca di essere se stesso costruendo un proprio progetto di vita, dando ampio spazio al sentimento, alla passione e al rapporto amoroso, all’eros, prescindendo da ogni richiamo trascendente. Basti poi pensare all’odierna legislazione di numerosi paesi europei circa il divorzio, la contraccezione, l’aborto, le coppie omosessuali e il loro accesso all’adozione, l’eutanasia; legislazione che è in palese contrasto con la tradizionale concezione cristiana dell’amore, del matrimonio e della famiglia, continuamente riproposta dal magistero e ultimamente da Benedetto XVI nella sua prima enciclica, Dio è amore.
    Negli ultimi decenni altri segni dei tempi sono emersi nei differenti continenti: ad esempio la postmodernità e la globalizzazione con i loro risvolti positivi e negativi riguardanti i vari ambiti della società, della cultura e della religione; i processi in atto di liberazione da forme vecchie e nuove di molteplice povertà; la domanda di riconciliazione, di perdono, di pace di fronte al nuovo fenomeno del terrorismo; il variegato movimento ecologico diretto alla tutela del creato; il tortuoso cammino verso un’effettiva reciprocità tra uomini e donne nella società e nella chiesa, ecc.

    Il significato teologico-pratico de «i segni dei tempi»

    Ora i segni dei tempi e dei luoghi qui descritti telegraficamente nel loro significato storico-sociologico sottendono un significato propriamente teologico, accessibile solo tramite un giudizio di fede, che è quindi fattibile unicamente da parte di credenti. Essi infatti non si riducono all’insieme delle urgenze e aspirazioni di un’epoca ma, all’interno di esse, indicano e rivelano una libera presenza operativa dello Spirito del Signore risorto che, appunto in questo modo, guida il cammino dell’umanità verso la realizzazione del suo destino finale, sostenendone le aspirazioni se conformi alla dignità della persona umana, e invece contestandole se contrarie ad essa.
    Questo senso teologico dei segni dei tempi è chiaramente indicato e ripetutamente sottolineato dai testi conciliari; ad esempio la Gaudium et spes dichiara in modo generale: «Negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni [...] del nostro tempo», occorre discernere «i veri segni della presenza [...] di Dio» (n. 11a).
    Come intendere tale presenza dinamica del divino nella storia? Come incontro della libertà divina e della libertà umana nel santuario della coscienza delle persone viventi in un particolare momento storico. Gli eventi e gli avvenimenti sono percepiti dalle coscienze degli individui e delle comunità, ed in esse Dio incontra i singoli, ne illumina le scelte, ne sostiene le decisioni, ne orienta gli impulsi nel senso di un’aspirazione a delle mete, di rifiuto di determinate situazioni, di ricerca e di adesione a determinati valori emergenti. In breve, si tratta di una presenza di Dio nelle coscienze e nelle volontà delle persone in quanto stanno alla radice dei fenomeni designati come segni dei tempi e dei luoghi (cf Gaudium et spes nn. 26d 38a 41a).
    Presi nel loro insieme e interpretati e valutati in un’ottica teologica opportunamente ripensata, questi segni evidenziano altrettanti compiti storici o, meglio, imperativi pastorali che la comunità cristiana è chiamata a rendere operativi con scelte sagge e coraggiose.

    D. Soprattutto con gli ultimi documenti ecclesiali sulla iniziazione cristiana, sulla parrocchia e sul primo annuncio si parla sempre più di una pastorale nella logica dell’iniziazione (e viene anche ampiamente citato il modello del catecumenato). Condivide questa prospettiva e cosa implica tutto questo in un nuovo modo di incontro con la gente?

    R. Se si presta attenzione ai fenomeni appena descritti e alle sfide che essi pongono all’opera evangelizzatrice delle comunità cristiane, ci si rende facilmente conto delle cause che hanno ispirato, tra altre scelte, quella di un’azione pastorale (e in modo particolare della pastorale giovanile e della catechesi) rinnovata nella logica dell’iniziazione cristiana.
    Ciò comporta un rinnovamento dell’intera azione delle comunità cristiane e dei loro responsabili, (clero, fedeli laici e membri degli istituti di vita consacrata) su vari fronti: occorre educare ad affrontare positivamente queste nuove situazioni e sfide, i cristiani e le cristiane sia appartenenti a un cristianesimo fatto di pratica religiosa più o meno rinnovata, sia aderenti a vari forme associative antiche e nuove, in modo da non farli sentire spiazzati ed emarginati, ma partecipi di un profondo cambio di mentalità in atto; è necessario dar vita (dove mancassero) e valorizzare (dove già esistono) comunità adulte in grado di affrontare in maniera creativa le nuove sfide con apposite iniziative conformi alle situazioni concrete del posto; bisogna attivare molteplici forme di catecumenato specialmente in riferimento a persone che, vissute distanti dalla Chiesa, si interessano alla fede e vogliono diventare o ri-diventare cristiane.
    Sono tutte esigenze che fanno intravedere le profonde trasformazioni che interpellano oggi tanto la pastorale giovanile quanto la catechesi, se intendono rispondere alle sfide di una realtà sociale culturale e religiosa profondamente cambiata.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu