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    Storia della Pastorale giovanile /4

    L'Età Contemporanea

    Domenico Sigalini

    (Da: Dizionario di pastorale giovanile, Supplemento Elledici 1992)



    1. FINO AGLI ANNI 1960: GLI ANNI ACQUISITIVI

    1.1. La situazione giovanile

    È d’obbligo partire da qualche fotografia che ci riporta alla situazione, definita « acquisitiva», tipica degli anni immediatamente seguenti alla ricostruzione del dopoguerra. È un mondo sociologicamente compatto, teso a ideali comuni di ricerca di un benessere minimo, seguendo modelli importati da Est o da Ovest. I giovani fanno parte del sistema senza nutrire particolari strategie di cambiamento; sono pronti a subentrare ai genitori nei ruoli fissi e stabilizzati dalla tradizione. Il mondo religioso è teologicamente compatto attorno ai valori della tradizione, in uno stato di sopore e di ossequio esagerato alle varie incrostazioni culturali tradizionali che ricoprono il Vangelo.

    I giovani non sono assolutamente una questione; sono chiamati comunemente i giovani delle tre M: moglie/marito, macchina, mestiere; si preparano, dopo la naia, se sono maschi, o dopo un’attesa, spesso casalinga, se sono ragazze, al matrimonio, che dà loro finalmente la tessera d’ingresso nell’ambito mondo degli adulti.
    Non esistono luoghi particolari per il loro tempo libero, né preoccupazioni sociali per la loro tenuta.

    1.2. La proposta pastorale

    La pastorale giovanile, intesa solo come preoccupazione del mondo adulto nei confronti delle giovani generazioni, è soprattutto sostenuta dalle associazioni. L’Azione Cattolica stabilisce programmi, formula cammini di catechesi, aggrega le forze vive della Chiesa, orienta su temi generali, che poi le varie realtà più o meno ricche di iniziativa possono colorare diversamente. Una parrocchia pone nell’Azione Cattolica l’ossatura del suo impegno per i giovani.

    La progettualità è implicita e univoca. Di progetto non si parla nemmeno: è implicito nella sintonia educativa delle varie istituzioni interessate: oratorio, patronato, scuola cattolica, parrocchia, collegi. Tutti, si direbbe semplificando, sanno quello che devono fare e lo perseguono con intelligenza. In questo tempo non si può ancora parlare di modelli, di particolari rapporti Chiesa-mondo, che in seguito caratterizzeranno scelte pastorali anche divergenti. La diversificazione avveniva più ai livelli del « come », degli strumenti, che del « che cosa », degli obiettivi e della particolare attenzione a problemi ambientali. Il giovane presbitero a cui in genere era affidata la cura del mondo giovanile si trovava incanalato e sorretto entro un modello educativo del tutto legato alle esperienze che lo precedevano, a forme collaudate di catechesi e di sacramentalizzazione, con qualche accentuazione diversificata, che dipendeva dalle strutture che si avevano a disposizione.
    Le mediazioni caratteristiche dell’intervento educativo nei confronti dei giovani sono: conferenza, adunanza, raggio, campagna, uscita, grest, leve del lavoro...
    Del resto le mediazioni traducono bene l’omogeneità della pastorale giovanile.
    l’adunanza è un incontro periodico di ascolto, in cui si fanno proposte quasi sempre di corretto comportamento, spesso di morale spicciola, talora di compendio delle verità cristiane;
    la conferenza è una proposta qualificata di contenuti forti, legata a occasioni più o meno straordinarie;
    la campagna è la convergenza di iniziative in un tempo e con temi precisi, di ampio raggio, capace di aprire collegamenti anche fuori della propria appartenenza sociologica;
    l’uscita è la classica mediazione educativa degli Scouts;
    - il grest è l’iniziativa estiva che concentra in alcune settimane interventi educativi e ludici: versione più impegnativa diventeranno in seguito i campiscuola;
    il raggio è la prima esperienza di evoluzione dall’adunanza al gruppo, esperimentata da Gioventù Studentesca;
    le leve del lavoro sono interessanti iniziative delle ACLI per gli apprendisti.
    Tutto questo impianto colloca la pastorale giovanile omogeneamente in un modello piuttosto deduttivistico. Eccezioni brillanti esistono sempre, ma sono elitarie.
    A cavallo degli anni Sessanta si manifestano impellenti alcune urgenze: necessità di maggior movimento, di rinnovamento, di superamento di una certa stagnazione culturale. Le stesse proposte educative si devono misurare con una evoluzione culturale e industriale e quindi orientarsi maggiormente all’essenziale in ogni attività. Importante a questo riguardo il dibattito talora violento innescato dal libro Esperienze pastorali di don Milani.

    2. NEGLI ANNI 1965-1970: GLI ANNI TRASGRESSIVI

    I due fatti che danno una svolta decisiva in questo periodo sono il Concilio che conclude e la contestazione che comincia. Il mondo giovanile ecclesiale è in subbuglio, in cambiamento ancor prima della contestazione. I giovani erano già mobilitati nelle varie comunità cristiane quando nella società è iniziata la contestazione. Avevano già cominciato a riscrivere nelle parrocchie, nelle associazioni, negli oratori la loro voglia di cambiare e di prendersi in mano la vita. I primi capitoli degli Atti degli Apostoli erano già diventati slogan e sogni di una nuova comunione ecclesiale, ancor prima che si parlasse di partecipazione politica.

    2.1. Il vento del Concilio sulle esperienze di pastorale giovanile

    Entusiasmo e coinvolgimento. In questo tempo i giovani cominciano a diventare una questione, a essere problema per le comunità, per il mondo adulto abituato a « tirarsi su » i suoi apprendisti con metodi collaudati. L’entusiasmo con cui si vuol far parte attiva della comunità cristiana lo si legge a fior di pelle, ma ha radici profonde dovute alla formazione precedente.

    Illuminismo educativo: la vita cristiana in presa diretta e il regno di Dio dietro l’angolo. Essere battezzati è più di un titolo per essere vivi nella Chiesa per il regno. A che cosa servono tante mediazioni associative se si è cristiani in presa diretta? Nasce quindi una sorta di illuminismo pastorale, che ritiene raggiunto uno stato di vita solo perché se ne percepisce con chiarezza l’immediatezza, la portata, la plausibilità. La prima generazione che viene da esperienze formative molto impegnate può vivere sull’onda di questi impulsi, ma gli epigoni, i primissimi successori, resteranno sguarniti di una formazione metodica e capillare; pieni di intuizioni, ma senza retroterra. Tutto sembra evidente e palpabile: il cambiamento, lo stile, la conversione, la nuova coscienza di Chiesa e definizione di cristiano, la Parola di Dio e la figura di Cristo, i segni della vita quotidiana e i riti. Prima della rivoluzione dietro l’angolo, che caratterizzerà gli anni della contestazione, si pensava: il Regno di Dio è dietro l’angolo.
    In tale contesto cambiano velocemente i metodi.
    Il gruppo invece dell’adunanza. È in questo tempo che si fa strada uno strumento educativo, o meglio una mediazione, che permane ancora ai nostri giorni: il gruppo. Fioriscono studi, approfondimenti, ricerche sulla dinamica, sul suo utilizzo in campo ecclesiale, sui ruoli, sulle varie forme che finalità diverse gli danno. All’inizio sembra una piccola comunità cristiana, un po’ ingenua, poi lentamente assume sempre di più connotati pedagogici e forme svariate di realizzazione.
    Il Vangelo in alternativa al campo di gioco, la Parola di Dio invece della morale: la necessità di andare all’essenziale fa scadere di significato qualsiasi mediazione educativa. Il gioco, lo sport, le domande più spicce del modo giovanile sono snobbate. È un periodo in cui la ricerca di una prassi religiosa autentica mette in secondo piano o abolisce qualsiasi mediazione e spesso valorizzazione delle realtà umane. In molte diocesi del Nord vanno in crisi gli oratori: basta un gruppetto attorno al tavolo per riscoprire la fede e ridire tutta la ricchezza del cristianesimo per tutti.
    Il rinnovamento liturgico: i canti e le chitarre. L’esplosione di vitalità giovanile prende come primo canale la liturgia, che viene investita di ogni forma di espressione giovanile: canti, chitarre, gesti, coinvolgimento anche affettivo. La liturgia è la celebrazione della vita o per lo meno della sua vivacità. In essa viene incanalata la voglia di cambiare, di esserci, di servire e fare opinione; qui convergono in tanti fogli ciclostilati i messaggi da lanciare a tutti; in interminabili preghiere dei fedeli nasce il dialogo nuovo col mondo adulto.
    Il modello di pastorale giovanile precedente non è più vivibile. Questo, anche se ancora nessuno ha pensato a definirlo o a stabilizzarlo, mette al centro l’esperienza, la vita, la parola vissuta, il confronto. Quando nel 1970 si arriverà alla formulazione definitiva di quel documento fondamentale per ogni pastorale giovanile italiana che è il Rinnovamento della Catechesi, si codificherà per la prima volta in maniera ufficiale un modello di pastorale giovanile: il modello dell’integrazione tra la fede e la vita, che in quel contesto rivestiva una corale scelta di Chiesa. Fu approvato all’unanimità dal numeroso corpo episcopale italiano (282 placet e 4 non placet).

    2.2. La contestazione (la società in ebollizione e i giovani una questione)

    Il fenomeno immediatamente seguente e decisivo per la pastorale è la contestazione. Non ci compete qui giudicare il movimento dal punto di vista socio-politico, ma soltanto evidenziare gli influssi sulla pastorale giovanile.

    L’approdo alla politica: la scoperta, cioè, da parte dei giovani di un canale pubblico, immediato e spontaneo che si deve porre al servizio del Regno. È il momento della politica «ingenua», caratterizzata dal fascino del cambiamento del sistema, non supportata da analisi storiche approfondite, spesso pilotata da alcune correnti culturali, mancante di una vera capacità di dialogo.
    Dalla nave alle scialuppe: nel cambiamento bisogna essere agili e immediati, rispondere con tempestività ai problemi o alle provocazioni della realtà. L’istituzione, l’associazione è una nave sicura che non sente o non si fa smuovere dalle piccole burrasche, non vi si applica nemmeno; il movimento o il gruppo invece è una scialuppa agile, che lotta e si trova a casa sua nel mare in subbuglio, sente, accoglie e risponde alle sollecitazioni. Entrano in crisi le grandi associazioni, le grandi appartenenze; è impossibile incanalare in riunioni di massa tradizionali i giovani. Nascono gruppi e movimenti, più aderenti a quel che capita e più animati da qualche idea forza.
    L’entusiasmo senza retroterra: si comincia ad avvertire che dietro l’entusiasmo delle iniziative immediate si ha il fiato corto, manca formazione e consuetudine con un tirocinio di maturazione. Chi dà inizio al cambiamento, al corteo, è molto motivato, ha una cultura alle spalle abbastanza solida, capisce il significato del cambiare; ma chi approda giovanissimo a questo variegato mondo di gruppi, non riesce a cogliere il senso stesso dell’esperienza di fede che motiva lo slancio e lentamente resta senza punti di riferimento.
    Uniformismo educativo: il gruppo, che è la mediazione educativa pressoché ovunque praticata, si caratterizza in modo omogeneo, fino all’appiattimento, soffocando giuste aspirazioni alla differenza e a una vocazione personalizzata nella crescita.
    Assolutizzazione di punti di vista: pur nella omogeneità metodologica, ogni gruppo si orienta su un capitolo della vita cristiana e lo fa diventare criterio di giudizio per ogni altra realtà. Talora è l’esperienza biblica, qualche volta è l’esperienza liturgica. Per molti è il punto di vista terzomondiale missionario, per altri è la pura lettura sociologica.
    Sono esperienze significative del mondo giovanile le marce della pace: parecchi chilometri a piedi lungo le strade delle città principali (Roma, Verona, Firenze...), con grande partecipazione di giovani e scambio di esperienze, canti, moduli di vita di gruppo, iniziative. Un movimento del tutto pacifico attivato dalle realtà missionarie (congregazioni religiose, istituti missionari, gruppi...).
    Presa di coscienza dei movimenti (revisione e ridefinizione del « carisma »): è naturale che nel frattempo chi segue alcune serie ispirazioni le rifondi e si prepari a diffonderle per tutti.
    In questo tempo non si parla di vicini o di lontani: c’è un modo di affrontare la vita che accomuna tutti i giovani, senza distinzione di appartenenza politica o di pratica religiosa. Capita che spesso iniziative ecclesiali riescano a rompere l’accerchiamento e a interessare e a coinvolgere nell’esperienza di fede giovani tradizionalmente provenienti da quartieri e tradizioni non cattoliche.
    Carenze di direttive ecclesiali. Non esiste una cura particolare o un ufficio diocesano che si interessi di pastorale giovanile. Solo alcune diocesi hanno il coraggio di ripensare e di dare orientamenti per un forte impegno educativo, in molte altre si sta troppo tempo o a salvare il salvabile insistendo su vecchi modelli o a lamentarsi dell’impossibilità di proporre.
    E un momento di grande voglia di cambiare, ma anche di rompere, di estrema soggettivizzazione e di esasperazione dei frammenti di verità e di diritto che ciascuno crede di possedere. All’inizio questo movimento favorisce la vivacizzazione delle comunità cristiane, poi, quando l’ingenuità giovanile viene surrettiziamente manipolata da una parte e impietosamente lasciata a se stessa dall’altra, finisce per innescare una nuova tendenza di modello pastorale: quello che sbrigativamente potremmo chiamare « giovanilista », perché carente di proposta forte.
    Ne nasce l’urgenza di ricuperare la globalità della vita cristiana, di ridefinirne in maniera forte l’identità, di dare nerbo alle comunità incapaci di proporre, di ricuperare esperienze forti di impegno e di formazione.

    3. NEGLI ANNI 1970-1977: DALLA VIOLENZA ALL’IRONIA

    Sono gli anni in cui in maniera quasi verticale tramonta il mito dei giovani: i giovani appena usati, sono da buttare. Mentre cominciano a prospettarsi risposte anche ben formulate di partecipazione (cf scuola), il mondo giovanile non è più disposto a ricercare, guarda al mondo adulto con ironia, si sfilaccia in gruppi violenti, perde la caratterizzazione di massa.
    È in questo tempo soprattutto che si può parlare di varietà di modelli di pastorale giovanile. 1 movimenti cercano di dare risposte precise alle istanze educative. Le scelte non sono più casuali o puramente responsoriali all’emergenza, ma nascono da una elaborazione culturale, e da una interpretazione di avvenimenti, spesso ideologica, nel senso più corretto del termine e dalla fedeltà alle varie ispirazioni e vocazioni.
    Alcune caratteristiche segnano la pastorale giovanile degli anni 1970:
    - La tentazione della palingenesicon la conseguente assolutizzazione del modello. Ogni movimento tende ad assolutizzare il suo modo di fare pastorale e a relativizzare gli altri, quasi che prima non ci fosse mai stato un vero cristianesimo e dovesse proprio cominciare da lì. Ciascuno crede di avere la soluzione del problema, la formula della salvezza, la proposta vincente. La ricerca di una forte identità, formulata nel chiuso di una propria visione del mondo e della Chiesa, assorbe molte energie educative e molte forze ecclesiali.
    L’espropriazione della comunità parrocchiale. Questi nuovi gruppi, se all’inizio hanno aiutato a scuotere la stanchezza o la sfiducia di tante comunità, lentamente le hanno espropriate di progettualità, di intelligenza nel rispondere ai problemi locali con soluzioni popolari e adatte alla situazione.
    La ripresa delle associazioni: è anche il momento in cui le grandi associazioni ricuperano capacità propositiva orientandosi su una rinnovata proposta educativa e sulla formazione dei responsabili.
    La ricerca di nuovi modelli formativi:l’animazione. Il problema era anche quello di applicarsi in termini di ricerca per trovare nuovi modelli culturali formativi, non solo nuovi schemi o metodi. L’animazione culturale, come stile globale di educazione, viene approfondita, vagliata, sperimentata e proposta in corsi per animatori, in convegni nazionali, in corsi universitari. Un chiaro punto di riferimento sono la rivista « Note di Pastorale Giovanile », che ha la costanza di un lavoro assiduo e puntiglioso, e i convegni ad essa collegati.
    I primi tentativi diocesani di organizzazione della pastorale giovanile partono o da alcune parrocchie o da alcuni presbiteri appassionati al mondo giovanile, o dai primi sinodi diocesani.
    Il ricupero dell’educativo (cf oratori, gruppi di ragazzi...). Non c’è comunità cristiana che non senta il problema di ripensare mediazioni educative e che non si impegni capillarmente nella catechesi per i preadolescenti.
    Tutto questo rinnovamento si porta dietro l’urgenza di un piano pastorale o progetto, la necessità di un coordinamento, la proposta efficace della centralità della comunità cristiana e la formazione degli operatori.

    4. NEGLI ANNI 1980: I NUOVI GIOVANI

    A cavallo degli anni 1980 siamo in presenza di un giovane completamente diverso da quello anche solo di un quinquennio precedente. Sono giovani che hanno soprattutto la voglia di vivere e di star bene, che non vogliono cambiare il mondo, ma sono in difficoltà, perché non sanno chi sono. Sono caratterizzati dal disagio dovuto a mancanza di identità, a eccedenza di opportunità e carenza di indicazioni per perseguirle.
    La risposta pastorale si caratterizza attraverso:
    Il collaudo delle associazioni. Sono ormai giunte a una precisa ridefinizione del proprio assetto culturale e pastorale le grandi associazioni ecclesiali, sia attraverso l’elaborazione di nuovi statuti o progetti educativi, sia attraverso una rinnovata capacità propositiva, sia attraverso coerenti corsi formativi per i quadri.
    Le contrapposizioni con i movimenti. Aumenta la rissosità tra le varie impostazioni pastorali differenti. Si deve spesso giungere a piccoli parlamenti per accordarsi su iniziative pastorali, o sugli stessi momenti di preghiera comune. La necessità di incontrarsi è dovuta anche al fatto che riprendono le iniziative di massa, le grandi concentrazioni, o in vista di un incontro col Papa o in vista di grandi celebrazioni o convegni o sinodi diocesani. Purtroppo si assiste a una radicalizzazione dei modelli educativi differenti, che si difendono nella loro visione del mondo e della fede e si isolano.
    Gli uffici pastorali. In molte diocesi si dà vita, spesso dopo una visita del Papa o un sinodo pastorale, a un ufficio di curia, che assume nomi diversi a seconda della tradizione culturale e pastorale, per la pastorale giovanile. Se ne cerca un coordinamento a livello nazionale, ma sempre in maniera volontaristica, in genere attorno alla rivista «Note di Pastorale Giovanile».
    La preparazione degli animatori. L’attività più largamente diffusa nelle diocesi italiane è l’attività formativa nei confronti degli animatori. Un nuovo modello educativo passa soprattutto se ci sono nuovi operatori. Nasce questa nuova figura di giovane, che dallo spontaneismo degli anni 1970 approda a una qualificazione non casuale e a una preparazione programmata.
    Il catechismo dei giovani. Pubblicato alla fine degli anni 1970, finalmente viene messo a disposizione uno strumento a lungo atteso. È però forse uscito durante l’estinzione di un mondo giovanile e l’inizio di uno nuovo. Appena tra le mani rivela i limiti della sua datazione: la politica non è più un cavallo di battaglia, il marxismo è quasi alle spalle, le ideologie non fanno più presa sul mondo giovanile. Ha trovato poco seguito non tanto per la difficoltà del testo, come spesso si disse, ma perché non esistevano gruppi giovanili capaci e disposti ad affrontarlo con continuità.
    Dalla dispersione al progetto. Il fatto nuovo e più importante alla fine degli anni 1980 è che si tenta di arrivare a un progetto, anche minimo, ma capace di far convergere le varie forze che servono il mondo giovanile. Al progetto si lavora in maniera molto diversificata, ma tutti con la voglia di lavorare con determinazione e dare alle molteplici esperienze e intuizioni gambe sufficienti per stabilire percorsi educativi. Spesso sono i Vescovi che guidano l’operazione, altre volte gli stessi gruppi giovanili, altre ancora alcuni presbiteri appassionati.
    II volontariato. È una esperienza giovanile che segna questo decennio. È stata preparata a lungo nel decennio precedente, con le marce della pace, con manifestazioni per l’obiezione di coscienza, ma esplode nella sua maturità ora. È interessante notare come non fosse previsto in termini progettuali da nessun modello; è stata la tenacia degli obiettori di coscienza che lo ha fatto diventare prassi comune di molti giovani e proposta educativa programmata di quasi tutte le diocesi italiane. Il decennio si chiude con alcune urgenze.
    Si è tutti convinti ormai che occorre corresponsabilizzare le comunità cristiane nell’educazione del mondo giovanile; da soli i giovani, giustamente, non possono farsi carico di tutta la frantumazione giovanile. Inizia un nuovo approccio alla politica, in termini molto diversi dagli anni precedenti, ma promettenti una nuova stagione di impegno sociale. Diventa necessario ipotizzare itinerari diversificati per l’estrema frammentazione del mondo giovanile, per la molteplicità di forme di vita e di cammini educativi percorsi, per la rinnovata consapevolezza di una varietà di vocazioni. È l’impegno principale che viene affidato agli anni 1990.
    Nello stesso tempo cresce la necessità di un collegamento ampio tra le varie Chiese che sono in Italia, che vada al di là della burocrazia o peggio del controllo, ma faccia circolare la ricchezza delle varie esperienze esistenti.
    Nel 1991, dopo la pubblicazione del documento programmatico «Evangelizzazione e testimonianza della carità » in cui i vescovi italiani sollecitano le comunità cristiane a non far mancare una organica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile, viene istituito un servizio nazionale da parte della Conferenza Episcopale Italiana per favorirne lo sviluppo secondo una progettualità educativa, un coordinamento partecipato e un confronto costante con il continuo cambiamento tipico del mondo giovanile.


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