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    Clemente di Alessandria

    (150-215)

    Ferdinando Bergamelli


    Clemente di Alessandria è certamente uno dei personaggi più straordinari e suggestivi del cristianesimo antico. Egli è il primo scrittore cristiano che, portando a compimento tentativi parziali precedenti, ebbe la capacità e il genio di progettare un’impresa di ampio respiro, quella cioè di delineare un programma organico e coerente di formazione integrale del cristiano articolata in vari trattati, una sorta di enciclopedia della formazione pedagogico-catechetica. In tale opera egli ha cercato di attingere a tutto il patrimonio filosofico-culturale della paideia greca, portando così il cristianesimo e l’ellenismo a una nuova sintesi armonica e feconda. Egli inoltre ha concepito la storia della salvezza come una pedagogia divina con la quale Dio nella sua provvidenza educa l’uomo portandolo fino alla divinizzazione. In tal modo Clemente può definirsi il primo pedagogista e umanista nella storia della paideia cristiana.

    1. VITA

    Tito Flavio Clemente nacque verso il 150, probabilmente ad Atene, da genitori pagani. I dati biografici della sua vita sono assai scarsi e incerti. Egli dovette avere una formazione accurata nella cultura del suo tempo. Essa infatti traspare di continuo nelle sue opere nelle quali si dimostra uno scrittore raffinato che sa rivestire il suo pensiero con una massa di citazioni classiche veramente impressionante. Sappiamo che intraprese lunghi viaggi alla ricerca della verità. Dalla Grecia si recò nell’Italia meridionale, in Asia Minore, nella Siria, nella Palestina e in Egitto. Egli fu sempre un uomo assetato di verità e la trovò convertendosi al Cristo-Logos. Ad Alessandria, nel vivace contesto culturale di questa città, scoprì l’ambiente più congeniale all’impegno della sua ricerca.

    Alessandria era divenuta in quel tempo la metropoli cosmopolita e intellettuale del mondo antico, punto d’incontro della cultura proveniente dall’Oriente e dall’Occidente. Clemente porta appunto l’appellativo di « Alessandrino » non perché sia nativo di Alessandria, ma perché questa fu la sua città di adozione. Non è possibile infatti capire la sua ricerca di intellettuale impegnato se si prescinde da questo ambiente caratteristico in cui il cristianesimo aveva sentito la necessità di andare oltre i dati elementari della fede per venire incontro anche alle esigenze più raffinate dei cristiani colti che erano alla ricerca della vera « gnosi », in opposizione a quella falsa dello gnosticismo allora imperante in Alessandria. È qui che Clemente si stabilì e divenne maestro spirituale nel Didaskaleion (190-202) e qui compose le sue opere più importanti.
    Non consta con certezza che egli fosse presbitero. Al sopraggiungere della persecuzione di Settimio Severo (202-203) Clemente dovette abbandonare la sua città, forse anche per dissensi sopravvenuti con Demetrio, l’accentratore vescovo di Alessandria. Si rifugiò in Cappadocia presso il discepolo ed amico Alessandro che poi fu fatto vescovo di Gerusalemme. La morte dovette avvenire alcuni anni dopo, verso il 215.

    2. OPERE

    Riferimenti più o meno ampi a temi pedagogico-pastorali sono reperibili un po’ in tutta la produzione di Clemente. Ma le opere più specifiche da questo punto di vista sono le seguenti.

    2.1. II Protrettico

    È la prima opera composta da Clemente. Come dice il titolo stesso, si tratta di un discorso esortatorio che consta di 12 capitoli, con il quale egli si rivolge alle persone colte del paganesimo per distoglierle dalla « consuetudine » del politeismo e invitarle a convertirsi al Cristo-Logos e al « canto nuovo» dei misteri cristiani.

    2.2. Il Pedagogo

    Consta di tre libri e si potrebbe definire come il primo manuale di formazione pedagogico-pastorale nella catechesi dell’iniziazione cristiana. Il primo libro, comprendente 13 capitoli, si stacca sugli altri due perché ne costituisce la parte più sistematica in cui Clemente, a mo’ d’introduzione, pone i principi fondamentali della sua metodologia pedagogica. Nell’impossibilità di entrare nei particolari, accenniamo solo ad alcune tematiche da lui predilette.
    Anzitutto la scelta del campo, cioè « i fanciulli » (cap. 5-6) e poi i caratteri distintivi del Pedagogo (cap. 7) e della metodologia con la quale egli educa l’umanità, fondata essenzialmente sull’amore e il timore (cap. 8-12). Gli altri due libri, comprendenti 12 capitoli ciascuno, trattano cumulativamente della «vita del cristiano ». Dai principi essi passano alla vita concreta di tutti i giorni. Li potremmo definire come il primo galateo del cristiano. In essi infatti Clemente si sofferma a descrivere con pennellate ricche di colore la giornata del cristiano, a cominciare dalla levata del mattino con i consigli sull’abbigliamento, fino al sonno della notte e le norme dei rapporti matrimoniali. Chiude l’opera il celebre inno al Pedagogo ove l’Alessandrino, in un susseguirsi di immagini poetiche, innalza il «cantico dello spirito d’infanzia».

    2.3. Gli Stromati

    Sono l’opera più ampia dell’Alessandrino giunta a noi e anche la più difficile e sconcertante, tanto che ancora oggi essa resiste a ogni tentativo di definizione e rimane un enigma, soprattutto circa il ruolo che essa avrebbe nella questione disputata della trilogia. Come indica il titolo fantasioso (Stromati = Tappezzerie), si tratta di una miscellanea aperta in cui Clemente svolge varie trattazioni in ordine sparso, dai rapporti della filosofia con la verità cristiana, alla fede, alla «gnosi», al martirio, alle scienze umane propedeutiche alla fede, fino al ritratto del vero gnostico. Queste « note gnostiche secondo la vera filosofia » - come recita programmaticamente il titolo completo dell’opera - sono certamente da ricondurre all’attività didattica di Clemente. In essa l’Alessandrino, in polemica con lo gnosticismo ma anche con gli strati più retrivi del cristianesimo del suo tempo, vuole coniugare insieme fede e ragione, rivelazione e filosofia, nel tentativo ardito di una loro sintesi superiore. In uno stile volutamente oscuro e intricato, Clemente vuole avvincere e tormentare il lettore che abbia il coraggio e la pazienza di seguirlo nei meandri del suo pensiero.
    Ricordiamo infine una breve omelia nella quale Clemente si rivolge ai cristiani di più alto rango sostenendo che la vera povertà sta nel distacco dalle radici del possesso che conduce poi alla libertà interiore e all’uso delle ricchezze a servizio dei più poveri (Quale ricco può salvarsi).
    Anche da questi accenni rapidi e sommari si intravede che le opere di Clemente non sono di facile lettura, nemmeno Il Pedagogo. Esso pertanto va letto con estrema attenzione cercando soprattutto di entrare in sintonia con lo stile caratteristico dell’Alessandrino. Un fine conoscitore di quest’opera - il Marrou - usa un’immagine suggestiva che lasciamo come chiave di lettura a chi volesse misurarsi personalmente col testo clementino. Il pensiero di Clemente « evoca un volo di lucciole ». Infatti si tratta di intuizioni brevi, simili a barlumi luccicanti e fugaci che si illuminano e si spengono lasciando negli occhi stupiti sprazzi di luce abbagliante.

    3. IL PENSIERO PEDAGOGICO-PASTORALE

    Condensare in poche pagine il pensiero pedagogico-pastorale di Clemente, così poliedrico e cangiante, è un’impresa ardua, per non dire impossibile. Tuttavia, pur col rischio di una schematizzazione riduttiva, tentiamo di evidenziare alcune direttrici che ci sembrano più originali e caratteristiche del suo pensiero, soprattutto nel Pedagogo.

    3.1. Paideia umano-cristiana

    Anzitutto bisogna subito chiarire un equivoco che ha contribuito non poco in passato a creare attorno alla figura di Clemente un’ombra di sospetto che non è dissipata del tutto nemmeno oggi. Si è pensato da parte di alcuni studiosi antichi e moderni a un Clemente filosofo pagano convertito al cristianesimo solo per metà. In tal modo egli si sarebbe limitato a dare una vernice cristiana a un patrimonio rimasto essenzialmente pagano. Ciò non risponde a verità. Gli studi più seri e aggiornati di questi ultimi decenni hanno dimostrato che Clemente è un autentico cristiano e contemporaneamente anche un vero greco che dopo la conversione non ha inteso rinunciare al proprio patrimonio culturale, ma lo ha ridefinito e orientato alla luce del CristoLogos.

    « L’animale ragionevole, dico l’uomo, che altro deve fare, diciamo noi, se non contemplare il divino? Ma bisogna anche contemplare la natura umana, dico io... » (Pedagogo 1,12; 100,3 [1,150]). Testo emblematico, come quello che segue, in cui Clemente vede la continuità fra Dio e l’uomo. «In breve, tutto ciò che appartiene alla natura dell’uomo, non bisogna eliminarlo, basta solo imporgli una misura e un tempo conveniente » (ivi, 11,5; 46,1 [1,185].

    3.2. La pedagogia di Clemente

    Clemente è il primo Padre della Chiesa a concepire la vita cristiana come un autentico atto pedagogico. In lui la nozione di pedagogia non è una semplice immagine o un termine di passaggio, ma è l’intuizione centrale che il filo conduttore di tutta l’opera del Pedagogo. Basti pensare anche solo al fatto esteriore e statico che pedagogia (e derivati) vi compare ben 163 volte.

    Nel primo libro del Pedagogo Clemente riporta la sua definizione di pedagogia: « Anche noi certamente onoriamo i beni più belli e più perfetti che possediamo in questa vita con un termine che deriva da fanciullo (pais) e li abbiamo chiamati paideia e pedagogia. Affermiamo che la pedagogia è una buona formazione che guida dall’infanzia alla virtù» (ivi, I,5; 16,1 [1,99]). Definizione che si iscrive nella tradizione più pura dell’ideale greco dellapaideia in cui l’Alessandrino proclama classicamente l’educazione come il bene più prezioso della vita.

    3.3. II Cristo Pedagogo

    Tutto l’universo clementino ruota attorno a un asse centrale che è il Cristo-Logos. Clemente non si stanca di ripeterlo nella sua opera. « Il nostro Pedagogo... si chiama Gesù » (ivi, I,7; 53,1 [1,121]). «Il nostro Pedagogo è il santo Dio Gesù, il Logos, guida di tutta l’umanità» (ivi, 1,7; 55,2 [1,122]). Il cristocentrismo della pedagogia di Clemente è il solido fondamento sul quale egli costruisce il suo umanesimo autenticamente cristiano teso a ricuperare in una sintesi superiore il patrimonio classico della paideia greca.


    3.4. I fanciulli

    Se il Cristo-Logos è il Pedagogo, ne consegue che i destinatari della sua azione pedagogica sono i fanciulli (paides). Clemente indugia su questo termine chiave della sua opera; lo studia, lo rincorre con passione ed entusiasmo e ne moltiplica i sinonimi. In questo senso la pedagogia clementina è tipicamente paidocentrica, perché mette al centro dell’educazione i « fanciulli ». L’Alessandrino è uno dei primi autori antichi a dare importanza allo sviluppo del fanciullo considerato in se stesso. Infatti il mondo classico non mostrava alcuna sensibilità per l’età infantile, ritenendola semplicemente uno stadio transitorio in funzione della formazione dell’adulto.

    Contro questa mentalità e in polemica con lo gnosticismo del suo tempo che disprezzava i piccoli, Clemente scrive uno dei testi più suggestivi in difesa dei fanciulli. « Noi abbiamo il petto turgido dell’età giovanile, cioè questa nostra giovinezza senza vecchiaia, nella quale siamo sempre nel pieno vigore delle forze per crescere nell’intelligenza, sempre giovani, sempre teneri, sempre nuovi... Per noi la designazione dell’età dei fanciulli è la primavera di tutta la vita» (ivi, 1,5; 20,3-4 [1,102]). I giovani sono per Clemente la primavera della vita. Per lui la giovinezza è più una qualità dello spirito che una stagione della vita, per cui tutti coloro che si mantengono nell’infanzia evangelica (Mt 18,3-4) fanno parte di questa eterna primavera dello spirito.

    3.5. Linee di metodologia pedagogico-pastorale

    Anche qui ci limiteremo a evidenziare soltanto alcune linee di fondo che ci sembrano più originali.


    3.5.1. Unità armonica dell’uomo

    Per Clemente è tutto l’uomo, nella sua unità globale di anima, di corpo e di sensi, che è il soggetto dell’azione educativa del Pedagogo. Pertanto la pedagogia clementina, pur ispirata a un certo rigorismo, ha di mira tutto il composto umano e non può dirsi dualistica. È soprattutto il mistero dell’Incarnazione che ha portato Clemente a una visione positiva del corpo dell’uomo, visto appunto come immagine del corpo di Cristo. « Il sangue dell’uomo è partecipe del Logos e comunica alla grazia per mezzo dello Spirito » (ivi, III, 3; 25,2 [1,251]). Espressione ardita con cui Clemente sottolinea che tutto l’uomo, persino il suo sangue, entra a far parte del Cristo. «II comportamento del cristiano è l’attività di un’anima conforme al Logos... per mezzo del corpo che è il suo naturale compagno di lotta (sinagonista) » (ivi, 1,13; 102,3 [1,151]). Il corpo è visto come alleato naturale dell’anima e non come suo antagonista.

    Così, sullo sfondo pessimistico del dualismo gnostico contemporaneo, risalta ancor più luminosa la visione positiva di Clemente sul corpo umano. Non esiste quindi discontinuità essenziale fra corpo e anima, fra azioni materiali e spirituali, bensì mutua compenetrazione e affinamento. « Ora tutte le azioni, guidate dall’educazione, risplendono di santità, come il cammino, il riposo, il cibo, il sonno, il letto, il regime di vita e tutta la paideia. Infatti la formazione del Logos è tale che mira non all’eccesso, ma all’armonia» (ivi, 1,12; 99,2 [1,1491).

    3.5.2. Ragione

    Per Clemente non c’è nemmeno eterogeneità essenziale fra la Ragione divina e la ragione umana, perché questa è immagine e partecipazione di quella. In tutte le opere di Clemente, ma soprattutto nel Pedagogo, c’è una caratteristica ambivalenza semantica del termine Logos, per cui il traduttore moderno si trova in difficoltà, non sapendo in molti casi quale scegliere, se la Ragione divina o quella umana, tanto le due sono inestricabilmente compenetrate in una sovrapposizione di significati intraducibile.

    In questa visione platonico-stoica l’educazione si sviluppa tramite un continuo appello alla ragione. In effetti la pedagogia secondo Clemente è essenzialmente un’educazione « razionale » e il vero educatore-pastore è colui che sa penetrare nel mondo interiore del fanciullo aiutandolo a sviluppare le sue capacità innate in una progressiva imitazione e assimilazione alla ragione, con il conseguente allontanamento da ogni « irrazionalità » che è ad un tempo errore della mente e peccato. « E infatti la virtù è una disposizione dell’anima in armonia col Logos per tutta la vita... di conseguenza ogni disarmonia provocata dalla discordanza col Logos prende il nome giustamente di errore» (ivi, 1,13; 101,2 [1,150-1511).
    Da notare la caratteristica ambivalenza del termine Logos già rilevata più sopra e che appare anche nel testo seguente. « La vita dei cristiani, alla quale ora siamo educati, è un complesso di azioni razionali, cioè la pratica costante di ciò che è insegnato dal Logos e che noi chiamiamo fede » (ivi, 1,13; 102,4 [1,1511). Si noterà anche che il Logos clementino non sfocia mai in un naturalismo orizzontale e intellettualistico, perché in esso, come si vede, c’è sempre il riferimento al Cristo-Logos trascendente e alla vita.

    3.5.3. Libertà

    Essendo l’educazione per Clemente fondata sulla ragione, ne consegue che essa si sviluppa solo in un clima di libertà e di persuasione. L’Alessandrino ritorna sovente su questo tema, anche in polemica con lo gnosticismo che negava la libertà di scelta dell’uomo. « Il Logos ha il compito di farci da guida con la persuasione e l’educazione. Da lui noi impariamo la semplicità, la modestia e tutto l’amore per la libertà, per l’uomo e per il bello... Dalla pedagogia di Cristo nasce una nobile disposizione dell’animo corrispondente ad una libera scelta amante del bene» (ivi, 1,12; 99,1-2 [1,149]). Dunque la pedagogia di Cristo oltre che grazia è simultaneamente anche il risultato di una scelta libera. « Salvare chi non vuole è atto di chi fa violenza, mentre salvare chi lo sceglie liberamente è atto di chi fa grazia» (Quale ricco si salverà, 21,2 [111,173]).

    In un testo audace Clemente arriva ad affermare: « Ma (Dio) vuole che noi ci salviamo da noi stessi» (Stromati, V1,12; 96,2 [II, 480]). Nel contesto il senso è chiaro. Egli vuol dire che la salvezza non è un qualcosa di aggiunto estrinsecamente, ma è un dono di grazia che si iscrive interiormente al processo educativo che persino Dio rispetta senza fargli violenza. « Così il Signore di tutti, dei greci e dei barbari, persuade quelli che lo vogliono. Egli infatti non fa violenza a chi è in grado di accogliere da lui la salvezza per libera scelta» (Stromati, VII,2; 6,3 [III,6]).

    3.5.4. Amore

    L’azione educativa del Cristo-Logos che si fa pedagogo dell’uomo è la manifestazione più concreta dell’amore di Dio per « la più bella delle sue creature, capace di amare Dio ». Clemente continua affermando: « Dunque Dio ha cura e si preoccupa dell’uomo e questo lo dimostra di fatto educandolo mediante il Logos che è il sincero collaboratore (sinagonista) dell’amore di Dio per l’uomo » (Pedagogo, 1,8; 63,1-3 [1,127]). A questa scuola di pedagogia divina, anche il vero educatore-pastore umano è solo colui che sa farsi compagno accanto al giovane col suo amore educante.


    4. CONCLUSIONE

    Anche con questi cenni sommari speriamo di essere riusciti a far balenare al lettore alcuni sprazzi di luce del pensiero pedagogico-pastorale di Clemente. Egli è stato un grande maestro di spirito e pedagogista che, raccogliendo l’eredità precedente, ha messo per primo i presupposti della scienza dell’educazione cristiana. L’opera e la persona di Clemente, dopo un primo periodo di grande stima in tutta la Chiesa, andarono soggette purtroppo a un graduale oblio. Ciò avvenne in seguito a una congiura di circostanze storiche negative, come il decreto Gelasiano (sec. VI), la condanna sommaria di Fozio (sec. IX) e l’esclusione dal calendario dei santi (ove era venerato il 4 dicembre) a opera di Benedetto XIV (1748). Forse la sua opera è stata giudicata troppo audace dalla miope intransigenza di certo cristianesimo antico e moderno. Clemente di Alessandria attende ancora che gli venga resa giustizia e che sia dissipata quell’ombra di sospetto che ha gravato per secoli sulla sua figura. Essa rimane tra le più luminose del cristianesimo antico.


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