Migranti: quel divario
tra realtà e percezione
Giannino Piana
L'afflusso sempre più consistente di migranti nel nostro Paese suscita pesanti reazioni, originate da disagi veri e/o presunti, in ogni caso spesso enfatizzati dalla pressione esercitata dai mezzi di informazione e da una certa propaganda politica. Al di là della questione della sicurezza, dove - lo testimoniano i dati ufficiali - esiste un considerevole divario tra la realtà e la percezione che si ha di essa, a provocare l'allarme nei confronti degli stranieri che vengono ad abitare sul nostro territorio, fuggendo dalle guerre o dalla fame, sono la sottrazione di lavoro agli italiani e l'appesantimento dello Stato sociale, già peraltro in crisi, con il rischio del suo collasso.
La presenza massiccia di emigrati che cercano una sistemazione lavorativa - si sente spesso dire - impedisce l'assorbimento di manodopera locale, in un momento in cui la disoccupazione, che coinvolge soprattutto (ma non solo) il mondo giovanile, ha raggiunto livelli del tutto patologici. Inoltre le difficoltà in cui versa la spesa pubblica - si osserva - rischiano di essere ulteriormente aggravate dalla fornitura indiscriminata di servizi sanitari e assistenziali a persone straniere con i soldi provenienti dalle tasche dei cittadini italiani.
Il dovere della solidarietà
A fomentare il disagio fino a far nascere sentimenti di xenofobia contribuiscono, in misura decisiva, alcune forze politiche - la Lega in primis - che tendono a sfruttare la situazione odierna per ragioni propagandistiche ed elettorali. Ma le motivazioni profonde dello sviluppo di atteggiamenti di rifiuto dei migranti vanno ricercate in un insieme di fattori legati ai cambiamenti socioculturali intervenuti negli ultimi decenni. Un peso di prim'ordine ha avuto (ed ha), a tale riguardo, la svolta individualista, che sta alla radice di quella che papa Francesco definisce come la «cultura dell'indifferenza», la quale favorisce forme di arroccamento entro le proprie mura e di rifiuto di chi viene da fuori.
La crescita del benessere, che si è verificata da tempo in Occidente e che persiste, nonostante la crisi economico-finanziaria tuttora in corso, in un'area allargata della popolazione, ha prodotto una esasperata chiusura autoreferenziale, obnubilando le coscienze - il consumismo è stato (ed è) il fattore prevalente - e dando vita a egoismi nazionalistici, che sono una delle cause della crisi in cui è entrata l'Europa e provocano, più radicalmente, la tendenza di molti gruppi e di molti movimenti e partiti a sollecitarne l'uscita. La difesa dei propri interessi e dei propri privilegi diventa perciò il criterio che informa la condotta di molti italiani (ed occidentali in genere) che respingono ogni apertura nei confronti dei migranti. Non è difficile scorgere qui la perdita di una sensibilità morale, che denuncia lo stato di crisi della nostra società. I valori sui quali si è costruita nel dopoguerra la vita collettiva e che hanno trovato nella Carta Costituzionale la propria espressione civile sembrano essersi gradualmente affievoliti fino a venire obnubilati. A farne le spese è stata soprattutto la solidarietà, anche in ragione dell'affermarsi di una società aperta e dinamica, prodotta dall'accelerazione del processo di industrializzazione, che ha reso più difficile lo sviluppo di relazioni interpersonali stabili. La delega che della solidarietà si è fatta allo Stato - è nato così lo Stato sociale - non si è accompagnata a un coinvolgimento attivo della società civile preoccupata più di rivendicare diritti che di assumersi doveri e responsabilità. A fornire un contributo determinante all'affermarsi di tale concezione ha concorso anche il consolidarsi del sistema capitalista, che ha nella proprietà privata concepita come un diritto assoluto ed incondizionato, il proprio presupposto ideologico. E che ha finito per oscurare il principio della destinazione universale dei beni della terra, che è patrimonio della più antica tradizione cristiana ribadito con forza anche nei più recenti documenti del magistero sociale della chiesa.
Lo stravolgimento dei dati statistici
Ma, al di là di queste considerazioni di carattere etico, a sorprendere è lo stravolgimento degli stessi dati sociologici i quali vengono manipolati artatamente dai media sfruttando la preoccupazione della popolazione e rinfocolando sentimenti di paura e di ostilità che finiscono per esasperare la conflittualità sociale. Significativo è il caso dell'assistenza sanitaria e della previdenza, dove la percezione che si ha a livello di opinione pubblica e che suscita le reazioni cui si è accennato, non solo non corrisponde alla realtà ma - ci dicono le statistiche ufficiali - deve essere radicalmente ribaltata.
Ce lo ha ricordato recentemente Tito Boeri, Presidente dell'Inps, in un articolo dal titolo Welfare UE contro i populismi (La Stampa, 22 maggio 2016), nel quale scrive: «In Italia i migranti pagano circa 5 miliardi di euro (5,7 miliardi) all'anno (circa il 0,3% del Pil) in più in contributi rispetto ai benefici che ricevono. E l'Istituto di previdenza sociale italiano (Inps) ha stimato in circa 15 miliardi di euro i contributi al sistema pensionistico italiano pagati dai migranti negli ultimi vent'anni e mai rivendicati» (p. 21). La ragione di questo scarto è evidentemente cronologica: i migranti sono infatti mediamente più giovani dei nativi ed hanno quindi minore probabilità di ricevere benefici assistenziali e pensionistici rispetto alla media della popolazione locale.
Analoghe considerazioni si possono fare anche a proposito della questione del lavoro. I dati offerti dall'Istat (e da altre agenzie) rivelano la presenza più consistente di migranti in settori dell'attività lavorativa raramente coperti dalla manodopera italiana. Si pensi al numero elevato di badanti, soprattutto donne, che offrono un servizio prezioso di assistenza ad anziani altrimenti destinati al ricovero. O a lavori particolarmente pesanti di manovalanza normalmente rifiutati dai lavoratori italiani e dai quali alcune aziende non possono assolutamente prescindere per lo sviluppo della loro attività.
Queste considerazioni ci inducono perciò a sfatare luoghi comuni, che nascono spesso da pregiudizi infondati. Più che un peso sul terreno economico i migranti sono stati in passato piuttosto una risorsa per la vita del nostro Paese. Questo non toglie che la situazione sia oggi divenuta più preoccupante per la crescita consistente dei flussi migratori, dovuti al moltiplicarsi dei focolai di guerra e alla crescita dei fenomeni delle carestie e della fame (anche a causa dei cambiamenti climatici indotti dalla crisi ecologica provocata dall'uomo).
L'accoglienza non può certo venire meno e l'opera di soccorso di quanti giungono sul nostro territorio non va soltanto continuata ma intensificata. A questo deve tuttavia accompagnarsi un coinvolgimento sempre maggiore di tutti Paesi europei per favorire un equa distribuzione della popolazione migrante con l'offerta di condizioni di vita e lavorative rispettose della loro dignità e dei loro diritti. Non si tratta di buonismo, ma di una questione di giustizia, che ha nella solidarietà verso i più poveri la propria necessaria espressione.
(Rocca, 13/2016, pp. 33-34)