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    La protezione

    degli esseri senzienti

    nel buddhismo

    Maria Angela Falà *

    In tutte le tradizioni buddhiste c’è sempre il massimo rispetto per ogni forma di vita.
    Il mondo animale ha un’importanza particolare perché rappresenta una delle sei possibilità di vita e rinascita. La sofferenza è doppiamente presente nella vita animale, perché è inclusa anche quella inflitta dagli esseri umani, quest’ultima da evitarsi il più possibile in favore della compassione.
    In tutte le tradizioni buddhiste c’è sempre il massimo rispetto per ogni forma di vita. Nella prima delle indicazioni di comportamento che ogni praticante deve seguire troviamo queste parole: «Non togliere la vita a nessun essere vivente e proteggi la vita in tutte le sue forme» e tra queste tutte è compresa la vita di tutti gli esseri, uomini e animali. Il rispetto per la vita animale è fondamentale e tutte le azioni volontarie che portano alla sofferenza degli uomini e degli animali sono considerate negative. Un famoso testo canonico buddhista il Dhammapada (129-131) dice: «Provando empatia per gli altri esseri si scopre che tutti hanno paura della punizione e della morte. Allora, non si assale né si provoca più nessuno». La paura della sofferenza, del dolore, della violenza accomunano tutti i viventi. È opera del saggio comprendere la profonda relazione che ci lega e vedere in ogni essere vivente un altro noi stessi secondo la regola d’oro di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te e di utilizzare le migliori qualità di amorevolezza e compassione per aiutare e sostenere.

    UN’UNICA FAMIGLIA
    Il mondo animale secondo la tradizione buddhista è una delle sei possibilità di vita e rinascita. Essendo nel ciclo di nascita e morte (samsara) da tempo senza inizio siamo nati innumerevoli volte, non solo come esseri umani ma anche come animali. Ogni volta che siamo nati abbiamo avuto una madre umana o non umana che si è presa cura di noi al meglio delle sue capacità e che nelle nostre rinascite animali ha spesso rischiato la sua stessa vita per difenderci. Tutti questi esseri, nostre madri, li incontriamo tutti i giorni, in forma umana e non, e data la gentilezza e l’amore che hanno avuto per noi nelle vite passate, meritano da noi ogni cura e rispetto. Non è possibile fare una netta distinzione tra le norme morali applicabili agli animali e quelle applicabili agli esseri umani; umani e animali fanno parte di un’unica famiglia, sono tutti interconnessi. Per le scuole mahayana tutti gli esseri viventi hanno la natura di Buddha nella loro forma attuale. Nel capitolo Devadatta del Sutra del Loto, la figlia del Re drago raggiunge la Buddhità nella sua forma vivente specifica di Drago, aprendo così la strada al raggiungimento della Buddhità sia per le donne che per gli animali.

    MONDO ANIMALE E UMANO
    Il mondo animale è un mondo più difficile di quello umano, che offre al meglio le possibilità per lavorare su se stessi e compiere i passi verso la liberazione, ma ne è appena al di sotto. Del mondo animale non si offre una visione idilliaca. Il mondo animale è pericoloso, prevale l’aggressività e la violenza. I commentari buddhisti descrivono molte sofferenze associate al mondo animale: anche dove non sono presenti esseri umani, vengono attaccati e mangiati da altri animali o vivono nella paura di questo – mai si è visto un pesce piccolo che mangi un pesce grande o una gazzella che rincorra un leone; sopportano cambiamenti estremi dell’ambiente durante tutto l’anno e non hanno la certezza di un rifugio. Quelli che vivono tra gli umani vengono spesso massacrati per essere mangiati, o costretti a lavorare anche subendo violenze. Oltre a questo, hanno una sofferenza di base: non sanno o capiscono con chiarezza cosa sta succedendo loro e non sono in grado di fare molto, agendo principalmente sull’istinto. Queste difficoltà, vanno viste come dolorose, difficili di per sé, a cui non si dovrebbe aggiungere da parte dell’uomo ulteriore sofferenza. Ma sappiamo che spesso non è così. Usare violenza, uccidere per uccidere è un atto negativo, anche per nutrirsi. Va fatto con attenzione e gratitudine per l’animale che ci servirà da cibo, non per gioco e divertimento.

    I BUDDHISTI DEVONO ESSERE VEGETARIANI?
    In questo senso la domanda che spesso si pone: «I buddhisti devono essere vegetariani?» ha diverse risposte. I buddhisti non hanno l’obbligo di essere vegetariani ma se prendiamo per corretto ciò che è stato detto sopra, ne è una diretta conseguenza. In alcune terre asiatiche dove è difficile per l’asprezza dei luoghi poter sopravvivere senza cibarsi di carne questo non viene posto in discussione, ma bisogna sempre avere un pensiero di gratitudine per l’animale che è stato privato della sua vita per permettere all’uomo di sopravvivere. Il Buddha stesso, secondo i racconti Jataka delle sue precedenti forme di esistenza, ha offerto il suo corpo per nutrire dei giovani tigrotti la cui madre era stata uccisa. I monaci, che mangiano ciò che viene loro offerto, hanno l’obbligo di accertarsi, in caso di dono di carne, che quell’animale non sia stato ucciso specificamente per loro. In tal caso è l’unica occasione in cui possono rifiutare il dono fatto. La preoccupazione per gli animali è attestata agli inizi della storia buddhista. Il grande imperatore Ashoka nel III sec. a.C. nel suo quinto editto incluse gli animali tra i beneficiari dei suoi programmi di ampliamento delle foreste e di trivellazione di pozzi, protesse dalla macellazione gli animali più giovani e le madri che ancora allattavano i loro piccoli e vietò una serie di altre pratiche dannose per gli animali. In questo Ashoka mise in atto uno dei consigli dati dal Buddha nel Cakkavattisīhanādasutta (DN.26) che un buon re dovrebbe estendere la sua protezione non solo alle diverse classi di persone ma anche a animali e uccelli.

    LA VIRTÙ DELLA COMPASSIONE
    Nel buddhismo dell’Asia orientale, in particolare in Tibet e in Cina, il rilascio di animali, in particolare di uccelli o pesci, nel loro ambiente naturale è diventato un modo importante per dimostrare la virtù della compassione. Questa pratica si basa su un passaggio del Sūtra della Rete di Brahma, in cui si afferma che «Tutti gli esseri nei sei percorsi dell’esistenza sono i miei genitori. Se dovessi ucciderli e mangiarli, è come uccidere i miei stessi genitori… Dal momento che essere rinati in una esistenza dopo l’altra è la legge permanente e inalterabile, dovremmo insegnare alle persone a liberare gli esseri senzienti». Durante la dinastia Ming in Cina furono addirittura create società per “liberare la vita”, che costruirono stagni in cui rilasciare i pesci che erano stati riscattati dai pescatori per questo scopo. Ancora oggi nei mercati si comprano animali che poi vengono rilasciati in luoghi sicuri, lontani dai loro nemici naturali. Prima della liberazione, vengono recitati per loro dei mantra e dei sutra ritenendo che negli animali, anche se non comprendono le parole, ne rimanga un’impronta che sarà il seme per le realizzazioni future. A questo proposito si tramanda la storia di un piccione che viveva nella grotta in cui dimorava il grande saggio Vasubandhu: questi era solito recitare gli insegnamenti ad alta voce e l’uccello li ascoltava. Quando il piccione morì, rinacque come essere umano e, dopo aver ritrovato il suo maestro, divenne monaco e scrisse quattro trattati proprio sugli insegnamenti che aveva ascoltato quando era piccione.

    * Presidente Fondazione Maitreya, già vice presidente Unione Buddhista Italiana (Ubi).

    [Confronti 09/2019]


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