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    Ama il tuo nemico


    Abbiamo chiesto a dieci docenti dell’Università Cattolica una breve riflessione sulla parola evangelica – amate i vostri nemici – così attuale in un tempo di guerre, divisioni, odi, conflitti. È il nostro augurio per il nuovo anno.


    1. Dilectio di Giovanni Gobber
    ‘Siate benevoli verso chi vi vuol male’, dice Gesù (Luca 6, 35). L’imperativo greco è ἀγαπᾶτε, che in latino è reso con diligite, non con amate. Cicerone nota che diligere è ‘più lieve’ (perché amare vim habet maiorem). Isidoro aggiunge che amare ci è dato come qualcosa di naturale, mentre diligere è frutto di una scelta. A ben vedere, ama il tuo nemico è una traduzione che non rende in modo chiaro la fatica del ‘volere il bene’ di chi ci vuole male. Questo diligere non è un moto sentimentale, da ingenui disarmati davanti alla malvagità. Non è neppure un atteggiamento superficiale, un ‘volemose bene’ relativista, che rinuncia a giudicare i comportamenti. È una decisione che matura nella scelta di ‘aver cura’ del prossimo, il quale è fatto a immagine e somiglianza di Gesù. Il giudizio sul comportamento altrui non è dimenticato. L’amore verso chi vuole il nostro male non è disarmo; è disponibilità a farci carico anche del destino di chi ci vuole annientare. E per questo siamo disponibili a subirne le azioni malvagie. L’amore come dilectio è ragionevole scelta di chi mira a conquistare il nemico alla causa del Signore. Un atto d’amore degno è pregare per il nemico, affinché, sentendosi benvoluto, si chieda se valga la pena odiare; potrà costui forse cambiare atteggiamento, mutar consiglio, perfino dimenticarsi di volerci male. E se questa conversione non accade? Beh, pazienza. Ma che altro fare? Odiare a nostra volta? Non è ragionevole, cioè non è congruo con la nostra natura di figli di Dio. E poi, è anche una cosa faticosa, che sottrae tempo alla cavalleresca nostra avventura umana. Infine, a odiare poi diventiamo brutti, mentre a voler bene diventiamo più belli e invecchiamo meglio.

    2. Grazia di Anna Maria Fellegara
    Amare il nemico è impossibile. Per il nemico degli altri posso forse trovare qualche giustificazione, ma amare il mio: non scherziamo. Non ne ho la forza, né trovo abbia senso farlo, anzi sono convinta delle mie ragioni, intimamente certa che la mia causa sia buona e la sua sbagliata. Contrappormi al mio avversario, lottare contro di lui è difendere la verità, contro il male e l’ingiustizia.
    E allora cosa c’entra l’amore? E non si può promuovere il bene senza amare il nemico?
    Perché Gesù mi propone di seguirlo su questa via? Confesso che senza la Sua vicenda umana, mi fermerei qui.
    E invece mi fido, provo a domandarmi cosa significhi questa richiesta, sento crescere in me la convinzione che sia questione di Grazia e non di Legge, di risposta al dono ricevuto e non esercizio di buona volontà. Che amare il mio nemico abbia a che fare con la dignità della persona e con la sopravvivenza del genere umano, che sia questione di necessità – in senso evangelico (cf Lc 17,25) – e non di bontà. Riconosco che il mio essere stata ascoltata e accolta, dove sono inaccettabile anche da me stessa oltre che dagli altri, mi aiuta ad accogliere, ed anche a perdonare, senza scorciatoie, senza sconti, senza banalità, senza derogare alla verità (anzi affermandola in modo più autentico). Alimenta la mitezza, mi istruisce ad astenermi dall’uso della violenza che sempre mi porto dentro, e mi degrada, ma mi rimanda al riconoscimento dell’Altro in me e negli altri.

    3. Perfezione di Gabrio Forti
    Dentro la conchiglia di ogni ‘dover essere’ giace la perla di un suo ‘essere’. Ogni precettistica, sia essa giuridica, morale o religiosa, nasconde infatti una sua antropologia o, quanto meno, allude a una disposizione d’animo quale condizione di adeguamento non esteriore, ipocrita o coatto, ma all’altezza della dignità di esseri umani liberi di determinarsi e, quindi, responsabili. Se è così, allora l’osservanza si presenta come il punto di arrivo di un processo, nel corso del quale non solo il risultato atteso andrà perdendo via via l’aura di irraggiungibilità o addirittura di assurdità (quando mai si può prescrivere a qualcuno di amare?) con cui ci si era parato dinanzi; ma esso avrà già cominciato a rilasciare benèfici succhi dopo che ci si sia avviati verso la lontana meta di una ‘perfezione’ che ci veda finalmente trasformati, rinnovati nel nostro modo di pensare (Gv 12,2). Così i primi salutari passi nella direzione di amare il nemico si saranno fatti già solo trattenendosi dal vedere troppo facilmente nemici attorno a sé. E ciò forse anche vivendo l’esperienza «molto personale», «esemplarmente etica e, al medesimo tempo, religiosa» grazie alla quale, come osservava il filosofo Ludwig Wittgenstein, «mi meraviglio per l'esistenza del mondo» e dico «quanto è straordinario che ogni cosa esista», «quanto è straordinario che il mondo esista». O. per dirla con J. W. Goethe, quando io arrivi a pensare che ognuno «non sia dotato da natura di alcun difetto che non potrebbe tramutarsi in virtù».

    4. Europa di Milena Santerini
    Dopo il “mai più” della Seconda guerra mondiale e della Shoah, l’Europa ha vissuto un’era straordinaria di pace, in cui la parola “nemico” è suonata aggressiva e incivile. Insieme, i paesi europei hanno costruito un sistema di diritti, fondato sui valori del rispetto, dell’uguaglianza, della libertà. I nemici, se c’erano, erano lontani. Abbiamo sprecato questi anni di pace così preziosi? Siamo in un tempo in cui la vendetta è tornata legittima e normale l’uso della forza. La violenza sembra connaturata all’umanità mentre invece ne è la negazione. L’amore per il nemico appare velleitario e irrealistico, in un mondo governato dalla forza e dal potere. Sempre più il cristianesimo sembra debole, incapace di far tacere le armi, e riconciliare gli offesi: tutti reclamano la loro parte di giustizia. Quanto è difficile prendere sul serio questa carta di identità dei cristiani, che non possono limitarsi a non odiare, ma devono far del bene anche a chi li avversa. Ci accorgiamo ora che limitarsi a non essere ostili non basta, ma solo facendo del bene a chi ci odia si costruisce la pace, dura e difficile ma possibile. D’altronde, amando solo chi ci ama, che merito ne avremmo?

    5. Cooperazione di Paolo Molinari
    La lunga storia dell’umanità, dall’antichità a oggi, è costellata di scontri tra popoli e stati. Questi scontri si sono spesso combattuti attraverso guerre, colonizzazioni, sottomissione di popolazioni considerate “altre”, nonché per mezzo di guerre commerciali e scoperte scientifiche e tecnologiche al servizio della conquista. Tutto ciò ha pesato negativamente su numerosi spazi geografici, con strascichi di dolore, rancori, desideri di vendette, distruzioni materiali e simboliche. Anche la vecchia e cara Europa si è caratterizzata per tensioni e scontri portati alle loro forme più parossistiche dalle due guerre mondiali “calde” e da quella “fredda”. Ma proprio in Europa abbiamo anche esempi di come stati e popoli, un tempo nemici, siano ora partner strategici e propositivi e abbiano saputo immaginare un nuovo futuro di cooperazione mettendo da parte risentimenti e vendette, senza rinunciare alle proprie memorie e identità. Tra questi esempi si ricorda il fiume Reno, a lungo conteso tra Francia e Germania e barriera tra due mondi spesso in antagonismo per il possesso dell’Alsazia e della Lorena, che oggi rappresenta una forte cerniera capace di unire le popolazioni che risiedono lungo le sue sponde e di favorire lo sviluppo economico transfrontaliero. Ma anche la città di Strasburgo, sede politica dove si sperimentano nuove forme di cooperazione sovranazionale nel quadro dell’Unione europea, testimonia simbolicamente come sia davvero possibile dare collettivamente forma alla rielaborazione del pesante fardello di un passato di aspri conflitti per dare vita a una “storia” comune e a un nuovo progetto di cittadinanza.

    6. Una scelta irrazionale? di Marco Caselli
    “Amate i vostri nemici” (Mt 5, 44; Lc 6, 27) è forse l’insegnamento più difficile di tutto il Vangelo, e lo è innanzitutto perché “nemico” è una parola molto forte, che richiama sofferenza, torti subiti, odio, vendetta. È una frase che scandalizza, perché ci invita a uscire dalla comfort zone di ciò che ci appare razionale e ragionevole, almeno facendo riferimento all’idea occidentale di razionalità. Uno scandalo che, al pari di altri che troviamo nel Vangelo, può addirittura portare ad allontanarsi dalla fede quanti non accettano l’esistenza di realtà che sfuggano a questa nostra razionalità. Ma è uno scandalo che appare necessario per superare i tanti conflitti che ancora oggi caratterizzano la nostra società da Nord a Sud. Odio chiama odio, e il conflitto può essere superato se qualcuno ha il coraggio di rompere questa catena, non rispondendo all’odio con altro odio. E questa catena si rompe se, senza negare il passato, non ci si rassegna al presente e si ha la volontà di immaginare un futuro. Un futuro in cui chi oggi è nemico non lo sia più. Una scelta folle e scandalosa, ma che è l’unica capace di portare frutti di pace, di benessere e di felicità per tutti: una scelta, quindi, che forse non è neppure così tanto irrazionale.

    7. Giocondità di Ermanno Paccagnini
    Sarà la costante immersione da anniversario, di certo sentirsi proporre questo tema non poteva non indirizzare immediatamente a Manzoni, e per di più a immagini e scene ben precise, nelle quali primeggia il campo onomasiologico dell’«odio». Un lemma presente ben 48 volte nei Promessi sposi, e però con una gradazione quanto mai articolata, se si considera che nella Quarantana diventa «odio» e «odioso» quanto nella Ventisettana era invece «rancore», «uggia», «noioso», «amaro», «rabbia», «ira» e persino «animavversione» (quella per Federico degli «amici e cortigiani» d'un tempo d’un innominato convertito).
    E dove s'incrociano due personaggi che possono ben richiamarsi al tema proposto, in quanto inizialmente prede di un odio tenace; tenacia che resta tale invece in un terzo caso: dell’«odio inveterato e compresso» che, a partire da quello (peraltro ricambiato) per la dama sua «guardiana» vista «come il testimonio della sua colpa, e la cagione della sua disgrazia», Gertrude si porta appresso anche in monastero.
    Contrariamente a Lodovico, che invece in convento trova pace dopo l'omicidio di quell'«uomo ch’io odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo», assumendo nel suo ministero quanto Manzoni aveva scritto nelle Osservazioni sulla Morale cattolica: «amare in Dio quelli che si odierebbero secondo il mondo è, nell’anima nata ad amare, un sentimento d’inesprimibile giocondità». E riversando questa sua esperienza su un Renzo che per tutto il romanzo si muove con la «vendetta in cuore» per «quel birbone» di don Rodrigo, richiamandolo con durezza («sciagurato!») di fronte al moribondo, e ricordandogli «che il Signore non ci ha detto di perdonare a’ nostri nemici, ci ha detto d’amarli».

    8. Non odiare il nemico di Adriano Dell’Asta
    Per un cristiano dovrebbe essere comprensibile l’amore per il nemico.
    Ma siamo ancora cristiani?
    E la violenza ha raggiunto una tale esasperazione che sembra impossibile ripudiarla.
    Eppure…
    Spesso ricordo in questi mesi di guerra l’esperienza di Semën Frank, l’ebreo russo ex marxista diventato cristiano che, espulso in Occidente, braccato da sovietici e nazisti, disse che la guerra sarebbe stata vinta da chi avesse imparato a perdonare per primo.
    Suona bene ma potrebbe sembrare una pia intenzione, troppo facile e sdolcinata; se non fosse che quello che ha perdonato per primo è stato Cristo, e lo ha fatto mentre stava sulla croce, vincendo.
    E i dissidenti russi perseguitati, spesso non avendo più alcuna fede, non ci dicono anche oggi che non possono permettersi di odiare perché l’odio li renderebbe simili ai loro persecutori?
    Non odiare il nemico, forse sino ad amarlo, non è poi così impossibile.

    9. Chi è il mio nemico? di Chiara Giaccardi
    Cosa trasforma un essere umano come me in un pericolo per me? Un alter (l’altro grazie al quale io sono chi sono) in un aliud (l’alieno che minaccia di distruggermi)?
    La partizione amico/nemico segue criteri strani. A volte il nemico è lo straniero: chi, con la sua sola presenza, dimostra che il nostro mondo non è l’unico, e forse nemmeno il migliore. A volte invece il nemico è vicinissimo (prossimo): chi un confine tracciato arbitrariamente, o faide tramandate da generazioni, o una storia che mi precede mi ordina di odiare. O semplicemente chi, nel gioco nefasto della polarizzazione radicalizzata, la pensa diversamente da me, non sta ‘di qua’ ma ‘di là’.
    Soprattutto in tempi di incertezza sembra che abbiamo bisogno di nemici per sapere chi siamo. E il nemico ha sempre torto, lo straniero è sempre l’altro, mentre noi abbiamo sempre ragione, e questo ci autorizza a qualsiasi cosa.
    Tutto intorno a noi ci dice di odiare i nemici – amare il prossimo non è più così necessario, né scontato.
    Eppure quel “Ma io vi dico” introduce la logica del paradosso, dell’eccedenza contro la misura stretta del do ut des. “Ama il tuo nemico” è evita di fare delle tue categorie un idolo, della tua ragione un principio scismatico, dei tuoi interessi una giustificazione per la violenza e il sopruso. E liberati dal veleno che intossica la tua vita.
    Amare: dalla radice sanscrita Kam, desiderare: non è tolleranza intellettuale e astratta, indifferenza alla differenza. Non è subire, ma essere “artefici di pace” (Mt 5,9). Non è reagire, ma agire diversamente, inaugurando un’altra logica: con Simone Weil, “Sforzarsi di sostituire sempre più nel mondo la non-violenza efficace alla violenza”.
    A meno che Tu stesso sia / Il tuo Nemico - / Prigione è la Coscienza - / Così come è Libertà. (E. Dickinson)

    10. Il nemico dentro di me di Aldo Grasso
    Amo il nemico perché mi è necessario. Se nella mia attività quotidiana, sia quella accademica che quella della militanza critica, non avessi mai incontrato un nemico, un denigratore, un invido significherebbe che la mia vita ha percorso solo i sentieri del conformismo e del compromesso.
    Amo il nemico perché, come sostiene Emil Cioran, si cessa di essere giovani quando non si scelgono più i propri nemici, quando ci si accontenta di quelli che si hanno sottomano. E sono sempre nemici di quart’ordine.
    Amo il nemico perché è importante per definire la mia identità e il mio valore nel contrastarlo.
    L’unico nemico che non riesco ad amare è quello dentro di me, il più irriducibile, il peggiore: mi sfugge sempre eppure sento che agisce contro.

    A cura della redazione
    Roberto Righetto, Roberto Presilla, Velania La Mendola e Simone Biundo

    https://rivista.vitaepensiero.it//news-vp-plus-ama-il-tuo-nemico-6380.html


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