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    Nutrirci di Gesù

    José A. Pagola

    ultimacena

    In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
    Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
    Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
    Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
    (Giovanni 6,51-58).

     

    Esperienza decisiva

    Come è naturale, la celebrazione della messa è cambiata nel corso dei secoli. A seconda delle epoche, teologi e liturgisti hanno messo in rilievo alcuni aspetti, trascurandone altri. La messa è servita da cornice per celebrare incoronazioni di re e di papi, rendere onori o commemorare vittorie in guerra. I musicisti l'hanno trasformata in concerto, i popoli l'hanno incorporata nelle loro devozioni e nei loro costumi religiosi...
    Dopo venti secoli può essere necessario ricordare alcuni dei tratti essenziali dell'ultima cena del Signore, così come era ricordata e vissuta dalle prime generazioni cristiane. Al suo centro c'è qualcosa che non deve mai essere dimenticato: i suoi discepoli non resteranno orfani. La morte di Gesù non potrà rompere la loro comunione con lui. Nessuno deve sentire il vuoto creato dalla sua assenza. I suoi discepoli non restano soli, in balia dei mutamenti della storia. Al centro di ogni comunità cristiana che celebra l'eucaristia vi è Cristo vivente e operante: ecco il segreto della sua forza.
    Di lui si nutre la fede dei suoi seguaci. Non è sufficiente assistere alla cena: i discepoli sono invitati a «mangiare». Per nutrire la nostra adesione a Gesù Cristo abbiamo bisogno di riunirci per ascoltare le sue parole e custodirle nel nostro cuore, e di andare a comunicarci con lui, identificandoci con il suo stile di vita. Nessun'altra esperienza può fornirci un cibo più solido.
    Non dobbiamo dimenticare che «comunicare» con Gesù significa comunicare con un uomo che è vissuto ed è morto «dandosi» totalmente agli altri. Gesù insiste su questo: il suo corpo è un «corpo dato» e il suo sangue è un «sangue versato» per la salvezza di tutti. È una contraddizione andare a «comunicarci» con Gesù resistendo egoisticamente a vivere per gli altri.
    Non esiste nulla di più centrale e decisivo per i discepoli di Gesù rispetto alla celebrazione della cena del Signore. Per questo dobbiamo curarla tanto. Ben celebrata, l'eucaristia ci plasma, ci unisce progressivamente a Gesù, ci nutre con la sua vita, ci rende familiari con il suo vangelo, ci invita a vivere in atteggiamento di servizio fraterno e ci sostiene nella speranza di tornare a incontrarci alla fine con lui.Ogni domenica

    Ogni domenica

    Per celebrare l'eucaristia domenicale non basta seguire le norme prescritte o pronunciare le parole dovute. Non basta nemmeno cantare, farsi il segno della croce o scambiarci il segno della pace al momento previsto. È molto facile assistere alla messa senza celebrare nulla nel cuore, udirne le letture senza ascoltare la voce di Dio, comunicarci devotamente senza essere in comunione con Cristo, scambiarci la pace senza riconciliarci con nessuno. In che modo vivere la messa domenicale come un'esperienza che rinnovi e fortifichi la nostra fede?
    Per cominciare, dobbiamo ascoltare con attenzione e gioia la Parola di Dio, e in concreto il vangelo di Gesù. Durante la settimana abbiamo guardato la televisione, abbiamo ascoltato la radio e abbiamo letto i giornali. Viviamo storditi da ogni tipo di messaggi, voci, notizie, informazioni e pubblicità. Abbiamo bisogno di ascoltare una voce diversa che ci guarisca interiormente.
    È un sollievo ascoltare le parole dirette e semplici di Gesù. Portano verità alla nostra vita, ci liberano dalle illusioni, le paure e gli egoismi che ci fanno del male, ci insegnano a vivere con maggiore semplicità e dignità, con più senso e speranza. È una fortuna riesaminare ogni domenica la propria vita guidati dalla luce del vangelo.
    La preghiera eucaristica costituisce il momento centrale della messa. Non ci possiamo distrarre. Leviamo «in alto i nostri cuori» per rendere grazie a Dio. È cosa buona e giusta e doverosa ringraziare Dio per la vita, per la creazione intera e per quel dono che è Gesù Cristo. La vita non è solo lavoro, sforzo e agitazione, è anche celebrazione, azione di grazie e lode a Dio. È cosa buona riunirci ogni domenica per sentire la vita come dono e rendere grazie al Creatore.
    La comunione con Cristo è decisiva. È il momento di accogliere Gesù nella nostra vita per sperimentarlo in noi, identificarci con lui e lasciarci trasformare, consolare e rafforzare dal suo Spirito. Tutto ciò non lo viviamo chiusi nel nostro piccolo mondo. Insieme cantiamo il Padre Nostro sentendoci fratelli di tutti, a lui chiediamo che a nessuno manchi il pane e il perdono, ci scambiamo la pace e la chiediamo per tutti.

    La cosa decisiva è avere fame

    L'evangelista Giovanni utilizza un linguaggio molto forte per insistere sulla necessità di alimentare la comunione con Gesù Cristo. Solo così sperimenteremo in noi la sua vita. Secondo lui, è necessario mangiare Gesù: «Colui che mi mangia vivrà per me».
    Il linguaggio acquista un carattere ancora più scandaloso quando si dice che si deve mangiare la carne di Gesù e bere il suo sangue. Il testo è chiaro: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».
    Questo linguaggio non ha più alcun impatto sui cristiani. Abituati ad ascoltarlo fin da piccoli, tendiamo a pensare a ciò che abbiamo fatto fin dalla prima comunione. Tutti conosciamo la dottrina imparata al catechismo: al momento della comunione, Cristo si fa presente in noi per la grazia del sacramento dell'eucaristia.
    Purtroppo, ancora una volta tutto può rimanere solo una dottrina pensata e accettata devotamente. Spesso, però, ci manca l'esperienza di incorporare Cristo nella nostra vita concreta. Non sappiamo come aprirci a lui affinché nutra la nostra vita, rendendola più umana e più evangelica.
    Mangiare Cristo è molto più che affrettarci distrattamente a compiere il rito sacramentale consistente nel ricevere il pane consacrato: comunicare con Cristo esige un atto di fede di speciale intensità, che si può vivere soprattutto al momento della comunione sacramentale, ma anche in altre esperienze di contatto vitale con Gesù.
    La cosa decisiva è avere fame di Gesù, cercare dal più profondo di noi stessi di incontrarci con lui, aprirci alla sua verità perché ci segni con il suo Spirito e potenzi il meglio che c'è in noi, lasciargli illuminare e trasformare le zone della nostra vita che non sono state ancora evangelizzate.
    Nutrirci di Gesù significa allora tornare a ciò che è più genuino, semplice e autentico nel suo vangelo; interiorizzare i suoi atteggiamenti più basilari ed essenziali; accendere in noi la voglia di vivere come lui; risvegliare la nostra coscienza di discepoli e seguaci per fare di lui il centro della nostra vita. Senza cristiani che si nutrano di Gesù, la Chiesa languisce senza rimedio.

    Pane e vino

    Impoveriremmo gravemente il contenuto dell'eucaristia se dimenticassimo che in essa noi credenti dobbiamo trovare il cibo che deve nutrire la nostra esistenza. Certo, l'eucaristia è un pasto condiviso da fratelli che si sentono uniti da una stessa fede, ma, anche se questa comunione è molto importante, essa risulta ancora insufficiente se dimentichiamo l'unione con Cristo, che si dà a noi come cibo.
    Qualcosa di simile va detto della presenza di Cristo nell'eucaristia. Si è evidenziata, e a ragione, la presenza sacramentale di Cristo nelle specie eucaristiche; Cristo, però, non è lì tanto per starci: è presente e si offre come cibo che sostiene le nostre vite.
    Se vogliamo riscoprire il significato profondo dell'eucaristia, dobbiamo recuperare la simbolica di fondo del pane e del vino. Per sussistere, l'uomo ha bisogno di mangiare e bere. E questo semplice fatto, a volte tanto dimenticato nelle società soddisfatte dal benessere, rivela che l'essere umano non ha fondamento in se stesso, ma riceve misteriosamente la vita.
    La società contemporanea sta perdendo la capacità di scoprire il significato dei gesti fondamentali dell'essere umano. Tuttavia, sono gesti semplici e originari quelli che ci riportano alla nostra vera condizione, di creature, che ricevono la vita come dono di Dio.
    In concreto, il pane è il simbolo eloquente che condensa in sé tutto quello che per la persona significano il pasto e il cibo. Per questo, è stato venerato in molte culture in modo quasi sacro. Più di uno ricorderà che le nostre madri ce lo facevano baciare se, per caso, ne cadeva a terra qualche pezzo.
    Tuttavia, nel percorso che fa dalla terra alla nostra mensa, il pane ha bisogno di essere lavorato da coloro che seminano, concimano il terreno, mietono e raccolgono le spighe, molano il grano, cuociono la farina. Il vino presuppone un processo ancora più complesso per la sua elaborazione.
    Per questo, quando si presentano il pane e il vino sull'altare, si dice che sono «frutto della terra e del lavoro dell'uomo». Da una parte sono «frutto della terra» e ci ricordano che il mondo e noi stessi siamo un dono scaturito dalle mani del Creatore; dall'altra parte, sono «frutto del lavoro», e significano ciò che noi uomini facciamo e costruiamo con il nostro sforzo solidale.
    Questo pane e questo vino si trasformeranno per noi credenti in «pane di vita» e «calice della salvezza». In essi, noi cristiani, troviamo quel «vero cibo» e quella «vera bevanda» di cui parla Gesù: un cibo e una bevanda che nutrono la nostra vita sulla terra, ci invitano a trasformarla e a migliorarla, e ci sostengono nel cammino verso la vita eterna.

    La nuova domenica

    La domenica oggi non è più quella di alcuni anni fa. In poco tempo è cresciuta, diventando il «fine settimana», che comincia già il pomeriggio del venerdì e in cui la maggior parte di noi può vivere in modo diverso, sfuggendo agli impegni di lavoro, agli orari imposti e alla routine quotidiana.
    Non tutti viviamo il fine settimana allo stesso modo. Per alcuni è una vera fortuna: hanno iniziativa, possibilità e amici per sfruttare questi giorni. Per altri è un tempo crudele, poiché sentono maggiormente la solitudine, la malattia o la vecchiaia; la domenica suscita in loro solo tristezza e nostalgia. Altri temono la domenica: non sanno che fare, si annoiano; se non ci fosse il calcio sarebbe insopportabile.
    Teologi e liturgisti oggi si interrogano su come sarà in futuro la domenica cristiana. Si ridurrà a una celebrazione della messa isolata e senza alcun rapporto con il fine settimana della gente? Oppure, come si chiede Xabier Basurko, «sarà possibile integrare dinamicamente i valori umani del fine settimana nella mistica della domenica?». Il liturgista ci offre dei suggerimenti al riguardo.
    La domenica cristiana può essere l'anima del fine settimana, che aiuti i credenti a sperimentare meglio la loro libertà di figli di Dio, senza imposizioni o fini utilitaristici. L'eucaristia potrebbe aiutare a recuperare la tranquillità e a ravvivare l'affiato interiore. Il fine settimana possiamo essere un po' più «noi stessi».
    D'altra parte, si potrebbe recuperare il sabato come festa della creazione; in questo modo la domenica potrebbe seguirvi come celebrazione della salvezza. Così pensano alcuni liturgisti. La fede allora aiuterebbe a vivere il fine settimana come celebrazione del Creatore e incontro con la natura, non attraverso il lavoro, ma attraverso il piacere e la contemplazione.
    Infine, la celebrazione dell'«assemblea eucaristica» può conferire un senso più profondo a quell'altra dimensione del fine settimana, che è la comunicazione sincera e gratificante con amici e familiari o l'incontro con altre persone e altri popoli. Il fine settimana può essere esperienza di incontro e di comunione tra fratelli. Crescerà la domenica cristiana fino a essere «lievito e sale» del fine settimana nella cultura attuale? Ad ogni modo, possiamo porci una domanda: noi cristiani sappiamo trarre dall'eucaristia domenicale incoraggiamento e gioia per vivere la nuova domenica?


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