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    La Parola, la vita, i giovani


    Intervista sul Sinodo a Cesare Bissoli

    (NPG 09-01-03)

    La partecipazione di d. Cesare Bissoli come esperto al Sinodo ci permette di avere un feedback diretto di questo evento di Chiesa e di grazia; la sua costante attenzione alla pastorale giovanile offre l’orizzonte particolare con cui vogliamo capire il Sinodo stesso. In questa prospettiva dunque ci collochiamo per un dialogo con lui sui temi del Sinodo che particolarmente interessano la rivista.


    Domanda 1

    Anzitutto il tema generale. Dopo il Sinodo sull’Eucaristia, quello sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Quali possono essere le ragioni?

    Risposta
    Si avverte nella Chiesa un bisogno di tornare ai «fondamentali» della fede e dell’esperienza cristiana. È dunque in senso «missionario» che bisogna intendere questi eventi: richiamare il popolo di Dio (giovane) all’essenziale e mai perderlo di vista. Questa è stata precisamente l’intenzione del Sinodo. Chiaramente questo richiamo alla sorgente della Parola di Dio, del Vangelo, poggia sulla continuità di un processo a cui ha richiamato a suo tempo con vigore Giovanni Paolo II, con la ‘nuova evangelizzazione’. Ma ora assume il taglio che gli dà Benedetto XVI, taglio vigoroso, teologicamente preciso e pastoralmente radicale.
    Non però in nome della paura di perdere pezzi di cristianità, senza nostalgie di restaurazione, ma in forza della presenza operante dello Spirito Santo. Tutto questo vuol dire in sintesi «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa», è questa prospettiva che hanno cercato di raccogliere le 55 proposizioni finali e che il Messaggio sinodale ha messo bene in rilievo.

    PAROLA E SACRA SCRITTURA

    Domanda 2
    La nostra comune esperienza della Parola di Dio è la Bibbia, e soprattutto i vangeli.
    È corretta questa identificazione?
    In quali altri luoghi e modalità si esprime la Parola di Dio?
    Insomma quale è stato l’argomento reale del Sinodo?

    Risposta
    Questo è stato un punto centrale di cui si è chiesta chiarezza e chiarezza si è fatta: insomma Parola di Dio e Bibbia sono la stessa cosa oppure no, o ancora in parte sì e in parte no? Riporto qui la Pr. terza:
    L’espressione Parola di Dio è analogica. Si riferisce innanzitutto alla Parola di Dio in Persona che è il Figlio Unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Verbo del Padre fatto carne (cf Gv 1, 14). La Parola divina, già presente nella creazione dell’universo e in modo particolare dell’uomo, si è rivelata lungo la storia della salvezza ed è attestata per iscritto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Questa Parola di Dio trascende la Sacra Scrittura, anche se essa la contiene in modo del tutto singolare. Sotto la guida dello Spirito (cf Gv 14, 26; 16, 12-15) la Chiesa la custodisce e la conserva nella sua Tradizione viva (cf DV 10) e la offre all’umanità attraverso la predicazione, i sacramenti e la testimonianza di vita. I Pastori, perciò, devono educare il Popolo di Dio a cogliere i diversi significati dell’espressione Parola di Dio.
    Il pensiero centrale del Sinodo non è stato la Bibbia come libro, ma il mistero della Parola di Dio. Si voglia notare lo spostamento di prospettiva che possiamo tradurre così: dallo scritto al vivo per ritrovare il vivo nello scritto, cioè la Parola di Dio richiama anzitutto non il libro della Bibbia, ma la presenza reale e attuale del Signore vivente (dallo scritto al vivo), in maniera poi di incontrare il libro sacro come testimonianza di persone che hanno camminato con Dio (il vivo nello scritto).

    Domanda 3
    La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Certo, non ci sono dubbi al riguardo, è sempre stata una comune consapevolezza. Ma oggi si danno nuove urgenze e gli studi biblici e teologici hanno dato ulteriori contributi spendibili anche in campo pastorale. Può sintetizzare al riguardo le condivisioni raggiunte nel Sinodo?

    Risposta
    L’impostazione del Sinodo di mirare a dire le cose essenziali non aggiunge per sé nulla di sostanzialmente nuovo ai contenuti e processi pastorali che conosciamo, o meglio li rilegge tutti dalla parte delle radici. Io al Sinodo ho avvertito aria di Concilio, di Dei Verbum. Facendo proprio una verifica sul Concilio, appaiono indubbiamente accenti nuovi, o perché dimenticati o perché emergenti nel contesto attuale.
    Ecco in sequenza la prospettiva basilare:
    – l’avvenimento della Parola di Dio fatta uomo in Gesù di Nazaret nella forza dello Spirito, che si comunica tramite la Chiesa;
    – il sacramento della Parola: la Bibbia, letta nel contesto liturgico (eucaristico), nella pienezza di senso del testo, in atteggiamento orante;
    – la frequentazione diretta con il testo sacro, assumendone la responsabilità e quindi una previa formazione;
    – la destinazione missionaria della Parola, segnatamente nelle tante forme di dialogo extraecclesiale nel mondo religioso, sociale, culturale.

    PAROLA, FEDE, VITA CRISTIANA

    Domanda 4
    La Chiesa vive della Parola, il credente vive della Parola. Quale legame c’è tra la fede e la vita cristiana delle persone e la Parola di Dio? Quali sono i «luoghi» dove meglio incontrare la Parola di Dio, Dio che parla anche oggi agli uomini e donne del nostro tempo?

    Risposta
    Punto di partenza è il fatto/dato reale che Dio parla ed ascolta come un padre verso i suoi figli per ammetterli alla comunione con sé. La sua Parola è dunque l’alfa e l’omega della religione cristiana, l’assolutamente primario, necessario e definitivo eppure continuamente da comprendere. La fede che ispira la vita delle persone comincia a essere fede se riconosce e accoglie non una dottrina o un sapere in più, ma una relazione interpersonale, amorosa, vitale. Come si incontra questo Padre con l’uomo, in certo modo partner reciproci di vita? Lo abbiamo accennato nella risposta seconda. Sviluppiamola un momento: la Parola avviene tramite una sinfonia di segni (‘canto a più voci’, o canali). Sviluppiamola un momento considerando i tre grandi segni:
    – la stessa creazione, la natura come richiamo e invocazione di un Trascendente potente («I cieli narrano la gloria di Dio», Sal 19,2);
    – la Sacra Scrittura o Bibbia che attesta in maniera genuina l’azione di Dio nella storia, prima di Israele con i profeti (AT) e poi in maniera ultima e definitiva nella persona di Gesù Cristo, la Parola eterna di Dio fatta uomo, e dei suoi discepoli (NT);
    – da costoro proviene la Chiesa che vive la relazione con Dio in Gesù, cioè ascolta la sua Parola nella predicazione degli apostoli e dei loro successori, la medita nella fede, la celebra nella liturgia, la traduce in carità, l’annuncia al mondo. In questo modo la chiesa diventa una trasmissione o tradizione vivente della Parola, entro cui la Bibbia, Parola scritta sotto ispirazione dello Spirito Santo, assume il posto irrinunciabile e permanente di attestazione infallibile della stessa Parola, memoria costitutiva della fede. Purtroppo si fa fatica a riconoscere nella Chiesa – per colpa anche della poca credibilità di certi suoi membri – il luogo ove la Parola di Dio che è Gesù risuona in pienezza e qualità; si fa fatica ad ammettere che per quanto accolta personalmente, la Parola è sempre connotata ecclesialmente e produce appartenenza alla comunità e spinge alla missione; si fa fatica a credere che è nella Chiesa che la Sacra Scrittura ritrova pienamente se stessa, la sua identità, sia nel vestito dei sacramenti, sia nella riflessione teologica, sia nella testimonianza dei Padri e dei santi, sia nell’esperienza della fraternità.

    PAROLA DI DIO E GIOVANI

    Domanda 5
    Tra questi uomini e donne del nostro tempo, ci stanno a cuore soprattutto i giovani.
    Anzitutto, quale la Sua impressione su questo binomio, Parola di Dio e giovani? Sintonia, distanza, disponibilità alla parola come guida…? Perché poi i giovani dovrebbero «interessarsi» alla Parola, e in vista di che cosa? Insomma, cosa possono aspettarsi dall’incontro con la Parola di Dio, con la Bibbia? E come vincere la distanza culturale?

    Risposta
    La domanda è complessa e quasi irruente. Dunque giovani e Bibbia. Così si esprime il Sinodo nella Pr. 34, a cui hanno collaborato soprattutto salesiani presenti al Sinodo, alla luce del bell’intervento del Rettor Maggiore dei Salesiani e facendo perno sul racconto di Emmaus:

    Animazione biblica e giovani
    «Come Gesù invitò un giovane a seguirlo, così l’invito va riproposto oggi a fanciulli, ragazzi, adolescenti e giovani, perché possano trovare la risposta alla loro ricerca nella parola del Signore Gesù. Nell’animazione biblica della pastorale giovanile si terrà conto dell’invito di Benedetto XVI: «Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire» (Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, 9 aprile 2006). Si auspica che venga presentata la Scrittura nelle sue implicazioni vocazionali così da aiutare e orientare molti giovani nelle loro scelte vocazionali, anche fino alla consacrazione totale. Le giovani generazioni siano accolte, ascoltate e accompagnate dalla comunità cristiana con amore in modo da essere introdotte alla conoscenza delle Scritture da educatori, veri testimoni appassionati della Parola di Dio. In questo modo anche i giovani saranno guidati ad amare e a comunicare il Vangelo soprattutto ai loro coetanei».
    Nel Sinodo non si è sviluppato granché questo argomento, ma è anche vero che solo per i giovani è stata posta esplicita attenzione con una proposizione.
    Si è levata una voce autorevole che ha riconosciuto la profonda distanza tra giovani e Bibbia, distanza culturale (che cosa dice il testo?) e distanza significativa (come può interessarmi un testo così lontano?). Resta vero che la Parola di Dio è anche per i giovani, perché sono persone umane verso la maturità e quindi verso la responsabilità dell’adulto. In verità non è poi così lontano il senso profondo del testo rispetto al senso profondo della vita del giovane, anzi, se nasce tale sintonia, vi è una notevole disponibilità del giovane verso il messaggio biblico. Dalla Bibbia come Parola di Dio il giovane, soprattutto lui, viene abilitato a scoprire la realtà del dono e del progetto di storia della salvezza cui anche lui è chiamato. Altre risposte sono offerte in relazione alle domande successive.

    Domanda 6
    Quali sono le domande che oggi i giovani fanno sulla loro vita a cui la Parola di Dio può offrire risposte convincenti e coinvolgenti?
    Andando sempre più sul concreto, come parla la Parola di Dio al cuore dei giovani di oggi? Cioè come incontra (interpreta, accoglie, purifica, risponde) i bisogni e le domande fondamentali che l’esistenza e i concreti avvenimenti della vita del giovane pongono? Può indicare esempi concreti?
    E come accompagna il cammino di fede, dalla lontananza al primo sboccio alla sua maturità?

    Risposta
    Anche qui gli interrogativi sono un torrente. Riprendendo cose dette nella domanda precedente e rimandando ad integrazioni successive, cerco di rispondere con un’affermazione di sintesi: l’incontro giovani e Bibbia può avvenire efficacemente soltanto sulle cosiddette «domande di senso», concretamente sull’essere uomo e donna, perché siamo nel mondo e a che cosa fare, come intendere la vita e realizzarla… e dunque intorno al problema dell’origine e della fine, del dolore e della felicità, del bene e del male, del futuro, di Dio… Domande che scaturiscono oggi pressantemente dalla ricerca scientifica in ambito bioetico, domande che provengono dalla storia di ieri e di oggi…
    Come viene ben detto nella domanda, la Parola di Dio non è un gettone di presenza, o un toccasana magico. Piuttosto mette ultimamente davanti alla persona di Gesù di Nazaret, Signore vivente, ti chiede di confrontarti con Lui, e come è di ogni parola seria, Egli con la sua Parola che è divina illumina, conforta, destabilizza, condanna, purifica, consola, ti dà speranza, ti apre alla vita dopo la morte, ti dà il senso di cui hai bisogno, anzi prima ancora ti inquieta perché lo abbia a cercare e lo possa trovare.
    Quanto all’ultima domanda sull’accompagnamento, va ricordato che il giovane è il bambino di ieri e l’adulto di domani. Quindi occorre investire di Parola di Dio le varie fasi di età. Lo riconosce il Sinodo richiamando l’attenzione soprattutto sull’educazione biblica di bambini nell’ambito della famiglia (v. sotto alla domanda 10).

    PAROLA E PASTORALE GIOVANILE

    Domanda 7
    Uno sguardo sul sistema della pastorale giovanile. Quale l’attuale presenza della Parola di Dio nella pastorale giovanile e nella catechesi? Quali prospettive si aprono con il Sinodo? Quali le proposte più realistiche? In quale senso la Parola di Dio è «strumento» utile alla PG?
    In particolare, come «usare» la Parola nella PG e con i giovani?

    Risposta
    Oggi ogni Catechismo italiano è bene ‘biblicizzato’. Il Catechismo dei giovani uno e due (Io ho scelto voi, per adolescenti, e Venite e vedete per giovani) da questo punto di vista è eccellente. Anche nei vari modelli di pastorale giovanile, la Parola di Dio è nel cuore dell’agire, come lo dimostra questa stessa rivista NPG. È ancora presente nei movimenti giovanili. Il problema è di avere i giovani, il che importa avere paradigmi diversi di proposta. Il Sinodo mette in rilievo quattro elementi: la centralità della questione del senso, l’ascolto cordiale del giovane stesso, una impostazione secondo una prospettiva vocazionale, accompagnatori che siano educatori e appassionati della Parola (v. Pr. 34).
    Quanto alla validità e praticabilità della Parola di Dio nella PG ritengo che vi sono dei passi da fare, che sono poi tappe educative, quali:
    – Occorre mirare all’acquisizione di una convinzione solida, farsene una mentalità, sul fatto cioè che Dio parla ed ascolta, che Egli vuole comunicare con l’uomo, vuole intervenire nel nostro parlare umano con una sua proposta di vita.
    – Bisogna poi educare a riconoscere i canali della Parola, tra cui la Bibbia, ma anche la comunità credente, la liturgia, la carità, ma anche lo stesso uomo in se stesso creato ad immagine e somiglianza di Dio
    – Chiaramente va anche spiegato che l’incontro con la Parola di Dio non toglie la libertà e la responsabilità di dire parole umane, di fare progetti, di assumere compiti nella società. La Parola di Dio non è avversaria né competitiva con le parole umane, a patto che queste non cerchino di farsi Parole di Dio.
    La Parola di Dio va vista come il pilastro di casa che sta in cantina: si vede malamente, quasi si vive come se non ci fosse. Non dimentichiamo tale presenza, attingendo dalla Parola non ricette o consigli spiccioli, ma luce di verità, stimolo alla conversione, invito alla speranza.
    – Circa infine l’uso della Bibbia nell’area giovanile, ricordo soltanto che il Card. Martini ha lanciato per loro la scuola della parola nel duomo di Milano. Ed ha avuto successo.
    Quindi formazione ad un ascolto della Parola (anzitutto i Vangeli) diretto e meditato a lungo, per poi suscitare la preghiera. Il silenzio interiore deve essere di casa.
    Altre forme di uso sono i circoli formativi, dibattito di temi pertinenti, campi scuola estivi (stile scout). Ma stabilita una buona relazione tra formatore e formando, funzionano anche le forme abituali della Messa domenicale, lo stesso Rosario, vera miniera biblica…
    – Un fattore di aiuto o d’inciampo è ‘assicurato’ dalla credibilità o meno della comunità parrocchiale.

    Domanda 8
    Gesù è la Parola di Dio definitiva. In ultima analisi scoprire e amare la Parola vuol dire permettere un incontro personale con Gesù, nella Chiesa e attraverso i segni della sua presenza?

    Risposta
    È proprio così. Per certi versi nel Sinodo si è più sentito risuonare la parola ‘Gesù’ che quella di Padre. Nessuna concorrenza, ma una marcata sottolineatura che nella sinfonia della Parola di Dio, Gesù è l’assolo, voce unica eppure armonica con le altre voci. Nel primato di Gesù, Parola di Dio, si riscontra la vertiginosa ascesa della mente al Verbo trinitario e l’altrettanto sconvolgente discesa nella umanità di Gesù di Nazaret. Ciò comporta molte cose. Le Scritture, come ha affermato lo stesso Gesù, «parlano di me» (Gv 5,39), sicché «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (DV 25), ma l’ignoranza di Cristo significa un sinfonia incompiuta, anzi morti-ficata. Se è vero che il centro di un cerchio non è tutta la superficie, però se manca il centro anche l’area perde l’unità, si frantuma, svanisce.
    Perciò il Sinodo ripropone «con forza a tutti i fedeli l’incontro con Gesù, Parola di Dio fatta carne, come evento di grazia che riaccade nella lettura e nell’ascolto delle Sacre Scritture» (Pr 9) intese in un legame strettissimo con la Chiesa e la divina Tradizione, tra cui i Padri e i Santi. Quattro riscontri pratici:
    – incontra compiutamente Gesù chi lo incontra seguendo tutti i segni della sua presenza: la Scrittura come attestazione di autenticità; la Tradizione come mezzo di attualità, e ciò grazie all’annuncio, la celebrazione liturgica, il servizio, la comunione; le opere del creato come traccia;
    – un nodo specifico che impegna è imparare a leggere Gesù nell’Antico Testamento;
    – dall’intrecciarsi dinamico dei segni della Parola, si noterà che conoscendo Gesù si entra nella conoscenza anche della Chiesa. La Chiesa è la casa del riconoscimento vivo di Gesù; come la Scrittura è la sua tessera di riconoscimento genuino. Il Sinodo ha molto rimarcato questa unione Gesù-Chiesa come portatori entrambi della Parola di Dio, e quindi criterio di verifica di una corretta comprensione

    Domanda 9
    La Lectio è un modo concreto e valido per l’attuale situazione dei giovani? Quale tipo di Lectio è loro adeguata? Quali altre forme, magari più «giovanili», si possono utilizzare?

    Risposta
    L’esperienza dice di sì. Il Sinodo l’ha espressamente raccomandata per i giovani (si veda la Pr. 34 riporta sopra alla domanda quinta). Valga per tutti quanto ha fatto il Card. Martini a Milano, e fuori Milano, per vent’anni. Si leggano i suoi testi sia dove concretamente vengono proposte sue LD, sia dove egli esprime il suo modo di intenderla. Martini fa parte di quei ‘buoni maestri’ espressamente nominato da Benedetto XVI e raccomandati nel Sinodo (Pr. 22). D’altra parte è necessario un opportuno adattamento, a partire dal nome. Il Sinodo preferisce parlare di Lettura orante (Pr.22), con una varietà di approcci. Personalmente, sempre seguendo la Pr. 22, ritengo corretto ed efficace partire dal concetto di ‘lettura orante’, ossia «aperta al dialogo con Dio», con le diverse forme così nominate:» LD, esercizi spirituali, seven steps (sette passi) in Africa e altrove, diversi metodi di preghiera, condivisione in famiglia e nelle comunità ecclesiali di base, ecc.», avendo come obiettivo che la lettura orante sbocchi in un impegno di carità». Quindi se la LD adattata è raccomandata per prima, deve valere il criterio «che i fedeli vengano iniziati secondo le circostanze, le categorie, le culture al metodo più appropriato di lettura orante, personale e/o comunitaria».
    Torno a dire che una forma ben congegnata di LD stile Martini, aggiungendo all’ascolto del senso del testo e al silenzio meditativo un momento di condivisione e di preghiera spontanea, è oggi il percorso pedagogicamente più confacente.
    Il peso della responsabilità si porta per tanta parte sull’animatore!

    PAROLA E OPERATORI PASTORALI

    Domanda 10
    Come far scaldare il cuore degli operatori pastorali, come far innamorare i giovani della Parola di Dio? Quale risposta possono offrire i giovani al dialogo tra Dio e l’uomo che la Parola di Dio presuppone?

    Risposta
    La domanda verte decisamente sulla mediazione pedagogica o catechistica. Il Sinodo non ne ha parlato nelle Proposizioni, salvo un punto espresso nella citata Pr. 34 dedicata al mondo giovanile (v. sopra domanda 5). Si legge quanto segue: «Si auspica che venga presentata la Scrittura nelle sue implicazioni vocazionali così da aiutare e orientare molti giovani nelle loro scelte vocazionali, anche fino alla consacrazione totale. Le giovani generazioni siano accolte, ascoltate e accompagnate dalla comunità cristiana con amore in modo da essere introdotte alla conoscenza delle Scritture da educatori, veri testimoni appassionati della Parola di Dio. In questo modo anche i giovani saranno guidati ad amare e a comunicare il Vangelo soprattutto ai loro coetanei».
    Si noteranno degli spunti da approfondire che sintetizziamo così in quattro aspetti:
    1. Fa da premessa l’atteggiamento della comunità cristiana capace di amore sincero e visibile verso le giovani generazioni, visibilità espressa da accoglienza, ascolto e accompagnamento. È una esigenza oggi molto rimarcata. La causa del rifiuto o quanto meno del disagio dei giovani verso la fede, non sta nella fede, ma nel sentire estranea la portavoce autorizzata di essa, la comunità credente: sa dire la verità della dottrina con lucidità intellettuale (ma non sempre riesce, nemmeno questo), ma non sa comunicarla con la voce del cuore, voce puntualizzata nei tre atteggiamenti di accoglienza senza discriminazione e condizioni eccessive, per tantissimi che sono all’inizio di un cammino di fede; ascolto, per cui le tante domande, dubbi che la Parola di Dio suscita sono accolte dalle guide senza scandalizzarsi, molto sul serio; accompagnamento, in quanto l’incontro con la Parola porta necessariamente ad un dialogo imprevedibile, in cui il giovane può restare schiacciato dalle esigenze del Vangelo, sentirsi debole e quindi tentato di lasciare.
    2. La comunità che accoglie, ascolta ed accompagna assume il volto specifico di «educatori, veri testimoni appassionati della Parola di Dio». Si badi a questo binomio di ‘educatori’ (non guru, né grandi eruditi, ma chi accetta di fare strada insieme) e contemporaneamente di «testimoni appassionati», con una certa qualità carismatica, di chi parla perché della Parola ha fatto e fa l’esperienza. È una passione per il Dio di Gesù Cristo rivolto verso il giovane ed anche per il giovane introdotto a colloquio con Dio. È una passione che fa inventare linguaggio, segni, esperienze, adattamento alla situazione delle persone, idealmente, di ciascun giovane, uno per uno.
    3. Un terzo aspetto richiamato dalla Proposizione 34 è la presentazione della Parola di Dio non come dato meramente culturale, pur necessario, e nemmeno come incontro interpersonale con Dio fine a se stesso, ma come svelamento, riconoscimento ed appropriazione di un progetto di vita, che, in bocca a Dio, si chiama vocazione.
    4. Infine viene evidenziata una dinamica tipica della Parola di Dio cui poco si bada. E cioè Dio comunica, mandando la sua Parola, la propone in stato di missione. Gesù, la Parola di Dio per eccellenza è il mandato o missionario del Padre. La Parola fa parte, anzi costituisce la missione della Chiesa. Deve continuare la sua corsa evangelizzante. La si riceve per trasmetterla. Ricevere la Parola per donarla agli altri, nel nostro caso i giovani ai giovani, con un notevole senso di fiducia: «In questo modo anche i giovani saranno guidati ad amare e a comunicare il Vangelo soprattutto ai loro coetanei».
    Sono tutte connotazioni queste che hanno il pregio di avere il respiro di una chiesa mondiale.

    Domanda 11
    Se lei fosse un delegato PG (diocesano o di congregazione), dopo questo Sinodo su cosa lavorerebbe per la sua Chiesa, per i suoi giovani? Quali passi muoverebbe?

    Risposta
    Ecco una scaletta che ha una sua priorità logica (1) e metodologica (2).
    1. Dal punto di vista del valore in sé ho recepito dal Sinodo queste istanze:
    – il primato della Parola di Dio per essere discepoli di Gesù Cristo, verificando e sottomettendovi ogni altra parola o mediazione umana, anche religiosa ed ecclesiastica: si avverte insomma un assoluto bisogno di riportare il mistero di Dio (Trinità-Gesù Cristo-lo Spirito Santo) al centro del reale, come la radice di ogni realtà umana e cosmica;
    – necessità di accogliere la Parola nel seno della madre Chiesa, come primo sacramento della Parola, sacramento che si articola nei sacramenti, globalmente nella celebrazione liturgica: fuori del sentire ecclesiale (sacramentale) come comunione di fede, di celebrazione, di carità, di testimonianza, la Parola di Dio (Bibbia) svanisce;
    – l’incontro con la Scrittura come componente sacramentale della Parola di Dio, la sua attestazione ispirata, dunque infallibile e indispensabile;
    – l’esperienza della Parola come mandato missionario: annunciarla agli altri con lo stesso cuore con cui Dio (Gesù) la trasmette a noi, impattando con la Parola l’esistenza personale e collettiva negli ambiti sociopolitici, artistici, culturali, massmediatici, religiosi per un mondo più giusto, in pace, nella speranza.
    2. Metodologicamente è fondamentale una impostazione che susciti l’interesse giovanile, coinvolga i giovani, li renda partecipi di un cammino. Rispondendo alla domanda n. 10 e ad altre domande (nn. 5-7), abbiamo già espresse delle condizioni. Le riassumo nei tre ordini:
    – risvegliare questioni di senso esistenzialmente significative cui la Bibbia possa rispondere in maniera correlata, come parola di verità e di incoraggiamento;
    – promuovere esperienze concrete di incontro con il Libro sacro, dove sia garantita una adeguata conoscenza culturale (razionale) e vi possa essere una reazione attiva;
    – elaborare una risposta a Dio che parla nel molteplice piano della preghiera (liturgia, eucaristia anzitutto), del confronto culturale e dell’impegno di carità.

    VERSO UNA PREVALENTE «LETTURA SPIRITUALE» DELLA BIBBIA?

    Domanda 12
    Un’ultima domanda, sollecitata da «preoccupazioni» emerse ultimamente nei mass media.
    Si sta riproponendo una spaccatura tra esegesi storico-critica e lettura spirituale della Bibbia, a favore di quest’ultima, come se i risultati della prima, pur di altissimo valore e importanza, potessero turbare o «minare» la fede della gente? E, in termini di pastorale, come coniugare correttamente le due prospettive?

    Risposta
    Su questo punto è intervenuto direttamente in Sinodo Benedetto XVI, intervento difficilmente recepito dalla comunicazione massmediatica per l’intrinseca difficoltà a capire il tema fuori dell’ambito degli studiosi. Se ne parla in ben quattro Proposizioni (nn.25-28). Il nodo centrale è questo: la Bibbia va compresa secondo la fede della Chiesa, altrimenti surrettiziamente si insinua una fede laica, positivista. Il Papa ha presente tre ordini di verità con cui sciogliere relativi problemi.
    – Mai dimenticare che colui di cui si parla nei testi è Dio, Gesù, i quali sono viventi, contemporanei, ciò che si dice nel testo vale anche oggi. Con ciò si affronta il problema di interpretar la Bibbia senza la fede, laicamente, neutralmente come si dice.
    È invece necessaria una ermeneutica della fede, perché altrimenti la si sostituisce con una fede secolarizzata e positivista che volendo stare al ‘dato storico’ (v. Augias) nega (appiattisce, demitizza, svuota) come non appartenente al dato storico, reale, umano la lettura delle fede. Per arrivare a questo livello occorre integrare il livello storico-critico, con il criterio dell’unità delle Scritture (teologia biblica), con quello dell’ analogia della fede di cui il mistero dell’Incarnazione è riferimento centrale, e con il contesto della «tradizione», che è dottrinale, celebrativa, caritativa, esperienziale o testimoniale della Chiesa lungo i secoli.
    – Ne deriva la domanda di come realizzare uno studio genuino della Bibbia. Comunemente viene fatto con un approccio storico-critico che si limita a cogliere il senso letterale, quello inteso dall’autore umano, studiando la Bibbia come un libro di storia antica, di letteratura di altri tempi. Insomma archeologia biblica. Invece, nell’ottica della fede entro cui i libri biblici sono stati scritti, è veramente ‘scientifico’ quell’approccio che partendo necessariamente dal senso letterale (altrimenti si rischiano il fondamentalismo o spiritualismo), tale senso viene inquadrato, allargato e completato nel senso pieno o senso spirituale (o dello Spirito Santo), ossia con il senso che Dio dona alla sua parola, quindi arrivando a mettere in rilievo il progetto di salvezza che Egli intende e che è andato rivelando nella storia (storia della salvezza), progetto che ha al centro il mistero di Cristo e della Chiesa. La Bibbia è la testimonianza scritta di questo doppio livello umano e divino intimamente fusi.
    – Un terzo problema che il Papa denuncia è la separatezza quasi incomunicabile tra esegeti, teologi e pastori. I pastori in particolare si sentono non considerati dai primi due ceti, che invece portano avanti un livello accademico che li estranea spesso dal comune popolo di Dio. La risposta è quella di superare il «dualismo tra esegesi e teologia», ossia tra gli studiosi della Bibbia e gli studiosi della fede cristiana in misura sistematica; e così stabilire un «dialogo tra esegeti, teologi e pastori», inteso qui come incremento «della fede e dell’edificazione del Popolo di Dio» da parte degli specialisti. Si dovrebbe anche aggiungere la necessità che i pastori si interessino dei dati della ricerca biblica e teologica, con un periodico rinnovamento del proprio sapere.
    – In chiave pastorale pratica, ciò richiede all’animatore – per poi dirlo all’uditorio – la intelligenza chiara di cosa sia comprendere veramente la Bibbia, fare esegesi del testo. Bisognerà aiutare a riconoscere che la Bibbia è nata dentro un mondo di fede storica, cioè di persone concrete che nelle loro esperienze umane hanno fatto esperienza di Dio, unendo quindi insieme i due momenti di esperienza, umana e divina. Concretamente, dato un certo passo biblico, chiedersi: cosa dice il testo in se stesso, il senso letterale, e poi come una freccia che va al bersaglio, vedere come questo senso si allarghi, prenda il senso definitivo a confronto con il messaggio di Gesù e della Chiesa.
    Se Gesù vivesse oggi, quale sarebbe il suo più urgente desiderio? Cosa considererebbe il più grande problema della nostra epoca?
    Credo che risveglierebbe proprio i giovani benestanti e li porterebbe dalla sua parte per cambiare il mondo insieme a lui. Cambiare il mondo significa togliere agli uomini le loro paure, ridurre le aggressività, abolire le ingiustizie tra poveri e ricchi. E soprattutto dare agli uomini una patria così che si sentano al sicuro, siano essi bambini, stranieri, anziani, mori­bondi o malati. Credo che a questo scopo Gesù cercherebbe gli uomini più forti, vale a dire innanzitutto i giovani. Come allora, Gesù farebbe di questi giovani degli apostoli. Apostolo significa «inviato»: persone aperte, sicure, attive, che condivi­dono la vita con lui.
    (Carlo M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondatori 2008, p. 25)

    La chiave di lettura del Sinodo: il primato assoluto della Parola di Dio

    Ma qui conviene allargare la visuale per capire meglio l’attuale situazione religiosa e pastorale e dunque le scelte soggiacenti. Lo possiamo sintetizzare nell’affermazione del primato assoluto della parola di Dio.

    Ecco due testi sintomatici che aprono e chiudono il Sinodo da parte di Benedetto XVI:
    * «Nutrirsi della Parola di Dio è per la Chiesa il compito primo e fondamentale. In effetti, se l’annuncio del Vangelo costituisce la sua ragion d’essere e la sua missione, è indispensabile che la Chiesa conosca e viva ciò che annuncia perché la sua predicazione sia credibile…Sappiamo che l’annuncio della Parola ha come contenuto il Regno di Dio, la stessa persona di Gesù» (Omelia di Benedetto XVI in apertura del Sinodo, 5 ottobre 2008, in S. Paolo fuori le mura).
    * «Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all’inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l’impegno della nuova evangelizzazione, dell’annuncio nei nostri tempi. Occorre ora che questa esperienza ecclesiale sia recata in ogni comunità; è necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone. Ciò richiede in primo luogo una conoscenza più intima di Cristo ed un ascolto sempre docile della sua parola» (Omelia di Benedetto XVI in chiusura apertura del Sinodo, 26 ottobre 2008, in S. Pietro).

    Questa è la chiave di lettura del Sinodo, di cui vorrei mettere in evidenza tre tratti esplicativi ed una conseguenza operativa.
    1. Il primo tratto è proprio del magistero di Benedetto XVI, o meglio reso attuale da lui con parole forti e continue. Già l’inclusione tra inizio e fine del Sinodo nelle sue omelie è chiara: la Chiesa ha per compito prioritario ascoltare e farsi animare dalla Parola di Dio, che è Gesù Cristo, in vista di una evangelizzazione missionaria. È la sostanza di Dei Verbum richiamata con forza, quasi bruscamente, come se si dovesse svegliare un gigante addormentato, scuotere forme di incertezza, ammonire chi persegue l’ascolto di altri discorsi.
    Al centro della Chiesa deve esserci ciò che è la realtà, e ciò che è veramente reale deve restare al centro. E questa realtà più reale è il mistero di Dio, la sua rivelazione, dunque la sua Parola, di cui Gesù è la sostanza e la Chiesa è la serva.
    Così ha parlato all’Assemblea del Sinodo nel giorno di avvio dei lavori (6 ottobre 2008):
    «Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.
    Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.
    Si manifesta lo stile, ancora prima le intenzioni teologico-pastorali del Papa attuale: la verticale di Dio nella storia della stessa Chiesa e dell’umanità; il primato dell’eucaristia e della liturgia; la centralità del crocifisso in essa; la legittimità razionale di agire veluti si Deus daretur e dunque la motivata plausibilità di un dialogo intrinseco tra ragione e fede; l’esistenza e validità di una legge naturale pur nei condizionamenti culturali, giacché il cosmo è pur esso opera di Dio; tanti interventi del Papa contro il relativismo, contro l’auto-gratificazione della stessa Chiesa e la corsa alla carriera. Di qui anche la cura di fare un Catechismo della Chiesa Cattolica, anzi di un suo Compendio perché non si dimentichi ciò che la fede della Chiesa crede lungo tanti secoli; di qui pure una lettura di continuità tra Vaticano II e quanto precede, a differenza di giudizi di altri storici; la ripresa dello studio dei Padri per capire la Parola di Dio (Pr. 6); si motiva in certa misura anche la ripresa del messale preconciliare, non per archeologismo conservatore, ma affinché la tradizione della Chiesa non vada dispersa.
    Insomma è chiara la scelta di una visione kerigmatica del cristianesimo, che si propone anche come priorità metodologica in fase di annuncio, senza per altro escludere il ruolo dell’esperienza nel dire e vivere la fede (la via antropologica), ma senza nemmeno sposare in tutto la visione rahneriana di «Uditori della parola».
    Inevitabilmente la mediazione ermeneutica (= significatività esistenziale) rimane piuttosto taciuta. Nell’atto pastorale tale componente dovrà essere considerata tenendo conto dell’esperienza umana (DCG 152).
    In sintesi, di fronte ad una ignoranza diffusa dei dati cristiani elementari, alla confusione dei significati, dei valori e dei ruoli della vita di fede, alla fiacchezza e abbandono della pratica cristiana, alla non credibilità della Chiesa – e tutto ciò in un contesto secolaristico e in ogni caso un contesto fattosi complesso e carico di domande gravi e radicali anche per il credente – Papa Benedetto che è anche teologo avverte in maniera acutissima come comandamento del Signore, il dovere di annunciare il vangelo sine glossa.
    2. E di ciò vi è veramente bisogno. Molti, anche tra i cristiani, oggi dicono: la Chiesa deve badare alla giustizia e alla solidarietà; altri rimpiangono quando la Chiesa appariva centro di cultura e di arte; altri ancora ritengono che la Chiesa deve essere luogo di preghiera, lontana dalle cose del mondo, come un rifugio protetto; altri pensano la Chiesa sia il loro movimento o gruppo; per altri la Chiesa è legata alla festa del santo patrono e delle devozioni popolari… In realtà tutti questi aspetti ed altri ancora si possono considerare come i raggi di un cerchio. In un cerchio i raggi sono tanti, ma il cerchio esiste se tutti i raggi hanno lo stesso centro che li tiene uniti. Ebbene quale è il centro della Chiesa, il suo cuore, quello che la fa vivere come chiesa di Gesù Cristo e rende autentiche le sue tante manifestazioni di fede come di carità, di arte come di studio, di amore alla vita e di coraggio sotto la croce? La risposta è una sola: la Parola di Dio, il fatto cioè umanamente non previsto, ma reale, che Dio parli, entri in comunicazione, in una parola si riveli agli uomini per farne suo popolo, sua famiglia. E questo non è una cosa da poco, non è come avviene in certi nostri dialoghi in cui finito il discorso ognuno va per la sua strada. Qui capita che la Parola di Dio sia come un seme vivo che germoglia. Notiamo cosa dice il Concilio a questo proposito: «Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa (cioè noi) saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (DV 21). Efficacia, potenza, sostegno e vigore, saldezza, cibo, sorgente pura e perenne: sono termini forti e densi. Insomma: qualcosa che fa esistere ciò che prima non c’era, come la sorgente; qualcosa che diventa cibo, nutrimento necessario per resistere e stare saldi; qualcosa, che fa crescere per la sua intrinseca energia. E ciò offre alla fede una verità sicura, dona all’anima, cioè all’io profondo della persona un cibo, un nutrimento di cui ha bisogno, illumina e mantiene pura e continua la vita spirituale. Il dono della Parola Dio lo offre a tutti gli uomini come un appello di amore per la loro salvezza. Coloro che la ricevono rispondono quindi ad una chiamata, diventano suo popolo, sua Chiesa (= raduno dei chiamati), a partire dal popolo della prima alleanza, rinnovata ma mai sostituita.
    3. Questa impostazione apre davanti a noi un cammino di fede con notevole incidenza teologica e pedagogica.
    La comprensione statica e materiale (come un SMS) fatalmente evocata dal costrutto ‘Parola di Dio’, continuamente ripetuto, va superata ricordando che la Parola si fa nella storia, si realizza in rapporto ad interlocutori liberi e in divenire. Qui fa testo una splendida e chiara affermazione del Concilio applicata sia alla Parola di Dio che alla Bibbia: «Nei Libri Sacri il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi» (n. 21), «per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé» (n. 2)1. L’incontro con le sue dinamiche è la categoria con cui dovremmo presentare la fede cristiana, e dunque anzitutto la Scrittura. L’incontro – come appare nella Bibbia stessa, nei vangeli in particolare (Emmaus, Samaritana…) – non è costituito da formule dottrinali da ripetere, ma anzitutto è un fatto esistenziale interpersonale, una esperienza religiosa da provare. È il nodo delicato su cui si sono soffermati con decisione i Padri sinodali proponendo al centro di ogni attenzione il «mistero di Dio che ci parla», «Dio parla e ascolta», il Vivente che parla a persone vive, il Gesù del Vangelo che incontra le persone dove vivono. Ne derivano alcuni aspetti ‘strategici’, su cui impostare il servizio della Parola. Si tratta di mutamenti interiori (conversione) da compiere, su cui esercitare noi e i nostri fedeli.

    NOTA

    1) In un’intervista recente, il card. A. Vanhoye, autorevole membro del Sinodo, affermava: «Ciò che a me sembra essere più nuovo e più stimolante nella DV è l’aspetto dell’amore di Dio, che si esprime nel fatto che Dio ci vuole parlare. Ricordo la sua bellissima espressione: il Padre viene incontro ai suoi figli. Invece di presentare la Bibbia come una storia di insegnamenti, la DV fa capire che si tratta di una comunicazione di amore e di vita. Questo è importante anche per la fede cristiana, che non deve essere concepita come un’adesione a un insieme di dottrine, anche se queste sono necessariamente parte della fede, ma deve essere capita anzitutto come adesione a una persona, alla persona di Cristo, adesione a Dio Padre. Questo cambia del tutto la prospettiva rispetto a una visione di fede come insieme di verità che dobbiamo accettare; in questo caso il credere rimanda a un livello intellettuale e non riesce a ispirare veramente una vita. Invece se credere è una relazione forte con Cristo, si comunica una potenza di vita. ‘Vivo nella fede del Figlio di Dio – diceva S. Paolo – che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me’. La sua vita era fondata sulla relazione con Cristo, conoscere Cristo, conoscere la potenza della sua resurrezione, la comunione nelle sue sofferenze. Il ministero di Paolo era un ministero di comunicazione della relazione con Cristo» (Liberare il dinamismo della Scrittura. Intervista al card. Albert Vanhoye, in «La Rivista del Clero italiano» 89 (2008) p. 507).


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