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    Educare alla preghiera /5

    La preghiera, un rifugio?

    Alessandro Maggiolini

    preghiera

    Non è raro sentir parlare della preghiera - se ancora si osa parlare di preghiera fuori delle occasioni ufficiali - come di un atto di debolezza. Cose da persone ignoranti, da persone incapaci. E qui cade di solito il richiamo alle donnicciole della Messa del mattino e del rosario, un richiamo che mi fa soffrire e mi sembra ingiusto: mi chiedo onestamente se queste vecchiette che noi snobbiamo con tanta disinvoltura non sappiano più cose di noi e non abbiano concluso più delle nostre vanterie nella loro vita, senza chiasso, si capisce...
    Ma non divaghiamo.
    La preghiera è dunque espressione di vita non riuscita? è fuga in un mondo irreale? è paura di accettare le proprie responsabilità? è l'ingenuo rassegnarsi di chi affida ad un Altro i compiti che gli sono propri?... Caviamo la domanda estrema: la preghiera non è vigliaccheria umana? Insomma, pregano i forti o i falliti? e il mettersi in ginocchio è segno di grandezza o di abdicazione? Un piegare il capo, mentre si dovrebbe gridare per esistere davvero, e operare perché la vita è cattiva e le consegne storiche non attendono la Provvidenza, e il successo personale non va chiesto, ma conquistato a spallate .
    Insistiamo: pregano i forti o i falliti?
    Può essere che talvolta la preghiera sia vissuta come un rifugio, come una sorta di nicchia protettiva che distoglie dai propri impegni e crea delle personalità flaccide, fataliste, dolciastre: pie, come si usa dire: bigotti, colli torti, baciapile... Dico: può essere. Anche se non riesco a vergognarmi, da parte mia, d'aver bisogno talvolta esattamente d'un rifugio: del caldo d'un affetto d'un Dio che mi accolga e mi consoli e mi perdoni... Se ne vergogni chi vuole.
    Ma la preghiera vera non è uno svanire nel nulla e un rinunciare ai propri obblighi, anzi. Una mamma che per pregare lascia incustoditi i bambini o non prepara la cena al marito, non prega: s'illude di pregare. Un operaio che per pregare non compie il proprio dovere e non si impegna; uno studente che per pregare - mah! - non studia; un uomo politico che per pregare lascia che le cose vadano come vogliono eccetera: costoro non pregano, s'illudono di pregare.
    Il Dio che si incontra in questi momenti di dialogo cordiale non è soltanto il Dio che consola: è anche il Dio che sollecita ad aiutare il fratello, a raggiungere una competenza professionale maggiore, a tendere ad un'incidenza sempre più vigorosa nella società, a cambiare la storia, se si vogliono usare parole grosse.
    Dalla preghiera vera uno esce più uomo, non meno uomo, più capace di affrontare le situazioni, più solido nell'attuare i propri compiti, più efficiente anche dai tetti in giù, perché sa il motivo del suo agire e non si scoraggia di fronte alle difficoltà; e il Dio che ha raggiunto è il Dio che non lo sequestra dalle sue responsabilità, ma gliele riconsegna più lucide ed esigenti; non lo toglie dal mondo, se deve vivere nel mondo, ve lo reimmerge con più fermo e motivato vigore. Poiché Dio non è estraneo alle nostre povere cose: sono sue, alla fine, e non sono povere per nulla. Dà anzi un certo strano entusiasmo.
    Direi addirittura che proprio questo è il segno d'una preghiera autentica: l'uscirne con una speranza nuova. e la voglia di riprendere il proprio lavoro quotidiano; ma senza rabbia, con serena fiducia...
    Un'aggiunta. Si parlava di paura. Ci si può porre una domanda forse un po' tagliente: d'accordo, vi può essere chi prega - cioè non prega - per paura: per affidare a Dio quanto lui stesso deve fare. Ma non ci può essere anche chi non trova la forza di imbattersi in Dio e si droga con un lavoro affannoso e senza sbocchi o con altre cose assai meno valide del lavoro? E anche questa non può essere paura?
    Non rispondo, ovviamente. Ma forse è tempo di smettere di presentare il rifiuto di Dio come un atto di coraggio, e la fede e la preghiera come atteggiamenti di debilitazione rassegnata.
    L'imbattersi in Dio non è cosa tanto agevole. Consola anche, ma costringe a cambiare un po' tutto. E impone l'estremo dovere della gioia...


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    p a g i n A


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